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CAPITOLO I
Intransigenza e liberalismo in
Gramsci e in Gobetti
Scrivendo
1
ad Ada Prospero dei fatti torinesi, Gobetti
confessa di seguire con simpatia gli scioperanti. Ma è so-
lo nel Discorso ai collaboratori di “Energie Nove” che
Gobetti assume una posizione più netta nei confronti de-
gli operai. Qui è palese come l'influenza ordinovista e la
collaborazione gramsciana sappiano dare frutti per una
costruzione ideale dell’Italia.
Il fallimento del liberalismo è dato proprio dal non
aver risolto in termini di realtà ideale e religiosa il pro-
blema dell'unità tra Nord e Sud
2
. Da cinquant'anni la
classe operaia si è nutrita di marxismo, di liberalismo e
di riformismo, ma un’idea espressa concretamente è
mancata. La soluzione gobettiana mira dunque alla co-
struzione di un’unità ideale tra operai del Nord e conta-
dini del Sud, facendo leva sul concetto di autonomia e di
libertà. Il rispetto delle varie realtà comunali e regionali
ha bisogno di questi due concetti, in quanto si ha libertà
solo con una cultura del decentramento che, per essere
liberalistica, deve avvalersi dello strumento
1
P. Gobetti, “Il Contemporaneo”, 24-4-1954, ora in La Rivolu-
zione Liberale, p. XVII. P. Spriano (a cura di), Einaudi, 1983.
2
P. Gobetti, La rivoluzione italiana, pp. 233-3, 188 e sgg, in Ope-
re Complete, vol. I, P. Spriano (a cura di), Einaudi 1960.
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dell’economia liberale. Solo in questo modo la valorizza-
zione dell’iniziativa personale potrà inoltre saldarsi in
unità di Stato-popolo, così da venire ad una prospettiva
unitaria.
Oggi in Italia (si è nell'ottobre del ’20) il movimento
operaio, pur nell'assenza di una qualsiasi cultura politica
che si traduca in concreta azione sociale, è l’unica realtà
ideale e religiosa che esprime nella sua azione di lotta la
libertà. Questo può succedere perché agli occhi di Gobet-
ti la sua libertà è tale da poter affermare il valore nazio-
nale del movimento operaio. In questo senso esso è il
primo movimento laico d'Italia; un movimento che, ne-
gando l'intervento divino nell'azione politica dell'uomo,
riconosce il valore dell'intransigenza come unico mezzo
per conservare una forza individualistica nell'unità Stato-
popolo.
Purtroppo però il referente ideologico del movimento
operaio è il socialismo il quale, in quanto mito, «si sfa-
scia nell'ora della realizzazione, negando i suoi pro-
grammi e le sue idee». Ad ogni modo i borghesi lavorano
per scindere l'unità ideale degli operai. Ma se il popolo
italiano «è ineducato e non ha il senso della libertà», al-
lora anche la mussoliniana tirannide servirà ad educarlo
all’intransigenza, alla prospettiva unitaria cementata dal
contrasto di classe che si deve avere nella lotta politica
3
.
L'intransigenza, insomma, è in Gobetti responsabilità di
un popolo di fronte alla sua libertà. E’ responsabilità che
chiama ogni individualità a mostrare la propria creatività,
pur essendo mossa dal comune senso di libertà.
Così ogni contrasto, se coordinato nella propria vo-
lontà, è libertà. E’ un genere di libertà che niente ha a
che vedere con la «rivoluzione dell'anarchismo delle
3
ibid, pp. 170-1, 430, 676-7; A. Carlino, Politica e dialettica in
Piero Gobetti, Lecce, Milella, 1981, p. 59.
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piazze» perché codesta libertà è il muoversi, anche acca-
nitamente, nel corso della storia obbedendo ad un princi-
pio di maturità fondato sulla personale responsabilità.
L'apporto insostituibile dell'intransigenza si traduce allo-
ra in lavoro che si adegua alle responsabilità di ognuno.
Ed è per ciò che l'intransigenza acquista una valenza eti-
co-religiosa quando Gobetti nell’Elogio della ghigliottina
si immola a disperato sacerdote della libertà, contrappo-
nendo serietà a dannunzianesimo. La rinuncia della lotta
politica, di cui il fascismo ne è l'istituzione, è dannunzia-
nesimo per il quale è adeguata una avversione fisiologi-
camente innata
4
. Nelle speranze di Gobetti questa denun-
cia doveva servire a nutrire la maturazione politica e mo-
rale dello spirito italiano con i valori di dignità e di serie-
tà «che non conquistammo col Risorgimento». Dunque il
sacrificio e l'intransigenza per le proprie idee è concre-
tezza etico-politica di serietà. Per cui serietà è carattere,
e, sebbene da un diverso punto di vista, anche per Gram-
sci l'intransigenza è maturità di pensiero, capacità
dell'uomo di comprendere in sé, attraverso la tolleranza
che induce la discussione e il confronto organico tra le
diverse idee, i singoli elementi di verità
5
.
La tolleranza è condizione indispensabile perché l'a-
zione intransigente possa esserci. Ma affinché ci sia tol-
leranza è necessario che la discussione sia esauriente e
sincera, è necessario un mezzo sicuro perché il confronto
porti a sintetizzare la complessa verità. E la verità non
può che essere espressione integrale della ragione, dove
la razionalità dell'organismo sociale destinato ad essere
4
P. Gobetti, pp. 432-3, 803, in O.C., vol I, cit.
5
A. Gramsci, Intransigenza-tolleranza tolleranza-intransigenza,
in La Città Futura, S. Caprioglio (a cura di), Einaudi, 1982, pp. 478-
9; id, Intransigenza di classe e la storia italiana, in Il Nostro Marx, S.
Caprioglio (a cura di), Einaudi, 1984, pp. 29-30.
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intransigente deve implicare la persuasione a tale verità
di tutti i componenti dell’organismo sociale. Solo in que-
sto modo la verità può pesare e prestabilire i principi ge-
nerali -chiari e distinti- attraverso i quali l’evoluzione so-
ciale s’informa.
E’ allora che, a differenza della tolleranza di Gobetti
in cui i suoi modi si compiono in nome della responsabi-
lità in quanto essa è sinonimo di lotta politica, in Gram-
sci la tolleranza implica la consonanza del proprio Io in-
teriore con le altre interiorità. Se cioè la fusione della a-
nime di matrice gramsciana comporta un’unità di pensie-
ro già al livello interiore, in Gobetti l’intesa di pensiero
deve esserci solo mediante una discussione sostanziata
da una maturità etico-politica. E’, in altre parole, subito
evidente come la razionalità coincida in Gramsci con
l’intransigenza, per il motivo che solo lei riesce a rag-
giungere un fine che «non è di natura diversa dal fine».
Ci si divide perciò tra un fine vero, ottenuto secondo ra-
gione e per questo degno di tolleranza, ed un fine illuso-
rio, un fine cioè che non può essere tale perché oscuro ed
indistinto. Quindi, nella prospettiva di un uso esclusivo
della classe operaia, è pienamente giustificabile il favore
che incontra in Gramsci un’umanità torinese divisa in
classi, con caratteri di distinzione quali non esistono al-
trove in Italia
6
. Diventa dunque virulente la polemica
contro i fini borghesi, la quale si appunta sulla battaglia
per la sostituzione dell’individualismo col collettivismo
proletario.
A fronte di una politica borghese che si impaluda
nell'astrattismo perché si estranea dall'attività storica del
proletariato, c'è una classe operaia il cui Partito socialista
già controlla quelle organizzazioni economiche che, at-
traverso l’organizzazione della loro energia e forza eco-
6
ibid, p. 49.
15
nomica, possono raggiungere il fine politico della distru-
zione del regime borghese. La forza economica in questo
caso è, per il Partito socialista, lo strumento essenziale
per una vittoria sulle altre forze sociali. Del resto orga-
nizzare la forza economica vuol dire disciplinarla rive-
lando nella classe operaia, di cui essa è espressione, la
presenza di volontà individuali che esprimono sia
l’intransigenza sia la serietà morale della classe operaia.
La categoria borghese cioè è oggetto dell’intransigenza
proletaria, concretizzata da una strategia che investe sulla
categoria etica -la quale è nel contempo politica ed eco-
nomica. Insomma, la conquista dello Stato da parte della
classe operaia deve vedere la ristrutturazione del rappor-
to classe-potere.
Da qui viene la pretesa della classe proletaria di non
operare più solo nel senso della distruzione del sistema
borghese di governo ma di porsi nella prospettiva di pro-
gettare l’instaurazione di una civiltà comunista. Il fatto
che il Partito socialista riconosca se stesso come organiz-
zazione di classe antagonista alla classe borghese, poiché
essa si estranea dall’attività storica del proletariato, im-
plica che il vero socialista deve trovare il modo per poter
corrispondere il suo vissuto alla propria vita interiore.
Solo così l’idea socialista può fecondare le attività intel-
lettuali, morali ed estetiche in modo tale che
l’intransigenza sia «tutt’uno con la serietà morale».
L’intransigenza -cioè- è sia lotta politica sia visione rea-
listica della storia. Per cui, per il suo articolato significa-
to, l’intransigenza è anche necessità democratica
7
.
Ma se in Gramsci la vita sociale si svolge nel dovere
dell’intransigenza, in Gobetti essa è relativa al terreno su
cui l’intransigenza deve essere applicata. Nella sua socie-
tà la sfera economica è subordinata alla sfera politica ed
7
ibid, p. 18 e 110-2.
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etica, per cui l’imperativo ad ogni individualità viene re-
vocato quando, per il raggiungimento di un fine econo-
mico, si finalizzano a ciò le esigenze della peculiare sfera
etica e politica dell’uomo. La conservazione delle istanze
individuali passa anche -e soprattutto- per il rifiuto delle
«forme organiche dell’economia moderna»
8
.
L’interdipendenza cioè tra campo politico, etico ed
economico porta, secondo Gobetti, a conseguenze nega-
tive perché creerebbe una antitesi tra noi, soggetti attivi
nella società, e la realtà medesima. L’intransigenza,
quando sopravanza il terreno di una matura lotta politica,
diventa esclusivismo, egoismo e individualismo
9
. Ed e
proprio partendo da questo presupposto del suo pensiero
che si capisce come Gobetti cerchi nella scienza econo-
mica di L. Einaudi la riprova del primato della politica e
della morale sull’economia.
Per Einaudi la scienza economica deve essere gover-
nata dalla legge morale, perché la scienza empirica trova
concretezza nei fatti empirici (quali la scienza morale è).
Per cui le leggi della morale si esprimono nei fatti politi-
ci ma «non li determinano a priori nel loro contenuto».
Ne consegue che il liberismo di Einaudi non poggia su
un dogma e su una dottrina, ma poggia sull’intolleranza
di una fede
10
. Dice l’Einaudi che qualsiasi coscienza del
proprio dovere verso le generazioni future deve agire nel-
la considerazione della subordinazione della scienza eco-
nomica alla legge morale. Einaudi conviene su un tipo di
liberismo improntato su un’opera d’avventura e
d’iniziativa continuata, instancabilmente attraverso nu-
merose generazioni. Sia per Einaudi sia per Gobetti,
dunque, si direbbe che l’essenza del liberalismo sia una
8
P. Gobetti, O.C., vol. I, p. 249 e 658.
9
ivi, p. 658 e 803.
10
ibid, p. 322-36.
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fede; una dottrina intollerante che neghi i valori ideali
che si sprigionano dalla pratica e, in quanto essi sono in-
trinseci «a tutti i fatti», sono destinati a decadere come
sono decaduti gli imperi rivali a quello inglese.
Il protezionismo perciò risulta provinciale perché
l’esperienza storica ha dimostrato che la fortuna materia-
le e le dotazioni naturali di un’industria sono determinate
dalla capacità di questa di seguire la continua mutazione
della società. Infatti, favorire una ristrettissima classe si-
derurgica col protezionismo doganale ha implicato un
pesante costo economico per l'agricoltura, alla quale in
questo modo gli si è impedito di meccanizzarsi, acqui-
stando all'estero macchine a basso costo.
In sostanza perciò sia Gobetti sia Einaudi concepisco-
no la fede liberistica come avversa al socialismo, in
quanto Marx si ferma alla semplicistica teoria del plusva-
lore. D’altra parte però, l’orizzonte liberistico trova an-
che alfieri che si oppongono ad Einaudi
11
.
Secondo Gramsci il rigore scientifico di Einaudi si
traduceva in fin dei conti in dottrina scientifica. Ma dire
ciò significa paragonare una realtà che è antiscientifica
con uno schema invece scientifico. Tutto il contrario
dell’opera di Marx, nella quale si propone un paragone
tra l’economia capitalista e il comunismo che, essendo
paragone arbitrario perché il secondo è ipotesi vana in
ragione della propria assenza di soggetto, diventa lecito
ricondurre l’economia capitalista all’attività spirituale
dell’uomo. Perciò per Gramsci Einaudi non è altro che il
paladino di una società che, in quanto preconizzata con
uno schema dottrinario, è inadeguata a comprendere una
realtà che si sviluppa al di fuori di schemi e di regole.
11
A. Gramsci, Il Nostro Marx, p. 283-5, cit.; id, L’Ordine Nuovo,
V. Giarratana e Antonio A. Santucci (a cura di), Einaudi, 1987, p. 39-
41.