5Diversamente, il cambiamento si realizza in maniera spontanea e continua,
attraverso le spinte, soprattutto di carattere socio-culturale, esercitate dall’ambiente
esterno2.
Dal concetto di riforma appena ricordato, se ne possono rilevare tre
componenti fondamentali. Innanzi tutto, la politicità, il fatto che il concetto di
riforma non esprime delle semplici modifiche tecnico-organizzative ma, anche delle
trasformazioni “delle posizioni di potere tra coloro che agiscono nel sistema
politico-amministrativo e nella società”3. In secondo luogo, la discontinuità con il
passato, cioè la capacità di realizzare trasformazioni fondamentali e non semplici
trasformazioni marginali, “imputabili alle normali dinamiche di interazione ed
adeguamento tra sistema politico-amministrativo ed ambiente esterno”4. I fin , il
fatto che questo processo sia intenzionale, deliberato e preventivamente pianificato.
Così, mentre le riforme impongono un orientamento finalistico ed implicano
decisioni di tipo sequenziale, il cambiamento si sviluppa in maniera graduale e
permette di adottare una logica contestuale che varia e si adatta a seconda dei
contesti5.
Queste distinzioni ci aiutano a rilevare in che modo siano state affrontate le
problematiche sull’evoluzione del sistema amministrativo in Italia, nel secolo
scorso. Sostanzialmente, alle trasformazioni della pubblica amministrazione sono
corrisposte altrettanti tentativi di riforme, fino quasi ad identificare le vicende della
p.a. con quest’ultimi.
Un importante contributo per la comprensione della <<logica delle riforme>>,
è dato dall’osservazione delle vicende del Dipartimento per la funzione pubblica6,
in particolare le attività inerenti, la produttività, l’efficienza e l’efficacia della p.a., e
le problematiche sul pubblico impiego.
indotta poiché implica l’uso della persuasione, dell’argomentazione e in estremo la minaccia di
sanzioni; essa non è accettata come una linea di comportamento ovvia o vera. Essa è un processo
irreversibile. Ha connotazioni morali; essa è intrapresa con la convinzione che il risultato sarà
sicuramente migliore dello status quo e sicuramente degno dello sforzo necessario per superare la
resistenza. Queste tre caratteristiche peculiari – proposito morale, trasformazione artificiale e
resistenza dell’amministrazione – costituiscono i tratti distintivi della riforma amministrativa”.
2
Secondo Capano (op. cit., pp. 45-46), “Il cambiamento dell’amministrazione viene inteso come
l’aggregazione diacronica di fenomeni di trasformazione che possono essere il risultato di
modificazioni complessive della società, di pressioni sociali o di gruppi di interesse, delle
dinamiche proprie degli interessi presenti all’interno dell’apparato stesso, di conseguenze non
previste dell’implementazione di piani di riforma. In realtà, non si può disconoscere come, in
ogni cambiamento, pur se delineati con una certa nitidezza, mantengano alcuni tratti di contiguità
se non proprio di mescolanza e indistinzione”.
3
Capano, op. cit., pp. 47-48.
4
Capano, op. cit., p. 53.
5
Fedele M., Come cambiano le amministrazioni pubbliche, Roma-Bari, Laterza, 1998.
6
Si veda la Tavola 1.1 nell’Appendice.
6La costituzione di un apparato destinato ad occuparsi della questione
amministrativa – secondo la concezione “struttural-funzionale” della p.a. di far
seguire ai problemi la creazione di una specifica struttura – e la sua persistenza dal
1951 ad oggi, hanno determinato l’istituzionalizzazione sia dell’apparato stesso, sia
del problema che avrebbe dovuto risolvere7. Questo aspetto è ancora più stridente se
confrontato con gli strumenti temporanei e <<mirati>> adottati dagli altri paesi. Ad
esempio, negli Stati Uniti le indicazioni programmatiche del rapporto Gore sono
state attuate attraverso l'azione di centinaia di comitati e commissioni locali. In
Svezia l'azione di modernizzazione è guidata da un'Agenzia per lo sviluppo
amministrativo composta da oltre cento unità. In Francia è stato istituito
recentemente un Commissariato per la riforma amministrativa al quale lavorano
stabilmente alcune decine di alti funzionari e di esperti di primo piano.
L’istituzione del Dipartimento per la funzione pubblica avvenne nel 1951,
durante il settimo governo De Gasperi. L’Ufficio per la riforma burocratica8 (q esto
era il nome, in origine, dell’odierno Dipartimento per la funzione pubblica) nasceva
sotto la spinta delle problematiche sul pubblico impiego e dalla ricerca di consenso
politico, da parte del governo, sul tema delle disfunzioni della pubblica
amministrazione. Questo ha determinato un elevato contenuto simbolico, intrinseco
all’istituzione dell’Ufficio, desumibile sia dalla struttura organizzativa sia, dalle
attività svolte dai dipendenti.
L’Ufficio era composto, nei primi anni ’50, da una ventina di dipendenti (che
provenivano da altri enti, considerato che l’Ufficio non era dotato di un proprio
organico – così è stato fino alla L. n. 400 del 1988 –) e svolgeva una vera e propria
attività di supporto tecnico-organizzativo alle varie commissioni unitamente
all’elaborazione progettuale di testi legislativi, ma non aveva poteri tali da
influenzare le varie amministrazioni oggetto di riforma 9.
Nel tempo, il ruolo dell’Ufficio si allontanò sempre di più dagli obiettivi
istituzionali di riformare la p.a., per concentrarsi sulle questioni del personale. Le
iniziative rivolte alla soluzione di problemi del personale – riordino degli assetti
____________________________________
7
Così, Capano, p. cit., p. 162. L’autore individua tre condizioni oggettive che hanno facilitato
questo processo d’istituzionalizzazione: la creazione di una nuova struttura per ogni nuovo
problema, l’imporsi delle associazioni sindacali all’interno della p.a. come attore rilevante, il
comportamento della classe politica.
8
L’Ufficio è stato rinominato più volte: Ufficio della riforma della p.a., Organizzazione della p.a.,
Problemi della p.a., Organizzazione della p.a. e delle regioni, Problemi della p.a., Funzione
pubblica ed infine Dipartimento per la funzione pubblica, a riguardo si veda la Tav. 1.1
nell’Appendice.
9
Capano, op. cit., “l’Ufficio svolgeva un ruolo di stimolo, di informazione e di coordinamento dei
pareri che i ministeri elaboravano sui vari problemi amministrativi che via via venivano
individuati dall’Ufficio riforma”.
7giuridici ed economici – divennero sempre più frequenti fino a far guadagnare
all’Ufficio la definizione di <<ministero del pubblico impiego>>. E’ sufficiente
considerare i testi normativi prodotti dall’Ufficio per confermare questo
orientamento10.
Ugualmente, alle problematiche del pubblico impiego, anche il dibattito sulla
produttività, l’efficienza e l’efficacia della p.a. – e le relative metodologie di
controllo – si inserisce in maniera costante nelle politiche di riforma
amministrativa11 del paese e come tale si è riflesso nell’attività dell’Ufficio. Già nei
primi anni ’50, con il rapporto Lucifredi, si manifestava l’esigenza di un’azione
amministrativa improntata su parametri quali l’efficienza e l’efficacia per un
migliore utilizzo delle risorse12.
Tuttavia, a fronte degli studi e delle analisi svolte dalle commissioni che si
sono succedute nel tempo13, si sono avuti solo degli interventi che hanno interessato
la p.a. in maniera sporadica, settoriale e disarticolata.
Nel 1979 viene trasmesso alle Camere il rapporto Giannini sui principali
problemi dell’amministrazione dello Stato14. Questo rapporto costituisce il punto di
svolta rispetto ai precedenti tentativi di riforma, in quanto “propone un disegno
unitario, globale di riforma, fondato su un’analisi complessiva delle funzioni
____________________________________
10
La maggior parte dei testi normativi prodotti dall’Ufficio riguardano le problematiche legate al
pubblico impiego. Possiamo ricordare: le Leggi n. 150/53 e n. 343/54 (delega per l’attribuzione
di funzioni statali agli enti locali); la L. 118/54 (delega per l’emanazione delle norme sul nuovo
statuto degli impiegati statali); il Dpr 16/57 (ordinamento delle carriere degli impiegati statali); il
Dpr 17/57 (statuto degli impiegati civili); i Dpr del 1970 n. 1078, 1078, 1080 (sullo status
economico-giuridico del personale); la L. 583/78 (sull’accesso alla dirigenza); la L. 93/83 (legge
quadro per il pubblico impiego); la L. 301/84 (sull’accesso alla dirigenza statale); etc.
11
Sulle politiche di riforma si veda Capano, o . cit., p. 127. L’Autore considera la politica di
riforma amministrativa, nel nostro paese, come un modello caratterizzato costantemente da tre
fasi essenziali: una fase di studio ed inchiesta sulla p.a.; una fase che trasforma le problematiche
della p.a. nel problema del pubblico impiego, con la necessaria emanazione di leggi mirate;
un’ultima fase di attuazione della normativa.
12
Ecco un passaggio del rapporto Lucifredi: “La riforma deve tendere ad assicurare la massima
efficienza amministrativa, che si rivela tanto più necessaria quanto più esteso e penetrante è
diventato oggi l’intervento dello Stato nei più vari settori della vita nazionale; ” (in Capano op.
cit., pp. 151-152).
13
Mi riferisco alle commissioni Lucifredi ed a quella coordinata, successivamente, da Medici nel
1963.
14
Giannini M.S., “Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello stato”, in Rivis a
trimestrale di diritto pubblico, n. 3, 1982.
8amministrative”15 che affronta “non soltanto i problemi di carattere normativo ed
istituzionale, ma anche quelli di carattere operativo ed organizzativo”16.
L’unitarietà del rapporto si realizza anche attraverso la scelta delle aree
oggetto di studio. Le quattro macro-aree considerate sono: le metodologie di
amministrazione, l’implementazione delle nuove tecnologie, le risorse umane17, il
riordino dei poteri centrali.
E’ interessante notare che nonostante l’autorevolezza e la completezza delle
analisi e delle soluzioni proposte nel rapporto, queste ultime non hanno avuto
attuazione – se si esclude la legge quadro sul pubblico impiego del 1983 –,
generando in dottrina delle riflessioni sulle cause di fallimento dei tentativi di
riforma e sugli effetti del rapporto. M. Nigro, in un’analisi compiuta a quattro anni
dal rapporto Giannini, ha considerato come responsabili dell’inattuazione tre
elementi. In primo luogo, l’incultura della classe politica, intesa come il disinteresse
dei politici per il risvolto amministrativo delle decisioni politiche. In secondo luogo,
l’indifferenza della burocrazia, che si traduce nel tentativo di garantirsi posizioni di
sicurezza. Infine, la scarsa conoscenza dell’amministrazione, imputabile alla
profonda trasformazione subìta negli ultimi decenni18.
Per quanto riguarda i risultati prodotti da questo rapporto, si sono avuti
essenzialmente dei rilevanti <<effetti culturali>> che hanno incoraggiato, da una
parte, il legislatore ad adottare provvedimenti normativi omogenei e di carattere
generale19 e dall’altra, lo sviluppo di ulteriori studi sull’amministrazione20.
Questo approccio analitico alle riforme, basato sull’elencazione dei problemi e
delle soluzione possibili, è stato riproposto, con effetti diversi a quelli visti
precedentemente, nel 1993, dal ministro Cassese nella predisposizione del Ra port
____________________________________
15
D’Alberti M., “Perché questo seminario”, in Le riforme amministrative a quattro anni dal
rapporto Giannini (AA. VV.), Milano, Franco Angeli, 1984.
16
Bontadini P., “La pubblica amministrazione come sistema”, in ult. op. cit., p. 84.
17
Su questo punto il rapporto si focalizza su quattro temi: la qualifica funzionale, la dirigenza,
l’alternativa alla privatizzazione ed i problemi di reclutamento. (Marongiu G., “La iforma del
personale”, in ult. op. cit.)
18
Nigro M., “Le riforme amministrative a quattro anni dal rapporto Giannini”, in ult. op. cit.
L’autore individua, contestualmente alle ragioni dell’inattuazione del rapporto, due problemi che
costantemente caratterizzano il fallimento delle riforme: il rapporto fra politica ed
amministrazione e l’assetto del personale.
19
Ad esempio, per quanto riguarda il decentramento dello Stato e la semplificazione dei
procedimenti amministrativi occorrerà attendere circa dieci anni con, rispettivamente, la L. n.
142 del 1990 e la L. n. 241 del 1990.
20
Cfr. Franchini C., “La riforma dell’amministrazione pubblica”, in L’amministrazione pubblica
italiana (a cura di Cassese S. e Franchini C.), Bologna, Il Mulino, 1994.
9sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni21 e degli Indirizzi per la
modernizzazione delle amministrazioni pubbliche. Questi documenti, elaborati dal
Dipartimento per la funzione pubblica, rappresentano parte dell’ampio progetto di
riforma che si è sviluppato lungo tutta l’XI legislatura.
I due governi, Amato prima e Ciampi dopo, che compongono la più breve
legislatura dell’Italia repubblicana22, costituiscono i due momenti in cui si è
sviluppato e realizzato questo forte processo di rinnovamento e modernizzazione
della pubblica amministrazione23.
Sebbene le modalità di attuazione siano state diverse24, gli el m nti comuni ai
due governi sono stati quelli di attribuire importanza alla riforma amministrativa e
di considerarla come legata al contenimento della spesa pubblica. Del resto, le crisi
economiche degli anni ’80 e ’90 avevano accelerato la necessità di affrontare i
processi di riorganizzazione dell’amministrazione spostando l’attenzione dalle
forme di governo al tipo di governance, cioè all’assetto dei rapporti esistenti tra “i
rappresentanti politici regolarmente eletti, la pubblica amministrazione e i cittadini
____________________________________
21
Già nell’intestazione questo rapporto presenta delle differenze rispetto al rapporto Giannini,
considerando le “pubbliche amministrazioni”, invece che, “l’amministrazione dello stato”.
22
I due governi che si sono avvicendati durante l’XI legislatura dal 28/06/1992 al 16/04/1994 –
Amato (28/06/92-22/04/93) e Ciampi (28/04/93-16/04/94) – hanno avuto entrambi una durata
pari a quella della media dei governi italiani (che è di 322 giorni escludendo i giorni di crisi),
rispettivamente 298 e 353 giorni. Questo dimostra che l’impossibilità di riformare la p.a. non
dipende di per sé dalla brevità dei governi ma dall’immobilismo della classe politica.
Ugualmente, se consideriamo complessivamente il numero e la durata dei governi presieduti dai
primi ministri Andreotti, Fanfani, Moro, Rumor e De Gasperi, notiamo che questi costituiscono
circa la metà della durata di tutti i governi (sia in rapporto al n° di governi totali, sia in rapporto
agli anni di governo) dell’Italia repubblicana. Sulla durata delle legislature e dei governi si veda
la Tav. 1.1 nell’Appendice.
23
In questa parte del lavoro l’attenzione è rivolta a rilevare le linee di continuità tra il Rapporto
Giannini e le riforme sviluppate nell’XI legislatura. Tuttavia, è evidente che vi siano stati
interventi legislativi importanti anche in momenti precedenti, ad esempio le leggi n. 142 e 241
del 1990, sui quali si tornerà successivamente.
24
Dente B. (“I caratteri generali del processo di riforma”, in Riformare la pubblica
amministrazione, autori vari, Torino, Fondazione Agnelli, 1995), rileva come l’impostazione
delle riforme sviluppate dal governo Amato sia di tipo “sintetico/simbolico” in quanto ricerca
pochi princìpi generali da cui desumere le singole operazioni di riforma e non realizza gli
obiettivi prefissati relativamente ai grandi temi della separazione tra politica e amministrazione e
della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego. Mentre l’opera prodotta dal ministro
Cassese, durante il governo Ciampi, supera l’impostazione <<neo-tradizionale>> attraverso
un’approccio analitico/innovativo, caratterizzato da interventi che, da una parte, analizzano
separatamente i problemi della p.a e ne propongono i rispettivi correttivi (il Rapporto sulle
condizioni delle pubbliche amministrazioni e gli Indirizzi per la modernizzazione delle
amministrazioni pubbliche) dall’altra, sollevano temi nuovi quali quelli contenuti nel Codice di
stile o la Carta dei servizi.
10
considerati sia come individui, sia attraverso le organizzazioni che li
rappresentano”25.
Quello che occorre sottolineare in questa parte del lavoro sono i princìpi
ispiratori, l’ambito operativo e le ragioni del successo delle riforme.
Tra gli elementi ispiratori delle riforme abbiamo: la separazione tra funzioni
politiche e funzioni amministrative, il decentramento delle responsabilità,
l’implementazione della logica di programmazione e controllo nel governo delle
risorse affidate ai dirigenti, la deregolazione dei meccanismi operativi, l’adozione
della valutazione e del controllo dei risultati come strumento d’analisi
dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità26.
L’ambito operativo delle riforme degli anni ’90 è costituito da una fitta rete di
provvedimenti che hanno interessato l’intero sistema amministrativo. In primo
luogo, vi è stata una forte opera di razionalizzazione e ridimensionamento che ha
riguardato la struttura organizzativa, unitamente alla soppressione di alcuni organi27.
In secondo luogo, sono stati realizzati alcuni strumenti idonei a perseguire il nuovo
rapporto tra amministrazione e cittadini che si è delineato nel tempo. In base a
questo nuovo rapporto, l’azione amministrativa assume un ruolo determinante
nell’efficace soddisfazione dell’interesse pubblico, attraverso la tutela di una serie
di <<nuovi diritti>> in capo al cittadino-utente, quali la qualità della prestazione, la
certezza e la semplificazione dell’azione amministrativa, l’accesso e la
partecipazione all’attività, etc.28. Gli strumenti realizzati sono: la Cart dei servizi
pubblici29, che definisce gli obblighi delle amministrazioni erogatrici del servizio ed
i diritti dei cittadini-utenti; il Codice di stile per la semplificazione del linguaggio
utilizzato dalle amministrazioni; i Cento progetti al servizio del cittadino, che hanno
stimolato le strutture pubbliche a migliorare l’erogazione dei servizi attraverso un
effetto di <<trascinamento>>. Infine, l’ambito operativo delle riforme ricomprende
due temi che saranno oggetto dei capitoli successivi: i controlli ed il pubblico
impiego.
____________________________________
25
Fedele M., op. cit.
26
Cfr. Dente B., ult. op. cit.
27
L’opera di riordino si è espressa sia attraverso modificazioni organizzative che hanno interessato
ministeri ed enti pubblici, sia attraverso l’istituzione di autorità indipendenti. Sono stati soppressi
sei ministeri (per tre di loro la soppressione è avvenuta a causa dell’esito dei referendum
abrogativi del 18/04/1993), undici comitati interministeriali, quattro enti pubblici (EFIM, ENCC,
OPAFS, e l’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno).
28
Lacava C. e Vecchi G., “L’amministrazione nell’XI legislatura”, in Riformare la pubblica
amministrazione (AA. VV.), Torino, Fondazione Agnelli, 1995.
29
La Carta dei servizi pubblici è un atto giuridicamente rilevante in quanto è stata recepita nella
Direttiva governativa del 27/01/1994, intitolata: Princìpi sull’erogazione dei servizi pubblici.
11
Il successo delle riforme degli anni ’90, deriva dall’azione di una serie di
fattori di origine interna ed esterna. Quelli di origine interna riguardano le qualità
degli uomini coinvolti in questo processo. Tuttavia, le capacità professionali non
possono spiegare completamente il fenomeno, occorre considerare anche l’ambiente
nel quale si è sviluppata l’azione riformatrice, caratterizzato dall’assenza di
resistenze ed ostacoli, che hanno concesso molta autonomia alle iniziative dei
governi30.
Per completare il quadro delle riforme che si sono succedute nel tempo, è
necessario citare i più recenti provvedimenti legislativi che hanno portato avanti e
sviluppato le problematiche precedentemente evidenziate nell’analisi dei tentativi di
riforma, e che saranno oggetto di attenzione nella trattazione successiva, quali ad
esempio: le leggi n. 59 e 127 del 1997, il D.lgs. n. 80 e la legge n. 191 del 1998, le
leggi n. 50 e n. 265 del 1999 ed infine il D.lgs. n. 286 del 199931.
In conclusione, dall’inizio dell’Italia repubblicana, si sono susseguiti diversi
tentativi, più o meno efficaci32, di riformare la pubblica amministrazione che hanno
avuto come matrice comune la volontà di modellare ad una società in continua e
rapida trasformazione apparati poco inclini al cambiamento33.
____________________________________
30
Dente B., op. cit., rileva come la crisi dei partiti politici dei primi anni ’90 ed il vuoto politico che
ne è derivato abbia determinato il venir meno “dei legami esistenti con i gruppi di interesse
potenzialmente ostili alla trasformazione, e ha diminuito le risorse politiche di quest’ultimi” ed
ha costituito il necessario presupposto all’autonomia dei governi Amato e Ciampi.
31
La legge delega n. 59/1997, la legge n. 127/1997, la legge n. 191/1998 e la legge n. 50/99
(conosciute anche come leggi Bassanini) prevedono procedure di semplificazione;
complessivamente, partendo dalla prima legge – la legge n. 59 del 1997– e arrivando all’ultimo
provvedimento che è la legge n. 50/1999, sono 184 i procedimenti che sono stati messi in
discussione e sono oggetto di procedure di semplificazione, di cui l’80% riguarda attività
imprenditoriali o procedure per la realizzazione delle opere.
32
Per un’analisi dei limiti e delle difficoltà inerenti alle riforme si veda Guarino G. (Quale
amministrazione?, Milano, 1985, pp. 123-126), l’Autore individua nella complessità del modello
organizzativo e “nell’efficacia condizionante” del potere amministrativo i principali limiti al
processo di riforma.
33
Subirats J., “La modernizzazione della Pubblica Amministrazione in Spagna”, in ult. op. cit.
12
§1.2 Il disegno organizzativo dell’amministrazione nel passaggio
dall'amministrazione unitaria al pluralismo amministrativo
Nel processo di costruzione dello Stato di diritto e democratico attuale, il
sistema amministrativo è andato modificandosi assumendo via via nuovi ruoli e
nuove forme di attuazione.
L’amministrazione, intesa dal punto di vista funzionale come pubblico potere
in grado di curare in concreto gli interessi della comunità34, è sempre esistita, anche
negli ordinamenti più antichi. Ma, è nel XIX secolo, con l’affermazione del
principio della separazione dei poteri e la contestuale creazione dei primi Stati
“borghesi”, che si delinea la figura dell’amministrazione moderna35.
Questo perché la separazione tra il potere normativo, quello giudiziario e
quello esecutivo, ha determinato, per quest’ultimo, da una parte, il venir meno del
ruolo di mero attuatore delle norme e, dall’altra, la necessità di amministrare gli
interessi della collettività per mezzo di un apparato unitario dotato di una propria
struttura organizzativa.
In una prima fase storica, che in Italia corrisponde al periodo che va dal 1848
al 1880, l’amministrazione è stata parte integrante dell’attività governativa, dando
luogo, così, ad “una sostanziale indistinzione tra governare e amministrare”, definita
sinteticamente come forma “dell’amministrazione-autorità”36.
Il carattere di questo tipo d’amministrazione era facilmente rinvenibile nel
modello organizzativo dei ministeri, che fu considerato come mero “apparato
servente del ministro” in quanto fortemente gerarchizzato sia per quanto riguarda le
competenze che il rapporto di lavoro dei dipendenti.
____________________________________
34
Cfr. Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997. Così già Santi Romano (Il
diritto pubblico italiano, Milano, 1988), “Dicesi amministrazione l’effettiva attività con cui lo
Stato e i sui subbietti ausiliari di esso perseguono i vari interessi pubblici. (….),
l’amministrazione rappresenta l’attuale, pratico e concreto svolgimento dell’attività dei primi (in
riferimento alla legislazione ed alla giurisdizione) ”. Inoltre, Rolla G. (Manuale di Diritto
Pubblico, Torino, 1998), “si fa riferimento all’attività volta al raggiungimento di finalità
pubbliche ed alla produzione di beni o di servizi a favore della collettività; ”.
35
In questa prospettiva, Benvenuti F. (“Introduzione ai lavori”, in L’azione amministrativa tra
garanzia ed efficienza, Roma, Formez, 1980), rileva che “L’amministrazione è un limite al
potere, è un modo o un canale attraverso il quale il potere deve esercitarsi. (…) fondata sulla
legalizzazione della prassi amministrativa come mezzo per la limitazione dei rapporti di
governo. Una regolamentazione che ha significato l’introduzione di un nuovo tipo di norme (…),
cioè regolamenti, circolari, istruzioni, quella griglia attraverso cui il potere doveva esercitarsi,
venendone così limitato”.
36
Pastori G., “La pubblica amministrazione”, in Manuale di diritto pubblico (a cura di Amato G. e
Barbera A.), Bologna, 1997.
13
Questa “osmosi tra politica e amministrazione”37 fu, insieme alle contenute
dimensioni dell’apparato amministrativo ed alle ridotte funzioni svolte da
quest’ultimo38, l’elemento caratterizzante di questo periodo39. Inf ne, riguardo alla
rigidità del sistema amministrativo ora delineata, bisogna aggiungere due
considerazioni: la prima riguarda la relazione di Binda per Ricasoli, del 1866, sul
personale delle amministrazioni centrali ed il decreto di quest’ultimo40, come il
primo tentativo di evidenziarne i limiti attraverso l’analisi delle disfunzioni dello
stesso apparato amministrativo; la seconda, ne coglie l’aspetto positivo
considerandola come un potente collante per il paese nelle situazioni di maggiore
crisi41.
Ad un’amministrazione inizialmente <<leggera>> si sostituirono, nel tempo,
una pluralità di amministrazioni che resero il sistema amministrativo più complesso
ed articolato42.
____________________________________
37
Cassese S., La formazione dello Stato amministrativo, Milano, 1974.
38
Al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, l’organigramma ministeriale annoverava solo 8
dicasteri, organizzati in un preciso modello gerarchico - piramidale, mentre i dipendenti pubblici
erano circa 50 mila su una popolazione di 25 milioni di abitanti, infine la spesa statale si
aggirava intorno al 10% del prodotto interno lordo, (Melis G., “L’amministrazione”, in La storia
dello stato italiano - a cura di Romanelli R. -, Donzelli, 1995). Quanto l’amministrazione possa
essere considerata “leggera” in questo periodo, si può desumere dal confronto con dati recenti.
La percentuale di spesa pubblica sul PIL era pari a: 24.5 nel 1937, 30.1 nel 1960, 41.9 nel 1980,
53,2 nel 1990, 52,9 nel 1996 (Fonte: FMI, 1997).
39
E’ anche di questo periodo la legge di contabilità del 1869 - nota come Cambry-Digny, dall'allora
ministro delle finanze -, che aumentò il controllo sugli atti, sommando la vigilanza delle
Ragionerie a quella della Corte dei Conti, irrigidendo ulteriormente il sistema: "di fatto, il
perfezionamento dei controlli contabili ridusse notevolmente la residua autonomia delle
amministrazioni, subordinandole non più solo ad un corpo embrionale di regole burocratiche ma
anche al tassativo e vincolate regime del doppio controllo da parte della Corte dei Conti e delle
Ragionerie", così Melis G. (ult. op. cit.).
40
Con il primo documento si mettevano in luce, già nel 1866, alcune disfunzioni tipiche del
sistema amministrativo, quali le deficienze nella formazione del personale, l’assenza di un
sistema meritocratico di promozioni (basate invece sull’anzianità di carriera), la frequenza delle
assenze ingiustificate ed i ritardi nello svolgimento del lavoro. Mentre il decreto Ricasoli, che
rimase inattuato in quanto non venne ratificato dal Parlamento, si prefiggeva di riordinare gli
uffici centrali dell’amministrazione riducendo il controllo e l’autorità del ministro su questi
ultimi.
41
Guarino G. (op. cit.), rileva che “Questa fu la funzione attribuita ad una pubblica
amministrazione, di modello unico, severa nelle sue regole, per certi versi persino privilegiata,
rigidamente accentrata, dipendente dal solo governo. (…) La rigidità è stata il fattore
determinante della ricucitura, della normalizzazione”.
42
Sulle debolezze del pluralismo amministrativo in Italia si veda Polsi A. (“Ammin strazione
sociale”, in Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, 1997), “la struttura italiana di
proliferazione di enti e strutture particolari derivi, come motivo di fondo, dalla cronica debolezza
delle finanze statali e locali, che provoca uno strutturale gap fra ispirazioni legislative
amministrative e fattibilità dei progetti, per cui si finisce per procedere per continui interventi
parcellizzati, settoriali, cercando per questa via di contenere le spese. Con risultati non sempre
14
L’inizio del pluralismo amministrativo, necessario alla realizzazione di nuovi
compiti, può essere fatto risalire ai primi anni del ‘900. Le linee lungo le quali si è
sviluppato, sono essenzialmente due. Una riguardante le istituzioni politiche a
carattere territoriale, attraverso il nuovo ruolo svolto dalle autonomie locali -
comuni e province - che rappresenta l’esempio di come l’amministrazione pubblica
si sia avvicinata, moltiplicandosi e polverizzandosi sul territorio, alle realtà locali43.
L’altra riguarda l’espansione delle strutture collaterali, attraverso l’introduzione di
aziende pubbliche, nuovi uffici periferici ed enti pubblici funzionali44.
Un altro effetto, del fenomeno appena descritto, è il notevole ampliamento del
personale delle pubbliche amministrazioni. Quest’ultimo è andato modificandosi,
non solo in termini <<quantitativi>>45, ma anche nella sua composizione. Mentre,
nel periodo compreso tra il 1852 ed il 1900 vi fu una “piemontesizzazione” dei
dipendenti pubblici, sin dall’inizio del ‘900 si è invertita completamente la tendenza
con una “meridionalizzazione”46 d gli stessi.
brillanti in termini di efficienza complessiva e creando alla fine una sedimentazione di organismi
amministrativi pubblici e privati sempre più difficili da riorganizzare".
43
In questa dimensione sono esclusi i cambiamenti che interessano le amministrazioni centrali,
quali ad esempio il numero dei ministeri (erano 8 nel 1860, 14 alla fine del 1800, 22 nel 1992, 19
nel 1994, 18 nel 1997), e tutta la struttura organizzativa di “staff” a quest’ultimi (come le
strutture di gabinetto, le direzioni generali, i consigli superiori ed i consigli nazionali).
44
Come ad esempio l’INA (1911) ed il CREDIOP (1919).
45
Ecco alcuni dati relativi al personale impiegato nelle pubbliche amministrazioni (i dati non
distinguono tra il personale impiegato negli apparati ministeriali e negli enti collaterali), tra
parentesi viene indicata la popolazione considerando i confini attuali: 50.000 dipendenti pubblici
nel 1861 (la popolazione era di 25.756.000 di abitanti), 126.000 nel 1891 (la popolazione era di
33.370.000 nel 1901), 377.000 nel 1910 (la popolazione era di 35.695.000 nel 1911), 540.847
nel 1923 (la popolazione era di 37.404.000 nel 1921). Inoltre, G. Abignente osservò che i posti
direttivi aumentarono dal 4.06% del 1882 al 6.79% del 1914 cioè il 69% in poco più di
trent'anni, questo a conferma di come, già in tempi lontani, la struttura piramidale della p.a.
andasse perdendo la sua “ripidità”. Nel 1951 i dipendenti erano circa un milione (la popolazione
era di 47.159.000), nel 1981 erano 2.181.824 (la popolazione era di 56.336.000), nel 1990 erano
2.288.759, nel 1994 erano 3.499.221 (la popolazione era di 59.308.830). Questa crescita è
confermata anche dal confronto con altri paesi: gli addetti nelle pubbliche amministrazione, in
percentuale delle forze di lavoro, negli anni tra il 1951 ed il 1981, sono cresciuti di 13 volte in
Italia, contro crescite che vanno dall’1,3 degli Stati Uniti al 5 del Regno Unito, all' 11 della
Repubblica federale tedesca mentre, solo Francia e Svezia hanno avuto crescite maggiori con 15
e 23 punti. (questi dati sono stati tratti da: Melis G., op. cit.; Cassese S., op. cit 1994; Annuari
storici ISTAT; Ministero del Tesoro, Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale servizi
speciali e meccanizzazione, Dipendenti delle amministrazioni statali 1923-1992, Roma, Istituto
poligrafico e zecca dello Stato 1995.). Per un’ulteriore analisi si vedano le Tavole 1.2 e 1.3 ed le
relative osservazioni nell’Appendice.
46
In uno studio, svolto su un campione di 600.000 dipendenti, sul profilo statistico della p.a. è
emerso che circa il 62% dei dipendenti pubblici proviene dal Sud Italia (Arabia A. e Giammusso
V., “Il profilo statistico della pubblica amministrazione”, in L’amministrazione pubblica
italiana, a cura di Cassese S. e Franchini C., Bologna, Il Mulino, 1994). Questa percentuale è
confermata anche dall’analisi della mobilità del personale, in base alla quale è riscontrabile una
forte domanda di trasferimenti verso il Sud, cioè verso le regioni di origine dei dipendenti.
Questo dato è importante perché è in grado di fornire una chiave di lettura della situazione socio-
15
Sebbene il pluralismo amministrativo trovi origine nello Stato liberal-
democratico, anche nel successivo periodo, caratterizzato dalle forti spinte
accentratrici imposte dal regime fascista, si è avuto un aumento degli enti collaterali
descritti prima47. Bisogna sottolineare che questa espansione non trova la sua
giustificazione nella semplice erogazione di nuovi servizi ma, nel “sostegno e la
valorizzazione di determinate categorie sociali, al fine di agevolare la penetrazione
e il radicarsi del regime nell’organizzazione degli interessi collettivi”48.
L’ultima fase dell’evoluzione dell’apparato amministrativo prende in
considerazione il periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione del ’47.
Il mantenimento delle strutture ministeriali e l’aumento degli enti pubblici di
amministrazione e di intervento nell’immediato dopoguerra49, l’attuazione
dell’ordinamento regionale negli anni settanta così come il proliferare delle
amministrazioni indipendenti50, hanno determinato un tipo di amministrazione
economica del paese. Nelle regioni del nord, lavori meglio retribuiti e più gratificanti hanno
allontanato la possibilità di lavorare nel settore pubblico. Quest’ultimo invece è stato, spesso,
l’unica alternativa alla disoccupazione che ha sempre caratterizzato le regioni del sud. La
questione amministrativa non è, quindi, un semplice problema di ordine organizzativo ma
acquista il peso e l’importanza di una vera e propria questione sociale, che s’interseca con la
cultura, i problemi e le difficoltà di molteplici strati sociali: la gestione clientelare del fattore
lavoro ed il fenomeno della “meridionalizzazione” hanno determinato una situazione in cui: " la
burocrazia diventa espressione delle regioni produttivamente più arretrate del paese, quindi si
insediava nell'amministrazione, ma così facendo si realizzava una sorta di rapporto di
incomunicabilità tra economia ed istituzioni, il sistema economico parlava il linguaggio del
settentrione il sistema istituzionale quelli del mezzogiorno.”, (Melis G., op. cit.). Bisogna anche
considerare che il 60% dei dipendenti pubblici non ha conseguito il proprio lavoro tramite
concorso, bensì tramite assunzioni <<precarie>>, che si sono successivamente tramutate in
assunzioni vere e proprie (Cassese S., “Il sistema amministrativo italiano, ovvero l’arte di
arrangiarsi”, in L’amministrazione pubblica italiana, a cura di Cassese S. e Franchini C.,
Bologna, Il Mulino, 1994).
47
Sono di questo periodo le prime nazionalizzazioni di interi comparti, come quello delle ferrovie
(1924), dei telefoni (1925), delle poste (1925); la costituzione dell’IRI (1933), dell’IMI (1931),
ICN (1928).
48
Pastori G., op. cit.
49
La Cassa de Mezzogiorno, l’istituzione del Ministero delle Partecipazioni Statali (1956) e
dell’ENI (1953)
50
La CONSOB (L. n. 216/1974), l’ISVAP (L. n. 576/1982), il Garante per la radiodiffusione e
l’editoria (L. n. 41671981), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (L. n. 287/1990),
l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (D.Lgs. n. 39/1993), il Garante per la
tutela delle persone ed altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali (L. n. 675/1996),
l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (1997), etc. Questi organismi, di estrazione
anglosassone, possono essere definiti come delle strutture poste “a presidio degli ordinamenti del
pluralismo sociale ed economico, che devono perciò essere strutturati in modo da non essere
condizionati dagli indirizzi politici di parte (ancorché della maggioranza di governo) e da essere
in grado di svolgere un’azione neutrale e obiettiva, in posizione di terzietà, simile a quella del
giudice, nel definire i rapporti fra i soggetti del pluralismo, nel preservare i valori che reggono
tali rapporti, nell’arbitrare i conflitti eventualmente insorgenti al riguardo.” (Pastori G., “La
16
“multiorganizzativa, nel senso che l’ampiezza e la varietà delle funzioni pubbliche,
non solo hanno fatto perdere l’unità dell’organizzazione dello Stato, ma hanno
spinto anche ad adottare modelli organizzativi diversi. Le amministrazioni
pubbliche sono, dunque, sia frammentate sia differenziate. Per questo motivo è
preferibile dire che l’amministrazione pubblica è multiorganizzativa anziché
pluralistica o policentrica. Questi due termini (…) individuano solo il primo e non
anche il secondo dei due caratteri sopracitati”51.
§1.2.1 L’impatto del processo di integrazione europea
Le modifiche, le trasformazioni e più in generale il cambiamento del sistema
amministrativo così come è stato richiamato precedentemente, trovano origine
anche nei rapporti tra amministrazioni nazionali ed organismi internazionali.
Organizzazioni come l’OECD e l’ONU dedicano delle particolari iniziative
ed apparati allo sviluppo ed al monitoraggio del cambiamento delle
amministrazioni.
Ad esempio, Il PUMA (Public Management Committee and the Public
Management Service), costituito nel 1990, si prefigge di fornire e diffondere
informazioni ed analisi che riguardino il miglioramento della p.a. in termini di
efficienza ed efficacia. Così pure Il SIGMA (Support for Improvement in
Governance and Management in Central and Eastern European Countries),
costituito nel 1992, è un’iniziativa comune dell’OECD e dell’Unione Europea –
Programma PHARE – , per lo sviluppo delle iniziative di riforma nei paesi dell’Est
europeo. Infine, un’ultima nota merita l’INTOSAI (International Organization of
Supreme Audit Institutions), costituito nel 1953 successivamente ad un’iniziativa
dell’ONU, il quale contribuisce alla omogeneizzazione dei princìpi di controllo
adottati dalle diverse Corti dei Conti nel mondo, raccogliendo le istituzioni superiori
di controllo di più di 170 paesi52.
pubblica amministrazione”, i Manuale di diritto pubblico, a cura di Amato G. e Barbera A.,
Bologna, Il Mulino 1997).
51
Cassese S., Le basi del diritto amministrativo, Milano, Garzanti, 1995. Inoltre, Cassese S., “Le
trasformazioni dell’organizzazione amministrativa”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico,
1983, n. 2, pp. 374 ss..
52
L’INTOSAI (organizzazione internazionale delle Istituzioni Superiori di Controllo – ISC –), ha
l’obiettivo di scambiare esperienze e “far evolvere la professionalità nel campo del controllo
pubblico, si avvale di una organizzazione che prevede un congresso ogni tre anni, svolto su tesi
preparate da gruppi di lavoro; al coordinamento provvede la Presidenza che è esercitata a
rotazione dai Paesi che di volta in volta ospitano il Congresso, il Segretariato ha sede a Vienna
presso la ISC austriaca. Operano inoltre in seno all’INTOSAI cinque commissioni permanenti
che studiano l’aggiornamento di alcuni temi che hanno costituito, o possono costituire
17
Quindi, sebbene le trasformazioni indotte negli ordinamenti amministrativi
nazionali siano frutto di molteplici relazioni con vari organismi internazionali, in
questo paragrafo considereremo esclusivamente il rapporto con l’ordinamento
comunitario.
Questi rapporti si sviluppano lungo due linee: un processo di integrazione
verticale ed un processo di <<convergenza>> orizzontale tra gli Stati membri.
Entrambi i processi trovano attuazione sia attraverso strumenti normativi,
comunitari e nazionali, sia tramite le decisioni giurisdizionali della Corte di
Giustizia e delle Corti nazionali.
Il processo di integrazione può essere letto tramite due diverse chiavi di
lettura. Una descrive un processo ascensionale, tramite il quale degli istituti tipici
degli ordinamenti nazionali vengono introdotti nell’ordinamento comunitario53,
l’altra prevede un processo inverso, discendente, caratterizzato
dall’implementazione delle norme comunitarie e delle decisioni della Corte di
Giustizia negli ordinamenti nazionali54. Infine, il processo di <<convergenza>>
evolutivamente, argomenti congressuali rilevanti: Auditing Standards, Evoluzioni delle norme
contabili, Privatizzazioni, Informatica, Debito pubblico. Il prodotto di questa complessa
organizzazione, che si articola a livello di continenti per una maggiore omogeneità di culture, lo
si può identificare nella raccolta di princìpi base del controllo, contenuti nella "Dichiarazione di
Lima" del 1977, nelle "Regole del controllo" (Auditing Standards), deliberate dal congresso di
Washington nel 1992, nonché in una serie di studi corrispondenti alle Commissioni permanenti
di cui si é detto sopra”, (Manna B., ”Evoluzione dei controlli adattamento agli intosai auditing
standards. Sistematica dei controlli. Il controllo di gestione in italia”, in www.amcorteconti.it).
L’INTOSAI è articolata su base regionale: Olacefs (comprende le istituzioni superiori di
controllo dell’America latina e delle Antille), Afrosai (paesi africani), Arabosai (paesi arabi),
Asosai (Asia), Carosai (paesi caraibici), Eurosai (Europa), Spasai (Pacifico del sud), Sadcosai
(Africa australe). Comprende sia le istituzioni superiori di controllo tipo <<Corti dei Conti>>,
sia quelle denominate <<Audit Office>>. Le prime esercitano, quasi tutte, funzioni
giurisdizionali mentre le seconde no; le Corti dei Conti sono organismi collegiali mentre l’Audit
Office è un organo monocratico, (Cogliandro G., “Promemoria per uno studio comparato sulle
istituzioni superiori di controllo delle finanze pubbliche”, in Rivista della Corte dei Conti, 1999,
p. 278).
53
Ad esempio, istituti come il Mediatore (istituito dall’art. 138 E del Trattato di Maastricht, oggi
art. 195 del Testo Consolidato) o la Corte dei Conti europea (istituita con il Trattato di Bruxelles
del 1975, e prevista nell’art. 7 del Testo Consolidato), trovano origine nelle esperienze degli
ordinamenti nazionali. Ugualmente, l’azione della Corte di Giustizia è stata caratterizzata
dall’introduzione di princìpi desumibili dagli ordinamenti degli Stati membri, come il principio
di certezza legale (caso Bosh e van Rijn c. Commissione), il principio di proporzionalità (caso
25/70, Koster c. Commisione), il principio di non discriminazione, il principio di protezione
delle aspettative legittime, etc. (Pizzetti F., “Sistema comunitario e amministrazioni nazionali –
l’attuazione delle norme comunitarie e i riflessi sulle amministrazioni nazionali–, la questione
amministrativa europea”, Atti del convegno dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, Perugia
7 ottobre 1999)
54
L’esempio più recente riguardo all’influenza della giurisprudenza della Corte di Giustizia è
costituito dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500/1999 sul
18
comprende le relazioni e le influenze tra gli Stati membri che portano a dei processi
imitativi e di adozione di istituti che appartengono già ad un ordinamento
nazionale55.
Oltre ad influenzarsi vicendevolmente, l’ordinamento comunitario e gli
ordinamenti degli Stati membri, si trovano ad operare fianco a fianco attraverso
delle strutture, come il Sistema Europeo delle Banche Centrali o il Comitato dei
rappresentanti permanenti degli Stati membri56, creando una vera e propria
“amministrazione integrata”.
Il profilo della “questione amministrativa europea” delineata fino a questo
punto, non è stato caratterizzato da un’evoluzione continua ma si è sviluppato con
un’intensità variabile.
In origine, gli sforzi della nascente Comunità erano preminentemente orientati
alla realizzazione della coesione economica tra paesi membri, attraverso la libertà di
circolazione ed alla costituzione di un mercato unico. Gli obiettivi della Comunità
nata con il Trattato di Roma del 1957, furono perseguiti principalmente attraverso la
normazione comunitaria, strumento, questo, che ha lasciato agli apparati degli Stati
membri i compiti attuativi senza modificarne gli assetti.
Con l’adozione dell’Atto Unico Europeo del 1986 (entrato in vigore nel 1987)
e la costruzione del Mercato Unico, iniziano ad essere necessarie strutture di
coordinamento nuove e cambiamenti nelle tipologie organizzative degli Stati
membri. Quindi, solo successivamente all’integrazione economica si sono affiancati
obiettivi che miravano al raggiungimento di una coesione politico-sociale, cioè, i
campi della politica estera e della difesa comune e il campo della sicurezza interna e
della giustizia, che costituiscono i cosiddetti secondo e terzo pilastro.
Per comprendere gli effetti del processo di integrazione, analizziamo le
trasformazioni prodotte nel rapporto tra amministrazione ed attività economiche.
risarcimento dell’interesse legittimo, nella quale la Corte italiana si richiama agli effetti generati
dalle decisioni della Corte di Giustizia in questa materia.
55
Ad esempio i progetti come la Cart dei servizi pubblici o il Codice di stile, sono stati introdotti
nel nostro paese con le riforme degli anni ’90 sulla scia di quanto era stato fatto precedentemente
nel Regno Unito.
56
Nel primo caso, questo raccordo tra strutture dei singoli Stati membri e apparati di derivazione
comunitaria, è rappresentato dalle singole Banche Centrali e dalla Banca Centrale Europea. Nel
secondo caso, il COREPER è organo intergovernativo e contemporaneamente fa parte della
struttura istituzionale della Comunità. Questo processo di raccordo tra strutture comunitarie e
nazionali è testimoniato da altri Comitati quali il Comitato economico e sociale (art. 7 del
Trattato Consolidato), il Comitato economico e finanziario (art. 114 del Trattato Consolidato), il
Comitato per l’occupazione (art. 130 del Trattato Consolidato), il Comitato di gestione del
Fondo sociale europeo (art. 133 del Trattato Consolidato) ed il Comitato delle Regioni (art. 7 del
Trattato Consolidato).