7
ordinamenti italiani, come il momento di connessione tra due
cicli storici abbastanza chiaramente identificabili: da un lato
quello del regime liberale ristretto, dall’altro quello che
contiene nascita e morte di una “filiazione“ democratica del
primo.
Sulla natura del periodo liberale, che si apre appunto con la
definizione dell’assetto unitario, una ricca letteratura ha
potuto verificare, discutendo le leggi del 1865, la fecondità
dell’incontro tra analisi storica ed analisi giuridica degli
ordinamenti.
Discorso esattamente opposto può farsi prendendo in esame
la legislazione amministrativa crispina, in quanto non si potrà
far sicuro riferimento ad esaurienti interpretazioni del
periodo. Tuttavia è possibile osservare che esiste un
parallelismo tra i programmi politico-amministrativi che
maturano allora e l’importante scelta di una politica
protezionistica, svolta fondamentale per tutta la successiva
vicenda della società italiana. Sono entrambe delle scelte che
nel corso del 1887 sembrano in qualche modo ratificate dalla
coalizione legata allo statista siciliano.
8
E’ quindi lecito chiedersi se il parallelismo di cui si parla sia
qualcosa in più di un semplice parallelismo e confermi, con
evidenza, il nesso che va stabilito tra “dato strutturale” e
vicenda politica.
9
II) L’ASCESA AL POTERE DI CRISPI
Negli ambienti politici l’ascesa di Crispi
1
al potere ebbe il
significato di dare più solide basi alla maggioranza
governativa garantendo nel contempo la piena continuità
degli indirizzi politici.
Fu un ricostituente così energico da far sembrare che il
governo avesse acquistato una nuova vita.
In realtà, la “svolta” crispina altro non fece, che ratificare
alleanze già mature, sancendo nel nome di una ritrovata
concordia nazionale, lo scioglimento dei contrasti interni che
già da tempo minavano la maggioranza depretisiana
2
.
Tale svolta maturò attraverso una lunga crisi ministeriale che
si trascinava dal febbraio del 1887.
Il 4 febbraio 1887, al termine di una accesa discussione sullo
scontro di Dogali, il ministero De Pretis ottenne la fiducia con
34 voti di maggioranza. << Trentaquattro voti… >>, si rilevava
in quei giorni, <<…sono sufficienti per governare un qualsiasi
1
Levra U., “Età crispina e crisi di fine secolo”, in “Storia d’Italia”, La Nuova Italia, Firenze, 1978
2
Carocci G., “Agostino De Pretis e la politica interna dal 1876 al 1887”, Einaudi, Torino,1956
10
parlamento europeo >>
3
, ma nell’atmosfera del momento erano
sintomatici di una certa sfiducia della Camera, che infatti nello
stesso giorno votava con 317 voti contro 12 sul disegno di
legge che stanziava cinque milioni per l’invio di rinforzi
militari.
L’8 febbraio il Gabinetto rassegnava le dimissioni, accolte solo
dieci giorni più tardi, quando già veniva a profilarsi un
reincarico.
Dopo le consultazioni si ipotizzò un rimpasto di governo che
spostasse il Ministero a destra
4
mantenendo le stesse alleanze;
sarebbero infatti entrati a farne parte, Saracco, Branca,
Luzzatti, Bertolè Viale, lasciando fuori pentarchici e
“dissidenti”, che non vennero nemmeno consultati.
Ma con un vero coup de theatre, De Pretis rinunciò al
mandato dopo aver ottenuto il rifiuto ad entrare nel governo
da parte di Francesco Crispi, invitato a ricoprire il dicastero di
Grazia e Giustizia. Fu inevitabile che, per risolversi, la crisi
3
Crispi F., “Carteggi politici”,ordinati da Palamenghi T., Roma, 1912
4
Berselli E., “La destra storica dopo l’Unità”, II° volume, in “Italia legale e Italia reale”, Il Mulino,
Bologna, 1965
11
dovesse passare attraverso il maggior esponente
dell’opposizione pentarchica e meridionale.
Dunque in quello scorcio di vissuto politico, Crispi divenne
l’uomo più corteggiato, sia per rafforzare la traballante
maggioranza, sia per tentare un Ministero di coalizione. Dopo
le rinunce del di Robilant, di Biancheri, del di Rudinì
5
, fu
nuovamente De Pretis a ricevere l’incarico, ma questa volta si
parlava apertamente di un accordo De Pretis-Crispi
6
.
Un nuovo colpo di scena si ebbe il 5 marzo: le dimissioni del
Ministero, accettate con ritardo dal Re, furono respinte e
quindi, si dovette tornare alle Camere.
Quando il 10 marzo De Pretis si ripresentava alla Camera,
Crispi fu il vero protagonista. Egli infatti nei colloqui tenutisi
nei giorni precedenti chiariva di non essere interessato a
sostenere il governo in una posizione subalterna ed ebbe buon
gioco nel dichiararsi contrario ad ogni coalizione che
confondesse una chiara dialettica parlamentare.
5
Rossi Doria A., “Per una storia del decentramento conservatore: Antonio di Rudinì e le riforme”,
in “Quaderni storici”, n°18 settembre-dicembre 1971
6
Carocci G., “Agostino De Pretis e la politica interna dal 1876 al 1887”, op.cit.
12
Alla Camera parlò come portavoce di tutte le opposizioni,
presentando una mozione tesa a condannare il
comportamento del governo durante la crisi. La mozione
venne respinta per soli venti voti e, benché il governo non
desse le dimissioni, la crisi era formalmente riaperta.
Crispi diresse le sue critiche esclusivamente all’aspetto
formale della conduzione della crisi, facendosi paladino di
una corretta prassi parlamentare ed evitando accuratamente
di parlare di programmi di un governo, che tra l’altro
considerava << fisicamente e moralmente malato…un cadavere
quatriduano >>
7
.
In quegli stessi giorni, egli tornava ad incontrarsi con la
Destra
8
per delineare i programmi di un governo di
coalizione.
L’intesa si completò: accordi con le potenze centrali,
rafforzamento dell’esercito, riforma della legge comunale e
provinciale, nuove imposte e dazio sui cereali.
7
Crispi F., “Discorsi parlamentari”, pubblicazione per deliberazione della Camera dei
Deputati, Roma, 1915
8
Berselli E., “La destra storica dopo l’Unità”, op.cit.
13
Benché tali accordi superassero di fatto la vecchia mediazione
depretisiana, tuttavia fu ancora De Pretis a dirigere le
operazioni: ricevuta l’autorizzazione dal Consiglio dei
Ministri a trattare con i capi più autorevoli delle opposizioni,
incontrò Crispi discutendo con lui il programma concordato
con la Destra ed ascoltando le sue istanze circa << la posizione
da dare ai capi della Pentarchia >>
9
.
Come annotava Crispi nel suo diario in data 28 marzo <<
S.M. mi riceve nel solito suo gabinetto. Mi ringrazia di aver
accettato di assumere il potere >>
10
.
Il 18 aprile alla riapertura della Camera, De Pretis annunciava
con un decreto reale di aver accettato le dimissioni di quattro
ministri e di aver nominato come nuovi ministri Crispi,
Zanardelli, Saracco e Bertolè Viale.
Il 29 luglio moriva a Stradella Agostino Depretis.
Nove giorni dopo Re Umberto giunse a Roma, nominando a
succedergli il Ministro dell’Interno Francesco Crispi, che
9
Romanelli R., “Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale”, Il Mulino, Bologna,
1988
10
Carte Francesco Crispi, presso Istituto per la storia italiana del Risorgimento, Ministero
per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale per i beni archivistici, in “Guida generale
degli archivi di Stato italiani”, volume I°, Le Monnier, Roma, 1981
14
conservò per sè il dicastero degli Interni e degli Esteri, senza
mutare la compagine governativa ereditata.
In pochi mesi, dunque, uno dei pilastri dell’opposizione a De
Pretis rinunciando allo scontro frontale, veniva assorbito nella
maggioranza mediante una manovra di tipico stile
trasformistico.
Tutto questo gli rimproveravano sia i pentarchi, rimasti
esclusi dalla coalizione, sia i “dissidenti”, il gruppo di centro
che si era staccato l’anno prima dalla maggioranza.
Tale operazione trasformistica
11
, ebbe però un significato assai
più vasto delle precedenti, anzi per alcuni era la negazione del
trasformismo. Effettivamente il Gabinetto Crispi godeva di
una stabilità che era preclusa alle precedenti coalizioni.
Cosa aveva portato a frantumare le opposizioni?
Verrebbe da pensare che più delle abili manovre
extraparlamentari, erano state le scelte maturate in campo
della politica economica.
La convergenza delle opposizioni sul nome di Crispi, già
delineatasi nel corso del 1886, si svolgeva tutta all’interno di
11
Valeri N., “Storia d’Italia”, volumi III°-IV°, Einaudi, Torino, 1965
15
una classe dirigente che intendeva solo riorganizzarsi su
obiettivi più avanzati.
La frantumazione delle opposizioni avvenuta nel 1887,
rappresentava quindi qualcosa di più che una manovra
trasformistica, rivelando ancora una volta, la sostanziale
compattezza della classe politica italiana, destinata a ricreare
periodicamente un “blocco storico” tra differenti ceti
dominanti delle diverse zone del paese.
In questo caso, lo scioglimento dell’opposizione pentarchica,
con la vittoria della sua anima meridionale e la confluenza
della Destra nel governo
12
, segnavano il rafforzarsi di quel
blocco formatosi attorno alla politica protezionistica, intesa
non solo nei suoi contenuti economici, ma anche nelle sue
vaste implicazioni di ordine sociale che caratterizzeranno,
negli anni seguenti, la politica crispina.
Quindi cavalcando l’onda dell’insoddisfazione per la
contraddittorietà e gli indugi della politica interna
depretisiana, trovandosi ad ottenere un’ampia fiducia politica,
si delineava un momento politico per il quale si può parlare di
12
Berselli E., “La destra storica dopo l’Unità”,op.cit.
16
“crispismo”
13
, senza dover alludere a generiche esuberanze
nazionalistiche, ma potendo far riferimento ad una concezione
politica basata su di un concreto programma di governo.
13
Romanelli R., “Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale”, Il Mulino, Bologna,
1988
17
I° CAPITOLO
LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO COMUNALE E
PROVINCIALE. LA RELAZIONE MINISTERIALE
18
I) BREVI CENNI AI PRECEDENTI STORICI
L’analisi dell’evoluzione dell’ordinamento comunale e
provinciale non può prescindere da un excursus storico,
seppure sommario, della legislazione su cui nel tempo, si è
essa stessa imperniata. E deve tener conto di come la dinamica
normativa, in cui si è evidenziata la successione di diversi
modelli di amministrazione, abbia tradotto sul piano
organizzativo-giuridico i mutamenti sociali determinati dai
passaggi storico-politici.
Solo in tal modo è dato rilevare come in ogni scansione
storica, specialmente sotto il profilo della pubblica
amministrazione, non vi sia mai contrapposizione netta tra
modelli diversi, in quanto ciascuna fase porta con sé, in modo
più o meno palese, il substrato delle epoche precedenti senza
essere del tutto affrancata dall’ingombrante peso dei passati
ordinamenti
14
.
14
De Cesare G., “L’ordinamento comunale provinciale in Italia dal 1862 al 1942”, Giuffrè, Milano
1977
19
Così la trasformazione costituzionale verificatasi nel 1848 con
l’emanazione della "Carta fondamentale del Regno"
15
rispose
all’esigenza di armonizzare due logiche funzionali
tendenzialmente confliggenti quali, da un lato il retaggio di un
potere esecutivo unitario alle dipendenze quasi esclusive della
Corona e dall’altro la propensione centralista alla francese.
Da tale cambiamento e dalle problematiche ideologico-
culturali che lo caratterizzavano, non rimase avulso
l’universo dei poteri locali e degli apparati amministrativi.
Risale, infatti, a quell’epoca il primo ordinamento comunale e
provinciale post-assolutistico che il governo Alfieri
16
, su
proposta del Ministro degli Interni Pinelli e sulla base dei
"pieni poteri", approvò il 7 ottobre del 1848.
Risentendo dell’influenza napoleonica, la legge ripartiva il
territorio in divisioni e province, dotate di un organo
collegiale di natura elettiva (Consiglio) e di un organo
monocratico (Intendente generale e l’Intendente provinciale)
di designazione statale, nonché in comuni, dove al consiglio
15
Calandra P., “L’esperienza dello Statuto albertino”, in “Parlamento e Amministrazione”
I°volume, Giuffrè , Milano, 1971;
16
Ghisalberti A. M., “Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie”, Giuffrè, Milano,
1963
20
ed al sindaco, si affiancavano una ristretta "Giunta" (Consiglio
delegato, scelto dal Consiglio comunale) ed alcuni vicesindaci,
con funzioni essenzialmente collaborative e preparatorie.
Sempre secondo il modello francese, al sindaco, così come
all’intendente provinciale, era attribuita la duplice qualità di
ufficiale di governo e rispettivamente, di vertice
dell’amministrazione municipale e provinciale. L’espansione
territoriale del Regno, conseguente all’annessione della
Lombardia, pose al centro del dibattito politico il tema della
organizzazione politico-amministrativa dei livelli di
articolazione locale.
La cosiddetta "questione amministrativa" costituiva il
problema della compatibilità degli assetti organizzativi di
stampo franco-piemontese con la collettività lombarda
profondamente segnata da così diverse esperienze storico-
politiche ed organizzata su diversi sistemi amministrativi.
Nel 1859 il Rattazzi si fece promotore di una legge comunale e
provinciale ispirata alla linea centralizzatrice franco-
piemontese e destinata ad applicarsi nell’intero territorio del
Regno, con la quale venne ridelineata la ripartizione