4
riuscendo nel frattempo a conquistare definitivamente i consensi dei neoconservatori.
Un anticomunismo viscerale, che definiva il comunismo come “una forma di follia,
un’aberrazione temporanea destinata un giorno a scomparire”5, e un’inossidabile fede
religiosa, che si traduceva nella convinzione che quello americano fosse un popolo
eletto, caratterizzarono fin da subito il programma di politica estera del futuro
presidente. Come scriverà nel 1981 Norman Podhoretz, fondatore della rivista
Commentary e massimo ideologo dei neoconservatori, ciò che accomunava Ronald
Reagan al neoconservatorismo era la visione della Guerra Fredda come di uno scontro
di civiltà. Più precisamente, una guerra tra due fedi inconciliabili: quella fondata
sull’esperimento democratico americano ed il comunismo, che rappresentava sul finire
degli anni settanta la più grande minaccia per l’America6. Fu così che, nella campagna
elettorale del 1980, apparve quasi naturale l’incontro tra i neoconservatori e la
coalizione che sosteneva Reagan.
La vittoria su Carter, e l’importante consenso che ottenne l’ex-governatore della
California, mostrarono la comune visione dell’America7, e più in generale del mondo,
che legava a doppio filo il popolo americano a Reagan e, di conseguenza, all’ideologia
neoconservatrice. Sembrava emergere, con le elezioni del 1980, una “nuova
maggioranza americana” che condividesse la missione reaganiana di arrestare il declino
degli Stati Uniti: era come se, dopo le frustrazioni causate dalla distensione e la
sconfitta patita in Vietnam, il neoconservatorismo fosse diventato l’ideologia politica
maggioritaria nel paese8.
Fin da subito, con l’arrivo di Reagan alla Casa Bianca, fu chiaro che la politica estera di
Washington nei confronti dell’Unione Sovietica avrebbe subito una radicale revisione.
Il primo elemento di distinzione, rispetto alla precedente amministrazione democratica,
sarebbe stato quello di una decisa ripresa della spesa militare, secondo la logica
reaganiana del conseguimento della “pace attraverso la forza” 9 . Nell’analisi
neoconservatrice, infatti, il riarmo da parte americana veniva inteso unicamente come
risposta al riarmo già avviato, e favorito dalla distensione, da parte sovietica: il
ristabilimento della leadership militare dell’America nel mondo diventava essenziale,
5
Reagan, “Communism, the Desease” in Kiron Skinner, “Reagan, in his own hand: the writings of
Ronald Reagan that reveal his revolutionary vision forAmerica”. New York, 2001, p.12.
6
Norman Podhoretz, “The Future Danger” in Commentary, aprile 1981.
7
Testo del Discorso, “A Vision for America”, 3 novembre 1980, su
http://www.reagan.utexas.edu/archives/reference/11.3.80.html , data ultimo accesso marzo 2008.
8
Ehrman, “The Rise of Neoconservatism: Intellectuals and Foreign Affairs, 1945-94”, pp. 142-143.
9
Vedi nota 4.
5
cioè, per cambiare gli equilibri del confronto bipolare, in un frangente in cui l’Unione
Sovietica sembrava aver acquisito un vantaggio decisivo.
Il secondo pilastro del nuovo corso di Ronald Reagan era invece quello legato al tema
della crociata anticomunista. L’anticomunismo aveva accompagnato tutta l’ascesa
politica dell’ex-governatore della California, il quale, diventato presidente, non esitò a
mobilitare il paese e ad invocare una vera e propria crociata di matrice fondamentalista
nei confronti dell’Unione Sovietica10. Facendo propria la visione di Jeane Kirkpatrick11,
futura ambasciatrice americana all’ONU, Reagan riconobbe la necessità di rilanciare il
contenimento su scala globale, assegnando la massima priorità alla lotta anticomunista,
anche a costo di sostenere regimi antidemocratici di segno opposto. In questa nuova
ottica, che peraltro non era che una ripresa dei canoni tradizionali della Guerra Fredda,
l’Unione Sovietica, massima rappresentante del comunismo internazionale, perdeva il
suo status di superpotenza con cui negoziare, e diventava un vero e proprio “impero del
male” 12 , di fronte al quale gli Stati Uniti non avrebbero potuto che assumere un
atteggiamento di fermo confronto. Quella tra americani e sovietici tornava ad essere,
con l’ideologia reaganiana, una lotta tra bene e male, uno scontro tra due sistemi
inconciliabili che si sarebbe alla fine risolto, inevitabilmente, a favore dei primi.
Alla base della concezione che Reagan aveva dell’America stavano infatti un fiducioso
ottimismo e una ferma convinzione nel successo della tradizionale missione americana
di difesa della pace e della libertà13. In questo senso egli era giunto alla Casa Bianca col
dichiarato obiettivo di vincere la Guerra Fredda14, sebbene non venissero definiti con
chiarezza né i modi né i tempi di tale missione. Ma partendo dalla definizione che i
neoconservatori davano del comunismo, appare chiaro come fosse diventata oramai
intollerabile l’esistenza stessa dell’Unione Sovietica, e come l’obiettivo della politica
estera di Washington non potesse che essere quello di causare, in tempi più o meno
lunghi, una generale ritirata dell’avversario.
10
Testo del discorso, “Remarks at a Conservative Political Action Conference Dinner”, 26 febbraio 1982,
su http://www.reagan.utexas.edu/archives/speeches/1982/22682b.htm , data ultimo accesso maggio 2008.
11
Ehrman, “The Rise of Neoconservatism: Intellectuals and Foreign Affairs, 1945-94”, pp. 119-121.
12
Testo del discorso, “Remarks at the Annual Convention of the National Association of Evangelicals in
Orlando, Florida”, 8 marzo 1983, su http://www.reagan.utexas.edu/archives/speeches/1983/30883b.htm ,
data ultimo accesso maggio 2008.
13
Testo del discorso, “Remarks at the Eureka College Alumni Association Dinner in Eureka, Illinois”, 9
maggio 1982, su http://www.reagan.utexas.edu/archives/speeches/1982/50982b.htm , data ultimo accesso
maggio 2008.
14
Hugh Heclo, “Ronald Reagan and the American Public Philosophy” in W. Elliot Brownlee, Hugh
Davis Graham, “The Reagan presidency: pragmatic conservatism and its legacies”. Lawrence:
University Press of Kansas, 2003, p.27.
6
La distensione aveva fallito proprio in questo: aveva accettato e legittimato
l’imperialismo di Mosca, avviando un disarmo unilaterale e consegnando così
l’America ad un futuro di incertezza e di declino. Con la presidenza Reagan sarebbe
stato rimesso tutto in discussione, dai negoziati sugli armamenti all’assetto emerso a
Yalta, e perdurante da quarant’anni 15 . Sebbene nell’autobiografia del presidente si
ammetta che, per gran parte delle questioni sollevate dai neoconservatori, prima fra tutte
la repressione attuata in Polonia, gli Stati Uniti avessero le mani legate16, l’intento di
Reagan era in sostanza di rovesciare l’idea che quello in Europa orientale fosse un
impero legittimo e ormai acquisito da parte sovietica. Si trattava di un “sogno”17 da
parte del presidente, che egli voleva condividere con il popolo americano. Un sogno che
poteva essere realizzato solo arrestando il declino militare e morale dell’America,
attraverso un contenimento globale ed una retorica incendiaria, e riconsegnando la
nazione americana al tradizionale ruolo che le spettava, di guida e faro della libertà18.
In questo senso l’aspetto ideologico diventava decisivo nella politica estera di
Washington. La retorica, sia nelle due campagne del 1976 e del 1980, che nei primi anni
della nuova presidenza repubblicana, si faceva con Reagan strumento di politica attiva;
un mezzo attraverso il quale influire concretamente sugli equilibri della Guerra Fredda.
In un frangente in cui l’America sembrava vivere un declino spirituale, ancor prima che
geopolitico, diventava quindi essenziale spostare il livello del confronto su di un terreno
più propriamente ideologico: ovvero si trattava di portare una nuova moralità nella
politica estera americana.
15
Paul Kengor, “The crusader”. New York, 2007, pp. 41-43. Sulla revisione degli equilibri di Yalta,
Reagan si pronuncia nell’autobiografia “An american life”, Londra, Hutchinson, 1990, pp. 304-305.
16
Reagan, “An american life”, p. 300-301.
17
Reagan, “An american life”, p. 571.
18
Jules Tygiel, “Ronald Reagan and the triunph of american conservatism”. New York, 2006, p. 202.
7
1. Da Kansas City a Detroit
1.1 “To Restore America”. Contro la distensione.
Il 31 marzo 1976 Ronald Reagan, con un discorso tenuto in diretta nazionale alla NBC,
in piena campagna elettorale per le primarie del Partito Repubblicano, attaccava
apertamente, e per la prima volta, l’amministrazione Ford sul terreno della politica
estera. Si trattava di un attacco diretto alla distensione e in particolare a Kissinger,
pronto a “svendere le libertà americane” e principale responsabile della politica
rinunciataria degli Stati Uniti.
L’attenzione veniva posta da Reagan tutta sulla questione della sicurezza nazionale e
sull’ idea di “un pericolo imminente che cresce di giorno in giorno”. Questo pericolo era
“la diffusione del totalitarismo, che minaccia il mondo ancora una volta, con le
democrazie che stanno errando senza scopo”. Il futuro presidente si appoggiava a
Winston Churchill che, come “un’eco dal passato”, giungeva in soccorso degli
americani per definire quella che era la politica estera degli Stati Uniti: “errare senza
scopo” (wandering without aim) diveniva così la formula ricorrente usata da Reagan per
descrivere la situazione dell’America nello scenario internazionale. Una situazione
critica in cui l’ Unione Sovietica aveva compiuto lo storico sorpasso, sottraendo agli
americani la leadership in materia di armamenti “in un mondo dove è pericoloso, se non
addirittura fatale, essere secondi”. Sul banco degli imputati finiva evidentemente
l’amministrazione repubblicana del presidente Ford che, sebbene avesse sostituito in
piena campagna elettorale il termine “distensione” con la più prudente perifrasi “pace
attraverso la forza”, diventava l’artefice del declino statunitense.
Dopo essersi chiesto se qualcuno non stesse svendendo la libertà dell’America, Reagan
ribadiva di credere fermamente nella pace. Ma ricordava anche che “la pace non si
ottiene con la debolezza o con la ritirata, bensì con il ripristino della superiorità militare
americana”. “Perché dovremmo essere spaventati?”, proseguiva, quando il rischio di
una simile politica non poteva essere che quello di “consegnare l’America, ultima isola
di libertà, ai resti della storia, accanto agli scheletri delle civiltà scomparse per sempre”.
Non esitava Reagan ad usare la parola “misticismo” per rappresentare la propria
convinzione in un Dio che avesse “un proposito divino nel porre quella terra
[l’America] tra due oceani, per essere trovata da coloro che nutrivano un particolare
8
amore per la libertà e che avevano il coraggio di lasciare il proprio paese”. Non esitava
a parlare di “appuntamento col destino”, citando Franklin Roosevelt, e ad esprimere il
proprio desiderio di “vedere il paese diventare, ancora una volta, un paese dove una
bambina di sei anni può crescere conoscendo quelle stesse libertà” che lui, crescendo in
America, aveva conosciuto; di “vedere lo spirito americano sprigionarsi ancora una
volta” e di fare finalmente dell’America “quella luminosa, dorata speranza per cui è
stata designata da Dio”19.
La critica alla distensione nei confronti dell’Unione Sovietica, politica iniziata con
Nixon e destinata ad andare avanti con l’amministrazione Carter, diventava dunque il
tema principale del candidato Reagan durante la campagna del 1976. Al rifiuto di un
atteggiamento rinunciatario e di eccessive concessioni nei confronti dell’avversario
comunista si accompagnava poi la messa in discussione di uno dei cardini della politica
estera americana durante tutta la Guerra Fredda, ovvero il contenimento. L’idea che gli
Stati Uniti non potessero tollerare l’esistenza dell’impero sovietico, che per loro fosse
moralmente sbagliato, era però già presente nella testa dell’ex-governatore della
California: l’assetto emerso a Yalta e la sottomissione dell’Europa orientale agli
interessi di Mosca non dovevano più essere accettati da Washington, così come non lo
erano mai stati da Reagan20. Nel corso del 1975 si erano avuti chiari segnali su come
questi concepisse le relazioni con l’URSS, e più in generale col blocco comunista. In
maggio aveva seccamente liquidato il comunismo come “una forma di follia,
un’aberrazione temporanea destinata un giorno a scomparire dalla Terra perché
incompatibile con la natura umana” 21 ; in ottobre, in un discorso alla radio, si era
pronunciato contro la distensione che, di fatto, andava a tutto vantaggio dei sovietici, e
sotto la quale Mosca nascondeva le proprie tradizionali strategie di aggressione al
blocco occidentale: “la distensione per l’Unione Sovietica era un affare da non
rifiutare”22.
La coesistenza tra le due potenze dunque non poteva andare avanti. Continuare ad
accettare l’egemonia sovietica sulla propria sfera d’influenza, solo in virtù del fatto che
anche gli Stati Uniti ne avessero una, era sbagliato. Reagan non aveva mai digerito
l’idea che i due paesi potessero essere messi sullo stesso piano e paragonati, che
19
Lou Cannon, “Reagan”. Longanesi, Milano, 1982, p. 248; testo del discorso, “To Restore America”,
reperibile su http://www.cnn.com/SPECIALS/2004/reagan/stories/speech.archive/restore.html , data
ultimo accesso marzo 2008.
20
Paul Kengor, “The crusader”. New York, 2007, pp. 41-43.
21Reagan, “Communism, the Desease” in Kiron Skinner, “Reagan, in his own hand: the writings of
Ronald Reagan that reveal his revolutionary vision forAmerica”. New York, 2001, p.12.
22
Kengor, “The crusader”, p. 48.