I N T R O D U Z I O N E
1. Il diritto di cronaca nell’ordinamento italiano
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Il cosiddetto diritto di cronaca non è espressamente previsto dall’ordinamento italiano.
La copertura che ne dà l’articolo 21 della Costituzione, anche con riferimento al diritto
passivo di essere informati, è ampiamente attestata in giurisprudenza ma non è giuridicamente
definita in maniera chiara. Anche sul concetto di cronaca non c’è unità di pensiero: se è stata
definita «esposizione dei fatti, scevra da commenti, aggiunte od omissioni», come tale distinta
dall’espressione di opinioni o giudizi
2
, allora potremmo ritenere che la libertà di opinione è
espressamente tutelata in Costituzione, mentre la libertà di cronaca, cioè di fare il resoconto di
ciò che è accaduto, no. Il diritto di informazione è invece stabilito, tra le altre, da una fonte di
diritto internazionale di natura pattizia, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dal Parlamento italiano con legge 4 agosto
1955, nº 848, che all’articolo 10 stabilisce che «Ogni persona ha diritto alla libertà di
espressione e questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza interferenza di pubbliche autorità» per poi precisare
che «L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere
sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale,
all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei
reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti
altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e
1
Per la stesura del presente paragrafo sono stati consultati, tra gli altri, i seguenti testi: Roberto Zaccaria (in
alcune edizioni con altri autori), Diritto dell’informazione e della comunicazione, varie edizioni Cedam,
Padova, 2002-2013; Paolo Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione: stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, varie edizioni, Il Mulino, Bologna, 2001-2009; Paolo
Baldini, Lezioni di diritto dell’informazione e della comunicazione, Bonomo, Bologna, 2003; Gianluca
Gardini, Le regole dell’informazione: principi giuridici, strumenti, casi, Paravia - Bruno Mondadori, Milano,
2005-2009; Dario E.M. Consoli, Gennaro Sangiuliano, Manuale di teoria e tecnica dei media, Esi, Napoli,
2006; Vittorio Roidi, Diritto dell’informazione, Simone, Napoli, 2003. Fondamentali per la mia formazione
al riguardo sono stati gli insegnamenti ricevuti da Gianluca Gardini quando frequentavo l’Alma mater
studiorum - Università di Bologna.
2
Roberto Zaccaria con la collaborazione di Alessandra Valastro, Diritto dell’informazione e della
comunicazione, IV edizione, Cedam, Padova, 2003, p. 29; Vincenzo Zeno Zencovich, Michele Clemente,
Maria Gabriella Lodato, La responsabilità professionale del giornalista e dell’editore: con le massime da
300 sentenze (1960-1994), Cedam, Padova, 1995, p. 4; citati entrambi anche in Marcella Fortino (a cura di), I
danni ingiusti alla persona, Utet giuridica (divisione della Wolters Klower Italia), Assago / Torino, 2009, p.
268.
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l’imparzialità del potere giudiziario». In realtà, come vedremo più avanti, la giurisprudenza,
anche costituzionale
3
, ha ricondotto il diritto di cronaca espressamente all’articolo 21,
qualificandolo perfino come un dovere da parte del giornalista (rispetto al diritto del lettore di
essere informato).
C’è altresì chi propone una lettura restrittiva del secondo comma dell’articolo 21 della
Costituzione, ritenendo che esso «si riferisca unicamente alla cosiddetta libertà formale della
stampa ed in questo campo esaurisca la sua efficacia»
4
. Secondo questa visione l’articolo 21
fornisce pertanto «scarso sussidio […] all’interprete»
5
, poiché «alla soluzione di questo
confronto», tra «tutela dell’onore e attentati che ad esso possono essere arrecati attraverso la
stampa», il testo dell’articolo 21 non dà alcun contributo», non contenendo «una riserva a
favore d’altri beni, certo non meno essenziali e meritevoli di tutela del buon costume», ma
neanche una norma atta a far prevalere su di essi la libertà di espressione. Quasi
provocatoriamente, quindi, conclude che, a una prima analisi del dettato costituzionale, si
debba ritenere «che ogni manifestazione di stampa lesiva dell’altrui onorabilità è, purché non
offenda al tempo stesso il buon costume, perfettamente lecita e che in virtù della Costituzione
gli art. 594 e 595 c.p. sono quasi integralmente caduti nel nulla: a ciò conforterebbe anche,
ovviamente, l’art. 51 c.p., che espressamente consacra l’esclusione di ogni carattere criminoso
nel fatto commesso nell’esercizio di un diritto e soprattutto il carattere indiscutibilmente
preminente che la norma costituzionale ha rispetto alla norma di legge ordinaria»
6
. «Unico
limite resterebbe quello, di carattere esegetico […], considerando che l’articolo 21 parla del
diritto di manifestare il pensiero proprio, ha posto in evidenza la piena legittimità delle norme
volte a colpire “le manifestazioni che non rispondano alle interiori persuasioni o all’interiore
pensiero, le affermazioni o le negazioni che non corrispondano alle effettive convinzioni e
valutazioni, il subiettivamente falso, la menzogna (deformante, reticente, patente, latente, il
dolo, l’inganno, il raggiro o la frode, ove sia raggiunta la prova della divergenza
3
Cfr. sent 10 luglio 1974, n. 225, cit. in Maria Romana Allegri, Informazione e comunicazione
nell’ordinamento giuridico italiano, Giappichelli, Torino, 2012 p. 127, nonché la notissima sentenza
28/01/1981, n. 1.
4
Giuliano Vassalli, Libertà di stampa e tutela dell’onore, in Scritti in memoria di Antonino Giuffrè, vol. IV,
Giuffrè, Milano, 1967, pp. 853 sgg.. L’articolo è apparso ance in Arch. pen. 1967, pp. 24 sgg..
La citazione è tratta dalla p. 859. In nota a p. 860 (invitando a confrontare Ernst Heinitz, I limiti della libertà
di stampa, in Arch. pen., 1957, fasc. I, pp. 12 sgg.), precisa che tale libertà formale è da intendersi quale
«divieto di autorizzazioni, censure o altre limitazioni generali o particolari sulla diffusione del pensiero a
mezzo della stampa».
5
Ivi, p. 860.
6
Ivi, pp. 859-860. In nota richiama Carlo Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento
italiano, in RISG, 1958, pp. 84 sgg..
2
dell’espressione dall’interiore pensiero”»
7
. Questo comunque costituirebbe «un limite di ben
scarso rilievo pratico, quanto meno nella materia delle offese all’onore, proprio per la
immensa difficoltà della prova della divergenza dell’attribuzione diffamatoria dall’interiore
pensiero dell’agente, e comunque per il suo insostenibile onere». Tuttavia «codesti limiti di
carattere esegetico sarebbero destinati a perder valore» nel caso in cui «alla libertà di stampa
dovesse riconoscersi un fondamento del tutto indipendente da quello rinvenibile nel comma I
dell’articolo 21»
8
. La tesi in definitiva è l’«inaccettabilità della conclusione secondo cui il
diritto di libertà di stampa […] non conoscerebbe altro limite se non quello del buon
costume», che «non poteva non spingere la dottrina, sin dai primi tempi dell’entrata in vigore
della Costituzione, alla ricerca di altri sostanziali limiti, cosiddetti interni o di sistema, al
principio affermato in via generalissima dall’articolo 21»
9
.
In ogni caso l’ordinamento italiano, così come salvaguarda il diritto di cronaca, nonché
quello di opinione, parimenti tutela il diritto all’onore e alla reputazione, altro bene giuridico
costituzionalmente vincolato, riconducibile all’articolo 2 della Costituzione, il cosiddetto
articolo aperto, che concerne i diritti della personalità. Pertanto, in taluni casi, nell’opera di
bilanciamento tra i due diritti, è necessario stabilire quale prevalga. Attualmente, da questo
punto di vista la legge penale non definisce dei criteri netti, e probabilmente neanche potrebbe
farlo. Come affermato dalla Corte costituzionale e varie sfere giuridiche debbono, pertanto,
«limitarsi reciprocamente, affinché queste possano coesistere nell’ordinata convivenza
civile»
10
.
L’esercizio di un diritto è inoltre forse la più importante causa di giustificazione in
àmbito penale, prevista dall’articolo 51 del codice ma prima ancora dal noto principio di unità
dell’ordinamento: «Ciò che è diritto, o addirittura dovere, non può essere un reato, in forza del
principio di non contraddizione»
11
.
La giurisprudenza, nel ritenere l’attività giornalistica come esercizio del diritto di
7
Ivi, p. 861. La citazione interna è attribuita a Carlo Esposito, ib..
8
Giuliano Vassalli, op. cit., p. 861. Cita Giuseppe Cuomo, Libertà di stampa ed impresa giornalistica
nell’ordinamento costituzionale italiano, Jovene, Napoli, 1956, pp. 160 sgg., 169 sgg., 185 sgg. e passim.
9
Giuliano Vassalli, op. cit., p. 862. L’autore successivamente traccia un interessante schema che distingue i
limiti logici della libertà di stampa dai limiti costituzionali e dai limiti differenziati sulla base dei beni su cui
la libertà medesima incide, corrispondenti a tre precisi modelli teorici distinti che, tuttavia, alcuni autori
hanno variamente tentato di conciliare Il tentativo di sintesi viene attribuito in particolare a Luigi Concas, La
garanzia penale del segreto istruttorio, Giuffrè, Milano, 1963, pp. 863 sgg..
10
C.cost. 14/06/1956, n. 1.
11
Domenico Pulitanò, Diritto penale, III edizione, Giappichelli, Torino, 2009, p. 260. A sua volta cita Giacomo
Delitala, Adempimento di un dovere, in Enc. dir., 1958, vol. I, p. 567; Ferrando Mantovani, Esercizio del
diritto (dir. pen.), in Enc. dir., 1966, vol. XV , p. 629.
3
cronaca, ha ormai ampiamente stabilito che i requisiti fondamentali della cronaca sono la
verità putativa dei fatti (cioè supposta con ragionevole margine di errore sulla base di un
accurato controllo delle fonti e confronto tra le stesse: se debba darsi rilievo ad una verità
putativa ovvero oggettivo risulta, comunque, problematico), la continenza verbale
nell’esposizione degli stessi e l’interesse della collettività a venire a conoscenza dei fatti
medesimi (anche se il confine tra interesse pubblico, cioè narrazione dei fatti pertinenti
all’interesse della società, e interesse mostrato da parte del pubblico è molto sottile, in quanto
il pubblico potrebbe anche manifestare interesse morboso nei confronti di fatti privati la cui
divulgazione è atta esclusivamente a soddisfare esigenze di pettegolezzo, e che in base al
criterio dell’interesse pubblico non sarebbero neanche meritevoli di assurgere a notizia: «le
curiosità non fanno parte della cronaca»
12
). Nel caso in cui in un articolo giornalistico
sussistano contemporaneamente tutti e tre questi elementi, anche qualora esso risulti
diffamatorio, diviene sostanzialmente non operativa la clausola di cui all’articolo 596 del
codice penale, secondo la quale «il colpevole dei delitti di ingiuria e diffamazione «non è
ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona
offesa». La verità, ancorché meramente putativa, assurge anzi a elemento determinante e, in
nome della scriminante dell’esercizio del diritto (e dovere) di cronaca, il fatto non costituisce
reato: l’articolo 51 del codice penale sancisce la non punibilità di chi esercita un diritto o
adempie a un dovere imposto da una norma giuridica. In realtà in tal caso, più che di non
tipicità del fatto, o, genericamente, di non punibilità del reo, si dovrebbe parlare di non
antigiuridicità del fatto
13
.
Nell’ordinamento italiano rilevanza centrale assume, nelle pubblicazioni a stampa
periodica, la figura del direttore responsabile, chiamato a verificare prima della pubblicazione
che attraverso la testata che dirige non vengano commessi reati. L’omissione di questa verifica
costituisce una specifica fattispecie criminosa, definita dall’articolo 57 del codice penale. In
questo lavoro, concentrandoci principalmente sul delitto di diffamazione, previsto e punito
dall’articolo 595 del codice penale, e per il quale l’articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, nº
47 prevede un’aggravante, si esamina e si passa in rassegna la giurisprudenza, principalmente
di legittimità, che riguarda la responsabilità del direttore responsabile, con particolare
riferimento alle sentenze riguardanti articoli anonimi e condanna dei direttori responsabili per
12
Enzo Musco, voce “Stampa (dir. pen.)”, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIII, 1990, nota 60.
Sull’argomento si veda anche, tra gli altri, Ivan Libero Nocera, Diritto di cronaca. Il criterio del pubblico
interesse e l’intervista televisiva nel conflitto tra riservatezza e diritto di cronaca, su Corr. giur., 2013, 5, pp.
625 sgg..
13
V . ultra, cap. I, § 3.
4
concorso (articolo 110 del codice penale) e non per omesso controllo; in ultimo, si analizza
nel dettaglio, dalla pubblicazione dell’articolo al verdetto della Corte suprema di cassazione,
un caso che recentemente è stato esso stesso alla ribalta delle cronache e ha suscitato notevole
interesse nell’opinione pubblica, quello riguardante l’allora direttore responsabile di Libero
Alessandro Sallusti.
Scopo della ricerca è evidenziare quali sono gli orientamenti giurisprudenziali in tema
di responsabilità del direttore responsabile e se tali orientamenti sono confermati nel caso
Sallusti, nonché mettere in luce una serie di difformità nei giudicati che, ad avviso di chi
scrive, avrebbero dovuto da tempo, e a prescindere dalle polemiche immanenti al singolo
caso, indurre il legislatore a una seria riflessione circa le opportunità di riforma della
disciplina in materia, sostanzialmente ferma al 1930 (l’articolo 595 è vigente tal quale sin
dall’emanazione originaria del codice Rocco, mentre il 57, come vedremo, è stato novellato
nel 1958, ma unicamente per recepire gli orientamenti attestatisi in giurisprudenza, e già
emersi in dottrina, in merito alla sua applicazione prima della modifica) e di cui anche
l’Assemblea costituente si era interessata, pur non riuscendo a trovare una sintesi tra le
posizioni di chi anelava l’assoluta libertà per i giornalisti, a cominciare dalla
deregolamentazione della professione (posizione che poi in epoca repubblicana troverà il suo
massimo esponente nel liberale Luigi Einaudi), e chi invece era concorde con la legislazione
vigente, nonostante la facile, e ovvia, tendenza al rigetto di quanto era stato realizzato durante
il ventennio fascista
14
.
2. Cenni storici su diritto di cronaca e reati connessi
In questo paragrafo si riassumono i principali passaggi che hanno condotto all’attuale
quadro ordinamentale in materia di stampa, diritto di cronaca, ordinamento della professione
giornalistica. Come vedremo, la normativa non sempre si è evoluta in senso concessivo, anzi
dopo l’iniziale apertura conseguente all’entrata in vigore dello Statuto albertino si è andata via
14
Un’efficace trattazione dell’argomento – con particolare riferimento alla polemica sul mantenimento
dell’Ordine dei giornalisti, di cui erano stati protagonisti i deputati Meuccio Ruini, Giuseppe Saragat, Giorgio
La Pira, Lelio Basso, Palmiro Togliatti, Roberto Lucifero d’Aprigliano, Aldo Moro, Concetto Marchesi,
Pietro Mancini, Umberto Merlin, Leonilde Iotti, Giuseppe Dossetti, Mario Cevolotto e Camillo Corsanego –
è contenuta nel raro e pregevole, benché agile, volumetto “La libertà di manifestazione del pensiero
nell’ordinamento italiano”, a cura di Franco Mencarelli, Bardi, Roma, 1974, costituente la monografia n. 8
della collana “Quaderni di documentazione” del Servizio studi del Senato della Repubblica - ufficio
documentazione e ricerche.
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