3
Prima di analizzare le riforme di queste due nazioni, ho ritenuto
di dover introdurre i due concetti fondamentali su cui verte questo
lavoro. I primi due capitoli, che ho racchiuso in una prima sezione
generale, vogliono quindi spiegare cosa siano rispettivamente la re-
islamizzazione e il diritto penale musulmano.
Nel primo capitolo vengono sommariamente raccontate le
vicende che hanno condotto prima alla marginalizzazione della
Shari‘a, e alla trasformazione in senso europeo dei sistemi
giuridici delle nazioni musulmane, poi alla riasserzione della
civiltà islamica e al tentativo di far rivivere il suo diritto.
Nel secondo capitolo sono invece esposti i concetti
fondamentali del sistema del diritto penale coranico.
Dal terzo capitolo si scende nel particolare con l’analisi del
Pakistan. Anche in questo caso, prima di occuparmi della re-
islamizzazione ho ritenuto necessario ripercorrere gli avvenimenti
che ad essa hanno portato. Nel quarto capitolo il sistema penale
sciaraitico, oggi in vigore in Pakistan viene analizzato nella sua
completezza, e sarà eventualmente possibile fare un confronto con
il capitolo secondo nel quale quel sistema viene delineato.
Infine l’ultimo capitolo riguarda la Malesia e le sue riforme. Lo
spazio per la materia penalistica è qui inferiore, anche perché,
come detto, i malesi hanno operato nel penale con minore
radicalità. Il capitolo risente anche delle maggiori difficoltà di
reperimento del materiale relativo a questo paese, ma cerca
comunque di dare un acconto sufficientemente completo delle
riforme attuate.
Nelle valutazioni conclusive il tentativo è di fornire la risposta
ad alcune domande che stanno alla base di questa tesi. Ci si chiede
se questa ondata di riforme stia effettivamente producendo delle
modifiche incisive e durevoli negli ordinamento giuridici
analizzati. In sostanza la Shari’a sta effettivamente acquisendo
spazio nel diritto delle nazioni musulmane? La ricerca di leggi che
siano sentite come più autentiche dai popoli interessati sta
effettivamente avendo successo? Le mie risposte ai quesiti sono
4
parzialmente negative: l’analisi compiuta mi sembra dimostrare
che il diritto musulmano riesca a guadagnare meno terreno di
quanto si potrebbe pensare. D’altra parte però, la rappresentazione
della realtà potrebbe essere molto diversa dalla realtà stessa. Cioè,
un sistema non molto più islamico, potrebbe invece apparire ai
suoi soggetti ed essere da loro sentito come molto più rispettoso
dei dettami del diritto religioso, e molto più rappresentativo della
loro identità di fedeli. Un’identità che per i discendenti dei seguaci
di Maometto è fondamentale, come del resto di questi tempi, si
capisce facilmente anche solo aprendo un quotidiano e dando una
rapida occhiata ai titoli.
5
SEZIONE 1_____________
PARTE GENERALE
1 Dalla De-islamizzazione alla Re-islamizzazione
Il diritto islamico, la Shari’a,
1
è un sistema giuridico il cui
dominio si estende molto oltre quello che potrebbe essere
comunemente considerato l’ambito di un diritto religioso. Si tratta
infatti di un corpus paragonabile a sistemi europei quali lo ius
commune e la common law, e che disciplina le materie più varie:
dal diritto di famiglia –ovvio regno di un diritto a base religiosa-,
al diritto delle transazioni e dei contratti, al diritto penale, di cui in
ultima analisi mi occuperò, e così via. A differenza dei sistemi
sopracitati però, la Shari’a governa ambiti diversi e maggiormente
estesi: si occupa del rituale sacro e delle sue forme, detta principi
in ambiti che noi considereremmo soprattutto politici o di teoria
politica, ed ha una più profonda coloritura etica. Questa si esprime
nell’inquadramento di tutte le azioni umane in una scala che ne
determina l’approvabilità. La scala si compone di cinque tipi di
azioni: le azioni obbligatorie, raccomandabili, indifferenti,
riprovevoli e proibite.
2
La Shari’a è insomma, un insieme di
valori e un modo di vivere. Occupa quindi uno spazio molto vasto,
tanto da poter essere considerata essa stessa “l’epitome del
1
Il significato del termine è pressappoco “retta via”
2
La distinzione non ha in realtà particolare valore giuridico, ma ha soprattutto importanza concettuale.
6
pensiero islamico, la più tipica manifestazione dello stile di vita
islamico”
3
, e la sua scienza- detta fiqh- la regina delle discipline
dell’Islam. Al giorno d’oggi, naturalmente, nella maggioranza dei
paesi islamici la parte strettamente giuridica della Shari’a ha per lo
più perso applicazione, sostituita da legislazioni di derivazione
occidentale. Ne rimane nonostante ciò importante lo studio, sia per
una maggior comprensione del mondo musulmano, sia soprattutto
per i forti e ricorrenti richiami che ad essa sono stati fatti da
porzioni rilevanti del mondo islamico. Soprattutto negli ultimi
venticinque anni abbiamo assistito al tentativo di restituirle piena
applicazione e al contempo di trarre da essa un’ideologia
innalzata come vessillo da gruppi politici e da stati come il
Pakistan e l’Iran, che l’hanno utilizzata come base e giustificazione
nei loro sforzi di islamizzazione. Questa risorgenza della legge
sacra dell’Islam ha scosso pressoché tutti i paesi a maggioranza
islamica, conquistandone alcuni e facendo brecce negli
ordinamenti di molti altri. Indipendentemente da ciò essa rimane il
cuore del diritto di famiglia di pressoché tutti i paesi musulmani.
1.1 Profilo storico
Lo sviluppo del Diritto Musulmano si compie principalmente
nei primi 3 secoli successivi alla morte di Maometto (632 d.C) ad
opera di una classe di giuristi altamente specializzata che provvede
a trasformare le poche previsioni giuridiche presenti nel Corano in
un sistema adatto a regolare la vita di ogni fedele. Oltre e più del
Corano è la Sunna, la raccolta dei comportamenti e dei detti del
Profeta, a fornire materiale per la costruzione dell’edificio
3
.Joseph Schacht, Introduzione al Diritto Musulmano Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli 1995 Torino intr. Pg
1
7
sciaraitico ai dottori della legge (faqih, pl. Fuqaha).
4
Fonte
sussidiaria del diritto musulmano è poi il ragionamento analogico
(qiyas), con cui i giuristi applicano le norme derivate da Corano e
Sunna a casi da questi non regolati. Le soluzioni a cui i giuristi
giungono vengono poi validate dal consenso generale dei giuristi
stessi
5
organizzati in scuole
6
, le quali però non differiscono a
livello teorico ma solo per le soluzioni pratiche adottate. Le
divergenze tra le scuole a volte dipendono dal differente
radicamento geografico che determina contatti e influenze con i
più diversi diritti. Nei primi secoli è consentito a questi studiosi
anche l’utilizzo del ragionamento indipendente (igtihad), per
arrivare a soluzioni nei casi in cui non sia possibile l’analogia, ma
questa fonte si inaridisce e viene poi dichiarata inaccessibile (il che
si esprime con la suggestiva formula - la chiusura della porta
dell’igtihad) nel corso del terzo secolo dell’Islam. I giuristi
raggiungono infatti “il consenso” sull’idea che il lavoro di
interpretazione ed elaborazione sia concluso, e che soluzioni siano
state trovate per ogni possibile situazione. Di conseguenza non è
più possibile aggiungere nulla al corpus giuridico formatosi. Gli
operatori del diritto saranno d’ora in poi vincolati da un diverso
principio, quello del taqlid secondo la quale la dottrina va
accettata per come essa è stata stabilita da una delle scuole
riconosciute. Non è più legittimo dedurre direttamente nulla dal
Corano o dalla Sunna. Ciò comporterà naturalmente un forte
irrigidimento del sistema, anche se modifiche, se pur meno
rilevanti, saranno pur sempre possibili nell’interpretazione e nel
4
Riguardo alla Sunna vi è stata una controversia tra due grandi islamisti Joseph Schacht e Noel J. Coulson sulla sua
autenticità. Il primo sostiene che essa sia stata sostanzialmente inventata per dare autorità alle soluzioni escogitate dai
giuristi delle varie scuole. Il secondo pur non potendo negare che sia impossibile farne risalire i contenuti direttamente
al Profeta, controbatte che essa è però significativa delle consuetudini giuridiche correnti, consuetudini che possono
essere fatte risalire in certi casi al Profeta stesso e al suo insegnamento.Vedi David Forte The sharia: classical and
contemporary problems, cap 2, Schacht Joseph op. cit. cap.6, N..J. Coulson A History of Islamic Law, Edinburgh
University Press, Edinburgh
5
In realtà per alcune scuole, in particolare quella sciafiita il consenso è una delle fonti al pari delle altre tre. Nella teoria
classica però si finisce col considerare il consenso una sorta di imprimatur alle soluzioni escogitate. Si è discusso anche
se il consenso si dovesse riferire ai giuristi o alla generalità dei musulmani, o alle scuole giuridiche. Vedi Coulson op
cit.cap. 6
6
Le scuole principali, che prendono il nome dai loro fondatori sono la Sciafiita, la Malikita, la Hanbalita e la Hanafita
8
commento dei testi autoritativi.
7
Proprio dalla dottrina del taqlid
deriva il filone letterario dei commentari e dei glossari delle opere
dei giuristi classici, da cui prevalentemente si ricava il pensiero
giuridico islamico dal decimo secolo in poi. Ed è in questi
commentari che riescono a introdursi le modifiche al sistema
classico, rese necessarie dal cambiamento dei tempi e di quelle
strutture sociali che alla base del diritto sempre stanno. In ciò
importante sarà l’opera dei mufti, i giurisperiti, chiamati con i loro
responsi (fatwa) a guidare governi e popolo nel campo del diritto.
Va peraltro detto che la costruzione della Shari’a si distinse per
il suo carattere altamente idealistico, separato dalla pratica di ogni
giorno. Si trattava di assolvere un dovere soprattutto spirituale:
arrivare a determinare quale fosse il comando di Dio, quali fossero
gli astratti doveri e diritti di ogni buon musulmano, pazienza, se
poi questi fossero molto distanti dalla vita giuridica quotidiana. Di
fatto poi contavano soprattutto, da una parte le consuetudini,
dall’altro le decisioni del potere politico. Il sovrano poteva infatti
stabilire quanta e quali parti della Shari’a dovessero essere
applicate, e ciò gli era consentito, oltre che in via di fatto, anche
dalla teoria della siyasa sariyya che enunciava un governo nei
limiti e nello spirito della legge sacra. Il Califfo per rispettare tali
limiti e spirito poteva supplire alle sue norme in caso di lacune ed
emanarne altre per permettere a quelle di essere meglio applicate.
Il limite da non valicare era la diretta contravvenzione di una
disposizione sciaraitica. Non solo, il sovrano istituiva anche i
diversi tribunali tra i quali solo il qadi era teoricamente vincolato
dal diritto sciaraitico
8
. Applicare le norme elaborate dai “giuristi
“poteva rivelarsi però molto complicato, in particolare rispettare le
restrittive procedure previste. Così ad esempio era rarissima
7
cfr. Schacht, op. cit cap. 1
8
Ciò era stato stabilito dalla dinastia Abbaside, nel tentativo di “islamizzare” sempre più l’ordinamento. Gli stessi
Abbasidi crearono però poi il tribunale del mazalim, che doveva occuparsi delle lamentele sul comportamento di organi
dello stato. In questo modo il mazalim ebbe anche il potere di rivedere le sentenze del qadi risultando così
sostanzialmente sopraordinato. In seguito il rapporto tra le due corti andò ad assomigliare a quello tra un tribunale civile
e uno religioso. Il mazalim contribuì anche a rivitalizzare il diritto, ovviando in parte alla cristallizzazione seguita alla
“ chiusura della porta dell’igtihad”.cfr Coulson op. cit. cap.9
9
l’applicazione del diritto penale nella sua formulazione classica
perché, come poi vedremo
9
, il rispetto della procedura avrebbe
reso pressoché impossibile condannare chicchessia.
10
Per evitare
simili risultati vennero utilizzate le pene tazir, discrezionali sia per
quanto riguarda la determinazione del reato che della pena, con la
giustificazione, offerta proprio dalla dottrina della siyasa sariyya,
che contrario allo spirito della legge sarebbe stato mandare dei
probabili colpevoli assolti. Allo stesso modo, a causa delle stesse
ristrettezze procedurali, nei giudizi civili risultava problematico
all’attore, su cui ricadeva l’onere della prova, avere soddisfazione
dalla corte che avesse applicato la dottrina classica. In ultima
analisi comunque, le ragioni per cui si diceva diritto secondo il
corpus sciaraitico o meno erano politiche: i sovrani non avevano il
controllo del diritto sacro, e questo avrebbe potuto determinare
una pesante limitazione delle loro prerogative. Così è facilmente
spiegabile, tra l’altro, la disapplicazione del diritto penale
coranico: evidentemente un settore troppo delicato per lasciarlo
all’esclusiva dei dottori della legge.
11
In questa situazione gli esperti dovettero fare di necessità virtù e
per mantenere quantomeno l’ascendente spirituale che la teoria
nonostante tutto esercitava, sancirono la liceità per il fedele della
non osservanza delle rigide regole della Legge ogni qual volta la
necessità lo avesse imposto. In un mondo corrotto non si poteva
pretendere uno zelo eccessivo neanche dal pio musulmano.
Oltretutto gli ulama
12
consideravano l’obbedienza ai governanti
come un dovere, dando così efficacia al diritto da questi emanato.
La teoria comunque interagì e interferì sempre con la pratica anche
se in misura diversa a seconda dei settori dell’ordinamento. La
massima influenza si ebbe naturalmente nel campo del diritto di
famiglia, delle successioni e dei wakf (fondazioni pie), campi
9
vedi infra, cap. 2
10
La giurisdizione finiva così per spettare alla polizia, che godeva di flessibilità e discrezionalità molto maggiori.
11
D’altra parte il settore penale è uno di quelli a cui le scuole giuridiche prestarono sempre meno attenzione, forse
proprio anche per la sua scarsa utilizzazione nella prassi.
12
Esperti di teologia e diritto .Il singolare è alim.
10
tradizionalmente sentiti più vicini ai doveri religiosi. Qui la la
dottrina classica dominava – come tutt’ora accade peraltro-, anche
se in taluni casi le consuetudini potevano rivelarsi più forti o
radicate. Non altrettanto forte si rivelò il diritto dei contratti e delle
obbligazioni, che dovette spesso cedere il passo agli usi locali, pur
mantenendo sempre una considerevole importanza. Pressoché
ininfluenti furono invece i diritti costituzionale, fiscale e, come
detto, penale che molto di rado vennero applicati. Le costruzioni
dei giuristi si basarono in questi campi, sulla pratica che de facto
si era imposta venendo adottata dal potere politico. Tali prassi
furono accettate e spesso sviluppate dai giureconsulti, e vennero
quindi considerate parte del diritto islamico, a differenza che nel
diritto di famiglia dove qualsiasi divergenza dalla teoria doveva
essere ritenuta illegittima agli occhi di Dio.
13
L’alta e difficile missione di riunire pratica e teoria se la diedero
invece i vertici dell’impero Ottomano, che a partire dal sedicesimo
secolo cercarono, non sempre con successo, di islamizzare
l’ordinamento intraprendendo, dopo un iniziale periodo di
prevalenza dei diritti consuetudinario e amministrativo, un
notevole sforzo per sottoporre la pratica ai principi della legge
sacra. In particolare si riorganizzò l’ufficio del qadi e si istituì
quello del Gran Muftì
14
, che divenne uno dei più alti funzionari
dello stato. Il tutto per conformare l’amministrazione e la
legislazione coi principi della Shari’a. In seguito la decadenza
dell’impero influenzò anche la sua attività giuridica, che visse una
stasi di alcuni secoli destinata a interrompersi soltanto sotto
l’influsso del venti riformatori spiranti in occidente, che non
mancarono di farsi sentire anche sotto la Sublime Porta. .
La Shari’a non venne peraltro abbandonata, anzi la prima
codificazione civile ottomana, la Megelle riordina
prevalentemente principi sciaraitici della scuola hanafita
15
. Si trattò
13
cfr Schacht op. cit cap.1, Coulson op.cit cap.10
14
Aveva il compito di garantire l’osservanza della Legge sacra e di controllare l’attività del qadi cfr Schacht op. cit
cap.1
15
vedi nota 5
11
in sostanza di diritto musulmano espresso in forma europea.
L’influenza della Megelle fu grande in tutto il medio oriente ed
essa è stata base della legislazione civile in molti stati fino a tempi
recenti.
16
Era comunque cominciato il tempo in cui il diritto islamico
doveva farsi da parte per lasciare posto al diritto europeo, che si
fece largo dapprima come influsso culturale per occupare in
seguito spazi con la forza della colonizzazione. Cominciava allora
un processo di deislamizzazione degli ordinamenti che sembrava
non doversi più fermare.
1.2 L’impatto della colonizzazione e le riforme
La corsa verso l’occidentalizzazione degli ordinamenti aveva
quindi inizio con il diciannovesimo secolo e laddove gli europei
erano già arrivati, come nel subcontinente indiano, anche un poco
prima.
17
D’altra parte a quel tempo le regole riguardanti il diritto
penale e le transazioni civili e commerciali erano percepite come
inadeguate ad un sistema moderno e limitative delle possibilità di
sviluppo economico. Fu di conseguenza in questi settori che, come
abbiamo visto per la Megelle e vedremo per altre riforme turche e
non solo, si mossero i riformatori. In questa fase si recepirono
direttamente istituti e leggi europee ritenendo che fosse preferibile
non interferire con la Shari’a che poteva rimanere, come spesso
era stata in passato, l’ideale astratto a cui fare riferimento anche se
non applicata nei tribunali.
In realtà però non ci fu un unico modo di europeizzazione del
diritto. A questo sistema che potremmo definire positivistico,
legato soprattutto alla cultura giuridica dell’Europa continentale, e
16
cfr Schacht op. cit. Cap. 1
17
L’inizio dell’influenza del diritto inglese in India si può far risalire al 1772 quando la “Compagnia delle Indie
Orientali” inizia a reclamare poteri sovrani e giurisdizionali. Cfr Schacht, Joseph “Problems of modern Islamic
legislation” in Edge, Ian “Islamic legal theory”
12
utilizzato soprattutto da stati indipendenti, vanno affiancati i
risultati dell’interrelazione tra il diritto islamico e il diritto delle
potenze coloniali. Principale esempio in tal senso fu senza dubbio
l’originale commistione di common law e diritto musulmano che
derivò dalla dominazione britannica in India, generalmente
conosciuto come Anglo-muhammadan law.
1.2.1 L’esperienza coloniale e il
Diritto Anglo-musulmano
Nei secoli diciannovesimo e ventesimo parte del mondo
musulmano finisce sotto dominazione straniera. L’Africa
occidentale è prevalentemente in mani francesi, la Libia viene
strappata dall’Italia agli Ottomani nel 1912, nel Medio Oriente
molti territori finiscono sotto protettorato con la dissoluzione
dell’Impero Ottomano.
18
L’ Africa nera è composta di colonie
francesi e inglesi e quest’ultimi controllano anche la Malesia nel
sud-est asiatico, zona nella quale sono presenti anche gli olandesi
che governano sull’Indonesia. In tutti questi luoghi la
colonizzazione non poteva non influire anche sul diritto, se pur in
varie forme ed entità. Spesso le potenze coloniali cercavano di
salvaguardare diritti e consuetudini locali e in particolare gli
ordinamenti della famiglia e dello statuto personale erano
fondamentalmente rispettati. La tendenza era di applicare ai sudditi
il loro proprio diritto, quando non contrastasse con norme di ordine
pubblico ritenute fondamentali dalle autorità dei paesi europei. Ciò
accadeva in genere per l’ordinamento penale ritenuto troppo
primitivo, ma anche per il diritto civile se lo si considerava
inadatto ai tempi moderni. Poteva anche accadere che il Diritto
islamico fosse maggiormente applicato o applicato con più rigidità
18
Iraq, Transgiordania e Palestina agli inglesi, Siria e Libano ai francesi. Nella penisola arabica venne formato il regno
dell’Arabia Saudita, mentre il resto del territorio, escludendo lo Yemen, fu sotto controllo inglese.
13
che in precedenza, a causa della mentalità “positivistica” dei
giuristi europei chiamati ad operare nelle colonie, i quali cercavano
una legge scritta e se la trovavano non supponevano che la pratica
potesse essere molto diversa. L’amministrazione della legge poteva
anche spettare ai tradizionali qadi
19
, sotto supervisione dei
governanti occidentali, - ciò che avveniva il più delle volte
nell’ambito del diritto di famiglia- oppure poteva essere
competenza di un giudice che veniva magari consigliato da esperti
di diritto musulmano. Si determinavano così delle
compenetrazioni e delle interferenze tra i differenti diritti: nel
migliore dei casi il diritto musulmano subiva delle modifiche nelle
mani di giuristi di formazione occidentale che, pur in buona fede,
lo interpretavano con le loro categorie, altrimenti vi erano vere e
proprie integrazioni, abrogazioni e soppressioni.
Il caso più interessante di interazione tra un sistema islamico
ed uno europeo è fornito dal subcontinente indiano dove il secolare
rapporto tra Shari’a e common law diede vita ad un peculiare
sistema che è stato appropriatamente chiamato “diritto Anglo-
musulmano”
In India fino al 1772,
20
la Shari’a regolava quasi tutto il
diritto, compreso quello penale e gli inglesi non sembrarono
inizialmente voler modificare questo stato di cose.
21
Tuttavia fin da
subito la giurisdizione del qadi passò ad un giudice inglese, che era
però dal qadi stesso consigliato
22
con il risultato che rispetto al
passato non c’erano grossi cambiamenti. Con l’andare del tempo
però il qadi assunse una funzione sempre più ornamentale
trasformandosi alla fine in una sorta di archivista di matrimoni.
Gli inglesi presero in effetti ad utilizzare “fedeli” indiani come
magistrati presso le corti secolari ma questi erano formati sulla
base della common law, dei suoi istituti e delle sue categorie. Il
19
Si tratta del tradizionale giudice musulmano.
20
vedi nota 17.
21
Ovviamente ciò corrispondeva ai loro interessi: i colonizzatori avevano soprattutto bisogno di pace sociale per poter
liberamente commerciare. Per questo era necessario non rompere con il passato in modo da non urtare la suscettibilità
religiosa dei musulmani indiani.
22
Questi consiglieri si chiamavano in realtà mawlawi
14
processo di anglicizzazione del diritto quindi non si fermò visto
che oramai i giudizi venivano tutti emessi da personale con
mentalità giuridica britannica.
Mentre così si modificava l’amministrazione della giustizia,
cominciavano anche le riforme del diritto sostanziale. Sulla scia
del grande positivista giuridico Jeremy Bentham, padre dell’idea di
codificazione, che aveva suggerito l’India come palestra delle sue
idee di codici, vennero redatte una serie di leggi e codificazioni nei
vari settori dell’ordinamento attraverso diverse commissioni
legislative. Si riformarono così vaste parti della legge tra cui il
diritto penale con il codice del 1860. Fondamentale fu poi la
giurisdizione di ultima istanza del Privy Council che contribuì,
anche attraverso la clausola inserita in statutes e regulations per
cui si doveva giudicare secondo “justice, equity and good
conscience” , ad anglicizzare il diritto indiano. Queste clausole
non potevano ovviamente che essere interpretate secondo il
significato che a Londra si dava loro, e più in generale un tale
tribunale, britannico al 100% aveva una tendenza insopprimibile a
giudicare alla luce del diritto inglese. Accadeva che le corti da un
lato, non avevano l’abitudine di attenersi strettamente a una
dottrina come era invece richiesto dal diritto islamico e nel dare un
giudizio formulavano spesso nuovi principi non in linea con le
teorie classiche, dall’altro sbagliavano frequentemente
nell’interpretazione della Legge sacra, considerata anche la
maggiore difficoltà nel trovare le disposizioni rilevanti rispetto al
diritto inglese.
Uno degli esempi più clamorosi di errata interpretazione di
diritto sciaraitico riguarda i wakf , le fondazioni pie dell’Islam. Nel
caso Abu Fata v. Russomoy (1894) una Indian High Court
invalidò un wakf i cui beneficiari dovevano essere i familiari del
fondatore generazione dopo generazione, e poi, in ordine, vedove,
orfani, mendicanti e poveri. La corte sostenne, sulla base del
concetto inglese di carità, che la categoria dei poveri era stata
inserita per legittimare una fondazione che era destinata a non
15
assumere mai un aspetto di caritatevolezza, essendo il dono agli
indigenti del tutto illusorio per quanto remoto e improbabile. In
appello la decisione fu confermata dal Privy Council.. La pietà
della fondazione sta però, secondo tutti i giuristi classici,
unicamente nell’immobilizzazione del patrimonio il cui unico
proprietario diviene così Dio, senza che sia poi necessario un
effettivo fine di beneficenza. La corte giustappose la sua
interpretazione a quella classica
23
, trattando la Shari’a come
avrebbe trattato qualsiasi legge approvata a Westminster, e questo
nonostante le solenni dichiarazioni di aderenza al principio del
taqlid che venivano spesso espresse dalla giurisprudenza del Privy
Council
.
La Shari’a in India mutò così radicalmente la propria natura e
il proprio carattere: ne divenne parte la teoria dello stare decisis
ben diversa dal taqlid, furono applicati alla sua base i principi del
diritto inglese, che niente hanno a che fare con quelli sciaraitici,
giudici non musulmani decisero casi, il che non sarebbe stato
lecito, e lo fecero a volte anche contro le sue stesse ingiunzioni.
Le norme venivano infine spesso male interpretate e naturalmente
l’educazione legale cessò di essere islamica, con conseguenze che
naturalmente si fecero sempre più sentire nel tempo.
Fu così che, come scrive Joseph Schacht “ il diritto
musulmano nell’ India britannica finì col formare un sistema
giuridico indipendente , sostanzialmente diverso dal rigido diritto
musulmano della Shari’a ”
24
, un sistema ibrido che sarebbe poi
confluito negli ordinamenti degli stati indipendenti di India e
Pakistan. L’ultimo atto del diritto anglo-musulmano nel
subcontinente fu lo Shari’a Act del 1937 che tolse vigore alle
consuetudini locali imponendo la Shari’a come modificata dalle
leggi e dalla giurisprudenza anglo-musulmana.
23
La comunità musulmana non accettò però tale interpretazione del wakf , troppo importante nella coscienza dei fedeli e
gli inglesi furono costretti ad emanare il Musalman Wakf Validating Act (1913) che ripristinò la situazione preesistente
alla sentenza.
24
Schacht, Introduzione pg 103
16
Come detto il metodo utilizzato per riformare il diritto islamico
in India fu assai diverso da quello adottato in Medio Oriente dove
si cercò di preservare la Shari’a nella purezza, almeno
formalmente. Una simile commistione di diritto musulmano e
diritto coloniale la si ebbe però anche in Algeria dove si venne a
creare un altro sistema ibrido che fu poi chiamato diritto
musulmano-algerino (droit musulman-algerién). Gli esiti furono in
questo caso di minore portata ma anche qui in gran parte dovuti
all’opera della giurisprudenza e in particolare a quella della
Chambre de révision musulmane attraverso i precedenti francesi.
La giurisprudenza ritenne infatti di dover modificare
l’interpretazione del diritto musulmano ogni qual volta questo non
coincidesse con alcuni canoni considerati fondamentali dagli
occidentali. I cambiamenti legislativi furono invece di scarsa
portata, mentre decisamente più rilevante fu la dottrina, che
esercitava influsso sulle decisioni dei tribunali. Da non
sottovalutare anche l’importanza pratica che ebbe il progetto, mai
entrato in vigore, di codice di diritto musulmano-algerino redatto
dal giurista Marcel Morand.
25
In altre zone come Marocco, Tunisia e Nigeria
26
il diritto
musulmano rimase invece sostanzialmente intatto, principalmente
a causa della forma di protettorato che il dominio coloniale assunse
in quei paesi. In Marocco e Tunisia continuarono a funzionare i
qadi, e rimase una distinzione di giurisdizione simile a quella
precedentemente esistente tra qadi e mazalim. In Tunisia fu in
effetti tentata un’operazione simile a quella effettuata dai turchi
con la Megelle. Venne infatti compilato un codice di diritto civile
musulmano, il Code Santillana. Parte di esso entrò in vigore nel
1906 come Codice dei contratti e delle obbligazioni tunisino. In
Nigeria l’unico limite imposto al diritto musulmano fu costituito
dal divieto di applicazione di alcune delle pene coraniche
27
che i
25
Schacht, Introduzione cap 1
26
Marocco e Tunisia furono colonie francesi, la Nigeria inglese. Quest’ultima peraltro era ed è musulmana solo nel
nord.
27
Vedi infra cap.2
17
colonizzatori consideravano contrarie alla civiltà. Nella Palestina
sotto mandato britannico rimasero invece in vigore le riforme
ottomane.
28
1.2.2 Metodologia delle riforme
Contemporaneamente allo sviluppo del diritto anglo-
musulmano, nel resto del mondo islamico le riforme venivano
intraprese con tecniche molto diverse. In generale non si voleva
“sporcare” la Shari’a, la si voleva mantenere integra a costo di
farla rimanere sui libri di testo, nel regno dell’irrilevanza pratica.
Naturalmente c’era bisogno di un diritto nuovo, che si adattasse
all’evoluzione dei tempi, e i primi ad avvertirne l’esigenza furono,
come accennato, i turchi, i quali sotto l’influsso culturale europeo
stavano intraprendendo un ampio sforzo di riforma che venne
chiamato Tanzimat.. Il bisogno era chiaramente avvertito in
misura maggiore in quei settori che si ritenevano più arretrati e
quindi ovviamente il diritto pubblico (penale e costituzionale) e il
diritto dei commerci e delle transazioni. In una prima fase si ebbe
una sostanziale recezione di diritto europeo, soprattutto francese e
in questo modo furono promulgati il Codice del Commercio(1850),
il Codice Penale(1858), il Codice di Procedura Commerciale
(1861) e il Codice del Commercio Marittimo. Quando però si trattò
di emanare un Codice Civile la scelta fu differente: anziché
utilizzare norme straniere si decise di codificare principi sciaraitici
selezionando opinioni provenienti dalla scuola hanafita. Il codice,
la Megelle, redatta fra il 1869 e il 1876, fu di straordinaria
importanza sia perché era la prima codificazione della Legge sacra,
sia per l’appunto perché il materiale non era costituito solo dalle
dottrine prevalenti in quella scuola seguita al tempo in Turchia,
ma anche da principi che erano semplicemente stati riconosciuti da
28
Interessante notare che la legislazione ottomana è stata a lungo in vigore nello stato di Israele.