Introduzione
Fin dalla sua nascita la televisione ha tendenzialmente scelto di affidare i programmi più
autorevoli a figure maschili, lasciando alle donne la partecipazione e la conduzione di
trasmissioni più leggere dove potessero raccontare il loro privato. Arrivati nel
ventunesimo secolo, nell’era più attenta e sensibile alla parità di dignità dei sessi, è
lecito chiedersi se questa tendenza non sia mutata. E’ possibile proporre una
rappresentazione privata della donna senza cadere nei cliché di genere che la dipingono
frivola nelle trasmissioni leggere della trash TV e massaia nei programmi
implicitamente e tacitamente riservati unicamente alla visione di donne? Vi sono oggi
programmi che parlino di donne e che possano interessare indistintamente un pubblico
sia maschile che femminile? Come vengono trattati i personaggi femminili protagonisti
di programmi tv culturali e documentari? La loro vita può essere indagata sul fronte
privato o se non si predilige la loro rappresentazione pubblica il loro ruolo perde di
credibilità e spessore? Per rispondere a queste domande e capire come la figura
femminile venga trattata dai programmi televisivi italiani, prenderò in esame quattro
trasmissioni che hanno affrontato il tema della donna rappresentandola sia nella sua
sfera privata che in quella pubblica.
In aggiunta alle considerazioni che si andranno successivamente a sviluppare, è
interessante osservare come negli ultimi anni i contenuti dei programmi televisivi si
siano evoluti su due fronti contrapposti e paralleli: da una parte vi è un incremento delle
trasmissioni che trattano temi tradizionalmente femminili, come per esempio la cucina,
condotti da uomini (se una volta l’emblema del programma di cucina era rappresentato
da “La prova del cuoco” di Antonella Clerici oggi possiamo annoverare nella lista anche
protagonisti maschili come Cannavacciulo, Borghese o gli chef di Masterchef);
dall’altro lato sono aumentate le figure maschili anche nella trash TV (domina ancora la
rappresentazione frivola della donna immagine che però in programmi come “L’isola
dei famosi” o “Uomini e Donne” è affiancata da uomini rappresentati in modo
altrettanto superficiale). Dunque mentre da una parte sono stati superati alcuni cliché
che vedevano unicamente la donna come regina della cucina e del focolare, unica
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addetta alla cura della famiglia e della casa, su un altro fronte la TV è diventata in
qualche modo sessista anche nei confronti degli uomini, fornendoci la rappresentazione
di bell’imbusti impomatati ad affiancare l’immagine tipica della velina. Un
appianamento di ruoli su due fronti: sul primo costruttivo, sul secondo distruttivo. Non
sono più solo le donne a doversi occupare della casa: anche l’uomo in quest’era alla
ricerca di parità deve contribuire alla cura della sua famiglia ed alla cucina; e come le
veline per anni sono state contrapposte all’immagine della donna “regina del focolare”,
oggi gli uomini impegnati trovano il loro alter ego nei tronisti (forse più vanitosi e
frivoli di quanto una donna non sia mai stata rappresentata) della trash TV.
Passiamo ora all’analisi dei quattro programmi televisivi presi in esame.
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Cap. I – Quattro programmi
1.1 Le ragazze del Sessantotto
Le ragazze del Sessantotto è un programma documentario ideato da Cristiana
Mastropietro, Riccardo Mastropietro e Giulio Testa e diretto da Michele Imperio ed
Aldo Iuliano, mandato in onda su Rai 3. I fratelli Mastropietro e Giulio Testa sono
rispettivamente il capo creativo, l’art director ed il responsabile di post-produzione della
casa di produzione indipendente Pesci Combattenti. Ai tre soci viene riconosciuto il
merito di “portare un raffinato stile cinematografico in tv e a raccontare storie dense con
una leggerezza affascinante e coinvolgente, che rende ogni personaggio tridimensionale,
persino sullo schermo 'piatto' della televisione”. Sono queste le parole usate dalla
giornalista Giorgia Iovane nel suo articolo su Blogo
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, e ben descrivono il carattere di
una società di produzione considerata innovativa nel panorama produttivo
internazionale.
Le protagoniste della mini serie documentaria sono dodici donne che nel 1968 vissero in
prima persona, da ventenni, gli anni della contestazione in Italia ed il radicale
cambiamento del ruolo femminile nella società. Donne che si raccontano, che
raccontano di altre donne, ma che ci fanno anche assaporare il clima di un’epoca storica
che investì con tutta la sua irruenza l’intero Occidente, dagli Stati Uniti all’Europa.
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1 G. Iovane, Pesci combattenti: intervista a Cristiana Mastropietro,
http://www.tvblog.it/post/1303736/unti-e-bisunti-pesci-combattenti-intervista-a-cristiana-
mastropietro, 24 maggio 2016
A sessant’anni esatti dal Movimento del Sessantotto, viene prodotta una seconda
stagione de Le ragazze del Sessantotto, che vede ancora protagoniste altre dodici donne
ma ancora più diverse tra loro, nel carattere, negli interessi, negli intenti, nella loro
personale esperienza di rivoluzione. Scopriremo appunto che quello di “rivoluzione” è
un concetto molto relativo che non si china per farsi ingabbiare in rigide definizioni
storiche: ciascuna delle dodici donne vivrà il cambiamento a suo modo, ed ognuna
ricorderà gli anni della contestazione sotto la propria prospettiva, in base a quelle che
furono le sue fragilità e paure, ma anche in relazione alla dose di coraggio che esse
sfoderarono di fronte alla rivoluzione culturale che si aprì davanti ai loro occhi. Le
puntate vengono organizzate come interviste doppie, ma l’impostazione è in realtà
molto libera e sciolta da schemi: le donne protagoniste parlano a ruota libera, senza che
gli vengano poste domande, ma rievocando ricordi tramite fotografie d’epoca e ritagli di
giornale. In ciascuna puntata ritroviamo come personaggi una donna “sconosciuta”
affiancata da una nota al grande pubblico. Il contesto dei racconti è quello delle
contestazioni studentesche, degli scioperi operai, delle manifestazioni di piazza: in
quello scenario prendono parola, per la prima volta, ragazze e donne che non vogliono
più essere costrette nei loro limitanti ruoli di moglie e madre. Le puntate del programma
sono sei, ed in ciascuna viene indagata la vita di due donne che vissero gli anni delle
contestazioni: due figure in antitesi, con storie e vissuti differenti, diverse estrazione
sociale, istruzione e provenienza, che si trovarono a condividere un’epoca storica che le
chiamò a prendere consapevolezza di se stesse e del loro ruolo all’interno della società.
Per capire ciò di cui parla il
programma e com’è
strutturato, ho preso come
esempio la puntata numero
due della seconda stagione
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,
che ben evidenzia le
sfaccettature opposte delle
due protagoniste. Ritengo la
puntata in questione molto
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2 https://www.raiplay.it/video/2018/01/Le-ragazze-del-68-7761ff9c-ea61-4833-87ce-
d1a8f3dac670.html
significativa perché in qualche modo rappresenta i due casi opposti di cui voglio
parlare: la rappresentazione di una donna più “pubblica”, impegnata e quella di una
donna più “privata”, al di fuori della dimensione sociale. Sebbene i due tipi di
rappresentazione che le due donne forniscono di loro stesse siano divergenti, non ce n’è
una delle due che metta in ombra l’altra: entrambe mantengono la loro dignità e la loro
forza comunicativa. L’ipotesi che si vorrà andare infine a dimostrare è proprio questa:
che non esiste una forma di rappresentazione “superiore” rispetto ad un’altra, che il
racconto di una donna dal punto di vista “privato” non è inferiore o di minore qualità
rispetto al racconto di una donna vista da una prospettiva “pubblica”. Questo il motivo
per cui ho scelto di prendere in esame questa puntata de “Le ragazze del Sessantotto”
piuttosto che altre, altrettanto interessanti ma rappresentative di profili di donne meno
nettamente opposte. In questa puntata Lidia Ravera, scrittrice femminista ed autrice del
noto romanzo “Porci con le ali”, ed Anna Zamboni, ex Miss Italia nell’edizione del
1969, ci raccontano le loro vite. Lidia nel 1968 è una ragazza di diciassette anni, ma
racconta di aver individuato il suo punto di rottura con la bigotta società tradizionale già
qualche anno prima, al momento della fuga di casa della sorella, scoperta ad avere
rapporti sessuali con il fidanzato e per questo biasimata dai genitori. Lidia decide di
coprire la fuga della sorella, ed in quel momento prende consapevolezza del tipo di
donna che avrebbe voluto diventare e per la quale si sarebbe voluta battere. Diventata
adulta, si rende conto di come la sua personale rivoluzione sia stata proprio quella scelta
di complicità: “La ribellione fondativa del mio Sessantotto avviene qualche anno prima
del Sessantotto, avevo forse quattordici anni […] Mia sorella è entrata in bagno, tutta
vestita bene, con le sue cose più carine, e mi ha detto “Me ne vado” […] Io ho visto la
disperazione dei miei genitori per questa ragazzina diciassettenne che non tornava… e
non ho parlato. […] Ho scelto il gruppo dei pari,ho scelto mia sorella contro i miei
genitori, e quello per me è stato il mio Sessantotto”. Negli anni del Liceo tiene i suoi
primi seminari intitolati “I figli contro i genitori” individuando il tema cardine di tutta la
sua futura produzione letteraria, ed inizia ad abbracciare la filosofia della contestazione
studentesca sessantottina: occupazioni, manifestazioni, uso di droghe leggere, scontri
con le autorità. Ecco dunque come quella che abbiamo prima definito la “sua personale
rivoluzione” ha tracciato i solchi dell’ideologia dell’autrice: Lidia definisce “sciatteria”
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