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Marco Polo brevemente ci indica la materia con cui venivano prodotte le
banconote riferendosi alla particolare qualità di fibra vegetale impiegata al tempo
dell’imperatore Kubilay Khan e che era senz’altro più pregiata rispetto a quelle già
in uso per la carta comune
3
.
Fino al VII secolo la tecnica di produzione della carta fu tenuta gelosamente
nascosta dagli imperatori cinesi, dal VIII secolo le tecniche si diffusero dapprima in
Corea e successivamente in Giappone ed in Occidente.
Nel 751 durante la battaglia del Turkestan, gli arabi fecero prigionieri alcuni cinesi
che insegnarono loro la fabbricazione della carta, di conseguenza questa si diffuse
in tutti i territori arabi da Samarcanda a Bagdad, a Damasco e a Fez in Marocco.
Nel XII secolo gli arabi la introdussero nei territori europei sotto il loro dominio in
particolare in Spagna a Jativa (dove sorse la prima cartiera europea) e in Italia a
Palermo. Nel XIII secolo Fabriano divenne il centro di fabbricazione che per primo
impiegò maestranze locali; dall’Italia la produzione passò poi in tutta Europa in
particolare in Francia (XIV secolo), nei Paesi Bassi (XV secolo) ed in Inghilterra
(XV secolo) dove, nel XIX secolo, lo sviluppo fu particolarmente avvantaggiato
dalla disponibilità di ingenti capitali e da un basso prezzo del combustibile
necessario per la produzione
4
. (Fig. 2)
Fig. 2 - Il viaggio della carta
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C. G. Castagnari, N. Lipparoni, U Manucci, L’arte della carta a Fabriano, pag.17, Fabriano 1996
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Enrico Pedemonte, Elisabetta Princi, Silvia Vicini, Storia della produzione della carta, in La
chimica e l’industria, anno 87, ottobre 2005, pag. 63
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La prima tecnica escogitata da Ts’ai Lun prevedeva di immergere nell’impasto,
preparato con stracci, fibre di lino, scorze di albero, detriti di canapa e bambù
immersi nell’acqua e pestati, un piccolo telaio di bambù su cui era steso un pezzo
di stoffa in modo tale che l’impasto si depositava sul fondo ed una volta asciugato
formava il foglio di carta. Con questa tecnica era necessario che il foglio si
asciugasse direttamente sul telaio di conseguenza la produzione di fogli di carta
richiedeva un lungo periodo di lavorazione; in seguito un artigiano fabbricò un
telaio da cui si potesse levare il foglio ancora umido in modo da produrre un nuovo
foglio e velocizzare la produzione. Col passare del tempo all’impasto vennero
aggiunti dei collanti, per esempio colle estratte dal gelso, in modo da evitare che
l’inchiostro si spandesse su tutto il foglio.
Gli arabi perfezionarono le tecniche cinesi sia nella composizione del materiale sia
nei processi di fabbricazione. Grazie alle loro conoscenze idrauliche utilizzarono
mulini per effettuare la triturazione delle materie fibrose e come collante
introdussero l’amido vegetale. (Fig. 3)
Fig. 3 - La lavorazione della carta presso gli Arabi
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L’interesse islamico per la manifattura della carta coincide con la stabilizzazione e
la razionalizzazione dell’amministrazione abasside (arabizzazione delle scritture,
suddivisione del territorio in tante regioni militari, urbanizzazione e sviluppo di una
forte burocrazia).
Tale interesse è suggerito dalla convinzione che la carta è superiore al papiro,
precedentemente usato dall’amministrazione araba. Siamo di fronte ad un caso di
sostituzione: dal 900 d.C la carta sostituisce il papiro. La carta è più facile da
produrre, usare e trasportare. Come conseguenza di ciò, l’impulso dato dagli arabi
verso le scoperte scientifiche si riflette in una elevata produzione di carta
5
.
Quando i paesi europei, soprattutto Spagna e Italia, vennero a conoscenza delle
tecniche di fabbricazione introdussero, nel giro di due secoli, sostanziali
innovazioni che migliorarono nettamente la qualità della carta: una nuova forma o
telaio con vergelle metalliche fornito di una cornice che permetteva all’operaio di
togliere il foglio subito dopo che si era formato, la collatura con gelatina animale
che conferiva migliori caratteristiche meccaniche e di scrivibilità, sostituendo
l’amido vegetale usato dagli arabi che provocava la formazione di muffe e per
ultimo introdussero la filigrana, diversa per ogni cartiera e permetteva di
riconoscere il luogo di fabbricazione della carta.
Già attorno ai primi decenni del Duecento si inizia a parlare di carta italiana, ma il
passaggio da pergamena a carta avviene in un epoca precisa. Il passaggio
avviene con la stagione dei liberi comuni, quando la memoria collettiva passa dalla
Chiesa ai grandi centri monastici e dalla corte imperiale a centinaia di nuovi centri.
Si amplia il tessuto delle relazioni tra privati che ha il suo principale riscontro nel
contratto privato di cui sono testimonianza numerosi rogiti e minutari notarili. La
nuova vita della città medievale è fatta subito di letteratura e su tutto spicca la
nuova realtà mercantile. La carta è la migliore espressione del commercio: è
comunicazione e archivio aziendale.
Accompagna facilmente il commerciante dalla bottega alla fiera, al molo dove
giungono le navi, al suo banco di lavoro
6
. L’impulso nella produzione di carta è
ovvia conseguenza di tutto ciò.
5
M. Calegari, G. Castagnari, G. Derenzini, R: Grègoire, N. Lipparoni, M. Oldoni, Contributi italiani
alla diffusione della carta in Occidente tra XIV e XV secolo, pag. 20, Roma 1990,
6
M. Calegari, G. Castagnari, G. Derenzini, R: Grègoire, N. Lipparoni, M. Oldoni, Contributi italiani
alla diffusione della carta in Occidente tra XIV e XV secolo, pp. 21,22, Roma 1990,
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In Italia, Fabriano fu senza dubbio il centro più importante di produzione della
carta, tanto da considerarne la capitale, anche se la produzione si diffuse in tutta
la penisola e per duecento anni circa la carta italiana dominò il mercato europeo
sostituendosi di fatto alla Spagna e a Damasco.
Il successo della produzione italiana si può certamente attribuire ad una migliore
qualità e ai commercianti genovesi, lombardi, toscani e veneziani che grazie ai
loro commerci portarono la carta italiana ovunque.
Le materie prime usate nell’industria della carta erano di origine vegetale come
stracci di lino, cotone o canapa soprattutto bianchi o leggermente colorati.
Gli stracci venivano raccolti e puliti dai cenciaioli che li depositavano in appositi
magazzini all’interno delle città dove si rifornivano i cartai. Nella cartiera si
preparava la pasta da cui si sarebbe formato il foglio di carta.
In una prima fase gli stracci venivano sbattuti e lavati per eliminare polvere e
tracce di fango dopodiché venivano tagliati in piccole strisce. (Fig. 4)
Fig. 4 - I Cenciaioli mentre tagliano e pestano gli stracci
Successivamente venivano sottoposti ad un lavaggio preventivo, la lisciviazione,
realizzato prima con acqua calda e in seguito con calce o soda per sgrassare il
tessuto; a questa prima fase seguiva la fermentazione nel marcitoio
7
.
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Enrico Pedemonte, Elisabetta Princi, Silvia Vicini, Storia della produzione della carta, in La
chimica e l’industria, anno 87, ottobre 2005, pag. 64
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Il passo successivo era la sfibratura, ovvero la separazione delle singole fibre che
venivano stemperarte con acqua, la pasta così ottenuta prendeva il nome di
“pesto”
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.
Presso gli arabi, la sfibratura era realizzata in vasche di legno o pietra denominate
“pile”, con pestelli chiodati di legno detti “magli” azionati a mano; solo nel XIII
secolo nelle cartiere fabrianesi venne adottata la ruota idraulica per azionare i
magli per la sfibratura.
Con questa tecnica la sfibratura veniva fatta in 20/40 ore e la resa in cellulosa era
del 70%
9
.
Nella seconda metà del XV secolo con la nuova tecnica di stampa a caratteri
mobili (1450 Guttemberg) la carta assume il ruolo di strumento e di veicolo
insostituibile per la diffusione della cultura e dell’informazione soppiantando
definitivamente tutti gli altri supporti scrittori
10
.
Dopo l’invenzione della stampa si ebbe una richiesta sempre maggiore di carta;
tale richiesta fu così determinante e pressante che portò, nel corso dei secoli, da
una parte all’ottimizzazione del processo principalmente dal punto di vista della
velocità di produzione e del minor costo, dall’altro alla ricerca di materiali fibrosi
diversi dallo straccio.
Nel 1680 fu introdotta la “pila olandese” o “pila a cilindro”, costituita da una vasca
in pietra in cui era fatto ruotare un cilindro di legno ricoperto di lame d’acciaio
sporgenti, con questa nuova tecnica il tempo per la sfibratura si era ridotto a sole 2
ore, la resa in cellulosa era salita al 95%, ma a causa della sfibratura più spinta si
ottenevano fibre più corte si otteneva una carta di qualità peggiore.
Con la scoperta del cloro, avvenuta nel 1774 ad opera di Scheele, il composto fu
dapprima impiegato per lo sbiancamento dei tessuti (Bertholet, 1789), poi nel 1798
il cloro gassoso o il cloruro di calcio vennero impiegati per la sbiancatura del
pesto, proveniente da stracci colorati, seguiva un lavaggio con una soluzione di
solfito di sodio (sostituito in seguito da iposolfito o bisolfito di sodio), e una
raffinazione eseguita nella “pila raffinatrice”, simile alla pila olandese ma in cui il
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Enrico Pedemonte, Elisabetta Princi, Silvia Vicini, Storia della produzione della carta, in La
chimica e l’industria, anno 87, ottobre 2005, pag. 64
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Enrico Pedemonte, Elisabetta Princi, Silvia Vicini, Storia della produzione della carta, in La
chimica e l’industria, anno 87, ottobre 2005, pag. 64
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C. G. Castagnari, N. Lipparoni, U Manucci, L’arte della carta a Fabriano , pag. 23, Fabriano 1996