2
INTRODUZIONE
Aspetti tecnici della colonna sonora in relazione all’immagine filmica
Timothy William Burton, meglio noto come Tim Burton è un regista il cui immaginario
spazia tra l’horror-gotico e l’infantile, un adulto con visioni infantili - spesso si
dovrebbe parlare di “incubi” infantili - che trovano sempre realizzazione nei suoi film.
È proprio nel suo cinema che si scopre, attraverso i personaggi, i luoghi e la musica uno
stretto legame con la sua infanzia trascorsa a Burbank, in California, dove il regista
amava giocare nel cimitero della cittadina piuttosto che con gli altri bambini. Prima di
iniziare a esplorare il film “The nightmare Before Christmas”, che di questa tesi sarà il
nucleo centrale, dedico questa prima parte all’analisi di quelli che sono gli aspetti
tecnici alla base del rapporto tra immagine e suono, prestando particolare attenzione ai
meccanismi sinestetici che si pongono all’origine di tale rapporto.
La colonna sonora nel cinema ha il potere di arricchire l'immagine, di fondersi con essa,
generando quello che Michel Chion (studioso di ciò che lui stesso ha definito
“audiovisione”, con lo scopo di evidenziare come colonna sonora e film entrino in
stretto rapporto tra loro) definisce valore aggiunto: il valore espressivo e informativo di
cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione
immediata che se ne ha o nel ricordo che se ne conserva, che quell’informazione o
quell’espressione derivino “naturalmente” da ciò che si vede, e siano già contenute nella
semplice immagine
1
.
Sebbene agli inizi del cinema la musica fosse spesso assente o usata come
accompagnamento musicale di sottofondo (nei film muti alla musica era frequentemente
affidato il ruolo di punteggiatura sonora
2
), studi e innovazioni tecnologiche hanno dato
largo spazio a questa componente che, se non indispensabile per la realizzazione di un
film, si è comunque imposta in modo imprescindibile nel cinema per il suo altissimo
potere emotivo e di supporto all’immagine.
1
Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, [Torino], Lindau Editore (pp. 14-15)
2
Cfr. p. 5, punteggiatura sonora
3
Gli sperimentalismi dell’Avanguardia europea
3
di inizio ‘900 hanno spinto verso una
maggiore attenzione e valorizzazione del suono, producendo quella che poi sarà definita
musica visiva: film astratti materializzati realizzando un fotogramma per ogni singola
variazione delle composizioni, rispettando così la metrica delle stesse. “Diagonale
Simphonie” di Viking Eggeling o “Le Ballet Mécanique” di Fernand Léger sono solo
alcuni esempi che, per quanto a una fase ancora emergente, costituiranno la radice del
cinema sonoro
4
.
Nonostante questi primi sviluppi il suono rimane tuttavia in ombra, anche se i modi di
usare questo elemento nel cinema – e in particolare i modi di accostarlo all’immagine –
diventeranno, nel tempo, numerosi e capaci di creare straordinarie possibilità di fusione
tra sfere sensoriali. Per questo motivo anche in riferimento al cinema si può parlare di
sinestesia
5
, poiché ancor più in quest’ambito tale figura retorica rappresenta l’unione tra
due diversi livelli sensoriali: vista e udito.
Gli studi sul funzionamento dei rapporti sinestetici che intercorrono tra vista e udito
hanno origini storiche che vedono coinvolte, tra le altre scienze, la medicina, la
psicologia, la matematica e la linguistica.
I molti studi di psicologia infantile tentano di definire, in particolare con il concetto di
percezioni amodali, il meccanismo che sta alla base dell’interscambio sensoriale,
riscontrando nel bambino una capacità innata di ricevere un’informazione in una
modalità sensoriale e di tradurla in un’altra modalità sensoriale. Tale capacità tende ad
attenuarsi fino a scomparire con lo sviluppo del bambino, perché bloccata dal pensiero
verbale.
E’ stato inoltre rilevato come la musica, forse più delle altre arti, sia capace di evocare
stati emozionali contemplativi di natura riconducibile alla capacità dell’interscambio
sensoriale.
3
Movimento artistico risalente al primo ‘900 che coinvolse cubismo e futurismo. Gli artisti di questo
periodo percepivano il movimento come elemento estetico basilare delle loro opere, allo scopo di
riprodurre il rapporto tra uomo e natura.
4
Giulio Latini, L’immagine sonora. Caratteri essenziali del suono cinematografico, [Roma], Editoriale
Artemide (p. 41)
5
Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine, racconto, [Roma], Gremese Editore (pp. 40-
50)
4
Alla linguistica si deve invece la nozione di fonosimbolismo sinestetico, secondo la
quale il suono evoca caratteristiche dei designati pertinenti ad altre modalità sensoriali.
Ad esempio l’abbinamento tra un suono grave e un colore scuro.
Le teorie attualmente più accreditate descrivono il cervello come un organo capace di
tenere in legame i diversi sistemi sensoriali. Tale capacità è però spesso latente, per
riemergere solo in particolari condizioni mentali.
Gli elementi del suono più rilevanti nell’indurre fenomeni sinestetici sono l’acuità-
gravità del suono, l’intensità, il timbro e la frequenza.
Il legame tra vista e udito può inoltre variare in relazione alle necessità filmiche. Ciò
significa che ad una scena può corrispondere una musica che riproduce le sensazioni
comunicate dalla stessa (musica empatica), oppure una musica totalmente indifferente
alla scena (musica anaempatica), che in alcuni casi ha l’effetto di moltiplicare
l’emozione. Ad esempio nei film di genere horror si ricorre spesso all’uso di strumenti
musicali come celesta, carillon o glass harmonica (strumenti con timbri esili e luminosi)
abbinati a immagini che trasmettono sensazioni opposte. Un esempio concreto dell’uso
anaempatico della musica emerge nel noto film “Arancia Meccanica” (del 1971) di
Stanley Kubrik, in cui lo spettatore è spinto a mantenersi in un punto di vista esterno,
senza immedesimarsi nei personaggi come accade generalmente nei film; si parla in
proposito di “effetto Kubrik”.
I suoni utilizzati nella realizzazione di una colonna sonora possono essere analizzati dal
punto di vista del loro rapporto con il contenuto del quadro visivo (l’immagine); tre
sono i casi: quando la sorgente del suono è invisibile allo spettatore ci si trova di fronte
ad un suono fuori campo. Diversamente, ad esempio durante una scena western dove si
vede un pianista suonare un rag-time in un saloon, la fonte sonora è visualizzata e si può
dunque parlare di suono in campo. La terza posizione dalla quale un suono può essere
percepito dallo spettatore viene definita off, quando cioè la sorgente sonora è assente
dall’immagine e parallelamente si situa in un tempo diverso da quello rappresentato. E’
dunque fondamentale anche la diversificazione di Cristina Cano tra musica diegetica (o
musica in scena), ossia proveniente da una fonte interna all’universo fittizio abitato dai
personaggi, e musica extradiegetica (o musica fuori scena), ossia musica che, come la
5
voce narrante, viene percepita solo dagli spettatori
6
. Le tre posizioni “in-fuori-off” sono
gli elementi base tramite i quali Michel Chion compone il suo tricerchio
7
; le zone “fuori
campo” e “off” si definiscono acusmatiche in quanto non permettono l’individuazione
della fonte. La zona “in campo” si definisce invece visualizzata in quanto riconoscibile
all’interno del quadro visivo.
Un altro concetto che emerge dall’analisi di una musica per film è quello di
punteggiatura sonora
8
, con la quale s’intende l’accentuazione dell’immagine filmica
ottenuta sfruttando suoni e rumori inseriti in sincronia con i momenti salienti del film,
cercando i possibili punti di sincronizzazione. Tale pratica era molto frequente nel
cinema muto, affidata spesso agli attori e all’inserimento, all’interno del quadro visivo,
dei classici cartelli che, oltre alle funzioni di narrare e fare il punto della situazione
della scena, avevano il compito di scandire ritmicamente il film.
Il suono sincrono ha dunque portato nel cinema un mezzo capace di introdurre la
punteggiatura senza demandarla alla recitazione degli attori.
Parlando di colonna sonora è inoltre fondamentale evidenziare come nel cinema questa
si componga di tutto ciò che sia fonte di emissione acustica: la parola (le stesse voci
degli attori), i rumori (curati rispettivamente dal boom operator se si tratta di rumori
concreti, e dal sound designer nel caso di suoni elettronici), i suoni elettronici
compositivi (che nascono dalla collaborazione tra sound designer e musicista) e la
musica stessa, da intendersi come “tappeto sonoro” (realizzata dal compositore). Anche
la Cano fornisce una categorizzazione degli elementi che compongono il sonoro: suoni,
legati all’uso del linguaggio verbale; rumori, legati alla manipolazione degli oggetti;
musica, cioè il sonoro dotato di un grado, sia pur minimo, d’organizzazione e di altezza
definita
9
.
Altro elemento indispensabile nella realizzazione di una colonna sonora è il silenzio,
capace di generare attesa, calma e riflessione. Non va tuttavia inteso come totale
assenza di suono (il risultato apparirebbe come un’interruzione tecnica, pratica
6
Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine, racconto, [Roma], Gremese Editore (p. 7)
7
Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, [Torino], Lindau Editore (p. 76)
8
Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, [Torino], Lindau Editore (pp. 14-15)
9
Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine, racconto, [Roma], Gremese Editore (p. 7)
6
raramente usata nel cinema), ma piuttosto come sottrazione di suoni. Il silenzio è
prodotto cioè dal contrasto tra ciò che si è sentito prima e ciò che si sentirà poi
10
.
I rumori sono rimasti a lungo in ombra, in particolare durante i primi anni di
sperimentazione filmica, a causa dell’impossibilità di controllare separatamente il loro
volume, che spesso tendeva a contrastare il resto della colonna sonora e in particolare le
voci dei parlanti. Grazie al dolby si è potuto dedicare una singola traccia ai rumori,
restituendo perciò spazio al rumore, offrendo numerose possibilità di innovazione.
“The Nightmare Before Christmas” è uno dei film di Tim Burton dove la colonna
sonora ha il ruolo più importante in quanto, essendo questa pellicola un musical, ad essa
è affidata non solo la funzione di tappeto sonoro, ma anche la narrazione dei
protagonisti.
11
L’idea di realizzare il film nasce nel 1982 da Tim Burton che, dopo aver portato a
compimento “Vincent”, il suo primo cortometraggio in stop motion, decise di
intraprendere un percorso più vasto con l’intenzione di realizzare un lungometraggio
utilizzando la stessa tecnica d’animazione. Poiché la Disney, per la quale il regista
lavorava, in quel periodo era più propensa a realizzare un film a disegni animati, Burton
fu costretto ad abbandonare, o meglio, accantonare il suo progetto. Nel 1992 la Disney
decise di riprendere il progetto (più precisamente la Touchstone Pictures, porzione della
Disney dedita alla produzione di film destinati a un pubblico più adulto). In questo
periodo Burton era già impegnato con la realizzazione di “Batman Returns”; per questo
motivo la regia fu affidata a Henry Selick. Un’ulteriore collaborazione al film fu fornita
da Caroline Thompson, già artefice della sceneggiatura di “Edward mani di forbice”.
“The Nightmare Before Christmas” nasce dunque grazie al contributo di diversi artisti e
nonostante la regia derivasse esclusivamente dal lavoro di Henry Selick, quest’opera
appare come una sorta di manifesto della poetica di Tim Burton
12
.
10
Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, [Torino], Lindau Editore (p. 60)
11
Altre esperienze simili si trovano, tra i suoi film, in La Sposa Cadavere (2006) e Sweeney Todd (2008).
12
Mauro Di Donato, Tim Burton. Visioni di confine, [Roma], Bulzoni Editore, (1999), (p. 124)