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rilevanza per la vita alpina, come turismo, in primo luogo, ma anche agricoltura e
allevamento, l’anima stessa della montagna, le sue tradizioni, sono a rischio di
compromissione, a causa di una gestione troppo incentrata sulla quantità.
I valichi, concepiti per superare l’ostacolo della montagna nelle relazioni con l’esterno,
vedono intensificarsi le situazioni di saturazione del traffico, i cui effetti sull’atmosfera
sono accentuati da un clima che favorisce la concentrazione degli inquinanti ad
altitudini ridotte e dannose per l’uomo.
Il Trentino, parte della catena alpina, ha cercato di controllare questi effetti, con la
messa in atto di politiche e piani di gestione oculata del territorio, nel rispetto di
quell’ambiente divenuto risorsa di vita. Gli indirizzi presi dalle amministrazioni hanno
recepito la necessità di un governo delle attività umane rispettoso dell’ecosistema,
applicando scelte che oggi rientrano, a buon diritto, nella logica generale dello sviluppo
sostenibile.
Uno sviluppo caratterizzato dall’utilizzo attento delle risorse naturali, senza sprechi, per
garantirne l’accessibilità anche a quelle che saranno le generazioni di domani. Uno
sviluppo che ha come presupposto la ricerca di soluzioni compatibili con il contesto
territoriale e ambientale, nel processo di esplicazione della vita umana in tutte le sue
forme.
La realizzazione di una nuova infrastruttura stradale è valutata alla luce di queste
considerazioni. Un esempio eclatante su cui soffermare l’attenzione è offerto dal caso
del completamento a nord dell’Autostrada Valdastico A31, un collegamento tra Veneto
e Trentino, concepito per intensificare le relazioni tra le due regioni, ma, soprattutto, per
offrire una nuova via di transito veloce verso il Brennero ai veicoli commerciali diretti
all’estero.
Ciò che è messo in discussione è la compatibilità dell’opera con gli indirizzi e le
prospettive della provincia trentina, l’impatto derivante dalla sua presenza, i possibili
benefici, ovvero l’eventualità dell’inutilità di una nuova infrastruttura sul territorio.
L’articolazione del lavoro ed i suoi obiettivi
Questo lavoro si inserisce nel discorso della mobilità sostenibile e del riequilibrio
modale derivante dall’assunzione del principio di corretto sfruttamento delle risorse.
A livello europeo e nazionale, del resto, la necessità di una regolazione del sistema dei
trasporti, con il dirottamento della domanda verso soluzioni alternative alla strada, è
sovente ribadita.
È convinzione diffusa che uno sfruttamento più intensivo della modalità ferroviaria
potrebbe garantire un riequilibrio generale nell’articolazione del traffico, liberando le
vie più congestionate dai fattori di pressione, che oggi incidono complessivamente sulla
10
qualità della vita e sull’efficienza economica. Bisogna, naturalmente, vedere se questo
riequilibrio sia possibile, quando e con che intensità. Non avrebbe senso rinunciare ad
una soluzione in favore di una attuabile entro margini di tempo di decenni, o a costi
troppo elevati per l’utenza.
L’analisi si concentra su questi aspetti, guardando alle esigenze del trasporto in
un’ottica poliedrica, partendo dai principi della sostenibilità dello sviluppo, analizzando
le ragioni sociali della scelta, soffermandosi sui vantaggi o svantaggi economici,
ragionando sulle alternative.
Seguendo questo schema di riflessione, i primi due capitoli si sono concentrati
sull’approfondimento dei concetti di sostenibilità e sulla loro applicazione alle
manifestazioni antropiche sul contesto alpino. Lo sviluppo sostenibile ha rinvigorito il
paradigma ambientale attraverso la globalizzazione delle sue problematiche e
l’accentuazione della responsabilità individuale.
Di conseguenza, esso è analizzato e sviscerato nelle sue tre dimensioni, economica,
sociale, ambientale, per ognuna delle quali vanno raggiunti dei target specifici. Si vedrà,
in particolare, coma tale concetto sia stato accolto dalla politica trentina ed inserito tra le
variabili di governo del territorio.
Il discorso sarà, successivamente, ampliato e calato nella realtà delle Alpi, guardando
alle prospettive dell’economia e delle risorse locali, nonché alle criticità denunciate,
soprattutto all’interno della Convenzione delle Alpi.
Un terzo capitolo si rivolgerà, infine, all’analisi, partendo dall’Unione Europea, degli
sviluppi del traffico nelle diverse modalità, fino a pervenire alla situazione lungo la
direttrice del Brennero, interessata dai traffici del Nord Est Italia da e verso l’estero.
La seconda parte del lavoro è interamente dedicata all’analisi di un caso concreto,
quello, per l’appunto, del completamento a Nord dell’autostrada Valdastico.
Il quarto capitolo si rivolge alla presentazione del tema, offrendo una panoramica
storica della questione, delucidando le ragioni che di volta in volta si sono poste pro o
contro; infine, tratteggiando le caratteristiche strettamente tecniche del progetto, alla
luce di quanto visionato nello studio di impatto ambientale dell’opera. Non mancherà di
soffermarsi sugli aspetti caratteristici delle due province interessate, Trento e Vicenza,
sui reciproci punti di forza e politiche di intervento. Il capitolo offre una descrizione, il
più possibile dettagliata, di elementi utili all’analisi critica del caso. Le innumerevoli
discussioni e i dibattiti, la dimensione del progetto, la realtà in cui esso dovrebbe calarsi,
forniscono una base solida all’assunzione delle ipotesi messe in discussione nelle fasi
successive dello studio.
Un approfondimento delle misure, messe in atto o proposte nei due ambiti
provinciali, compete al capitolo quinto, che non tralascerà di esaminare le coordinate
date a livello europeo e nazionale. In effetti, una trattazione completa della tematica non
11
può prescindere dalla dimensione più strettamente istituzionale, in quanto in una società
pluralista l’interesse e la partecipazione del cittadino si esplica attraverso l’autorità
sovraordinata ed il confronto tra i differenti punti di vista. Il focus si concentra,
essenzialmente, sulla pianificazione del trasporto, partendo dai TEN’s, osservando le
novità addotte dal Piano Generale dei Trasporti e della Logistica nel 2001, per arrivare
alle scelte attuate sui territori provinciali.
La variabile ambiente è oggetto specifico del capitolo sesto, dedicato agli impatti
dell’opera ed alle possibili misure di mitigazione. Tra l’altro, il presente si offre come
spunto di riflessione sugli strumenti di valutazione: la V.I.A. (valutazione di impatto
ambientale) e la V.A.S. (valutazione ambientale strategica). L’applicazione della prima
ha consentito di intervenire sui singoli progetti, elaborando soluzioni efficienti al
problema ambientale nel momento stesso in cui attua una dialettica tecnica
interdisciplinare fra potere pubblico e interesse privato. La prospettiva strategica amplia
le possibilità di elaborazione, aprendosi al contesto pluri-dimensionale della
pianificazione.
I capitoli settimo e ottavo si dedicano all’analisi del problema tecnico di valutazione
dei benefici derivanti dalla realizzazione dell’opera: rispettivamente, al
decongestionamento delle arterie principali ed al possibile guadagno in termini di
chilometri risparmiati. Il primo argomento di discussione è considerato con riferimento
ai dati di transito, alla loro presumibile evoluzione nei prossimi anni, alla presenza ed
implementazione di innovazioni nel sistema trasportistico, in particolare in campo
ferroviario.
Il beneficio derivante dal minore percorso è valutato con l’analisi delle distanze esistenti
allo stato attuale, successivamente confrontate con i dati ottenuti variando lo scenario,
con il completamento della A31. Il data base consente di realizzare, con il supporto del
programma informatico MAP INFO, una carta tematica, che evidenzia la distribuzione
del vantaggio chilometrico tra i diversi comuni di Veneto, Trentino, Emilia Romagna.
La complessità, estensione e varietà tipica dell’area del Nord – Est Italia ha imposto
l’uso di alcune semplificazioni, come appunto, la restrizione del campo di studio, che
tuttavia risulta significativo ai fini del lavoro proposto, andando l’autostrada a
privilegiare proprio questa zona.
Non volendo anticipare nulla a riguardo, si rimanda agli esiti dell’analisi, nella speranza
che il lavoro svolto possa dare un contributo, se pur piccolo, alla ricerca di una risposta
ai tanti “sì o no?” che spesso si sentono a proposito di Valdastico, o che, nella peggiore
ipotesi, possa almeno offrire un quadro completo della problematica a chi, specialista o
no, vi si accosti con qualche interesse.
Floriana Marin
Trento, dicembre 2001
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CAPITOLO PRIMO
I CONCETTI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE NELLA
POLITICA PROVINCIALE TRENTINA
1.1. L’evoluzione del rapporto ambiente - sviluppo
Quando si parla di “sviluppo”, nel senso più comune del termine, si fa riferimento
alla definizione acquisita dalle scienze biologiche per cui esso costituisce “un insieme di
processi attraverso i quali un organismo acquista la sua forma definitiva”
. In
quest’accezione, il termine va ad indicare essenzialmente il ciclo della crescita,
l’evoluzione graduale dell’organismo dal momento della nascita fino all’esplicazione di
tutte le sue capacità ed attribuzioni.
La scienza sociale del XVIII secolo accoglie e fa sua questa interpretazione,
rileggendola con sfumature diverse sotto l’influenza dei cambiamenti in atto: in
particolare, l’emergere del capitalismo, della borghesia come classe dominante e il
prorompere della Rivoluzione Industriale. Con il diffondersi delle teorie darwiniane, si
realizza un trasferimento importante, da un concetto di crescita come fenomeno ciclico,
proprio delle culture e tradizioni greche e romane, o preambolo di decadimento, così
come concepito nelle teorie fataliste del Medioevo, all’identificazione con il progresso
che si autoalimenta e progredisce nella direzione desiderata, aspirando a forme sempre
più perfette. Su simili ipotesi si fonda quella che diviene l’ideologia dominante del
periodo, ovvero la modernizzazione, spiegata nel suo essere da alcuni principi
fondamentali
:
- la fede nell’evoluzionismo sociale e culturale;
- l’illimitatezza delle risorse naturali;
- la razionalità economica come meccanismo regolatore di tutto il sociale e dei
rapporti tra la società e l’ambiente fisico;
- la necessità di un legame tra crescita industriale e sviluppo.
Definizione di sviluppo da ZINGARELLI N., 1971, Vocabolario della lingua italiana,. Decima
edizione, Zanichelli, Bologna. La definizione di Devoto e Oli si avvicina al concetto di evoluzione: lo
sviluppo è una “serie di cambiamenti che si verificano in un organismo nel passaggio da uno stadio più
semplice a uno più complesso”, e ancora “accrescimento progressivo con riferimento a organismi viventi
o ad attività peculiari dell’uomo” [DEVOTO G. – OLI G. C., 1967, Vocabolario illustrato della lingua
italiana, Volume II, Le Monnier, Milano]. Sabatini e Coletti, propongono invece una definizione più
vicina al concetto di crescita fisica: “Progresso, crescita in estensione, quantità, efficienza, ecc.;
incremento, espansione, potenziamento; riferito a organismo vivente, processo di crescita, passaggio da
uno stadio a un altro più evoluto” [SABATINI F. – COLETTI V., 1997, DISC. Dizionario Italiano
Sabatini Coletti, Giunti, Firenze].
Approfondimenti in SEGRE A. - DANSERO E., 1996, Politiche per l’ambiente. Dalla natura al
territorio, UTET, Torino, pp.86 – 91.
13
In quest’ottica, lo sviluppo è “economico”, in grado da solo di garantire il progresso
sociale ed il benessere umano: l’imperativo del momento è quello di un utilizzo
intensivo delle risorse disponibili, votato all’accrescimento della ricchezza quale
presupposto essenziale all’emancipazione della società dalla sua dipendenza
dall’ambiente naturale stesso. Come tale, il concetto è ripreso dalla successiva ideologia
del produttivismo, che più propriamente lo identifica come “l’insieme delle modifiche
nella struttura economica, sociale, istituzionale e politica, necessarie per realizzare la
transizione da un’economia agricola precapitalista a una capitalista industriale”. In altri
termini, lo sviluppo di una nazione viene misurato in termini di crescita economica,
ovvero di “incremento del prodotto interno lordo, che misura la produzione di beni e di
servizi valutati ai prezzi di mercato (…). Il concetto di sviluppo, e le origini di una
particolare branca delle scienze sociali chiamata economia dello sviluppo, coincidono
storicamente con il processo di decolonializzazione che ha caratterizzato molti paesi del
Sud del mondo (…). Una lettura più moderna utilizza invece il termine sviluppo per
includere nel processo di crescita una serie di categorie non strettamente economiche,
quali gli aspetti sociali o la possibilità di accedere a un’istruzione qualificata”
.
L’identità tra i due termini permane negli anni Cinquanta, quando cominciano ad
affermarsi delle vere e proprie teorie dello sviluppo, catalizzando numerosi contributi
sia sul piano della teoria economica, sia nel campo della teoria politica. In questo
particolare momento, sulla spinta della diffusione del pensiero keynesiano, si
esplicitano quattro particolari obiettivi di sviluppo: piena occupazione; espansione del
prodotto lordo; crescita del reddito individuale; rimozione delle aree sottosviluppate.
Sono invece escluse le variabili che, a partire dagli anni Settanta, avrebbero assunto una
crescente rilevanza. Tra queste, considerate “esternalità”, rientrano quelle pertinenti la
qualità della vita, l’ambiente naturale, i criteri di gestione delle risorse, naturali e
culturali. Tale politica trova espressione, sul piano dell’organizzazione territoriale,
nell’industrializzazione forzata, che a sua volta provoca espansione urbana e sviluppo
dei trasporti: è il momento del polo industriale
.
Nel corso degli anni Sessanta cominciano a manifestarsi concretamente gli effetti
dell’industrializzazione spinta, soprattutto nella forma dei danni irreversibili
LANZA A., 1997, Lo sviluppo sostenibile. Risorse naturali e popolazione, consumi e crescita
economica: soddisfare i nostri bisogni senza compromettere la vita delle generazioni future, Il Mulino,
Bologna, p. 14.
La formulazione della teoria del polo industriale è reperibile nel testo di VALLEGA A., 1995, La
regione, sistema territoriale sostenibile. Compendio di geografia regionale sistematica, MURSIA,
Milano, pagg.32 – 33. Essa si basa sulla presenza di un’industria motrice, capace di influenzare sia
l’organizzazione del luogo in cui sorge, sia quella del territorio circostante, fino a plasmare
l’organizzazione della regione, a determinarne l’estensione e l’evoluzione. L’industria motrice attrae nel
polo non solo attività che si dispongono sia a monte (ad esempio, servizi di manutenzione), sia a valle (ad
esempio, servizi di trasporto dei prodotti finiti) del processo produttivo, ma anche attività che si
dispongono lateralmente (ad esempio, imprese di assicurazione e sedi bancarie). Inoltre, le convenienze
locali possono crescere al punto di attrarre nel polo anche produzioni e servizi non collegati al processo
produttivo dell’industria motrice, ma che qui trovano utile localizzarsi per usufruire dei servizi esistenti.
14
dell’inquinamento, rendendo sempre più evidente la necessità impellente di un trade –
off tra esigenze di tipo ecologico ed imperativi di tipo economico. In seno alle discipline
neoclassiche nasce una nuova branca, destinata ad occuparsi di suddette tematiche:
l’economia dell’ambiente. Alla luce di questo modo di porsi di fronte alle questioni
ambientaliste le risorse naturali sono legittimate in quanto esternalità da tutelare e
impiegare in modo efficiente. Per assolvere a questi obiettivi sono introdotti a livello
normativo i primi strumenti di regolazione, in forma di standard e livelli ottimi di
emissione.
Sul piano delle politiche di intervento si segnala la diffusione, a partire dagli Stati Uniti,
degli Studi di Impatto Ambientale (EIS: Environmental Impact Studying). Si tratta di
atti amministrativi (introdotti dal NEPA: National Environmental Policy Act, 1969)
finalizzati alla valutazione a priori dei costi e benefici dei grandi progetti di sviluppo
(es. infrastrutture di pubblica utilità), quindi prima che i progetti stessi siano avviati.
All’epoca, l’impiego corretto di tali strumenti era reso difficoltoso dal fatto che la messa
in opera del progetto non era nemmeno messa in discussione, perché gli studi stessi,
obbligatori per legge, finivano sovente per essere redatti ex post. La logica EIS era
quindi sostanzialmente di tipo end of pipe, con interventi a valle, più di riparazione che
di prevenzione del danno, consuetudine caratteristica di tutti gli altri strumenti di
intervento e tutela dell’ambiente.
Le funzioni dell’ente pubblico in tale contesto sono di tipo regolativo: l’obbligo per gli
inquinatori è soltanto quello di adeguarsi alle norme o altrimenti pagare; i costi sono
invece elevati, dovendo tali sistemi, per funzionare efficacemente, dotarsi di sofisticati
apparati di controllo; i risultati, infine, non sempre soddisfacenti, data la caratteristica di
uniformità degli standard, che non sono omogeneamente adattabili alle diverse realtà
produttive e territoriali
.
All’inizio degli anni Settanta queste posizioni sono consolidate per l’effetto
combinato di due atteggiamenti: da un lato, viene introdotta, come detto sopra, la
variabile ambientale nelle politiche economiche; dall’altro lato si introduce il concetto
di “limite” nelle possibilità di uso delle risorse naturali.
L’inversione di atteggiamento è dovuta in primo luogo alle conclusioni dell’United
Nations Conference on the Human Environment (Stoccolma, 1972) e dalle tesi
scoraggianti esposte nel saggio “I limiti dello Sviluppo”
(1972) e successive opere del
Club di Roma.
Cfr. SEGRE, DANSERO, 1996, Politiche per l’ambiente…cit., pp. 97 – 99.
Basti come esempio un riferimento alle parole con cui esordisce l’introduzione al lavoro: “Non vorrei
sembrare troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come segretario generale si trae
una sola conclusione: i paesi membri dell’ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per
accantonare le proprie dispute e impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli
armamenti, di risanamento dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando i propri
sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da temere che i problemi menzionati
avranno raggiunto, entro il prossimo decennio, dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità
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La Conferenza del 1972 ha il merito di aver aperto la strada all’introduzione del
concetto di ambiente nelle problematiche di sviluppo. In questo modo gli obiettivi
ecologici cessano di essere esternalità rispetto al sistema economico e vengono inclusi
nelle scelte politiche.
Il lavoro di Meadows sui limiti dello sviluppo affronta il problema dell’insostenibilità
del consumo esponenziale di risorse naturali rispetto alla capacità del sistema terrestre.
Per prevenire il raggiungimento di soglie critiche nella divaricazione tra domanda e
disponibilità di risorse, le politiche economiche devono assumere come vincolo i limiti
naturali dello sviluppo, abbandonando l’idea della crescita illimitata.
Il dibattito in corso, oltre ad attirare l’attenzione sull’evoluzione dei rapporti tra
organizzazione dei sistemi economici e dotazioni naturali, provoca accese discussioni
sull’idea stessa di sviluppo
.
Nel perdurare dei tentativi di includere la protezione ambientale nello spettro degli
obiettivi delle politiche economiche, nell’ambito delle Nazioni Unite prende corpo
l’azione del Gruppo dei 77, comprendente i Paesi in via di sviluppo. Questa presa di
posizione contribuisce a determinare l’elaborazione di un nuovo concetto di sviluppo, lo
sviluppo umano, nato in seno all’Unite Nations Development Programme (UNDP)
. La
definizione si amplia a comprendere le variabili rappresentative della qualità della vita,
abbinate all crescita economica ed alla libertà politica. Le teorie convenzionali devono
ora sopportare un colpo ancora più grave di quello inferto dalle affermazioni del Club di
Roma. L’introduzione di obiettivi qualitativi, in primo luogo, origina un insieme di
vincoli complesso, soprattutto a scala regionale, poiché comporta la considerazione
degli aspetti sociali. Questi ultimi devono essere inclusi nelle strategie politiche,
di controllo”. (U TANT M., in MEADOWS D.H., MEADOWS D.L., RANDERS J.E., BEHRENS III
W.W.,1972, I limiti dello Sviluppo, Mondadori, Milano, p. 27).
Nell’argomentazione sui limiti dello sviluppo andrebbero tenuti in considerazione tre punti importanti:
- Nella teoria economica, non è tanto la crescita dell’economia in sé a spiegare l’accresciuto
inquinamento dell’ambiente, quanto i segnali di mercato distorti che si manifestano a causa delle
esternalità negative di certi processi di mercato. In tal senso, strumenti politici di internalizzazione di
questi effetti potrebbero contribuire costruttivamente alla compatibilità di lungo periodo di ambiente
ed economia;
- Dal punto di vista economico, si sottolinea come la sostituzione di attività ad uso intensivo di risorse
ambientali con attività ad uso meno intensivo delle stesse possa portare alla soluzione di problemi
incombenti, mentre il progresso tecnico può anche contribuire ad affrontare la scarsità delle risorse in
natura;
- I modelli impiegati nella predizione dei “limiti” sono modelli di successione temporale, senza
consistenti basi teoriche. Inoltre, i risultati sono facilmente alterabili, con la modifica delle ipotesi.
Nella teoria economica si preferisce adottare modelli più semplici, teoricamente coerenti e con
processi comprensibili immediatamente.
Si veda, a riguardo, BRETSCHGER L., 1999, Growth theory and Sustainable Development, Edward
Elgar, Cheltenham (UK), pp. 188 – 189.
Il lavoro su “I limiti dello sviluppo”, da questo punto di vista, pur indiscutibilmente sminuito dalla teoria
e dalla pratica, ha contribuito ad aprire un dibattito costruttivo su quello che successivamente prenderà il
nome di sviluppo sostenibile.
L’UNDP fu istituito nel 1965 allo scopo di coadiuvare i processi di crescita dei Paesi in via di sviluppo
mediante la fornitura di assistenza tecnica e personale specializzato. Il suo ruolo all’interno delle Nazioni
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diventando internalità da gestire al pari delle variabili economiche e territoriali.
L’azione dello stato, così come quella della regione, da qui in poi sarà valutata non solo
in base agli obiettivi di reddito e di mercato del lavoro, ma anche in base all’indicatore
di sviluppo umano (introdotto dall’UNDP).
Nel contempo, negli ambiti scientifici prendono l’avvio le teorizzazioni sullo
sviluppo sostenibile. I momenti significativi nell’elaborazione del concetto sono due.
La prima fase si colloca negli anni fra il 1984 ed il 1987, quando la World Commission
on Environment and Development delle Nazioni Unite elabora una rassegna sui
problemi maggiori dell’epoca, formulando un complesso di raccomandazioni per
orientare le politiche degli stati e delle organizzazioni non governative. I risultati sono
esposti nel rapporto Our Common Future
.
La seconda fase prende l’avvio nel 1989, anno in cui si decide di convocare una
conferenza internazionale per varare la politica sullo sviluppo sostenibile. La
conclusione dei lavori culmina nel 1992 con la United Nations Conference on
Environment and Development (UNCED) a Rio de Janeiro e con l’approvazione di una
dichiarazione di principi, due convenzioni (cambiamento climatico, biodiversità) e
l’Agenda 21.
In sostanza “Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo
sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto a una vita sana e produttiva in armonia con la
natura”. “Al fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente
costituirà parte integrante di un processo di sviluppo e non potrà essere considerata
separatamente da questo”. “Tutti gli stati e tutti i popoli coopereranno al compito
essenziale di eliminare la povertà, come requisito indispensabile per lo sviluppo
sostenibile, al fine di ridurre la disparità tra i tenori di vita e soddisfare meglio i bisogni
della maggioranza della popolazione del mondo”
. Tre componenti, quindi, concorrono
ora a determinare lo sviluppo: l’integrità dell’ecosistema, l’efficienza economica,
l’equità sociale.
Unite risulta particolarmente significativo, anche in riferimento alla redazione annuale di un Rapporto
sullo Sviluppo Umano (Human Development Report).
Il rapporto ha il merito di avere diffuso il concetto di sviluppo sostenibile, concentrando l’attenzione sul
rapporto di complementarità tra crescita ed ambiente. Va notificato, tuttavia, che il concetto fu utilizzato
per la prima volta già alla metà degli anni ’70, per puntualizzare il fatto che la protezione ambientale e lo
sviluppo sono due fattori connessi. Si veda, a riguardo, EKINS P., 2000, Economic Growth and
Environmental Sustainability. The Prospects for Green Growth, Routledge, London (UK), pp. 45 – 50.
Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo, Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo
Sviluppo, Principi 1, 4, 5, visibile su INTERNET alla pagina
http://www.comune.roma.it/uspel/lepagineag21/fileacrobat/Rio/ visto il 15.01.2001.
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1.2. Le nuove frontiere della teoria: il concetto di sviluppo sostenibile
Il termine Sustainable Development è stato introdotto sull’arena politica dal
Rapporto Bruntland, nel 1987 (WCED, 1987).
“Pur se dai contorni concettuali ancora vaghi, tale termine sembrava adatto a
combinare e riconciliare gli esiti del dibattito, maturato all’interno della Nazioni Unite,
sulle politiche dello sviluppo e su quelle dell’ambiente. Da quel momento in poi, la
“questione ambientale” diventa un tema politico prioritario e mette in discussione la
visione fortemente antropocentrica dei tradizionali modelli di sviluppo, quella basata
sulla superiorità dell’uomo rispetto alla natura. Cresce così la consapevolezza della
globalizzazione del rischio ambientale come minaccia alla sopravvivenza dello stesso
genere umano (…).
La Commissione Bruntland definisce lo sviluppo sostenibile come:
ξ Uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni;
ξ Un processo nel quale lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti,
l’orientamento dello sviluppo tecnologico ed il cambiamento istituzionale sono tutti
in armonia, ed accrescono le potenzialità presenti e future per il soddisfacimento
delle aspirazioni e dei bisogni umani.
Questi concetti implicano consapevolezza degli attori, decisioni strategiche ed azioni
adeguate per utilizzare, mantenere e tramandare le risorse disponibili alle future
generazioni affinché esse governino saggiamente tale eredità (patrimonio ambientale),
riducendo progressivamente i deficit ambientali che potrebbero rappresentare un
fardello e una minaccia per la posterità”.
Alla luce di quanto finora esposto, è chiaro che sviluppo e sostenibilità debbano
seguire cammini paralleli, integrandosi a vicenda:
- la sostenibilità diviene precondizione di uno sviluppo duraturo, con il mantenimento
delle risorse delle attuali e future generazioni;
- lo sviluppo si presenta come soluzione per superare la povertà, mediante una
gestione razionale delle risorse, per garantire contemporaneamente gli obiettivi di
equità sociale (all’interno delle singole comunità e nel rapporto tra di esse e gli
individui che ne fanno parte), equità interlocale e/o interregionale (tra le varie
comunità territoriali), equità intergenerazionale (tra le presenti e le future comunità).
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1.2.1. Le dimensioni della sostenibilità
Dopo aver definito “cos’è” lo sviluppo sostenibile, sarà utile approfondire anche il
“come si articola” il concetto, vedendo i due principi di fondo che governano la politica
per il suo raggiungimento e le loro possibili interazioni.
In primo luogo, se si considera il presupposto dell’equità intertemporale, si nota
coma sia necessario ragionare su di una scala più ampia rispetto a quella normalmente
utilizzata in economia: la programmazione dovrà essere rivolta al lungo periodo, per
considerare l’impatto dei diversi interventi sul benessere delle future generazioni. In
questo senso, “le politiche devono riconoscere che l’ambiente è entità e forza dinamica
per il progresso umano; devono essere proattive, combinando l’approccio costruttivo (a
favore dei cambiamenti integrati e strutturali) e quello difensivo (per conservare risorse
e potenzialità)”.
Il principio inter – temporale, del resto, si rivolge anche al passato, dato che le risorse
rappresentano una dotazione di riserve e depositi naturali accumulatisi nel corso dei
secoli; utilizzandole, la società consuma anche il tempo che è stato incorporato
dall’inizio della loro trasformazione in riserve naturali (ad esempio, la combustione di
un litro di petrolio distrugge un processo dinamico che è forse durato milioni di anni).
In questa relazione su più dimensioni è dunque necessario che le culture umane
sappiano occuparsi dei problemi di scarsità, dell’uso e consumo delle risorse e dei
bisogni, ovvero la domanda individuale e collettiva per una migliore condizione di vita.
Nel principio dell’inter – territorialità si coglie invece l’esigenza di considerare la
dinamica ambientale al di là dei confini di ogni regione. Questo significa parlare di
globalizzazione, del fatto che ogni evento sia connesso e che quindi gli effetti di una
politica o di un intervento attuato in una determinata zona si possono estendere oltre i
suoi confini geografici ed amministrativi (come esempio è possibile citare le nubi
tossiche, trasportabili dalle correnti anche migliaia di chilometri oltre il punto in cui si
sono generate). Allora, è possibile affermare che una comunità sostenibile dovrebbe
vivere in armonia con il proprio ambiente locale e non danneggiare ambienti a lei
distanti ed altre comunità – nel presente e nel futuro.
Significativa, in tal senso, risulta essere la “Conferenza di Rio del 1992 che, con la sua
Dichiarazione supportata da importanti convenzioni e protocolli, testimonia la crescita
di consapevolezza dell’umanità ed avvia un nuovo modo di agire da parte dei governi
del mondo. Si tratta di un punto di non ritorno, basato sul pieno riconoscimento e sulla
completa legittimazione del concetto di sviluppo sostenibile, come confermato dalla
recente Conferenza di Kyoto del 1997”.
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Sulla base di queste considerazioni, è possibile affermare come il nuovo concetto di
sviluppo non si possa limitare alla mera creazione di ricchezza ma, più profondamente,
si debba rivolgere a sottolineare l’esigenza della conservazione delle risorse nel tempo e
di un’equa distribuzione di costi e benefici nella dimensione spazio – temporale. Sono
chiamate in causa tutte le attività umane, in quanto la sostenibilità non è soltanto
ambientale ma anche sociale ed economica: la loro riorganizzazione, al fine di renderle
sinergiche tra di loro, richiede necessariamente una modifica sostanziale degli stili di
vita e dei processi produttivi, volta all’eliminazione delle cause del danno ambientale e
alla valorizzazione di comportamenti simbiotici e coevolutivi
.
1.3. Le dinamiche ambiente – economia – società
Il concetto di sostenibilità implica che per la sua realizzazione si pervenga ad una
gestione dinamica ed interrelata delle tre aree che più nettamente contraddistinguono
l’attività ed i rapporti umani. Vanno considerati contemporaneamente più aspetti su una
stessa dimensione, ognuno interdipendente ed influente sugli altri.
Il risultato economico della produzione, la creazione di benessere e ricchezza e
quindi lo sviluppo in termini di crescita, non può prescindere dal conseguimento della
sostenibilità ambientale; questo significa che le attività produttive, che hanno degli
effetti impattanti sull’ecosistema circostante, sono peraltro condizionate dai livelli di
qualità dell’ambiente.
Per spiegare meglio questi rapporti è utile tornare al concetto di produzione, che per
esplicarsi necessita dell’impiego dei seguenti fattori: il capitale, la forza – lavoro e le
materie prime. Ognuna di queste variabili è egualmente necessaria per realizzare
l’output finale: il capitale finanziario per realizzare gli investimenti; quello di origine
antropica da impiegare nei cicli produttivi; le abilità, le conoscenze e l’apporto manuale
dei lavoratori per realizzare concretamente ed in tutte le sue caratteristiche il bene o
servizio offerto; le risorse naturali (energia e materie prime), che entrano direttamente
nella lavorazione e ne escono modificate o incorporate nel risultato finale.
Secondo Rao, la definizione data dal Rapporto Bruntland ha bisogno di essere
osservata anche da questi punti di vista, per essere approfondita con maggiore
precisione. “Dato che il ruolo del capitale resta molto importante nel processo di
sviluppo, è utile esaminare i costituenti delle diverse forme di capitale, il loro stock e i
loro flussi. È possibile operare una disaggregazione delle risorse in termini delle
svariate componenti di capitale rilevanti per lo sviluppo. Generalmente, si possono
classificare quattro tipi di capitale:
Il presente paragrafo ha preso spunto ed è stato parzialmente tratto dall’articolo Sviluppo Sostenibile,
visibile sul sito INTERNET http://www.srseuropa.it/mat_for/docs/A37B.htm (consultato in data
18.01.2001).
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- artificiale, basato sulla manifattura o attività economiche collegate;
- naturale, consistente in risorse rinnovabili e non rinnovabili, compresa l’atmosfera,
le fonti e le sorgenti del pianeta e molte altre risorse ecologiche;
- umano, dato dalla conoscenza, know – how tecnico, salute;
- sociale: culture, istituzioni, loro efficacia e qualità, comportamenti cooperativi,
fiducia, norme sociali e partecipazione ai processi decisionali.
(…) La valutazione complessiva di questi aspetti può costituire un esordio
nell’interpretazione della sostenibilità”
.
Ragionando in questa prospettiva, è chiaro che il danno ambientale è anche danno
economico: l’inquinamento a monte di un corso d’acqua (ad esempio per opera di una
fabbrica che vi scarica i suoi reflui) può avere ripercussioni negative, a valle, sulle
attività che per qualche ragione fanno uso, diretto o indiretto, della stessa acqua (ad
esempio la pesca o l’agricoltura). Questa condizione implica che la tutela delle risorse
naturali vada intesa come necessità e non come buon proposito da parte degli attori
sociali ed economici.
Al proposito, si può affermare che “lo sviluppo economico in un’area specifica (regione,
stato, mondo) è sostenibile se lo stock complessivo di risorse – capitale umano, capitale
fisico rinnovabile, risorse esauribili – non decresce nel tempo”
. Lo stock non decresce
e, quindi, non si deteriora nel tempo.
La realizzazione degli obiettivi di sostenibilità ambientale dipende fortemente dalla
messa in pratica di alcune norme comportamentali, volte ad economizzare lo sperpero di
risorse, a proteggere le situazioni più a rischio, a diffondere una marcata
sensibilizzazione nell’ottica della prevenzione dei danni. Sempre Rao evidenzia un
principio importante per l’approccio economico allo sviluppo sostenibile: “il
raggiungimento di uno sviluppo sostenibile a livello di stato – o globale – richiede che
le società, cercando di pervenire agli obiettivi di sviluppo, si sforzino anche di
mantenere uno stock costante di risorse ambientali per l’uso delle generazioni future e
di evitare un danno irreversibile ad ogni singola risorsa”
. Più vicina agli orientamenti
del Rapporto Bruntland è la posizione di Gilbert e Braat, secondo cui “lo sviluppo
sostenibile può essere descritto come un sentiero di trasformazione sociale e strutturale
che ottimizza i benefici economici e sociali disponibili nel presente senza mettere a
rischio il possibile potenziale di tali benefici nel futuro”
.
RAO P. K., 2000, Sustainable Development. Economics and Policy, Blackwell Publishers, Malden
(USA), p. 87.
BOIÖ J. – GÖRAN MÄLER K. – UNEMO L., 1992, Environment and Development. An economic
approach, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht (Netherland), p. 14.
RAO P. K., 2000, Sustainable Development…cit., p. 89.
GILBERT A.J. – BRAAT I. C., 1991, Modeling for population and Sustainable Development,
Routledge Publication, London (UK), p. 261.
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Alcuni principi di base discendono da queste considerazioni:
- l’ambiente va conservato in quanto capitale naturale, poiché costituisce la fonte
delle risorse naturali; per la sua capacità di assorbire e contenere rifiuti ed
inquinanti; infine perché assicura le condizioni necessarie al mantenimento della
vita;
- le risorse rinnovabili non vanno sfruttate oltre la loro naturale capacità di
rigenerazione;
- la velocità di sfruttamento delle risorse non rinnovabili non deve essere più alta di
quella relativa allo sviluppo di risorse sostitutive ottenibili con il progresso
tecnologico;
- la produzione ed il rilascio dei rifiuti devono avvenire entro i limiti definiti dalla
capacità di assimilazione dell’ambiente stesso;
- devono essere mantenuti i servizi di sostegno all’ambiente (ad esempio, la diversità
biologica);
- la società deve essere consapevole di tutte le implicazioni biologiche esistenti
nell’attività economica.
L’ultimo aspetto da considerare è proprio quello pertinente alla sfera sociale: l’equità
nella distribuzione del reddito e della ricchezza è la terza condizione che consente di
parlare di sostenibilità dello sviluppo e di integrità dal punto di vista ambientale. In
questo senso si rende utile la riduzione delle differenze per consentire alle realtà singole
o nazionali di disporre dei mezzi adeguati al proprio accrescimento economico, sociale
e culturale senza compromettere le altre due dimensioni viste sopra
. In effetti,
“l’uguaglianza si poggia su due presupposti:
- il primo: il benessere consiste nell’aumento di beni a disposizione degli individui;
- il secondo: guadagni derivanti dal processo di crescita della produzione e quindi del
reddito faranno ricadere, prima o poi, i loro effetti positivi sull’intera popolazione,
nessuno escluso”.
Tuttavia, la sola crescita non è sufficiente: altri fattori, come il grado di istruzione, la
stabilità politica o la riduzione delle diseguaglianze interne contribuiscono allo
sviluppo: esse sono il frutto di specifiche scelte politiche, volte ad orientare in tale
Esistono modelli finalizzati all’analisi del rapporto ambiente – sviluppo economico e sociale. Uno di
questi ha dimostrato che la sostenibilità del sistema dipende dal fatto che siano osservati certi limiti
biofisici nei processi economici (posto che le risorse naturali e i processi biologici sono essenziali per il
benessere umano). La mancata osservazione di questi limiti porterà ad una crescita “insostenibile”, ed il
sistema collasserà nel lungo periodo. Il modello ha dimostrato che sia il livello iniziale di qualità
ambientale, sia il tasso di preferenza temporale sono fattori significativi nella determinazione della scelta
ottimale fra crescita sostenibile e non sostenibile. In questo senso, se lo sviluppo economico saprà offrire
ai sistemi poveri di risorse l’opportunità di mezzi di sostentamento sicuri e sostenibili, allora una gestione
sostenibile delle risorse dovrà divenire un obiettivo primario di sviluppo [si veda BARBIER E. B., 1993,
Economics and Ecology. New frontiers and Sustainable Development, Chapman & Hall, London, pp. 11 -
26].
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direzione la gestione delle risorse
. “Per soddisfare le aspirazioni collettive per un
futuro sostenibile, in tutte le formulazioni politiche deve esserci un continuo riferimento
all’introduzione di misure e programmi per l’accrescimento del benessere delle fasce
più povere della società, con il risultato di una ridistribuzione significativa delle
opportunità di sviluppo”
.
Fig 1.1. Lettura in chiave sistemica delle tre dimensioni della sostenibilità
FONTE: elaborazione personale dei paragrafi 1.3; 1.4.
COMANDUCCI F. – CHIAPPERO E., Sviluppo Umano e Sostenibile (lezioni) sul sito
http://www.volint.it/scuola/pubblico/1svumano/s01/s08t01.htm visto in data 05.09.2001.
YOUNG M. D., 1992, Sustainable Investment and Resource Use. equity, environmental integrity and
economic efficiency, UNESCO and The Partenon Publishing Group, Paris (FR) – Carnforth (UK), p. 46.
Dimensione ambientale
Dimensione economica Dimensione sociale
Sviluppo
sostenibile
Condizioni di sopravvivenza, risorse
naturali, capacità di assorbimento
inquinanti
Gestione ragionata delle
risorse naturali, contenimento
nei rilasci, innovazione
Distribuzione equa del
reddito e dei costi
derivanti dalla
produzione, consumi
calibrati
Educazione ambientale,
responsabilizzazione
Risorse naturali, condizioni di
sopravvivenza, ricettività dei
rifiuti, paesaggio
Produzione, aumento del
reddito, aumento dei livelli di
benessere