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PROPOSTA DEL QUESITO DI BASE E SCOPO DEL LAVORO
Studiando i processi e le cause che hanno portato all’evoluzione della scrittura greca e di quella
latina, mi è venuto in mente di poter intraprendere uno studio per approfondire l’aspetto delle
reciproche influenze tra le due scritture, appurando se sia possibile o meno che l’una abbia influito
nel processo evolutivo dell’altra e viceversa.
Con questo lavoro, dunque, ho voluto dimostrare tale ipotesi: l’esistenza di una interazione tra le
due scritture facendo riferimento alla koinè, scrittura “comune” generata dagli influssi tra le due.
Il materiale di cui mi sono servita sono le Chartae Latinae Antiquiores, dal I al XX volume,
ovvero fin dove ho riscontrato documenti scritti in entrambe le scritture su cui potermi basare.
Gli studiosi cui ho fatto riferimento, che hanno affrontato precedentemente la questione delle
reciproche influenze tra scrittura greca e latina sono: Edward Maunde Thompson, Armando
Petrucci, Guglielmo Cavallo, Medea Norsa, Italo Gallo, Rogèr Rémondon.
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È POSSIBILE PARLARE DI UNA PALEOGRAFIA GRECO- LATINA?
a paleografia è la scienza che studia le antiche scritture in qualunque lingua e materiale, da
quando l’uomo iniziò a fissare coi segni il suo pensiero.
Nel corso del tempo la paleografia è stata rivalutata, trovando nell’oggetto e nei metodi la sua
giustificazione, diventando una scienza critica e storica.
Nel 1931 Giorgio Pasquali (1) definisce la paleografia come “scienza dello spirito”, ovvero come
una scienza storica, cioè non descrittiva e meccanica ma mirante alla ricostruzione dello sviluppo
storico della scrittura come specchio della cultura.
L’esigenza di storicizzare la paleografia è evidente nei “Lineamenti di storia della scrittura latina”
di Cencetti (8), in cui si riscontra una maggiore consapevolezza dei compiti della paleografia e del
paleografo.
Tra le conseguenze di una concezione storica della paleografia vi è ad esempio la fine del
connubio tra paleografia e diplomatica, nate come una cosa sola, ma aventi ora diritto a una vita
propria. Inoltre la paleografia è lo studio generale delle forme di scrittura, mentre la diplomatica è
la dottrina dei caratteri intrinseci ed estrinseci del documento ed è una scienza storico- giuridica e
filologico- paleografica.
Una seconda conseguenza riguarda l’epigrafia: questa è insieme filologia e archeologia delle
iscrizioni monumentali, ma è anche paleografia in quanto ne studia la scrittura. Ebbene la scrittura
delle iscrizioni non può essere sottratta alle competenze del paleografo, in quanto anche la
diversità tra scrittura scritta e scrittura incisa è illusoria: prima di incidere il testo nel blocco di
pietra o di marmo, infatti, era solito intervenire l’ordinator, per “disegnare” le lettere con gesso o
carbone. È dunque evidente l’affinità tra epigrafi e sc rittura libraria.
Un terzo aspetto da considerare è infine l’avvicinamento tra paleografia latina e paleografia greca:
tutta la cultura dell’età classica è stata per molti secoli bilingue e convivevano anche le due
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scritture (codici bilingue classici e cristiani, citazioni greche nei testi latini, testi latini dell’Italia
meridionale in scrittura greca).
C’è infine da considerare, accanto alla paleografia e alla diplomatica, una terza disciplina
“sorella”, la Codicologia: “archeologia del libro” che deve a ndare di pari passo con la paleografia
e la filologia; essa è altrimenti detta “paleografia libraria” ed esiste da quando i trattati di
paleografia hanno iniziato a dedicare capitoli alle materie scrittorie e alle forme del libro.
Dunque codicologia, epigrafia e diplomatica non sono separabili, in quanto la comune origine
delle forme alfabetiche e le continue influenze fra i tre campi rendono indispensabile lo studio
congiunto delle tre paleografie.
Comunque nella paleografia odierna c’è la tendenza a tras curare la paleografia libraria a
vantaggio dello studio della scrittura usuale, sede in cui avvengono i mutamenti grafici che
determinano il moto storico della scrittura. Non bisogna comunque dimenticare che anche la
scrittura libraria è viva ed esprime punti d’arrivo di alto valore estetico e culturale.
Se prendiamo in esame il rapporto della paleografia con le arti figurative possiamo persino
concepire la scrittura come una forma d’arte: basti pensare all’armoniosa distribuzione dei segni
grafici in certe espressioni librarie di particolare bellezza, che le rende valutabili come vere e
proprie forme ornamentali, e non solo mezzi e simboli della parola.
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a paleografia, in quanto disciplina storica, studia l’evolversi della scrittura all’interno di una
determinata situazione politica, sociale e culturale: la storia della scrittura diviene così un
aspetto della storia dei popoli, dell’umanità.
Ogni scrittura è l’evoluzione di un tipo precedente, cui hanno concorso materia, strumenti scrittori,
situazione culturale.
Da una stessa scrittura madre sono derivate tipologie scrittorie diverse nei vari paesi, e con ciò si
spiega la presenza di forme comuni scritture diverse, senza dover pensare a fenomeni paralleli. (2)
I momenti di evoluzione in una scrittura si possono suddividere in:
1) formazione: sono ancora frequenti gli elementi derivanti dalla scrittura madre
2) perfezione: la scrittura si normalizza perché osserva un canone.
3) decadenza: le lettere perdono spontaneità e si arricchiscono di elementi superflui e tratti
ornamentali, per cui la scrittura risulta pesante.
La paleografia è sorta a suo tempo accanto alla diplomatica per analizzare documenti accusati di
falsità: il padre bollandista Daniele van Papenbroeck aveva infatti accusato si falsità la maggior
parte dei documenti merovingi del monastero di san Denis (3).
Così nel 1681, per confutare l’accusa, Jean Mabillon pubblica il “ De re diplomatica libri sex”,
trattato con cui nascono la diplomatica e la paleografia.
Mabillon distingue tra due generi di scrittura: la litteratoria, usata nei codici, e la diplomatica,
quella dei documenti.
Nella sua opera, comunque, la dottrina delle antiche scritture non ha ancora un nome: il termine
“Paleografia” si troverà infatti per la prima volta nell’opera di un altro benedettino, don Bernardo
de Montfaucon, che nel 1708 pubblica: “ Palaeographia graeca, sive de ortu et progressu
litterarum”.
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Ricordiamo infine che Mabillon è un antiquario erudito di storia, e Montfaucon un filologo
patristico.
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l “De re diplomatica” risulta essere comunque un’opera diplomatistica, che soggioga la
paleografia latina all’analisi diplomatica, mentre la paleografia greca rimane legata alla
matrice librario- codicologica.
Si manifesta così dunque una netta divaricazione tra la paleografia latina, legata alla diplomatica e
non ben definita, e la paleografia greca, definita nelle finalità e nel metodo (4).
Nel 1978 però, Guglielmo Cavallo (5) riconosce l’aspetto puramente codicologico della
paleografia greca, e Pratesi sottolinea l’assenza in essa di una metodologia basata sull’analisi del
ductus, del tratteggio, dell’angolo di scrittura. Inoltre nel convegno di Parigi del 1974 (6) si nota
la limitazione cronologica della scrittura greca al mondo bizantino, tralasciando l’età classi ca,
mentre la scrittura latina, che ormai si è liberata dalla soggezione alla diplomatica, volge i suoi
interessi alle testimonianze di età classica ampliando i suoi orizzonti.
Tra il I e il III sec. d. C. nella scrittura romana si verifica un cambio grafico dalla capitale alla
minuscola e uno dei possibili fattori scatenanti della crisi potrebbe essere stata la libertà di
esecuzione grafica.
In età ellenistica vi era un ampio uso sociale della scrittura e un diffuso alfabetismo: condizioni
ideali per una crisi grafica e un cambio di sistema. L’età classica è dunque l’epoca più feconda di
mutazioni e rinnovamenti per la scrittura greca.
La matrice del più grande mutamento grafico nella scrittura greca, ovvero il passaggio dalla
maiuscola alla minuscola in ambito documentario, è infatti da ricercare tra età ellenistica e tarda
antichità.
E’ comunque necessario adottare una visione dinamica della scrittura, in quanto i sistemi grafici
non si formano senza l’intervento degli scriventi; differenti percentual i di alfabetismo orientano
inoltre in modo diverso lo svolgimento storico di una scrittura.
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All’inizio dunque la paleografia latina si trova indietro rispetto alla greca, in quanto Mabillon la
interpreta solo in funzione di essa. Montfaucon invece elabora per primo il vocabolo che specifica
con termine tecnico la scienza delle antiche scritture.
Entrambe hanno però un limite: si attengono a una visione solo esteriore del fenomeno grafico,
con la preoccupazione di inquadrare la materia in puri termini cronologici, facendo distinzioni
destinate a individuare i vari generi, più che a spiegarne le trasformazioni. Questa mania
classificatoria raggiunge l’apice nel 1765 nella scuola di Gottinga, dove Cristoforo Gatterer
trasferisce alla paleografia latina il criterio di classificazione delle scienze naturali.
Un passo avanti vien fatto da Scipione Maffei, che rifiuta le classificazioni precedenti e dimostra
in campo latino l’esistenza di un’unica scrittura: tale idea racchiude la base della paleografia, in
quanto sancisce l’evolversi delle forme grafiche entro un unico processo di trasformazione in cui
consiste la storia della scrittura.
Lo storicismo romantico e neo- idealista ha smosso le acque di una metodologia stagnante che
considerava la scrittura come un fenomeno statico, attraverso l’impostazione di uno studio della
scrittura basato sull’evoluzione grafica dei singoli segni alfabetici. Un freno è stato però il non
aver saputo spiegare le cause reali del divenire delle lettere e l’aver limitato il proprio es ame alla
considerazione positivistica del mutamento delle forme.
Nel XIX sec. la paleografia latina si libera dall’asservimento alla diplomatica, perfezionando il
proprio metodo grazie a Ludwig Traube, Luigi Schiaparelli ed Elias Avery Lowe (2, 8).
Come scrive Pratesi (7), la paleografia greca ha subìto una fatale dicotomia tra i bizantinisti, che
hanno conferito alla paleografia un carattere prevalentemente codicologico o
“Handschriftenkunde”, e i papirologi che si basano su analogie spesso superficial i che
condizionano negativamente la ricostruzione storica del processo grafico.
La paleografia latina diviene così più avanzata di quella greca, in cui si prende ancora in
considerazione solo la forma dei segni alfabetici, ignorando invece le cause della trasformazione.
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Il paleografo latino ha ormai compreso l’esistenza di un modello normale che subisce le
modificazioni delle tendenze calligrafiche di scuola e dell’uso quotidiano corsiveggiante. Egli
indaga ormai, da un’epoca all’altra, l’evoluzione della scrittura in forma, modulo, ductus,
tratteggio, angolo di scrittura.
Il paleografo greco vede invece ancora i segni nel loro schema compositivo, ma non giustificati nel
meccanismo della trasformazione.
Nello studio dell’evoluzione della scrittura è fondam entale considerare il tratteggio (numero,
ordine e direzione dei tratti che compongono una lettera) per spiegare determinati mutamenti.