5
Il secondo capitolo analizza la crescita di Silvio Berlusconi come
imprenditore, partendo dal settore edile nell’hinterland milanese, l’approdo
al terziario e all’industria culturale, senza trascurare “la favola” con la sua
squadra di calcio, il Milan.
Segue un capitolo che analizza il partito degli eletti, Forza Italia, così
chiamato dallo stesso Berlusconi per distinguerlo dai vecchi partiti politici
ormai alla deriva. Il lavoro è diviso in paragrafi che affrontano la decisione
di presentarsi alle elezioni, l’origine e la struttura organizzativa del
movimento, la riorganizzazione e la trasformazione da movimento in
partito, ad opera dell’On. Cesare Previti, e infine il primo programma
elettorale.
Il quarto capitolo mostra come l’emergere del personaggio Berlusconi sia
nato in concomitanza con il nuovo corso dell’economia italiana. L’avvento
di uomini nuovi che si sono imposti e hanno deciso il mercato,
allontanandosi dal tipico schema di industria a conduzione familiare.
Infine ho avuto la possibilità di interloquire con l’originario staff che seguì
la discesa in campo di Silvio Berlusconi per ragionare sui motivi di una
scelta così importante nella vita di un imprenditore, una scelta che ha,
peraltro, coinvolto, inizialmente, numerosi dirigenti Fininvest.
Mi è stato possibile capire dalle loro parole come si è formato il
«personaggio politico» Berlusconi, in relazione allo sviluppo-
trasformazione delle comunicazioni e del mondo politico.
6
CAPITOLO PRIMO
Storia d’Italia (1978-1995)
Premessa
In questo capitolo viene ripercorsa la storia d’Italia degli ultimi ventenni
soffermando l’attenzione in particolare all’ultimo decennio.
Dalla creazione di uno Stato parallelo (la P2) in seno alla Repubblica
passando per le perenni lotte intestine della Democrazia cristiana e finendo
con l’avvento di Craxi e con lui di un nuovo modo di fare politica.
Sullo sfondo un’Italia dapprima in recessione, dove le piccole industrie a
gestione familiare trainano l’economia e poi attonita davanti alla
decapitazione di teste nel periodo di Tangentopoli e della fine della Prima
Repubblica.
Cambiano i costumi, cambia anche il modo di fare e vivere la politica.
L’ascesa di Silvio Berlusconi ne è l’esempio lampante. Una vittoria dai più
inattesa ma con il senno di poi facilmente prevedibile.
Gli anni ’80 furono un periodo di grande continuità politica. Dopo il breve
esperimento degli anni di solidarietà nazionale, l’asse di governo rimase
dominata dall’alleanza tra Democrazia cristiana e Partito socialista italiano.
7
Il connubio tra i due schieramenti non fu mai pacifico. Infatti, la totale
assenza di fiducia reciproca e di accordi programmatici resero, sempre,
qualunque tentativo di pianificazione strategica a lungo termine pressoché
impossibile.
Tuttavia questo complicato processo di negoziazione tra partiti diede luogo
ad alcuni eventi a volte inaspettati, in primis nel 1978 l’elezione a
Presidente della Repubblica di Sandro Pertini.
Arrivato oramai alla soglia degli ottantadue anni, il socialista Pertini era
stato tra i protagonisti della Resistenza. Si guadagnò da subito una grande
popolarità, ben al di là dai confini della sinistra che era riuscita ad imporlo
solo dopo una serie di votazioni in Parlamento.
Per il cittadino era un simbolo di semplicità e onestà, il «volto pulito del
potere»
1
, un uomo di cui avere fiducia in un momento in cui l’economia
entrava in un nuovo periodo di crisi.
I grandi complessi industriali non godevano più di buona salute, erano solo
le piccole e medie imprese a tirare l’economia del Paese.
Era in atto in Italia, come nel resto del mondo industrializzato, una
trasformazione epocale, l’introduzione dell’elettronica e dell’informatica.
Proprio a causa di questo, nel 1980 la FIAT ridusse del 10% la manodopera.
Fu la miccia che accese la contestazione, e solo dopo trentacinque giorni di
lotte assai dure, il 14 ottobre migliaia di «colletti bianchi» (i quadri
intermedi) sfilò a Torino chiedendo la riapertura delle fabbriche, la ripresa
del lavoro e soprattutto un dialogo tra sindacati, lavoratori e Stato.
Si concluse con questo atto, passato alla storia come «La marcia dei
quarantamila», non solo lo sciopero FIAT ma anche un decennio di lotte
operaie e il ruolo rappresentativo dei sindacati.
1
S. Colarizi, Biografia della Prima Repubblica, Laterza, Bari, 1996, pag. 159.
8
1.1 L’Italia e la P2
In seguito alla bocciatura di un decreto che intendeva rilanciare l’economia
del paese, nel settembre del 1980 Francesco Cossiga si dimise da Presidente
del Consiglio.
A lui succedette Forlani, che da subito ebbe vita dura.
Pochi mesi dopo, infatti, nel marzo dell’81, durante lo svolgimento di
indagini sulle attività del banchiere Michele Sindona venne scoperto ad
Arezzo, in una villa di proprietà dell’uomo d’affari Licio Gelli, un elenco di
962 persone appartenenti ad una loggia massonica denominata «Propaganda
2». In quell’elenco accanto ad alti nomi di dirigenti dei servizi,
dell’esercito, di autorevoli burocrati e magistrati, di potenti personaggi
dell’editoria e dell’economia come Silvio Berlusconi figuravano anche
quelli di tanti politici della Dc e di tutti i partiti della coalizione
governativa.
Qualche mese prima della scoperta della P2, Maurizio Costanzo, allora
giornalista del Corriere della Sera, aveva pubblicato una memorabile
intervista
2
a Lucio Gelli, «il signor P2», nella quale quest’ultimo aveva
spiegato che la loggia desiderava «operare unicamente per il bene
dell’umanità con lo scopo, che può sembrare utopistico, di migliorarla».
«Alla richiesta di esprimere la sua opinione sulla democrazia, rispondeva
che Aldo Moro una volta gli aveva detto: “Lei non deve affrettare i tempi,
la democrazia è come una pentola di fagioli: perché siano buoni devo
cuocere piano piano”. Al che Gelli (a suo dire) aveva risposto: “Stia attento,
signor ministro, che i fagioli non restino senza acqua, perché correrebbe il
rischio di bruciarli”»
3
.
2
M. Costanzo, Corriere della Sera, 5 ottobre 1980.
3
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino, 1998, pag. 272.
9
Il sopracitato quotidiano, va ricordato, già da tempo era nelle mani di questa
associazione sovversiva. Infatti nel 1977 al direttore Pietro Ottone era
successo Franco di Bella, affiliato alla P2.
Comunque, ad oggi, troppo poco sappiamo dei contatti e diramazioni anche
internazionali della P2.
Dalle carte dattiloscritte scoperte nel 1981, il «Piano di rinascita popolare»,
è emerso che i principali nemici dell’Italia in quel momento erano
considerati il Pci e il movimento sindacale.
Per combatterli, la P2 prospettava un programma di corruzione in grande
stile: «Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di
sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-
finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi [di
lire] sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben
selezionati di conquistare le posizioni-chiave necessarie al loro controllo»
4
.
Influente fu, a questo punto, la reazione dell’opinione pubblica nell’istituire
una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi.
La commissione dichiarò la P2 dedita «allo snervamento della
democrazia»
5
, fu avviato un processo che con fasi altalenanti per più di
quattordici anni accompagnò la vita politica del paese giungendo a definire
la P2 non come cospirazione ma come comitati d’affari, e lasciando
contorni aleatori su tutta la vicenda.
4
Cecchi, Storia della P2, pag. 241-270.
5
Relazione conclusiva dell’on. Tina Anselmi, p. 164, Sigla n. 2.
10
1.2 Il governo Spadolini
La vicenda della P2 diede il colpo di grazia al governo Forlani.
In sintonia con il desiderio generalizzato di uomini nuovi e pulizia nelle file
dei partiti, Pertini nel 1981 incaricò il repubblicano Giovanni Spadolini di
formare un nuovo governo.
Era la prima volta dai tempi di Ferruccio Parri, nel 1945, che il governo
veniva affidato ad un esponente di un partito diverso dalla Dc.
Spadolini fu un uomo con un grande senso dello stato. Nell’Italia della P2,
del crac dell’Ambrosiano e dell’inflazione, che proprio in quegli anni toccò
la vertiginosa punta del 20%, durante i suoi 16 mesi di governo non risolse
nessun grave problema del paese, ma portò avanti un costruttivo dialogo
verso il mondo cattolico e i comunisti di Berlinguer.
Nel 1983, approfittando di questo governo di transizione e della crisi della
Dc e del suo nuovo leader, Ciriaco De Mita, scisso tra la possibilità di
eliminare le correnti interne o no, il socialista Bettino Craxi ritirò il proprio
appoggio al governo causando la fine della legislatura.
Le elezioni di quell’anno diedero un risultato disastroso per la Dc che scese
dal 38,3% al 32,0% dei voti, il peggior risultato dal 1948.
Tuttavia, mentre l’ascesa di Craxi per De Mita, forte ancora dell’appoggio
degli industriali e di una Chiesa allarmata dopo il referendum sull’aborto,
non fu vista come un fallimento, per il popolo italiano significò un governo
socialista dal 1983 al 1987.
Ma prima di affrontare la lunga permanenza a Capo del Governo del leader
dei socialisti bisogna poter inquadrare la situazione politica e sociale
dell’Italia in quegli anni.
11
La nomina di Craxi, infatti, non va vista come un segno di ritrovata
stabilità, bensì un segno della crisi di un sistema politico nel quale il
consenso elettorale non è più un elemento decisivo e qualificante.
I partiti sempre più simili l’uno all’altro si contendono ormai il consenso
degli elettori per farlo valere nei loro reciproci rapporti.
L’astensionismo di protesta, il voto nullo e al Nord la nascita e il
diffondersi delle «leghe»
6
saranno la prova lampante della totale sfiducia
nei confronti della democrazia dei partiti.
La modernizzazione ha omologato la società nei valori, nei costumi, ma ha
frantumato il tessuto sociale e moltiplicato gli interessi particolari.
Gli stessi partiti non riescono a seguire i tempi, a rinnovarsi, a ridisegnare
una nuova identità; i cittadini d’altro canto hanno perso fiducia ma
continuano a votarli: «un voto in cambio di un favore…l’equilibrio
perverso del do ut des»
7
.
Prevale, nel mondo politico, dal centro alla periferia, una filosofia del
potere come valore in sé, che punta esclusivamente al mantenimento della
partitocrazia, mentre la società civile diviene una massa indistinta di cui ci
si può assicurare il consenso per mezzo della spesa pubblica, del ruolo
assistenziale dello Stato e dell’avvento della politica-spettacolo.
Sembra preistoria il 1963, quando le prime tribune politiche mostravano
rappresentanti dei partiti intenti con occhi bassi a leggere discorsi; ora il
successo di un uomo politico passa «anche» per la disinvoltura nel proporsi
sui nuovi media, nella sua telegenica piuttosto che sul suo programma
politico.
Ed il primo a rendersi conto di questo epocale cambiamento sarà proprio
Bettino Craxi.
6
Per leghe si intende la “Liga Veneta” e la “Lega Lombarda”.
7
S. Colarizi, Biografia della Prima Repubblica, Laterza, Bari, 1996, pag. 173.
12
Va inoltre aggiunto, che in quegli anni il mutamento sociale e il declino
delle grandi ideologie prendono corpo in un’Italia sconvolta dal terrorismo
di matrice rossa, nera e dai terribili delitti mafiosi.
Sul finire degli anni ’70 e all’inizio degli anni’80, nonostante lo sdegno
nell’opinione pubblica provocato dall’assassinio di Moro, le associazioni
sovversive colpiscono uccidendo circa 81 persone.
Tra le vittime si contano l’operaio Guido Rossa, iscritto al Pci, ucciso
perché aveva denunciato alla polizia un impiegato della fabbrica da lui
sospettato di attività terroristica; il professore universitario e noto
intellettuale cattolico Vittorio Bachelet; il giovane e brillante giornalista del
Corriere della Sera Walter Tobagi, perché definito «l’uomo di Craxi dentro
il “Corriere”»
8
.
A coordinare l’offensiva anti-terroristica fu nominato il generale dei
carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale cercò, peraltro
brillantemente, di convincere i terroristi disillusi a pentirsi e a cooperare per
lo smascheramento delle organizzazioni clandestine.
Nel marzo del 1982 portato a termine l’incarico precedente, il generale
Dalla Chiesa divenne prefetto a Palermo. Fu assassinato nella stessa città la
sera del 3 settembre 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraio e ad
un’agente della polizia, Domenico Russo.
Il generale ben sapeva che la lotta alla mafia sarebbe stata di ordine ben
diverso da quella contro le Brigate Rosse, se non altro per lo storico
intreccio di complicità tra politica e criminalità organizzata.
Per mesi aspettò la definizione del proprio ruolo e dei propri poteri:
Palermo era una città difficile e con il trascorrere del tempo si sentì lasciato
solo dallo Stato.
8
B. Vespa, Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, Rai-Eri, Mondadori, 2004, pag. 262.
13
Il 10 agosto 1982 in un’intervista a Giorgio Bocca, Dalla Chiesa diede atto
di questo isolamento:
«Credo di aver capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando
avviene questa combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso ma si
può ucciderlo perché isolato»
9
.
Fortunatamente la morte del generale accelerò il processo di riscossa dello
Stato Italiano.
Venne approvata la proposta di legge La Torre, che all’articolo 416bis del
C.P. introduceva per la prima volta il reato di associazione a delinquere di
stampo mafioso e che giaceva in Parlamento dal 1980. Inoltre, per facilitare
indagini di magia, vennero concesse deroghe al segreto bancario.
E infine il pentimento del boss Tommaso Buscetta e la professionalità del
pool di magistrati palermitani, Falcone, Borsellino, Di Iello, Guarnotta
produssero un risultato senza precedenti: il «maxi-processo» contro la
mafia, tenutosi a Palermo nell’86-87 in un bunker appositamente costruito.
Al termine del processo vennero condannati 344 imputati ed emesse 19
sentenze di ergastolo. Era il più grave colpo che la mafia avesse mai
ricevuto.
Ma la storia degli anni avvenire ha mostrato che la vittoria era ancora
lontana.
9
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino, 1998, pag. 389.
14
1.3 Gli anni di Craxi (1983-87)
Come già accennato nei paragrafi precedenti, Craxi governò il Paese dal
1983 al 1987.
Nato a Milano, uomo imponente e autoritario, possedeva un’innata capacità
di comprensione dei mutamenti in corso nella società italiana. Con lui si
ebbe la scissione tra politica da una parte, la morale e la legalità dall’altra.
La stessa politica sotto la sua leadership fu coinvolta in un processo di
semplificazione e personalizzazione.
Acquisì una forte componente spettacolare coadiuvata anche dall’uso della
televisione.
Al posto della vecchia organizzazione socialista subentrò il «partito
dell’immagine»
10
.
Componente di tutto ciò era non solo il dinamismo che irradiava dal suo
capo, non solo l’unità interna ma anche le scenografie dei congressi di
partito, i volti noti dello spettacolo che vi partecipavano, l’assenso di
numerosi giornalisti della carta stampata e della televisione.
Ma non basta: Craxi appoggiò con tutte le sue forze, come già
precedentemente accennato, Silvio Berlusconi – «il quale, secondo Braun,
doveva la sua ascesa ai crediti accordatigli da banche controllate dal Psi
11
–
e in tal modo ebbe un trattamento di riguardo nelle emittenti private e sconti
sui prezzi degli spot elettorali».
Durante quegli anni il Capo del Governo dichiarò più volte di aver dato
all’Italia maggior «governabilità». È vero che l’inflazione scese dal 10,8%
al 4,7% ma il deficit annuo del bilancio statale continuò a restare
10
M. Braun, L’Italia da Andreotti a Berlusconi, Feltrinelli, Milano, 1994, pag. 72.
11
Ibidem, pag. 73.
15
elevatissimo, diminuendo solo dal 14,3% all’11,6% del Pil e
contemporaneamente aumentò il debito pubblico dal 72% al 93% del Pil.
Tra gli altri successi annoverati possiamo ricordare la revisione, nel 1984,
del Concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede e l’episodio di
Sigonella, nel corso del quale Craxi prese una ferma posizione, affermando
che era in gioco una questione di sovranità nazionale
12
.
Ma per quanto concerne il campo delle riforme interne e i problemi
strutturali dello Stato nulla fu fatto.
Non si fece nessun tentativo di riformare la pubblica amministrazione, il
servizio sanitario nazionale rimase alle Usl, la riforma del sistema politico
rimase bloccata.
Craxi si preoccupò di porre fine alla prassi, invalsa per anni, degli accordi
parlamentari tra maggioranza e opposizione (comunista); in suo luogo
doveva aversi l’avvento del «decisionismo», cioè la facoltà di decidere con
chiarezza da parte degli organismi competenti, il governo e la sua
maggioranza parlamentare.
Tradusse in realtà questo proposito quando nel 1984 con un decreto
governativo tagliò tre punti sui dieci previsti dalla «scala mobile» di
quell’anno in cambio del blocco dell’equo canone e di un freno all’aumento
dei prezzi amministrativi e delle tariffe pubbliche.
Sulla questione non solo ci fu la rottura con i sindacati ma si arrivò allo
scontro più violento da decenni tra governo ed il Pci.
Il conflitto finì con un trionfo di Craxi, allorché nel 1985, contro ogni
attesa, il Pci perse il referendum che aveva chiesto contro la decisione del
governo.
12
Nell’ottobre dell’85 quattro terroristi palestinesi sequestrarono la nave da crociera “Achille
Lauro” uccidendo un cittadino ebreo americano. Il governo italiano rilasciò ai terroristi un
salvacondotto per Belgrado in cambio della vita dei passeggeri. Il governo americano dimostrò il
proprio dissenso e fece intervenire il proprio esercito con due aerei caccia che fecero atterrare
l’aereo con a bordo i terroristi nella base Nato di Sigonella.
16
La popolarità di Craxi, dopo questo atto, si accrebbe ulteriormente anche
nell’ambiente imprenditoriale, avendo mostrato al Pci e ai sindacati i propri
limiti. Pure, nonostante l’ostentato «decisionismo», questo rimase l’unico
atto politico di durevole importanza che il governo Craxi riuscì ad esibire
fino al 1987.
Meno degno di nota se non per i riscontri che ebbe in seguito, fu
l’intervento del Capo del Governo di fronte alla «crisi mediatica»
13
aperta
dai pretori di Torino, Roma e Pescara che avevano imposto l’oscuramento
di tutte le reti private che trasmettevano a diffusione nazionale mettendo in
pratica la sentenza della Corte Costituzionale del 1976.
I dettagli della vicenda saranno ripresi con dovizia di particolari più tardi,
ora ci interessa sapere che l’intervento di Craxi fu a dir poco repentino. Il
Consiglio dei Ministri emanò immediatamente un decreto legge valido sei
mesi che consentì la ripresa delle trasmissioni commerciali su tutto il
territorio nazionale.
In un primo momento tale decreto fu dichiarato incostituzionale, ma Craxi
non si perse d’animo e il 6 dicembre ottenne il consenso democristiano alla
presentazione del secondo decreto che divenne legge il 4 febbraio 1985 con
il nome di «Berlusconi bis».
Con le elezioni del 1987 Craxi dovette cedere le redini del governo a
Giovanni Goria, giovane politico vicino a De Mita. All’epoca sembrò che il
ritorno del socialista fosse imminente, oggi possiamo ben asserire che il
1987 fu «l’apogeo della sua potenza»
14
.
13
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino, 1998, pag. 291.
14
Ibidem, pag. 293.
17
1.4 Il «CAF»: Craxi, Andreotti e Forlani
Il governo del democristiano Goria durò solo qualche mese prima di essere
sostituito, nell’aprile del 1988 da un esecutivo presieduto da Ciriaco De
Mita.
Il nuovo Presidente del Consiglio avrebbe dovuto ricevere il testimone da
Craxi molto tempo prima, ma i rapporti tra i due erano pessimi.
Eppure, entrambi avevano capito che il sistema doveva essere cambiato e
modernizzato: De Mita pensava a una riforma elettorale che premiasse le
coalizioni, anticipando in parte quanto sarebbe accaduto nella Seconda
Repubblica.
Salito a Palazzo Chigi mantenne anche la carica di segretario della Dc: un
peccato mortale in un partito che non ha mai gradito l’accumulo di potere.
Infatti, nel 1989 perse entrambi gli incarichi: il 22 febbraio cedette a Forlani
la guida della Dc ed il 22 luglio ad Andreotti la poltrona di Palazzo Chigi.
«”Non volevo diventare Presidente del Consiglio” dice Andreotti a B.
Vespa in un suo libro. “Mi ero candidato alle elezioni europee e speravo di
fare il Presidente del Parlamento di Strasburgo. Craxi mi convinse ad
andare a Palazzo Chigi: se fai tu il governo, mi disse, le cose potranno
aggiustarsi”»
15
.
Era nato il «CAF», come venne da subito definita l’alleanza tra Craxi,
Andreotti e Forlani.
Quel patto sarebbe durato fino alle importanti elezioni del 1992.
L’Italia in quel periodo fu decisamente «travolta» da un’ondata di zelo
riformatore.
15
B. Vespa, Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, Rai-Eri, Mondadori, 2004.
18
Nel campo della politica economica interna ricordiamo la legge Amato che
trasformava le banche da enti pubblici ad enti privati, la legge sull’insider
trading
16
e quella antitrust.
Nel campo della politica economica europea annoveriamo l’entrata
dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME). Nella sfera istituzionale
vennero introdotte severe limitazioni al voto segreto in Parlamento, la
riforma della presidenza del Consiglio dei Ministri e quella delle
amministrazioni locali.
Nella giungla del settore dei mass media venne promulgata la legge
Mammì, di cui parleremo dettagliatamente in seguito.
In questa sede va detto che la legge sulle telecomunicazioni fu una legge
«minimalista
17
» che servì a mantenere lo status quo, a conservare e
rafforzare gli equilibri esistenti. In pratica, la legge confermò l’egemonia di
Silvio Berlusconi nel campo della tv commerciale e non portò nessuna
soluzione riguardo al rapporto tra tv come servizio pubblico o come
impresa commerciale.
Vanno infine ricordate la legge Martelli sull’immigrazione, la legge sulle
pari opportunità e sulla difesa del suolo.
Quindi possiamo asserire che il Caf in superficie sembrava un’alleanza
forte, tanto che la decima legislatura (1987-92) fu una delle poche a
giungere alla sua scadenza naturale.
All’epoca i rapporti nella coalizione governativa erano abbastanza buoni e
le posizioni chiave nel settore pubblico e dei mass media erano state
raggiunte.
16
«Insider» è una parola inglese riferita a una persona che, per il posto che occupa, è a conoscenza
di informazioni riservate. L'insider trading è la compravendita di azioni da parte di un insider, che
sfrutta la sua posizione di privilegio per fare affari in Borsa. E' un'attività soggetta a strette
limitazioni ma, data la genericità della definizione, difficilmente punibile.
17
P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino, 1998, pag. 312.