CAPITOLO 1
LA MOTIVAZIONE
1.1 LE POSSIBILI DEFINIZIONI
Nella vita quotidiana di tutti noi, fin dal momento in cui veniamo alla luce, siamo sempre sostenuti da un
impulso, un bisogno, un desiderio, un appetito, un interesse, un’ambizione, una curiosità: tutti fattori che
spronano il nostro comportamento verso mete precise. Tali fattori, oggi, vengono compresi nel termine
“motivazione”. 1
La motivazione è un processo collegato sia alla categoria di risultati che la persona vuole raggiungere(o
evitare) sia alle specifiche azioni necessarie per ottenerli.2
La motivazione designa il complesso processo delle forze che attivano, dirigono e sostengono il
comportamento nel corso del tempo.3
La motivazione si definisce come la forza iniziale che riflette l'attivazione diretta ad un obiettivo (Park, Mittal,
1979; MacInnis, Moorman, Jaworki, 1991). Esprime l'attivazione o l'intenzione di agire e non il
raggiungimento dell'obiettivo.4
La diversità e l'ampiezza delle teorie della motivazione hanno portato alcuni studiosi a
proporre la distinzione tra:
• Teorie del contenuto, che riguardano l'individuazione e l'analisi dei bisogni e delle
mete che attivano e dirigono il comportamento;
• Teorie di processo, che si propongono di spiegare la scelta, l'intensità e la
persistenza di una determinata strategia comportamentale.
1
Mario Farnè, Andreina Sebellico, Ferruccio Antonelli, Psicologia e vita. Come conoscere se stessi e gli altri. Guida
pratica alla comprensione dei comportamenti umani, p.253, Selezione dal Reader’s Digest S.p.A, 1985
2
Pedon Arrigo, Maeran Roberta, Psicologia e mondo del lavoro. Temi introduttivi alla psicologia del lavoro, LED
Edizioni Universitarie, 2002
3
Avallone Francesco, Psicologia del lavoro, p. 128, Carocci, 2003.
4
Vannoni Davide, Manuale di Psicologia della Comunicazione Persuasiva, p. 58, UTET, 2001.
4
1.2 LE TEORIE DEL CONTENUTO
1.2.1 LA TEORIA DELLO SVILUPPO SEQUENZIALE DI MASLOW
Abrahm Maslow, il principale esponente della psicologia umanistica, ha elaborato la Teoria
dello Sviluppo Sequenziale dei Bisogni (1954). Per l'autore la motivazione è caratterizzata
da specifici bisogni di base che si differenziano in funzione dei diversi tipi di oggetti ai quali
si legano e che colloca lungo una scala evolutiva dal più semplice e basilare al più
complesso e maturo. Per spiegare sinteticamente la sua classificazione ha ideato una
piramide, in cui i cinque bisogni di base sono posti in sequenza e corrispondono alle
esigenze di ordine primario e alle esigenze di ordine secondario.
Alla base della piramide dei bisogni
troviamo così i bisogni fisiologici, che
corrispondono all'esigenza di cibo, alla
necessità di un riparo, alla possibilità di
cura delle malattie e al desiderio
sessuale. Salendo la scala troviamo i
bisogni di sicurezza (protezione,
appartenenza, dipendenza, stabilità),
che richiamano invece la necessità di
garantirsi sia gli elementi che tutelano l'integrità fisica sia una dimensione sociale stabile e
sicura.
Questi due bisogni sono definiti primari in quanto sono maggiormente legati alle necessità
di tipo biologico e sono soddisfatti in modo piuttosto uniforme dalle persone,
indifferentemente dalla cultura di appartenenza. Gli altri tre invece sono definiti secondari,
poiché sono tendenzialmente di tipo psicologico e quindi hanno un maggior livello di
soggettività.
Il passaggio al gradino dei bisogni di ordine secondario è segnato dall'insorgenza dei
bisogni di affetto, ovvero di amore, di amicizia, di approvazione, di riconoscimento. Questi
bisogni si riferiscono all'esigenza di stringere relazioni e di ricercare, attraverso queste
relazioni, l'accettazione da parte degli altri individui e lo scambio con loro.
5
Figura 1.1 Il modello di Maslow
I bisogni di affetto sono seguiti dai bisogni di stima, di cui fanno parte successo,
adeguatezza, padronanza, rispetto, posizione sociale, dominio, importanza, dignità e
apprezzamento: tutti bisogni relativi all'esigenza di costruire un'immagine di sé positiva,
cha fanno provare all’individuo sentimenti di fiducia in sé e autovalorizzazione.
Rappresentano il trampolino per giungere al vertice della piramide motivazionale dove si
collocano i bisogni di autorealizzazione, corrispondenti al massimo sviluppo delle
possibilità individuali, che permettono ad ogni individuo di "diventare ciò che è capace di
diventare ".5
Questi bisogni sono tra loro in rapporto gerarchico; questo sta a significare che non sarà
possibile l'insorgenza di bisogni che nella piramide occupano una posizione superiore se
non dopo l'avvenuta soddisfazione di bisogni di ordine inferiore; inoltre una volta
soddisfatto un bisogno non genererà più motivazione, ma rimarrà potenzialmente attivo e
potrà riemergere non appena si sarà allentata la sua gratificazione (Principio di dinamismo
gerarchico).6 Per esempio, una persona che ha una bassa stima di sé difficilmente riuscirà
a realizzarsi, perché con ogni probabilità avrà troppi problemi in quell'aspetto della propria
vita per riuscire anche solo a desiderare davvero di migliorare e svilupparsi.
5
Cortese Claudio G. , Motivare, p .6, Raffaello Cortina Editore, 2001.
6
Ibidem, p. 6
6
1.2.2 LA TEORIA DELLA MOTIVAZIONE AL SUCCESSO DI MCCLELLAND.
La teoria di McClelland (1961) afferma che sebbene l'uomo avverte numerosi bisogni, uno
degli elementi critici nel determinare i livelli individuali di performance è costituito dal
bisogno di successo. Il bisogno di successo è un bisogno acquisito, ovvero un bisogno
frutto dell’esperienza, che nasce da un’abitudine. È il desiderio di fare le cose nel modo
migliore, di conseguire risultati sempre più avanzati, di ricercare e misurarsi con situazioni
di complessità crescente e di competere secondo uno standard di eccellenza.7
La proposta dell’autore, prende quindi le mosse dall'analisi del bisogno di riuscire
(achievement need), ed individua tre principali ordini di motivazioni:
• La motivazione al potere: ovvero la
spinta ad influenzare le persone e a
modificare le situazioni secondo le
proprie intenzioni ponendosi dunque
in relazione con il comando, la guida
e l'autorità;
• La motivazione all'affiliazione:
l’orientamento a creare un'ampia e
densa rete di legami sociali con altri individui;
• La motivazione al successo:
che può essere definita come il desiderio di raggiungere le mete desiderate, realizzare
pienamente le proprie capacità e migliorare continuamente le proprie prestazioni.
Tra questi tre ordini di motivazioni, a differenza della teoria di Maslow, non esiste alcun
rapporto di gerarchia/subordinazione, ma bensì uno sviluppo parallelo lungo un
continuum.
A queste tre voci principali l'autore aggiunge inoltre la motivazione alla competenza,
ovvero la spinta a sviluppare continuamente le proprie abilità e a svolgere i compiti
assegnati mantenendo standard di elevata qualità.
7
Avallone, Psicologia del lavoro, p. 134, Carocci Editore, 2003.
7
Figura 1.2 Il modello di McClelland
1.2.3 IL MODELLO ERG DI ALDERFER.
La teoria di Alderfer (1972) si pone tra la teoria di Maslow e la teoria di McClelland. Così
come McClelland, Alderfer individua tre principali ordini di bisogni di base, che vengono
denominati bisogni di esistenza, di relazione e di crescita (existence, relatedness, growth:
da qui l’espressione modello ERG).
Nel definire i bisogni di esistenza Alderfer sottolinea come gli individui siano
continuamente orientati a soddisfare quelle necessità che comprendono fattori fisiologici e
di sicurezza: assunzione di cibo e di acqua, mantenimento della salute, disponibilità di
denaro, godimento dei benefici materiali.
I bisogni di relazione rappresentano invece le esigenze di tipo interpersonale che
comprendono sia l'essere riconosciuto, compreso, accettato, amato da coloro con cui si
entra in contatto, sia lo sviluppo di atteggiamenti, sentimenti e pensieri comuni rispetto ai
gruppi sociali ai quali si appartiene.
I bisogni di crescita coinvolgono infine il desiderio di autostima e di autorealizzazione e
fanno riferimento alla necessità di
possedere strumenti concettuali e
materiali per interpretare gli eventi cui si
assiste e intervenire sull'ambiente in cui
si vive, utilizzando pienamente le
capacità possedute e sviluppandone
continuamente di nuove.
Il modello ERG lascia spazio alla possibilità che i differenti bisogni si manifestino
simultaneamente e che bisogni di ordine superiore si presentino anche quando quelli di
ordine inferiore non sono stati soddisfatti. Inoltre, mentre i primi due livelli di bisogni sono
considerati limitati nelle espressioni comportamentali cui possono dare luogo, secondo
l'autore i bisogni di crescita danno luogo a possibilità illimitate e vengono ulteriormente
riattivati ogni volta che viene raggiunta una soddisfazione.8
8
Cortese Claudio G. , op. cit., pp. 15-16
8
Figura 1. 3 Il modello di Alderfer
1.2.4 LA TEORIA BIFATTORIALE DI HERZBERG
Herzberg nei suoi studi (1959) sottolinea l'esigenza di riconoscere le differenze individuali
in termini di qualità dei bisogni dominanti e propone una distinzione tra variabili che
influenzano la motivazione delle persone nei contesti di lavoro:
• I fattori di igiene: creano insoddisfazione se non sono presenti, ma la loro
presenza non è in grado di produrre motivazione. Tra questi fattori Herzberg
individua la retribuzione, le condizioni di lavoro, lo status, la sicurezza, la
supervisione tecnica, le relazioni interpersonali con i pari e con i superiori: fattori
che sono in grado di appagare i bisogni che si collocano ai primi livelli della
scala motivazionale ipotizzata da Maslow;
• I fattori motivazionali: non producono insoddisfazione se sono assenti, ma
quando sono presenti generano motivazione. Herzberg in questa categoria
comprende il lavoro in sé (compiti assegnati), il riconoscimento, la
responsabilità, il successo, la carriera, e la possibilità di apprendimento e
crescita: fattori che appagano bisogni di ordine superiore.
1.3 LE TEORIE Di PROCESSO
1.3.1 LA TEORIA DELL’EQUITÁ DI ADAMS
Formulata nel 1965, la teoria cognitiva di Adams sostiene che la motivazione è funzione
del modo in cui una persona si percepisce in relazione agli altri, e che la principale
variabile che interviene nella regolazione del processo motivazionale è costituita
dall’equità percepita, ovvero la valutazione soggettiva del livello di equità presente nel
contesto che l’individuo costruisce mettendo a confronto “ciò che offre” con “ciò che
riceve” e la sua “situazione personale” con la “situazione degli altri”.9
Secondo Adams la valutazione del livello di equità avviene tenendo conto dell’equità
interna percepita, ovvero il rapporto tra il risultato ottenuto e il contributo fornito, e tenendo
conto dell’equità esterna, nel corso del quale viene confrontato il rapporto tra risultati
ottenuti e contributo fornito con il valore di questo rapporto per gli altri soggetti. La
percezione dell’equità non chiama dunque in causa solo la propria personale esperienza,
ma riguarda anche ciò che accade agli altri.
9
Cortese Claudio G., op. cit., p. 27
9