Introduzione
2
quella che pretendeva l'ipotesi genealogica più tradizionale: non dallo
stupore, ma dalla paura, dall'orrore del nulla nasce la filosofia.
L'intuizione iniziale del libro certamente più rappresentativo del
percorso filosofico di Franz Rosenzweig, La Stella della Redenzione,
mostra come il pensiero, fin dalla sua origine, ha cercato di rinnegare
questa sequela mortis attraverso un duplice e surrettizio
camuffamento: creando una nuova paternità e un nuovo mito d'origine
ma soprattutto dispensando varie formule di consolatio mortis, ora con
la pretesa divisione di anima e corpo, ora con l'indice teso verso
qualche aldilà, ora addirittura salutando la morte come prediletta
liberatrice dagli affanni e dalla vanità sperimentate sotto il sole:
Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum,
quandoquidem natura animi mortalis habitur
2
.
Ma il referente polemico di quest'annullamento della morte e
della paura ad essa relativa è soprattutto per il filosofo la categoria
filosofica di totalità [das Allheit], cioè la convinzione dell'idealismo
che il pensiero possa conoscere il senso del Tutto [das All], che
diventa il mare in cui si inabissa e si annulla la possibilità di
estinzione e di morte dell'individuo e, con essa, anche la sua
singolarità irriducibile.
2
Questo è un tipico tema epicureo rielaborato in maniera personale da Lucrezio
nel De rerum natura: [Nulla è dunque la morte per noi, e per niente ci riguarda,
poiché la natura dell'uomo è da ritenersi mortale], vv. 830-831, trad. it. di L.
Canali.
Introduzione
3
Da qui nasce l'esigenza di Rosenzweig di ridare voce alla
fattualità della morte e agli eventi di cui facciamo “esperienza” reale,
che egli chiama con i nomi di uomo, mondo, Dio.
Nella Prima Parte di questo lavoro dedicata a Rosenzweig
seguiremo innanzi tutto, facendo parlare quanto più possibile i suoi
testi, il percorso attraverso cui egli cerca di annodare questo binomio
che unisce la critica a quell'impostazione idealistica incardinata sul
concetto di totalità e il tema della morte. Il suo tentativo è quello di
tratteggiare una possibilità di redenzione dal Tutto della filosofia verso
il Nulla della morte che, anche se ci attanaglia con il suo miasma
pestilente, pure siamo invitati a guardare per recuperare la nostra
individualità. Solo lo sguardo diretto alla morte ci garantisce la
possibilitá di passare, come si esprime nella Stella, dal Nulla al
Qualcosa. (capitolo I).
Il sostare sulla soglia di questo presupposto iniziale, che
sostiene che la morte non sia un nulla, ma un ineludibile e inesorabile
Qualcosa, è, infatti, necessario solo in quanto è garanzia di una
successiva redenzione che porterà dalla morte alla vita [ins Leben].
Perché questo accada è però inevitabile, secondo il nostro, un
esodo dalla filosofia e una richiesta di aiuto alla teologia e alla
religione: sarà allora necessaria una chiarificazione di alcuni
presupposti filosofici del metodo di Rosenzweig, che egli chiama
anche con il termine di nuovo pensiero, nel quale, come avremo modo
di illustrare, ha un ruolo centrale il concetto di rivelazione. A
quest’ultimo tema ci introdurrà, nuovamente, il tema della morte. Sarà
anche interessante vedere come questa nuova "logica" si relazioni e/o
si distacchi da quella hegeliana (capitolo II).
Introduzione
4
Una precisazione ci sembra però importante fin da adesso:
nonostante Rosenzweig sembra farci pensare ad un cambiamento
prospettico da un'iniziale impostazione filosofica ad un successivo
approdo teologico, riteniamo però che fin dall'inizio l'autore sia
intento ad un'analisi più soteriologica che gnoseologica. Già
nell'affrontare il tema della morte, Rosenzweig risente naturalmente
dell'esperienza religiosa vissuta e sperimentata in prima persona.
Dopotutto è un'idea tradizionale, quella secondo cui molte tensioni
religiose siano scaturite dalla ricerca di un senso motivato dalla paura
che scandalizza e avviluppa l'uomo di fronte alla morte, di fronte al
dramma della separazione dalla terra. Dunque fin dalle battute iniziali
la critica al concetto teorico e filosofico di totalità è mossa dalla
soluzione religiosa già trovata, che non sopraggiunge di certo solo
nella fase ultima del percorso.
Infine, se l'opera si apre con le argomentazioni sulla morte, essa
si conclude sul limitare della Porta (Tor), che prelude ad un nuovo
inizio che si apre al di là di essa. È la redenzione che apre la porta a
questo inizio "nuovo" rispetto a quello della morte, cioè alla vera vita,
alla conversione dalla morte alla vita [von Tod…ins Leben].
Cercheremo di capire che tipo di redenzione viene auspicata, quanto
essa si distanzi dalla signoria del Tutto da cui la ricerca era partita e di
che natura è questa vita nuova che viene attesa. Vedremo anche se
questa vita è ancora in relazione a quell'individualità che si erge
contro la totalità nelle prime battute del libro (capitolo III).
Solo dopo aver illuminato il carattere di questo sguardo
messianico sul futuro potremo, infatti, riaffrontare con sguardo nuovo
il tema iniziale della morte e della singolarità umana e la rivolta di
Introduzione
5
Rosenzweig si rivelerà ben più complessa di una semplice esigenza
esistenzialista di riscatto dell'irriducibilità dell'individuo.
Dietro la dissoluzione della filosofia panlogistica non c'è solo il
recupero romantico del singolo ma anche la ricerca di una forma di
"sistematicità"
3
, ben diversa però dalla tradizionale costruzione del
sistema idealistico.
La Seconda Parte del nostro lavoro è dedicata a Th. W.
Adorno, filosofo per tanti versi distante dal primo, per formazione
culturale ed eventi biografici. I due a prima vista sembrerebbero
essere accomunati solo dalla loro condizione di essere stati ebrei
tedeschi assimilati alla cultura della Germania e dal fatto che in
entrambi l'elemento di cultura, di religione e di appartenenza al popolo
ebraico apporta un modo di guardare nuovo al logos occidentale, nel
quale pure, anche se in maniera diversa, come avremo modo di
constatare, entrambi si collocano.
E' nostra intenzione tematizzare anche in Adorno questo
binomio di totalità e morte, di critica all'idea filosofica di "Tutto" e
pensiero della finitudine. Oggetto particolare della nostra attenzione
sarà la produzione di Adorno degli anni '30-'40, periodo in cui Adorno
risente a Francoforte di molti influssi del messianismo ebraico e in
particolare della "costellazione" filosofica di W. Benjamin. Soprattutto
nel libro dedicato a Kierkegaard, che segue di dieci anni La stella
della redenzione, dal titolo Kierkegaard. La costruzione dell'estetico,
abbiamo trovato una tale complessa interazione tra pensiero filosofico
3
«Cellula originaria» della «Stella della Redenzione» in Il nuovo pensiero, trad.
it. G. Bonola, Venezia, Arsenale Editrice, 1983, p. 21. Il testo originario Urzelle è
tratto da Kleinere Schriften, Berlin, Schocken Verlag, Jüdischer Buchverlag,
1937.
Introduzione
6
idealistico, idee teologiche, religione cristiana ed ebraica, che per certi
versi hanno reso, secondo noi, possibile un'ipotesi di confronto con
l'autore della Stella.
Nel capitolo I della Prima parte dedicata ad Adorno cercheremo
di chiarire il motivo della sua attribuzione del carattere di violenza alla
totalità sulla singolarità dell’uomo in carne ed ossa e in modo
particolare sulla sua “natura”. Se il referente polemico del
Kierkegaard è in maniera esplicita l’astrattezza del sistema idealistico,
in tutta la produzione successiva la “teoria critica” adorniana tuonerà
contro ogni forma di razionalità strumentale, per sua natura totalitaria
e violenta, sia scientifica che politica. La tematizzazione di questa
dissimmetria soggetto-oggetto è affrontata da un punto di vista etico
ed estetico più che epistemologico, dal momento che é nostra
intenzione soffermarci in maniera particolare sul tentativo di Adorno
di ridar voce al dolore della creatura sofferente. Nonostante la
particolare visione prospettica scelta abbiamo ritenuto necessario (e
sarà l'argomento del nostro capitolo II) una chiarificazione di alcuni
presupposti filosofici attraverso cui Adorno cerca un nuovo modo di
far dialogare “dialetticamente” razionalità e natura, cultura ed
umanità, soggetto ed oggetto. Anche in questa seconda parte, come
abbiamo fatto speculativamente nella prima dedicata a Rosenzweig,
sarà imprescindibile un confronto con alcune direzioni della logica
hegeliana e in modo particolare con l'idea della dialettica da cui
Adorno attinge in modo certo originale.
Infine, nel capitolo III, parleremo della tensione utopica e
messianica verso una nuova idea di soggettività o meglio di una
totalitá nuova che non schiacci, anzi faccia risaltare il valore della
particolaritá del soggetto. Per Adorno, a differenza di quello che
Introduzione
7
sembra pensare Rosenzweig, si può ancora cercare nella filosofia una
possibilità di redenzione. Anche Adorno, nel dire che "origine è la
meta" [Ursprung ist das Ziel]4 e nel cercare il telos dell'utopia, riporta
lo sguardo rammemorante all'inizio: è il tema che affronteremo
parlando della sua concezione insieme arcaica e redentrice di natura.
Ma la tensione di questa speranza rimarrà però esclusivamente
negativa, tanto che arriverá a definirla l’utopia di “una soggettività
senza sacrificio”. Noi daremo particolare attenzione a quel tipo di
utopia che, secondo Adorno, vive solo nell’apparenza che può
dispensare l’opera d’arte, nell’arte più che nella religione. Per molti
versi la comune attenzione al tema della morte e il desiderio di
salvazione dell’individuo avvicinano la soteriologia materialistica di
Adorno (che presuppone sicuramente come modelli di critica alla
società le prospettive teoriche di Marx e di Freud) e la filosofia
dell’esperienza di Rosenzweig che quanto più possibile canalizzerà il
letto del suo percorso verso una non tradizionale concezione teologica.
Saranno invece altri concetti, come quello di sacrificio e di
rivelazione, ed anche la diversa concezione che hanno dell’Elpìs, della
speranza, a rendere però, a nostro parere più difficili le possibilità di
accostamento.
Abbiamo voluto, dividendo entrambe le parti dei due autori in
tre capitoli, partire dal ruolo critico della loro filosofia, la critica alla
Totalità che qui ci interessa, per poi giungere, dopo la seconda tappa
(di natura più ermeneutica e necessaria per illuminare alcuni concetti
cardini del loro procedere filosofico), ad una finale considerazione
sulle caratteristiche specifiche della differente tensione utopica della
loro filosofia.
4
Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 1975, p. 139.
Introduzione
8
Molte sono le suggestioni che entrambi traggono dalla filosofia
ebraica che aveva preso notevole respiro nella Francoforte
immediatamente precedente alla Seconda guerra, negli anni '20-'30.
Frequentissimi i riferimenti di entrambi a due grandi autori quali
Kierkegaard e Goethe. Tutto questo humus culturale darà la possibilità
di un confronto nuovo ed originale con un autore per entrambi
imprescindibile quale fu Hegel, anche se gli sviluppi di questa critica
seguiranno senza dubbio percorsi e metodi molto diversi.
Prima di intraprendere questa ricerca sul diverso procedere
filosofico sui temi suddetti, cioè sulla critica al Tutto e sulla
redenzione della soggettività, faremo precedere un'introduzione, in cui
saranno presenti necessari cenni di informazione biografica e storica.
Abbiamo ritenuto qui anche necessari alcuni riferimenti al retroscena
storico e spirituale della Francoforte degli anni '20, che entrambi I
filosofi condivisero e da cui trassero l'urgenza di alcune
problematiche. Se per Rosenzweig, però, questi temi orientarono il
cuore di tutto il suo pensiero, per Adorno, invece, rappresentarono una
specie di punto di partenza, certo imprescindibile, ma ampiamente
rifunzionalizzato in altre direzioni nel lungo itinerario della sua
ricerca. Molte delle sue domande continueranno a vibrare inalterate, in
primis la critica al "Tutto", al dominio della razionalità strumentale,
ma sicuramente l'esperienza della seconda guerra mondiale e dei
totalitarismi, l'orrore di Auschwitz, ed infine l’opprimente dominio
economico del capitalismo del dopoguerra, daranno modo ad Adorno
di guardare con occhi nuovi ai temi che fin dall'inizio avevano
informato la hyle della sua ricerca.
La critica teorica alla totalità si anima sicuramente della
tragicità dell'esperienza di questi anni. Auschwitz soprattutto segna
Introduzione
9
senza dubbio una svolta nel suo modo di far filosofia e di pensare la
storia.
Nella conclusione ritorneremo infine al motore iniziale della
nostra ricerca, quello della morte, sperando che il percorso fatto possa
dirci qualcosa di più, non solo sulla totalità criticata inizialmente, ma
soprattutto su quella del futuro, quella che è ancora da realizzare e di
cui la morte, appunto, si propone come unica e autentica sibilla.
Sappiamo come tutto il filone francese post-strutturalista
(Deleuze, Derrida, Foucault), a partire da un'attenta riflessione su
Husserl, abbia messo in discussione, in modo peculiare a ciascuno di
questi autori, i rapporti della razionalità, scientifica e politica, col
potere e come abbia messo in crisi l'idea di "soggetto", cercando, al di
là della sua struttura razionale, l'evento che lo eccede, l'empirico, il
casuale. Emblematico a questo proposito è il concetto derridiano di
écriture (scrittura), attraverso cui il pensatore francese mostra come
anche gli elementi più universali siano compromessi con
quell'elemento opaco e caduco che è appunto la scrittura. Al di là di
come sia stato concepito da ognuno di tali filosofi questo "altro", esso
sembra eccedere sempre rispetto alla "razionalità", nonostante si
relazioni ad essa attraverso rapporti di correlazione e contraddizione.
Questa prospettiva corre poi però il rischio che, escludendo totalmente
il soggetto, sia il suo altro, l'irrazionale appunto, ad essere
assolutizzato.
Ora, i nostri due autori prescindono entrambi da
un'impostazione fenomenologica, di stampo husserliano, pur essendo
ambedue tedeschi
5
. Adorno continua a salvaguardare l'idea di
5
Adorno però, a differenza di Rosenzweig si confronta direttamente e criticamente
con Husserl fin dal lavoro di tesi di laurea a Francoforte nel 1924, Die
Introduzione
10
soggetto, non certo quello cartesiano, metafisico e occidentale che
aveva teorizzato il predominio della razionalità sull'esperienza e sulla
vita, ma il soggetto incarnato, ancora da costruire, che si riconcilia con
la sua "natura", definita soprattutto da piacere e da dolore.
Anche Rosenzweig rivaluta la filosofia "dell'uomo intero", ricco
della sua corporeità, non attraverso il concetto di natura, ma attraverso
quello di "creatura", di chiara derivazione teologica.
Se poi queste nuove totalità siano pensabili all'interno o al di
fuori del logos, se questi empirismi nascondano o no nuovi Assoluti,
quanto infine questo recupero della Leben contro le astrattezze della
filosofia venga dalla loro esperienza di "essere ebrei", saranno tutte
questioni su cui pure cercheremo di soffermarci. Ma stiamo andando
oltre. Con la corda tesa di queste domande, iniziamo dunque ad
inoltrarci in rem.
Transzendenz des Dinglichen und Noematischen in Husserls Phänomenologie [La
trascendenza del cosale e del noematico nella fenomenologia di Husserl].
Continua a studiare Husserl negli anni '30 criticandone soprattutto
l'assolutizzazione dei principi logici propri della soggettività pensante. Il libro più
noto su Husserl rimane però quello scritto nel 1956, Zur Metakritik der
Erkenntnistheorie. Studien über Husserl und die phäenomenologischen
Antinomien [Sulla metacritica alla gnoseologia. Studi su Husserl e le antinomie
fenomenologiche].
Introduzione
11
Tracce dell’ebraismo degli anni ’20
in Adorno e Rosenzweig: “tra”
materialismo e teologia
Nel 1910 il rabbino Nehemia Anton Nobel, che era stato
ordinato secondo l'ortodossia, aveva frequentato le lezioni di Dilthey e
si era laureato nel 1895 a Bonn su La teoria del bello in
Schopenhauer, fu chiamato a Francoforte. Oltre a Nobel, che fu uno
dei primi rabbini tedeschi che si dichiararono per il sionismo, era
allora presente a Francoforte un gruppo di giovani intellettuali ebrei,
fra cui Franz Rosenzweig, Siegfrid Kracauer, Erich Fromm, Ernst
Simon.
Nobel, uomo dal fascino carismatico, diede motivo ad alcuni di
questi ebrei più giovani di dedicarsi di nuovo all'ebraismo
6
.
Fu A. N. Nobel a dare a Rosenzweig l'idea di assumere la
direzione di un'università popolare a Francoforte, che fu fondata nel
1920 e in cui si riscontrava sia un'attenzione alla cultura ebraica
dell'est, sia, soprattutto dopo l'apporto nuovo e originale di
Rosenzweig, un'impostazione pedagogica in una forma nuova di vita
6
Leo Löwenthal, descrivendo la propria esperienza personale, scrisse: "Sotto
l'influsso di quest'atmosfera ebraica, nella quale si mescolavano anche filosofia,
un po’ di socialismo, un po’ di psicoanalisi e anche un po’ di misticismo, si
sviluppò in me e in mia moglie il desiderio di vivere nuovamente da ebrei…". Cfr.
Mitmachen wollte ich nie - Ein autobiographisches Gespräch mit H. Dubiel,
Frankfurt am Main, 1980, p. 19.
Introduzione
12
ebraica, che intendeva dar spazio più ai dialoghi aperti che
all'insegnamento. Dal punto di vista tematico la scuola trattava
problemi classici dell'ebraismo, della Bibbia, del Talmud, del periodo
dell'emancipazione, del sionismo e dell'antisemitismo, della letteratura
ebraica medievale e moderna, del culto, della mistica, dell'etica. Negli
anni 1920-26 troviamo nel corpo insegnante anche giovani personalità
che sono poi divenute note, come l'economista Franz Hoppenheim,
Eduard Strauss, Richard Koch, Fritz Stern, Siegfrid Kracauer, Erich
Fromm, Ernst Simon, Leo Löwenthal, i filosofi Nahum Glatzer e Leo
Strauss, lo studioso di kabbala Gershom Scholem, Martin Buber, la
poetessa Margarete Susmann.
La scuola, che allentò le sue attività dopo il 1926 e fu chiusa nel
1929, riaprì le porte solo nel 1933, quando, sotto la minaccia del
nazionalsocialismo, l'ebraismo tedesco era destinato ad una rinascita
di breve durata, forzata e precaria, un ambiguo "inizio della fine".
All'interno della scuola Franz Rosenzweig aveva una posizione
ben singolare, visibile soprattutto nel suo tentativo di delineare una
possibile fisionomia dell'ebreo tedesco, che si distanziava tanto dal
giudaismo riformato, con i suoi pericolosi tentativi di assimilazione
totale alla cultura tedesca e di conseguente perdita della propria
identità, sia dal sionismo, di cui Buber all'epoca fu il più insigne
rappresentante.
Nato a Kassel nel 1886, Rosenzweig proveniva da una famiglia
ebrea pienamente assimilata e assorbita dall'ambiente culturale e
sociale della Germania. E' interessante notare che, dopo il liceo aveva
iniziato gli studi di medicina, il primo anno a Gottinga, il secondo e il
terzo a Monaco, poi a Friburgo, ma li abbandonò ben presto, per
Introduzione
13
dedicarsi alla filosofia e alla storia seguendo i corsi di Rickert e di
Meinecke. Con quest'ultimo poi, lavorando a Berlino e a Friburgo,
progettò ed eseguì la tesi di dottorato che, successivamente rielaborata
e ampliata, sarà pubblicata con il titolo di Hegel und der Staat
7
, in cui
il giovane si accinse a studiare la genesi dei nessi fra "Stato" e
"Nazione" nella Germania moderna, dal punto di vista di Hegel, pur
prendendo già le distanze da alcuni aspetti che gli parevano violenti
nella sua teoria dello Stato, perché in essa vedeva una forma di
giustificazione teorica della forza bruta.
Nel 1910, a Baden Baden si tenne un convegno di giovani
studiosi delle università di Friburgo, Heidelberg, Strasburgo, in vista
di una sintesi delle diverse concezioni storiografiche scaturite
dall'eredità della speculazione hegeliana. Il nostro vi partecipò con un
intervento, la cui impostazione considerava ancora la storia come
totalità, forse per il tributo che la sua iniziale formazione scientifica
naturalistica pagava alle teorie evoluzionistiche, rielaborate poi, nel
corso del successivo approfondimento filosofico, in stretta
connessione con la concezione hegeliana della storia. Già in
quest'occasione però, dopo l'esposizione del suo contributo e le
successive discussioni con alcuni studiosi, tra cui soprattutto il cugino
Hans Erhenberg ed Eugen Rosenstock, che diventeranno gli
interlocutori di tutta la sua vita, la sua visione chiusa e totalizzante del
divenire storico hegeliano iniziò ad essere messa in crisi. Da questo
momento Rosenzweig cominciò un progressivo avvicinamento ad un
certo relativismo dei valori storici, motivato dall'impossibilità che la
7
F. Rosenzweig, Hegel und der Staat, München und Berlin, Oldenbourg, 1920,
trad. it. di L. K. Giavotto e R. Curino Cerrato, Hegel e lo stato, a cura di Remo
Bodei, Bologna, Il Mulino, 1976.
Introduzione
14
frammentarietà degli eventi storici possa essere colta con una
definitiva ed esaustiva Weltaschauung
8
.
Altro argomento di conversazione privilegiato con Rosenstock
era la religione. Questi infatti, di origine ebraica, si convertì in quegli
anni al cristianesimo, per motivi più esistenziali che intellettuali.
Rosenzweig, che abbracciava allora una posizione relativista, secondo
la quale esisteva un abisso tra mondo e fatti storici da una parte e
rivelazione di Dio dall'altra, iniziò a vedere per la prima volta nella
visione dell’amico la possibilitá di superare questa distanza tra le due
dimensioni di mondo e rivelazione nel tessuto della propria vita
concreta, al di là di ogni speculazione formale.
9
Dopo un colloquio a Lipsia con l'amico nel 1913, in cui
abbandona le posizioni relativistiche e dopo tre mesi di incertezze in
cui è sempre più deciso a convertirsi al Cristianesimo, attua un
cambiamento di rotta, e sceglie di "rimanere ebreo". Scriverà infatti
8
L'idea di una storia delle idee che si coglie unicamente nelle singole personalità
e collettività veniva sviluppata soprattutto in quegli anni da Meinecke in
Weltbürgertum und Nationalstaat.
9
"Sono stato subito disarmato dalla semplice confessione di fede di Rosenstock
che rappresentava il punto di partenza di tutte le sue argomentazioni - scriveva a
Rudolf Ehrenberg il 31 ottobre ricordando la notte dell'intenso colloquio con
l'amico -. Il fatto che un uomo come Rosenstock sia un cristiano convinto (nel mio
caso queste cose sono ancora allo stato fluido di un problema) ha posto in crisi
tutta la mia concezione del cristianesimo e della religione in generale. Pensavo di
aver cristianizzato il mio punto di vista dell'ebraismo e invece avevo fatto
l'opposto: avevo giudaizzato la mia visione del cristianesimo […]. Dovevo
cominciare a costruire il mio mondo […], in questo mondo sembrava non ci fosse
più posto per l'ebraismo." Cfr. Lettera a Rudolf Ehrenberg, 31 ottobre 1913,
Briefe und Tagebücher, I, pp. 132-133.
Introduzione
15
all'amico Ehrenberg: "Ich bleibe also Jude"
10
, dando alcune
motivazioni razionali e storico-teologiche della non necessità e
dell'impossibilità della decisione di convertirsi al cristianesimo, senza
far cenno alle questioni personali che mossero la riconversione
all'ebraismo. Pare comunque che sia emersa con una certa rilevanza
l'urgenza di definire la propria posizione religiosa nel giorno della
suggestiva liturgia dello Yom Kippur del 1913. Comunque sia, questa
scelta esistenziale e religiosa diverrà ben presto anche culturale e
filosofica. Fu una conversione nel senso filologico del termine, un
cum-vertere, un ritorno alle proprie origini e tradizioni ebraiche
11
, un
ritorno a casa che orientò in maniera nuova il modo di guardare di
Rosenzweig alla cultura filosofica dell'occidente, spingendolo in
particolar modo ad una rinnovata lettura di Goethe, Hegel, Schelling.
La sua condizione di "essere ebreo" (Judesein), come dirà preferendo
tale espressione a quella più astratta di "ebraismo" (Judentum), in
primo luogo lo arricchisce di un bisogno imprescindibile di realtà, di
"esperire" il reale e di fondare un nuovo approdo teoretico che gli
permetterà di individuare un orizzonte assoluto di comprensione,
capace di superare la distinzione idealistica fra realtà e conoscenza.
Lasciata polemicamente, dopo la conversione, nel 1914,
l'università di Freiburg, giunse a Berlino, per studiare filosofia
religiosa ebraica. Qui conobbe Hermann Cohen, subendone
notevolmente il fascino
12
e diventandone discepolo, pur criticandone i
10
Ibidem, pp.132.
11
Lo stesso significato ha il termine ebraico usato per "conversione", teshuvah.
12
"Ero andato a sentire un filosofo, ho invece incontrato un uomo che incarna il
filosofare, che rappresenta in modo inedito nel panorama accademico la figura
della filosofia vivente, lo stile essenziale di una grande personalità". Così dirà