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Introduzione
In questa ricerca si affronta il complesso tema della qualità della vita
(Qdv) e della sua misurazione nel contesto specifico dello sviluppo
rurale (SR).
Attraverso l’uso di indicatori socio - economici, aggregati in un indice
sintetico, si è cercato di descrivere alcune caratteristiche relative alla
Qdv dei comuni rurali, per affinare a livello provinciale e regionale la
zonizzazione nazionale elaborata dal Ministero delle politiche agricole
(Mipaaf).
Tale zonizzazione, utilizzata nel piano di sviluppo nazionale (Psn) e nei
programmi di sviluppo rurale (Psr), è basata sulla densità ed altimetria
ed è funzionale a livello nazionale, ma risulta poco accurata
nell’individuare i comuni con problemi complessivi di sviluppo nel
contesto sub – regionale; le aree maggiormente penalizzate sono
quelle collinari, caratterizzate dall’essere più eterogenee rispetto alla
pianura e alla montagna.
Il miglioramento della Qdv è uno dei tre obiettivi prioritari nella Politica
Agricola Comunitaria (PAC) ed è trattata specificatamente nel terzo
asse dei Psr; la necessità di pensare a nuove politiche di sviluppo
rurale, per migliorare l’integrazione dell’agricoltura nella società
moderna e nel mercato del lavoro, è ripresa chiaramente con Agenda
2000 e con il primo periodo di programmazione PAC 2000-06, che
affianca al primo pilastro “politica di mercati” un secondo pilastro
specifico per lo sviluppo rurale.
All’entrata in vigore della PAC, nel 1962, gli occupati in agricoltura
erano una componente significativa; grazie al progresso tecnologico, il
loro numero si è progressivamente ridotto e oggi, nei paesi
industrializzati, gli agricoltori rappresentano meno del cinque per cento
degli occupati totali.
Studiare le comunità rurali moderne, oggi, vuol dire quindi dare sempre
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più importanza alla componente extra – agricola della popolazione, in
quanto questa rappresenta la quasi totalità degli abitanti rurali.
Una migliore conoscenza delle aree rurali nel loro complesso è una
tappa basilare per confrontarsi sul tipo di SR da sostenere, per
ottimizzare l’integrazione dell’agricoltura nella società e incrementare la
qualità della vita.
Gli indici ai quali si è fatto riferimento appartengono alle misure
complementari al Pil e sono tornati di grande attualità all’interno
dell’Unione Europea con la pubblicazione del report Stiglitz, che pone la
sostenibilità come base imprescindibile per il miglioramento della
qualità della vita e il progresso della società. La Commissione Stiglitz
parte dal presupposto che il Pil non è un indicatore inadeguato in quanto
tale, ma è usato in modo sbagliato e per conoscere il progresso della
società sia indispensabile valutare altre dimensioni oltre a quella
economica; per questo motivo gli economisti e i sociologi lavorano sulla
ricerca di indici complementari con l’obiettivo di colmare, almeno in
parte, le lacune derivanti dal solo utilizzo del Pil come indicatore di
sviluppo.
In questo lavoro è stato ipotizzato un indice sulla Qdv dove il Comune è
l’unità statistica e il set di indicatori riprende la tradizionale tripartizione
dello sviluppo sostenibile promossa all’Earth Summit di Rio del 1992, la
quale verte sulle tre dimensioni Economia, Società e Ambiente.
L’indice ipotizzato, specifico per il contesto dello SR, è stato applicato
per classificare i comuni della provincia di Asti, totalmente collinare, e
quelli della regione Piemonte.
Nel primo capitolo, partendo da una breve descrizione del Pil, si è
cercato di renderne comprensibili i limiti e si introducono gli indici
complementari più famosi.
Il secondo capitolo tratta il tema della qualità della vita nell’ambito della
PAC e dei Psr (secondo pilastro, terzo asse) con particolare attenzione
alla regione Piemonte.
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Il terzo capitolo tratta il tema della ruralità che, come quello della Qdv,
ha molte sfumature e quindi molte interpretazioni. Il capitolo tratta gli
approcci più interessanti ai fini della ricerca e gli indici più famosi
utilizzati per definire i limiti territoriali delle aree rurali e alcuni indici
complementari alla zonizzazione Psn.
Il quarto capitolo e dedicato alla metodologia utilizzata per calcolare le
graduatorie di Qdv e la zonizzazione dei comuni rurali con le relative
mappe provinciali e regionali. Dopo una breve introduzione sui passaggi
operativi per la costruzione di un indice sintetico, gli indicatori sulla Qdv
selezionati sono stati trattati con la metodologia Istat “delle penalità per
coefficiente di variazione (MPcv)”.
La tecnica MPcv è stata applicata a un set di nove indicatori per
classificare i Comuni della provincia di Asti. La graduatoria ottenuta è
stata confrontata con una seconda graduatoria ricavata utilizzando
l’analisi delle componenti principali (PCA) e con una terza graduatoria
risultato dell’aggregazione di tre indicatori con la tecnica MPcv;
attraverso il confronto dei risultati numerici e delle mappe si è scelto il
modello da applicare a livello regionale.
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Capitolo 1
Dal Pil al report Stiglitz, gli indici complementari più famosi
1.1 Il Pil: Prodotto interno lordo
Il concetto di reddito nazionale come misura del benessere di un Paese
incomincia a prendere forma agli inizi del Settecento con William Petty in
Inghilterra e Pierre de Boisguillebert in Francia, ma è solo nella seconda
metà del XIX secolo con John Maynard Keynes (1936) che l’argomento
diventa centrale nel dibattito e nelle analisi teoriche (Castellino 1987, 5;
Parra Saiani 2009, 71). Secondo la teoria keynesiana, che si sviluppa
negli anni Trenta in seguito alla grande crisi del ‘29, il reddito nazionale
sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti. Il primo indice che
si è affermato per misurare il reddito nazionale è stato il prodotto interno
lordo, ideato negli anni ‘30 dall’economista statunitense Simon Kuznets,
premio Nobel per l’economia.
Secondo Kuznets, profondamente ispirato dalla teoria keynesiana,
l'aumento dell'occupazione e della produttività avrebbero portato a un
aumento dei salari e ad una migliore distribuzione del reddito. Diventava
quindi indispensabile per migliorare i conti nazionali creare strumenti
moderni per misurare il ciclo economico, qui di seguito un breve
riassunto del suo pensiero: “Prima del diffondersi dei Conti Nazionali, i
politici per guidare l’economia avevano a disposizione informazioni
limitate e frammentarie sullo stato dell’economia stessa. La Grande
Depressione sottolineò i problemi dell’incompletezza dei dati e portò allo
sviluppo dei conti nazionali […]. Può risultare sbalorditivo che i
presidenti Hoover e in seguito Roosevelt per combattere la Grande
Depressione degli anni ’30 mettessero a punto le loro politiche
basandosi su dati così imprecisi come quelli dell’indice dei prezzi
all’ingrosso, del trasporto di merci, e di indici incompleti sulla produzione
industriale. Ciò è dovuto al fatto che non esistevano, allora, metodi
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adeguati per misurare il reddito e la produzione delle nazioni. La Grande
Depressione e, con essa, il crescente ruolo del governo nell’economia
misero in luce la necessità di tali misure e portarono allo sviluppo di un
esauriente sistema di conti del reddito nazionali
1
”
(CNEL 2010).
Il Prodotto Interno Lordo (Pil) o in inglese Gross Domestic Product
(GDP) è il valore di tutti i beni e servizi finali
2
prodotti in uno specifico
ambito territoriale (paese, regione, città) in un dato periodo (solitamente
un anno) e può essere definito, secondo Kuznets, come il valore della
ricchezza di un paese.
La somma di tutte le voci, valutate al prezzo di mercato, è pari al Pil che
si calcola in estrema sintesi nel seguente modo:
Pil = C+I+G+(E-Im)
dove
Pil = prodotto interno lordo
C = spesa per consumo di beni e servizi
I = investimenti
G = spesa pubblica e servizi
E = valore esportazioni
Im = valore importazioni
Il Pil è influenzato principalmente dalla dimensione della popolazione di
conseguenza quando si vogliono confrontare stati, regioni o province,
diventa necessario neutralizzare questa influenza normalizzando i valori
per il rispettivo numero di abitanti e si utilizza quindi il prodotto interno
lordo pro capite (Pil-pc) che dà una misura del reddito dei suoi cittadini
1
”Bureau of Economic Analysis”, cit., traduzione Cnel 2010, pag. 21.
2
Si escludono duplicazioni avvalendosi del concetto di valore aggiunto: a ogni
stadio della produzione di un bene è contabilizzato, come parte del Pil, solo il
valore aggiunto al bene in quello stadio di produzione e non il valore dei beni
intermedi.
11
accettando l’assunto, difficilmente verificabile, che la ricchezza sia
distribuita in modo equo tra la popolazione. Questo assunto fa si che dal
punto di vista economico il Pil-pc si confermi come una misura
dominante ma non dice nulla sul benessere reale della popolazione. Se
all’inizio del secolo scorso è stato necessario riorganizzare il calcolo dei
conti pubblici e la nascita del Pil è stata una grande innovazione per la
società, oggi in una realtà molto più complessa l’analisi della sola
dimensione economica ha dimostrato gravi carenze.
1.2 I limiti del Pil come misura di benessere
Diverse argomentazioni sui limiti del Pil sono state avanzate sin dalla
sua nascita e sono proseguite sino ai giorni nostri (Kuznets 1934, Scidà
1981, Sen 2000, Cheli 2000, Girardi 2009, Parra Saiani 2009, Stiglitz
2009).
Il Pil misura il potenziale economico di un territorio e quindi dà una stima
della capacità di creare ricchezza e quindi di soddisfare i bisogni della
popolazione; spesso però tale indicatore è stato usato come sinonimo di
benessere paragonandone indebitamente il significato; il Pil ha infatti
una finalità solo “di ordine materiale e quantitativo” (Scidà 1994-95,131),
ossia non è stato inventato per misurare la qualità e il benessere, ma la
quantità. La ricchezza economica di un paese di conseguenza può non
riflettersi sulla popolazione e sul benessere percepito, per esempio, per
una cattiva distribuzione dei capitali, in quanto non considera l’effettiva
utilità per la società delle produzioni e non differenzia le esternalità
positive da quelle negative come, ad esempio, i costi ambientali (Stiglitz
2009). Lo stesso Kuznets, in accordo con Keynes, già sosteneva come il
benessere di una nazione difficilmente avrebbe potuto essere spiegato
da una misura di reddito nazionale e in questo senso il Pil, fin dalla sua
nascita, non ha mai avuto questo obiettivo.
I limiti del Pil e il problema della mancata differenziazione delle
esternalità sono sempre stati noti e vennero enfatizzati nel famoso
12
discorso del 18 marzo del 1968 da Robert Kennedy di cui si riportano
alcuni passaggi :
“ […]Il Pil comprende l'inquinamento dell’aria, la pubblicità delle
sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle
carneficine del fine settimana […]. Il Pil non tiene conto della salute delle
nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro
momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la
solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri
tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi.[…] Misura tutto, eccetto ciò
che rende la vita degna di essere vissuta “.
Negli anni Ottanta, nonostante le molte critiche atte a sottolineare i limiti
del Pil, si sviluppa la teoria neo-liberalista, evoluzione del pensiero della
“Scuola Economica di Chicago”, nata negli anni Trenta e che ha tra i
suoi promotori l’austriaco Friederich von Heydek e l’americano Milton
Friedman. Il neo-liberismo riprende le teorie del liberismo della prima
rivoluzione industriale e si fonda sull’idea che il mercato debba auto-
regolarsi senza interferenze da parte dello Stato e quindi mediante leggi
economiche sviluppate dal mercato stesso. In questo sistema l’essere
umano è considerato come un calcolatore razionale in grado di
comprendere la realtà e quindi valutare correttamente il rapporto costi-
benefici per orientare le sue scelte. In un sistema ideale ne deriva che il
mercato è in grado di autoregolarsi. La realtà è considerata
comprensibile e il rischio dei mercati misurabile.
La posizione di Friedman è molto distante dalle idee originarie di Keynes
e Kuznets, decisamente più cauti nel considerare i limiti di qualsiasi
sistema economico. Con la nuova visione, il Pil si consolida
ulteriormente come indicatore di ricchezza ma anche di benessere
distorcendone il significato originale.
Nel 2004, Mandelbroat sostiene che i modelli statistici sviluppati
secondo la teoria neo - liberalista sottostimano il rischio e propone
soluzioni alternative dove l’andamento dei mercati è considerato per la
13
sua irregolarità, quindi profondamente in antitesi con le teorie di
Friedmann. Il matematico analizza, tramite i modelli frattali da lui
sviluppati, le logiche economiche attuali confrontando i risultati con quelli
dei modelli matematici standard utilizzati fino a quel momento. Secondo
i suoi calcoli, i modelli standard hanno una bassa capacità predittoria e
risultano troppo ottimistici riguardo l’andamento dei mercati, e di
conseguenza raccomanda una maggiore cautela.
Secondo Mandelbroat, la visione positivista di Friedman nel medio e
lungo termine e la misurabilità del rischio non sono infatti coerenti con
l’andamento dei mercati (Mandelbroat 2004) sempre più schizofrenici e
incapaci a reagire agli imprevisti.
Richard Posner (2009), grande sostenitore delle teorie neoclassiche, ha
recentemente rivalutato le teorie di Keynes nel libro “ A failure of
Capitalism” che si sviluppa su due temi principali: il primo riguarda gli
“homini economici” i quali, pur in presenza di norme che tutelano la
proprietà e la giustizia, possono condurre a un sistema economico
incapace di correggersi e di rimediare ai malfunzionamenti. Questa
incapacità porterà inevitabilmente a una recessione.
Il secondo tema è incentrato sulla crisi economica e sulle possibili
soluzioni dove l’approccio operativo più idoneo, secondo l’autore, è
rappresentato dal “pragmatismo” e dal coraggio di rivalutare ideologie
ortodosse e gli strumenti tipici della teoria monetaria.
Secondo Stiglitz (2009, sit.) “The Chicago School bears the blame for
providing a seeming intellectual foundation for the idea that markets are
self- adjusting and the best role for government is to do nothing
3
”.
L’approccio neo-classico inoltre considera gli esseri umani come esseri
razionali e consumatori consapevoli, ma non considera se questi siano
3
Stiglitz (2009, sitografia): “La Scuola di Chicago ha la colpa di aver dato
credibilità e fondamenta all’idea che i mercati siano in grado di auto-regolarsi e
che i governi non debbano intervenire”.
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realmente in grado di acquisire le informazioni essenziali per una scelta
razionale che permetta loro di orientare la crescita economica ed il Pil
verso i reali bisogni della società e la sostenibilità ambientale.
Come si legge nel Rapporto Stiglitz: “Il Pil non è errato in quanto tale,
ma è usato in modo errato”.
L’instabilità economica dell’ultimo decennio ha reso evidente la
necessità di nuovi paradigmi ed un migliore utilizzo dei mezzi a
disposizione.
1.3 Andare oltre il Pil
Nell’ambito delle ricerche socio - economiche molti sono i lavori che
hanno dimostrato come oltre una certa soglia di ricchezza non aumenti il
benessere (Easterlin, 2010), mettendo quindi in discussione l’attuale
modello di progresso e gli strumenti utilizzati per misurarlo.
Secondo Amartya Sen, discutere di indicatori significa ragionare sui fini
ultimi di una società e quindi verso quale direzione il progresso debba
essere orientato.
Gli indici sintetici sulla Qdv, composti da un numero di indicatori variabile
da poche unità a molte decine, tuttavia non costituiscono una soluzione
definitiva al problema. Essi hanno il pregio di rendere disponibili delle
classifiche relative tra Paesi o Province e poiché i dati sono disponibili a
tutti, lo sviluppo delle metodologie statistiche consente a chiunque di
mettere insieme indicatori compositi. Per quanto la disponibilità di dati
diminuisca al diminuire dell’area considerata e sia migliorabile in futuro,
oggi il problema principale nella nostra società è riferibile alla mancanza
di una visione comune di che cosa si intenda con i termini progresso,
sviluppo sostenibile e benessere. “Oggi manca questa visione condivisa
e questo è un problema serio per la democrazia moderna; si finisce per
usare i dati come pietre contro gli altri, piuttosto che come strumento per
comprendere dove stia andando la società “ (Cnel 2010b, Ocse 2009
World Forum Korea).