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Introduzione
Al giorno d‟oggi, il mercato pullula di aziende che mirano ad attribuirsi la qualifica
di imprese “etiche”, facendo a gara per mostrarsi attive sul fronte dell‟impegno sociale:
codice etico, carta valori, raccolte fondi, fondazioni aziendali, partnership con pubblica
amministrazione ed enti non- profit. La marca postmoderna sembra sfoggiare un nuovo
volto, più autentico, meno costruito ed improntato alla spettacolarizzazione, un‟identità
meno fittizia e non più da esibire soltanto sull‟artificiale palcoscenico delle merci, ma
da rendere parte attiva del contesto in cui opera: il brand si fa attore sociale,
“scendendo” tra gli individui- consumatori, tendendogli la mano e condividendo con
questi ultimi emozioni, forme di vita e soprattutto valori universali come, appunto,
l‟etica e la volontà di salvaguardare il pianeta in cui si vive, riscoprendo la
responsabilità delle proprie azioni e le implicazioni negative che finora ad esse sono
state sempre sottese ma volontariamente ignorate.
L‟intento del presente lavoro muove dalla volontà di esplorare i modelli di consumo
contemporanei e le relative tattiche di marketing da essi scaturiti, adottando un
approccio multidimensionale allo studio di un fenomeno, quello dell‟assunzione di
social responsibility da parte delle imprese odierne, che interseca svariati ambiti: da
quello economico a quello sociologico, da quello girudico a quello semiotico, fino ad
arrivare a mostrare dei risvolti in ambito politico ed istituzionale.
Nel primo capitolo, si delineerà il progressivo approdo del brand verso la cosiddetta
“svolta etica”, imperniata sull‟esibizione nel discorso di marca di valori come
responsabilità, ecopragmatismo, riscoperta dell‟autenticità e più in generale solidarietà
sociale. Si analizzeranno dapprima le varie fasi che esso ha vissuto nel tempo, sia da un
punto di vista economico che socioculturale, per poi tracciare un profilo “tripartito”
della marca evergreen, o sempreverde, cioè quell‟entità semiotica che riesce a innovare
continuamente (al livello superficiale delle manifestazioni comunicative) i propri
significati in linea con lo Zeitgeist e l‟attualità culturale, pur mantenendo un‟identità di
fondo coerente ed un discorso stabile, e che sarà descritta attraverso tre metafore: quella
della marca- narratore, della marca essere vivente e della marca generatore di territori di
senso.
6
Sposato l‟approccio del societing, nel secondo capitolo si esploreranno i più ampi
risvolti politici della CSR, arrivando ad una descrizione dell‟onnipervasività delle
imprese globali e ad una rassegna dei casi più eclatanti di “brandizzazione” della società
(Nike, Coca- cola, Nestlé, Wal- Mart), processo che ha tutta l‟aria di costituire un vero e
proprio totalitarismo poiché invade sfere estranee alla competenza delle aziende, come
la gestione del sistema informativo, di quello culturale, educativo nonché dei processi
individuali di costruzione identitaria degli individui- cittadini. Dopo aver affrontato
l‟antico dibattito sull‟apparente inconciliabilità dei principi di “etica” e di “impresa” si
elaborerà, infine, una tassonomia di imprese green partendo dall‟assunto che una politca
reale di responsabilità sociale debba iniziare a monte da un‟integrazione del principio
all‟interno della cultura organizzativa, per poi proseguire solo in secondo momento
verso una comunicazione trasparente di quanto effettivamente interiorizzato.
Infine, nel terzo capitolo, verrà proposto un modello basato sui concetti di identità ed
immagine, che mira ad osservare gli eventuali gap che possono generare da una
comunicazione (identità) non trasparente della CSR, nel breve periodo, e da una
mancata rispondenza tra realtà aziendale (personalità) ed immagine che ne deriva, nel
lungo periodo, causando la compromissione del commitment, ovvero l‟impegno
valoriale durevole mostrato dai brand nei confronti della collettività tutta: dai
consumatori ai cittadini, dal mercato alla cittadinanza, dai dipendenti alle risorse umane.
Per questa concreta applicazione, si è scelto di esaminare il controverso caso
aziendale Mc Donald‟s, consapevoli di quanto esso sia simbolo del più ampio sistema di
strapotere e di imperialismo delle multinazionali (descritto ampiamente nel secondo
capitolo) e costituisca quindi l‟esempio più calzante per intercettare i più ampi
mutamenti socio- culturali che soggiacciono a quelle che sembrano semplici decisioni di
mercato. In conclusione, forti di un‟osservazione basata su un doppio livello di
indagine, dell‟identità attraverso un‟analisi semiotica del discorso di marca e un‟analisi
del contenuto del sito aziendale della catena di fast food, dell‟immagine mediante la
presentazione dei risultati di un‟inchiesta sulla percezione degli individui effettuata
attraverso la somministrazione di un questionario on- line, si riconduranno i risultati
delle tre prospettive d‟analisi allo schema “identità/ immagine” per tentare di elaborare
un profilo dell‟odierno consumatore responsabile e di effettuare un raffronto tra la
comunicazione dei brand e la percezione della loro immagine da parte dei pubblici.
7
1. Verso la marca etica: fenomenologia di un attore sociale
1.1 Lo sguardo sociosemiotico: un approccio interdisciplinare
Affrontare un argomento di moda come la corporate social responsibility può
risultare in apparenza un compito semplice; al contrario, proprio nel momento in cui
una nascente tendenza sociale, economica, culturale che sia, ha i riflettori puntati su di
sé, chiunque voglia avvicinarsi ad essa si trova costretto nell‟ardua impresa di doverne
tentare una definizione univoca, o quantomeno avverte come dovere la scelta di una
giusta angolazione da cui poter analizzare il fenomeno. Improbabili tentativi definitori,
ambiti disciplinari che rivendicano la paternità indiscussa del concetto, contribuiscono a
rendere oscuro un vocabolo di per sé già semanticamente ambiguo, che al tempo stesso
etimologicamente accosta una sfera dell‟agire umano indivdiduale –responsibility- al
genus dei comportamenti sociali – social-, facendo inoltre riferimento all‟applicazione
pratica dei suddetti principi alle prassi imprenditoriali – corporate-, attribuendo così al
termine complessivo che ne deriva lo statuto di species del più ampio concetto di
responsabilità, poiché riferito in particolare alle problematiche strategiche e tattiche
d‟impresa.
Lo scopo del presente lavoro diventa così quello di cogliere, facendo leva
sull‟eterogeneità dei punti di vista - considerata mai come un difetto ma sempre come
un arricchimento ed un dovere conoscitivo di completezza- le odierne tendenze
evolutive del branding, come processo sociale, ancor prima che economico. Tentare di
esplorare l‟ultima frontiera del marketing contemporaneo, arretrando lo sguardo verso la
società che questa stessa evoluzione ha contribuito a generare, implica la volontà di
procedere in accordo con la dualità, spesso ignorata, insita nello stesso termine di
corporate social responsibility.
La volontà di scovare i più ampi meccanismi di cambiamento socio-culturale, che
un‟analisi della sola evoluzione del marketing inevitabilmente sottenderebbe, nasce dal
convincimento che la marca possa rientrare a pieno titolo nella definizione di “attore
sociale”, al pari degli individui- consumatori cui si rapporta.
Porsi l‟obiettivo di indagare una realtà multiforme come quella delle tendenze che
affiorano attualmente nel mondo dei consumi, allontanandosi dall‟usurato e spesso
8
“cieco” approccio aziendalista, richiede l‟inevitabile adozione di una prospettiva
interdisciplinare, che tenga costantemente conto del complesso rapporto di
bidirezionalità che si instaura tra agire economico ed agire sociale, intricato a tal punto
da far perdere di vista quale sia la variabile dipendente e quale la indipendente e, forse,
a far venire meno l‟esigenza di comprendere da dove inizi realmente il processo.
Rivendicare l‟utilità di uno studio olistico all‟analisi del green marketing e della
corporate social responsibility è da intendersi come una sfida da intraprendere contro il
falso mito che ritiene le discipline aziendali, di cui il marketing è sempre stato
considerato come “figlio illegittimo”, in grado di aspirare alla conoscenza assoluta e
quindi fonte di rigide certezze, contro l‟instabilità delle scienze sociali, considerate
sempre più come una semplicistica imitazione delle loro controparti scientifiche.
Tuttavia, pur operando mediante una pluralità di prospettive, risulta necessaria, per
non far sì che dall‟eccesso di semplificazione si sfoci all‟estremità opposta del caos,
l‟individuazione di un focus, di un punto fermo che definisca l‟impronta dell‟analisi e
da cui poi allargare la visione verso le molteplici sfaccettature della questione.
L‟esigenza di comprendere il rapporto che si instaura tra consumatori e mercato,
attraverso l‟elemento “mediatore” del brand, impone come scopo principale quello
prettamente semiotico di cogliere lo scambio di significati in gioco tra gli attori della
suddetta interazione, il cui risultato si riverbera poi nelle strategie delle imprese
produttrici. Si sposa in tal senso l‟idea di fondo da cui nasce la disciplina stess, che non
intende soffermarsi né sul solo piano dell‟espressione, né sul solo piano del contenuto,
mirando invece a svelare la negoziazione di senso che nasce a cavallo tra i due livelli.
Tuttavia, ciò appare possibile soltanto inquadrando il consumo come pratica sociale,
arretrando lo sguardo dalla significazione prodotta da uno specifico testo ( come ad
esempio uno spot pubblicitario, un evento di sensibilizzazione verso le tematiche
ambientali o un codice etico) alle sottese pratiche sociali di costruzione identitaria.
Se il semiologo è colui che ricerca un continuo aggancio empirico cui rapportare le
proprie teorie, in questo caso le manifestazioni comunicative di un‟impresa, il sociologo
cerca di astrarre dei modelli che possano scoprire le nuove forme di socialità
soggiacenti ai suddetti messaggi. Si mostra, pertanto, come impellente la necessità di
poter integrare i due modus operandi, agendo costantemente in bilico tra le
trasformazioni in atto nei processi di comunicazione d‟impresa ed i mutamenti che
9
ridefiniscono gli scenari sociali ad essi retrostanti, sfruttando quest‟ottica privilegiata
per analizzare il complesso mondo dei consumi odierno.
Unendo entrambe le finalità conoscitive, si approda al campo d‟indagine della
sociosemiotica, disciplina che si fa terreno di incontro dei due tipi d‟analisi, il cui
oggetto empirico può essere di fatti definito “come l‟insieme dei discorsi e delle
pratiche che intervengono nella costituzione e/o trasformazione delle condizioni di
interazione tra i soggetti (individuali e collettivi)”.
1
La semiotica, teoria delle
significazioni, d‟altra parte, nasce come scienza sociale a tutti gli effetti: dai primordi,
quando Saussurre (1922) ne propose la fondazione definendola come “scienza che
studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale”
2
, fino al contributo Greimasiano
(1970) in cui è stata elaborata la nozione di narratività come “ipotesi interpretativa
generale dei fenomeni socioculturali”
3
.
Ed è per questo che, applicando i modelli semiotici ad un tema tradizionalmente di
interesse sociologico come quello dei consumi, si intende eleggere il discorso di marca
– non più soltanto il discorso pubblicitario
4
- ad oggetto del presente lavoro.
Al giorno d‟oggi, in un‟epoca di crisi onnipervasiva che ha condotto ad una fase
generale di stasi di cui è protagonista una generazione “senza nome”, comprendere le
nuove modalità di acquisto dei beni di mercato equivale a voler afferrare le forme di
rappresentazione del sé che si annidano dietro la fruizione simbolica delle merci.
Il consumo, in quanto atto di significazione, si regge su codici collettivi ed
istituzionali, dipende cioè dai sistemi culturali entro cui i soggetti vivono; mettendo in
scena un‟entità sociale e al tempo stesso narrativa come la marca, si agevola
l‟interazione di quest‟ultima con gli individui nonché l‟interazione tra gli individui
stessi, facendo emergere così i loro bisogni, i loro valori e comportamenti e
reimmettendoli poi, riattualizzati, all‟interno del discorso di marca. In questo
1
Cfr. Landowski E. in La società riflessa. Saggi di sociosemiotica, (2003), trad.it., Meltemi, Roma, p.12.
Per un‟attenta definizione si veda: Greimas, A.J., Courtés J., Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la
théorie du langage, Hachette, Paris, 1979 (trad. it. Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del
linguaggio, La Casa Usher, Firenze, 1986) nella voce “Socio- sémiotique” redatta da Landowski.
2
Cfr. Saussure F. (1922 , p. 26).
3
Cfr. Marrone G. in Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo (2001), Einaudi, Torino, p.
XV.
4
Si opera questo spostamento di focus dal discorso pubblicitario a quello di marca, nella consapevolezza
che il primo sia attualmente inglobato dal secondo, poiché quest‟ultimo arriva a comprendere tutte le
manifestazioni comunicative di un brand: dai vari tipi di comunicazione che si affiancano a quella di
marketing (comunicazione istituzionale, sociale, interna, economico- finanziaria) al packaging, al logo e a
tutti gli elementi di visual identity, su cui ritorneremo nel prosieguo del lavoro.
10
ininterrotto circolo vizioso di segni, si mira ad individuare il nesso tra i vissuti
individuali e comunitari dei cittadini/ acquirenti ed i fenomeni di senso generati dal
brand, cercando di intercettare le connessioni che sussistono – se sussistono- tra una
data strategia di marketing e le tendenze socioculturali dei consumatori, cogliendo
quanto il primo elemento sia improntato e costruito in funzione del secondo. C‟è da
chiedersi se la marca, quindi, intercetti i fenomeni sociali, li riverberi poi sul prodotto e
sulle strategie di marketing, restituendoli “in pasto” alla società, oppure se si faccia
artefice essa stessa, in uno scambio di significati “manipolatorio”, dei suddetti
cambiamenti che vengono in modo inconsapevole proposti alla collettività.
Lo sguardo sociosemiotico
5
, tuttavia, non mira a svilire quanto ad arricchire il
marketing, troppo spesso arroccato su visioni aziendalistiche che tralasciano
volutamente l‟impostazione sociale della disciplina, ritenendo che quest‟ultima possa
“sporcare” le teorie formulate in ambito economico di un alone di imprecisione.
Piuttosto, esso punta a risalire dai segni scambiati nel consumo dei prodotti sino ai
valori di base su cui la comunicazione si impernia, alle radici profonde della
significazione. Il mercato diventa quindi il luogo in cui si inscena lo “spettacolo delle
merci”, volendo riprendere una definizione di Debord (1967), arrivando quindi ad
identificarsi con lo spazio sociale di messa in scena del sé, che è al tempo stesso il luogo
in cui i soggetti costruiscono la propria identità prima di esibirla, il luogo “a partire dal
quale il sociale, come sistema di rapporti tra soggetti, si costruisce mentre si pensa. [..]
Specularmente, la comunità si dà in spettacolo a se medesima e, così facendo, si dota
delle regole necessarie al proprio gioco.”
6
La colonna portante dell‟indagine, quindi, non può che essere il discorso di marca, in
quanto pratica societaria che instaura una relazione tra il brand, portavoce dell‟impresa
odierna, e i consumatori, nient‟altro che individui alla presa con uno dei tanti momenti
del loro agire quotidiano.
C‟è da precisare, però, che nell‟ipotizzare un rimando tra i processi identitari di
gestione della marca e la progettazione del sé dell‟individuo, è presente la volontà di
rifuggire da una semplicistica, apocalittica e ormai usurata critica al marketing, in
5
Espressione mutuata dall‟omonimo libro di Andrea Semprini, edito nel 2005 da Franco Angeli.
6
Cfr. Landowski E. (op.cit., p.11).
11
quanto pratica deformante della realtà; si punta a voler piuttosto ricercare il meccanismo
sotteso alla formulazione delle strategie di marketing, svelando quanto in esse vi sia un
immediato rispecchiamento della società, un “automatico” prendere atto di determinate
tendenze, o al contrario vi possa essere un contributo a monte al radicamento di certe
dinamiche sociali.
Volendo abbracciare la seconda tesi, infatti, si potrebbe osservare quanto, da
vent‟anni a questa parte, stiano diventando sempre più labili i confini tra diversi settori
del sociale: a partire dal discorso pubblicitario ed economico, passando per il discorso
giornalistico, televisivo -ed in generale dell‟informazione- fino ad arrivare al discorso
politico, si riscontra un‟unanime convergenza verso una progressiva
“dematerializzazione” dei contenuti, verso una crescente centralità della soggettività.
Quest‟analogia d‟intenti conferma le interconnessioni presenti tra le varie sfere
dell‟agire umano, o quantomeno la presenza di un processo generale di fondo che le
muove assieme, di un trait d’union che ne lega le sorti.
Anche in campo semiotico si è assistito ad un‟evoluzione che va letta di pari passo
con quanto detto finora circa la ribalta della componente soggettiva. Dalla nozione di
testo, inteso come “configurazione complessiva di senso retta da strutture semantiche
soggiacenti”
7
, basti pensare quindi nel nostro caso a singoli spot o annunci stampa,
oppure al logo- cioè qualsiasi manifestazione del reale
8
che, attraverso un codice
specifico, rappresenti un “costrutto culturale articolabile in un piano dell‟espressione e
in un piano del contenuto
9
”- si è passati, verso la metà degli anni settanta, a quella di
discorso. Quest‟ultima, che anziché distinguere tra piano dell‟espressione e piano del
contenuto considera il primo profilo indifferente, è risultata più adeguata a tenere conto
dei processi sociali coinvolti nell‟enunciazione. Difatti, se un testo è da intendersi come
“un prodotto, il discorso è soprattutto una produzione
10
”, poiché esso precede il livello
testuale, è trasversale alle diverse manifestazioni espressive (verbali, visive, o
audiovisive) presenti all‟interno di un ambito discorsivo (letterario, linguistico,
pubblicitario) ed è teso ad individuare, più che i significanti, i temi ricorrenti attraverso
7
Cfr Marrone G. (op. cit., p. XIX).
8
Secondo quanto sostenuto da Eric Landowski ne La società riflessa (trad. it., M. La Matina e R.
Pellerey, Meltemi, Roma, 1999) “il reale che la sociosemiotica si assegna come oggetto [..] non è
null‟altro che un‟ulteriore forma del testuale”.
9
Cfr. Marrone G. (op. cit., p. XXII).
10
Cfr Marrone G (op.cit, p. XXIV).
12
cui gli attori sociali interagiscono e le relazioni che si instaurano tra questi ultimi grazie
ai significati scambiati.
Fino alla fine degli anni ottanta, si era sostenuto che la soggettività all‟interno del
livello testuale potesse essere indagata attraverso i modelli della teoria della narratività
Greimasiana. Ma dal momento in cui la semiotica ha dovuto iniziare a fare i conti con la
centralità degli elementi immateriali, sia nell‟analisi del discorso letterario attraverso le
lotte interiori dei personaggi del romanzo moderno, sia con il frequente ricorso alla
tematica emotiva in campo politico e in campo pubblicitario, è risultato necessario
integrare alla componente cognitiva
11
,
un‟analisi semiotica dell‟elemento passionale
inscritto nei discorsi
12
.
Discorso di marca, pubblicitario, politico o dell‟informazione, seppur strutturalmente
diversi, rappresentano allo stesso modo degli atti sociali trasformatori dei rapporti tra
individui. Tuttavia, la soggettività non è il punto di partenza ma bensì il risultato
dell‟interazione, dell‟“esperienza che è al tempo stesso intersoggettiva (sociale,
culturale) e presoggettiva (sensoriale, corporea)
13
”. Ciò implica quanto la dimensione
passionale faccia a sua volta riferimento ad una realtà somatica che la precede:
l‟emergere del soggetto nasce dalla mediazione di processi estesici, o presoggettivi, e
collettivi, o intersoggettivi. Il tutto mediato dalla percezione che si ha del proprio corpo,
da un lato individuale, o meglio pre-individuale, dall‟altro collettivo.
Oltre all‟assottigliarsi delle differenze tra i vari discorsi, si nota una pervasività delle
logiche di marketing in molti dei settori summenzionati: uno su tutti, quello politico.
Il crescente peso della seduzione e della cosmesi, nonché il forte ruolo
dell‟immagine, la commistione della sfera pubblica con quella privata, il rilancio
dell‟autenticità: in politica, così come nelle logiche di marketing vi è un attante
riconosciuto a livello collettivo (brand o uomo di potere che sia) che tenta di declinare
in tutti i modi possibili la propria identità presso il pubblico (gli elettori/ consumatori).
E lo fa sempre più attraverso la messa in gioco di narrazioni e drammatizzazioni,
logiche di spettacolarizzazione della merce- politica, mediante l‟offerta di rassicurazioni
11
La succitata teoria della narratività di Greimas, presente in Del senso ( trad. it., Bompiani, Milano,
1974) contempla tale dimensione, con l‟integrazione all‟interno dello Schema narrativo canonico della
presenza delle fasi di manipolazione e sanzione.
12
L‟inizio dell‟interesse della semiotica verso la dimensione estesica e patemica nasce con la
pubblicazione nel 1987 di Dell’imperfezione di Greimas e di Semiotica delle passioni di Greimas,
Fontanille del 1991.
13
Cfr. Marrone G, Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding, Laterza, Roma, 2007.
13
a degli individui dai riferimenti ideologici sempre più instabili. In entrambi i casi, si
tratta di essere fintamente spontanei per allinearsi -o potremmo dire per “scendere”- al
livello del pubblico, coadiuvati da un potente sistema mediatico che ne agevola
l‟avvicinamento: basti pensare a casi come quello dell‟imprenditore, pubblicitario e
“star” Silvio Berlusconi o quello del comico Beppe Grillo, che rappresentano,
nonostante le divergenze ideologiche, la punta dell‟iceberg dell‟intero sistema.
Tuttavia, risulterebbe sterile tentare di leggere la politica in termini di marketing, o
viceversa asserire che il discorso di marca sia in parte anche un discorso politico,
costituito quindi di un insieme di mosse strategiche che mirano al perseguimento degli
interessi imprenditoriali; più utile sembra, invece, constatare che qualcosa nelle viscere
della società sta cambiando, qualcosa di così radicale che arriva a contaminare campi
spesso percepiti come distanti tra loro (dalla politica all‟architettura, dal marketing alla
letteratura).
C‟è un altro elemento che accomuna le suddette sfere dell‟agire umano: un processo
globale di crisi che si espande sempre più a rischio di effetto domino, di precarietà
ideologica, politica, della libertà di informazione, dei consumi, di partecipazione dei
cittadini alla vita pubblica e sociale. Una rivoluzione ancora difficile da cogliere per chi
la vive è in atto, ragion per cui risulta difficile ipotizzare che sia la logica di marketing a
farla da padrone sulla totalità dei discorsi umani, ma semplicemente il sistema dei
consumi si presta ad essere una valida cartina di tornasole dei mutamenti sociali.
L‟intreccio tra le varie aree accomunate dallo studio sulla dimensione passionale e
corporea- in particolar modo quello tra semiotica e marketing- conduce ad un‟analisi
composita che permetterà lo studio dell‟attuale instabilità del sistema socio-economico,
del complesso rapporto tra produzione e consumo e delle emergenti dinamiche del
marketing contemporaneo, intese tutte come conseguenze di un unico fenomeno di
base: la progressiva assunzione di responsabilità da parte delle imprese, nonché il
conseguente approdo al marketing etico.
La centralità della sensorialità nei vari ambiti citati potrebbe essere letta
specularmente all‟importanza che riveste oggi per il consumatore l‟impegno sociale
delle imprese, essendo questo elemento da un lato sentito come un “richiamo
universale”, quindi pre-individuale, dall‟altro lato percepito come comune sentire di
chiunque si ritenga parte della collettività. Parallelamente, anche la logica della
14
formazione identitaria da parte delle imprese tende ad inglobare al livello dei valori-
guida il proposito di compiere una “missione
14
” etica, al pari degli attori sociali che
concretamente agiscono, o almeno lo si spera, nella comunità “reale”: la marca si pensa
e costruisce se stessa come un individuo a tutti gli effetti, inserendo a monte della
propria filosofia quella stessa realtà somatica necessaria per dar senso all‟agire
individuale e conferire identità agli esseri umani.
In quanto entità relazionale, il brand – che già nell‟atto stesso dell‟edificazione di
una propria personalità mostra velleità antropomorfe- fonda all‟interno dell‟odierno
scenario di marketing la propria essenza sull‟intercorporeità, pur essendo un elemento
che una vera e propria fisicità non possiede. Il paradosso dell‟indole della marca
rispecchia in pieno l‟ambivalenza del concetto di “corpo”: entrambi sono ambigui,
poiché oscillano tra l‟ordine del materiale e quello dell‟immateriale, tra il naturale e il
culturale
15
. Perché un brand possa radicarsi nella cultura di una data società, questo
deve agire in essa arrivando al livello profondo, facendo leva su valori condivisi, grandi
passioni collettive, sensazioni preindividuali legate alla percezione del sé: in altre
parole, mostrando di avere un‟etica.
Fig.1- Il progetto di marca dal livello estesico alla comunicazione
14
Così è definito, come vedremo più avanti, uno dei quadranti del mapping delle assiologie dei valori di
consumo elebaorato da Semprini.
15
Sebbene la marca sia un costrutto culturale, spesso questa sua funzione viene dimenticata ed il brand
arriva ad essere percepito come elemento dato di una società, come vedremo meglio nel secondo capitolo
trattando dell “invasione del branding” in tutte le sfere umane.