Introduzione
Questo lavoro si propone di affrontare il problema del senso nella filosofia
di Gilles Deleuze. Questi nel corso della propria vita ha potuto vantare
un'immensa produzione filosofica, che spazia dalle dissertazioni in campo
psicanalitico per raggiungere i più svariati ambiti scientifici, lasciandoci una gran
mole di conoscenza.
Inizialmente mi è sembrato opportuno analizzare, da un punto di vista
generale, i lavori cardini che hanno maggiormente caratterizzato il suo pensiero.
Il percorso che ho affrontato inizia da Differenza e ripetizione, edito nel
1968. In questo scritto Deleuze mostra già quelle che sono le principali linee
guida del proprio pensiero, ossia lo scardinamento delle rigide basi su cui, fino a
quel momento, il pensiero umano aveva appoggiato la propria attività filosofica.
Già in questo primo scritto, come vedremo, il concetto di differenza viene
proposto in chiave positiva, mentre la ripetizione si caratterizza per la sua
originalità, ribaltando ciò che la cultura occidentale aveva considerato
negativamente.
Successivamente ho introdotto sinteticamente la logica del senso,
rimandando la dissertazione al secondo capitolo, nel quale verrà sviluppato il
fulcro della tesi.
Tra i lavori principali di Deleuze ho ritenuto opportuno includere gli scritti
nati dalla collaborazione con lo psicanalista Felix Guattari, ossia i due volumi che
compongono Capitalismo e schizofrenia, L'anti-Edipo edito nel 1972 e Millepiani
scritto successivamente nel 1980.
Il primo porta avanti una dura critica nei confronti della psicanalisi
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freudiana che, consapevolmente o meno, è servita da strumento di potere
capitalistico per il controllo delle masse, dei desideri di queste e della loro
repressione, soprattutto. Dal titolo è facile evincere che l'utilizzo centrale del
mito di Edipo nella psicanalisi di Freud è il principale mezzo attraverso cui è
esercitato questo controllo.
Millepiani porta avanti la critica dell'anti-edipo in un ottica più
generalizzata, che concerne l'analisi della struttura. Ad una struttura arborea,
quindi definita gerarchicamente a priori su un modello verticale, viene
contrapposta una struttura di base, definita “rizomatica” che si sviluppa all'infinito
dal basso, senza che vi si costruisca al di sopra una gerarchia.
Infine ho concluso questa panoramica generale con l'analisi degli scritti sul
cinema, che riguardano il rapporto dell'immagine con il movimento e con il
tempo.
Nel secondo capitolo mi sono concentrata sulla logica del senso, sia da un
punto di vista meramente linguistico, che in un ottica molto più vasta, includendo
alla mia dissertazione collegamenti alla psicanalisi e all'antropologia.
Deleuze in Logica del senso si è dedicato allo studio linguistico delle due opere
più fortunate di Lewis Carroll, ossia Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso
lo specchio e ciò che Alice vi trovò. La ricchezza linguistica di questi due scritti
ha permesso alla dissertazione del filosofo di incontrare un riscontro pratico. Può
infatti risultare assurda una concezione del senso basata sulla sua derivazione dal
non senso. Ma attraverso l'utilizzo di quella che De Certeau potrebbe definire una
“finction therorique”, Deleuze ci svela come quello che comunemente si crede
paradossale sia in realtà alla base del senso e necessario alla sua esistenza.
I temi centrali dello studio deleuziano concernono lo sviluppo seriale del
linguaggio e la dimostrazione che il senso delle cose e degli stati di cose si può
attuare soltanto ad un livello superficiale, quindi al limite esterno della persona. E
così la constatazione della soggettività del concetto di tempo si basa su un
presente sfuggente che porta l'uomo a doversi destreggiare su una linea temporale
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infinita in cui il passato ed il futuro si alternano continuamente eludendo
l'attualità.
Molto vicina alla concenzione linguistica di Deleuze è sicuramente la teoria del
linguaggio inconscio dello psichiatra francese Jacques Lacan. Egli, come Deleuze,
ha sottolineato l'incoerente incontro tra il linguaggio ed il senso, riconoscendo che
il grande disagio umano deriva dalla continua ricerca del senso che esiste nel
proprio inconscio e che deve essere comunicato tramite il linguaggio. Questo è,
però, un fattore simbolico strumentale che diventa inutile nel momento in cui il
senso del soggetto si perde nell' oggettivazione del discorso, causa principale
dell‟alienazione nel mondo occidentale, a dire di Lacan.
A conclusione del capitolo ho esposto il pensiero di Lévi Strauss, che indaga
l'aspetto comunicativo del senso. L'antropologo francese, infatti, ha studiato ed
inteso la cultura come un sistema di segni che si attua nella comunicazione.
Infine ho dedicato l'ultimo capitolo alle mie personali considerazioni e a i
miei soggettivi collegamenti, sorti da riflessioni che si sono spontaneamente
sviluppate nel corso del lavoro.
L'ipocrita sensatezza del senso mi ha immediatamente collegata alla
cosiddetta beffa di Sokal, grazie alla quale l'intera comunità scientifica mondiale
ha dovuto rimettersi in discussione di fronte alla scoperta del falso senso.
Ho, poi, analizzato due correnti artistiche e teatrali: rispettivamente il
dadaismo e il teatro dell'assurdo. Queste nel corso del Novecento hanno
abbandonato gli schemi predeterminati che venivano imposti e considerati
immutabili, per approdare alla sperimentazione del non senso. Forse infatti è
proprio il non senso ad essere l'unica via attraverso la quale l'uomo può uscire
dall'imposizione di queste strutture precostituite per avvicinarsi al senso che
risiede in lui e che riesce soltanto raramente a cogliere a causa della continua
repressione dei desideri dell' inconscio.
In conclusione ho fatto riferimento alla struttura degli enunciati linguistici
proposta da Foucault strettamente legata rivoluzione linguistica deleuziana, in
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quanto rappresenta una ulteriore innovazione ed apertura che dalla linguistica
intaccheranno tutti gli ambiti del pensiero.
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Il secolo deleuziano
“Un giorno forse il secolo sarà detto deleuziano”.
Foucault con questa frase volle sottolineare la valenza della grande opera di
Deleuze. La sua filosofia va collocata all'interno della corrente post-strutturalista,
ossia quella branca filosofica che porta ai limiti estremi lo strutturalismo.
Quest'ultimo ha una matrice linguistica, più che filosofica.
Ferdinand de Saussure fu colui che, con la pubblicazione nel 1916 (postuma) del
suo Corso di linguistica generale, iniziò ad esercitare dagli anni '30 la sua
influenza nel campo linguistico-filosofico.
I capisaldi della sua concezione sono:
la distinzione della lingua dal linguaggio e dalla parola;
la concezione della lingua come un principio di classificazione.
In quest'ultimo concetto risiede il principio strutturalista, in quanto la lingua viene
concepita come sistema, come struttura. Ed è proprio questa nuova concezione a
permettere a de Saussure di distinguere la dimensione sincronica e la dimensione
diacronica della lingua stessa.
La dimensione sincronica è l'ordine tra gli elementi lessicali e fonologici che
insieme costituiscono un sistema di elementi tra loro connessi.
La dimensione diacronica rappresenta le variazioni che gli elementi lessicali,
grammaticali e fonologici hanno subito nel corso della storia sotto l'influenza di
elementi a loro estranei.
Lo strutturalismo predilige la dimensione sincronica piuttosto che quella
diacronica; i concetti di storia, di sviluppo gli rimangono assolutamente estranei.
Queste caratteristiche fondamentali sono comuni a tutti i campi in cui lo
strutturalismo si è sviluppato, come l'antropologia di cui fu massimo esponente
Lévi-Strauss, la psicanalisi di cui si fece portavoce Lacan e la filosofia.
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Lo stesso Deleuze si interessò moltissimo sia alla linguistica strutturalista
facendone uno dei campi fondamentali del proprio studio. Nello scritto La logica
del senso, che verrà trattato successivamente, egli analizza le complesse strutture
linguistiche su cui è basata l'opera di Carroll (Alice nel paese delle meraviglie,
Attraverso lo specchio, Silvie e Bruno), sia alla psicanalisi, insieme a Felìx
Guattari, infatti, scrisse due capolavori come L'Anti-Edipo e Mille Piani, che
restano due capisaldi della filosofia contemporanea e punti di riferimento per il
lettore che vuole approfondire il mondo che ci circonda.
In conclusione l'intera opera di Deleuze può essere ricondotta allo schema
strutturalista, ma il filosofo apporta a questo una serie di importanti innovazioni.
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La filosofia deleuziana
Tra la grande opera di Deleuze ho scelto di fare una cernita riguardo agli scritti da
analizzare, scegliendo quelli che in qualche modo hanno segnato maggiormente il
suo modo di fare filosofia e la filosofia in generale.
In questo capitolo tratterò Differenza e ripetizione (1968), Logica del senso (1969)
ed infine i due volumi di Capitalismo e schizofrenia, ossia L'anti-Edipo (1972) e
Millepiani (1980) scritti “a quattro mani” con lo psicanalista Felix Guattari.
Differenza e ripetizione
Lo scritto Differenza e ripetizione edito nel 1968, tesi di dottorato di Deleuze,
apporta alla filosofia una grande innovazione, in quanto affronta il tema della
differenza in chiave positiva.
«Numerosi sono i pericoli di richiamarsi a differenze pure, liberate dall'identico,
divenute indipendenti dal negativo. Il pericolo più grande è di cadere nelle
rappresentazioni dell'anima bella ove, lungi da lotte sanguinose, non convivono
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che differenze conciliabili e armonizzabili. Afferma l'anima bella che siamo
differenti, ma non opposti... E la nozione di problema, che vedremo legata a
quella di differenza, sembra anch'essa alimentare gli stati di un'anima bella:
contano soltanto i problemi e le domande... Tuttavia, noi crediamo che, quando i
problemi attingono il grado di positività che è loro proprio e quando la
differenza diviene l'oggetto di una affermazione corrispondente, essi liberano
una potenza di aggressione e di selezione che distrugge l'anima bella, privandola
persino della sua identità e spezzando il suo buon volere. Il problematico e il
differenziale determinano lotte e distruzioni rispetto alle quali quelle del
negativo non sono che apparenze, e i desideri dell'anima bella, altrettante
mistificazioni operate nell'apparenza. Proprio del simulacro è non d'essere una
copia, ma di rovesciare tutte le copie, rovesciando anche i modelli: allora ogni
pensiero diviene un'aggressione».
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La differenza viene concepita come affermazione, non più, dunque, nel suo
rapporto con l'identità, ed allo stesso modo, la ripetizione non è concepita come la
generalità, e deve essere distinta dall'abitudine; essa si configura piuttosto come
qualcosa che si ripropone solo per affermare la differenza.
La differenza nella tradizione filosofica, generalmente, ci riporta alla
comparazione tra due cose, Deleuze inverte quelle forze che portano a pensare in
un modo predeterminato facendo si che la differenza diventi uno stato “libero”
all'interno del quale la stessa non venga definita in relazione con un altro
elemento, bensì con se stessa.
In questo modo si passa da una differenza pensata come una relazione tra un
termine ed un altro, e dunque negativa, ad una differenza che differisce soltanto da
1 Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore 1997, pp.2-3
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se stessa, e che si afferma come positività pura nella ripetizione. Anche
quest'ultima in Deleuze acquista una valenza positiva, grazie alla liberazione dagli
schemi metafisici.
In conclusione, dunque, la differenza è pensata senza negazione e la ripetizione
viene a sua volta sottratta dai pregiudizi e dai vincoli della rappresentazione.
Quest'ultimo concetto entra dunque in crisi.
La cultura, sostiene Deleuze, ha sempre privilegiato la gerarchia che attribuisce
l'autentico essere a ciò che è originario, e considera invece come negativo quello
che è derivato, dunque la ripetizione. Tale gerarchia è ad esempio visibile nella
psicoanalisi: il mito di Edipo definisce il desiderio attuale del soggetto come
ripetizione alienata dell'investimento originario nei confronti della madre, e
istituisce il desiderio come negatività, poiché tutti gli investimenti futuri, che
ripeterebbero l'amore originario, risultano in difetto rispetto ad esso. Al contrario,
sostiene Deleuze, il desiderio è un'istanza affermativa, che non nasce da alcuna
sottrazione; le ripetizioni non sono allora la riproduzione di un rapporto
essenzialmente perduto, ma definiscono il desiderio nella sua potenza e nella sua
autonomia rispetto alla cultura e alla soggettività.
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La ripetizione di cui parla il filosofo, essendo svincolata della rapprsentazione,
non va intesa né nel senso della generalità né in quello della somiglianza. Deleuze
porta avnti il caso abbastanza esemplificativo della ripetizione della festa. In
questo caso si tratta di aggiungere una seconda o terza volta alla prima, portando,
quindi, la prima volta all'ennesima potenza..
La ripetizione è, dunque, una tragressione delle leggi naturali e morali, è l'area
dell'eccezione.
Lo stesso filosofo nella prefazione inquadra le linee guida del proprio impianto
teorico:
«L'argomento qui trattato è manifastamente nell'aria e se ne possono rilevare i
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segni: l'orientamento sempre più deciso di Heiddeger verso una filosofia della
Differenza ontologica; l'esercizio dello strutturalismo fondato su una
distribuzione di caratteri differenziali in uno spazio di coesistenza; l'arte del
romanzo contemporaneo che gira attorno alla differenza e alla ripetizione, non
soltanto nella sua riflessione più astratta, ma anche nelle sue tecniche effettive;
la scoperta nei più svariati campi di un potere proprio di ripetizione, che
sarebbe di fatto il potere dell'inconscio, del linguaggio, dell'arte. (…) la
differenza e la ripetizione hanno preso il posto dell'identico e del negativo,
dell'identità e della contraddizione. (…) Noi vogliamo pensare la differenza in
sé, e il rapporto del differente col differente, indipendentemente dalle forme
della rappresentazione che li riconducono allo Stesso e li fanno passare per il
negativo.»
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Deleuze scardina, dunque, le basi su cui il pensiero filosofico si era fino
quel momento appoggiato , proponendo un nuovo modo di pensare, una modalità
assolutamente libera da qualsiasi schema predefinito.
Tale impostazione mentale standardizzata è stata definita da Deleuze “Immagine
del pensiero”. Con questo concetto Deleuze indica quelle forze che ci costringono
a pensare in un determinato modo, secondo uno stile che impone i propri ritmi al
pensiero
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Egli ha tracciato i bordi di questa “immagine del pensiero” facendo ricorso ad una
serie di postulati tra cui:
2 Cfr.Ibidem
3 ibidem p. 3-4
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