Fu così che, tornato a casa, rinnovato l'abbonamento al Margine e sottoscritto quello ad Appunti,
maturò in me la decisione di saperne di più sulla Lega Democratica, questa “madre” della Rosa
Bianca ormai lontana nel tempo. Partecipai al convegno di Modena del 28 e 29 novembre 2008,
“Quando i cattolici non erano moderati”. Erano i giorni delle nevicate, ricordo la rocambolesca
partenza, che inizialmente doveva essere in macchina, poi dovetti rinunciare, poi mi decisi per il
treno, ma ormai era tardi, ero depresso, ma con rabbia riempii lo zaino, corsi a prendere l'autobus e
presi l'ultimo treno utile, che miracolosamente arrivò in orario perfetto.
E lì c'erano tutti. C'era Paola Gaiotti De Biase, con la sua austerità misurata e la sua sbrigativa
semplicità; c'era Gigi Pedrazzi, che avevo già incontrato alla scuola estiva, e che ovviamente si stava
lamentando! C'era Guido Formigoni, che poi mi avrebbe dato un aiuto prezioso; c'era Fulvio De
Giorgi, che, sorpresa, aveva già tracciato un primo profilo storico della Lega Democratica; c'era
Beppe Tognon, con la sua voce inconfondibile; c'era David Sassoli, che provò a dare una scossa.
Inoltre, eravamo nel palazzo della Fondazione Gorrieri, il convegno era in onore del primo
anniversario della scomparsa di Pietro Scoppola e fu presentata la riedizione cartacea e digitale di
“Cronache Sociali”: anche i maestri già tornati a casa, erano tutti lì, in quei due giorni.
La loro disponibilità fu massima, nessuno mi disse di no, tutti mi spedirono della bibliografia, o si
dissero ben felici di incontrarmi per un'intervista. Ed io non persi l'occasione.
Perchè una tesi sulla Lega Democratica?
Innanzitutto, per curiosità, e per una passione che è cresciuta nel tempo, durante i mesi di lavoro.
Non è una tesi per gli altri, è una tesi per me. Io volevo sapere cos'è stata la Lega Democratica, io
avevo bisogno di riferimenti culturali e morali, spirituali ed ecclesiali.
Il lavoro è pionieristico, oserei dire. A parte le poche pagine presentate da De Giorgi al convegno di
Modena, la Lega non è mai stata oggetto di studio sistematico: certamente perchè si tratta di
un'esperienza ancora troppo recente nella storia del Paese, ma credo anche perchè fu poco
conosciuta, e pochissimi oggi se la ricordano. Anche gli studi sul cattolicesimo democratico più in
generale non sono molti.
Sempre Paola Gaiotti ebbe a scrivere su “Appunti”: “La rivista e la Lega […] meriterebbero almeno
qualche buona tesi […] fra l'altro penso che il giovane studioso, che volesse assumersene l'onere, si
troverebbe probabilmente poi avvantaggiato nel comprendere l'intera storia della Repubblica, delle
sue debolezze e delle sue cadute”
1
.
1 P. GAIOTTI DE BIASE, Quel 16 marzo del 1978..., “Appunti di cultura e politica” 4/2008, p. 17
7
Spero di essere riuscito a dare risposta, almeno in parte, alle speranze espresse in queste parole, e mi
auguro che questo lavoro possa diventare un punto di partenza per altri studi e ricerche sulla storia
di questo movimento, purtroppo poco conosciuto nell'Italia di oggi. Per quanto riguarda il corollario
di conoscenza e comprensione della storia della Repubblica, direi che Paola Gaiotti aveva davvero
ragione. La storia d'Italia era nella mia mente frammentata, sconnessa. Conoscevo gli eventi, i
personaggi, i passaggi storici, ma mi sfuggivano completamente le logiche che legavano alcune
decisioni a certe reazioni, i motivi che hanno portato alla situazione politica odierna, i perchè di
tante battaglie finite nel dimenticatoio. Le ricerche compiute per questo lavoro e le parole dei
protagonisti, che hanno vissuto la storia repubblicana direttamente, a livelli anche importanti, mi
hanno permesso di attivare collegamenti e unire episodi magari lontanissimi, ma più legati di quanto
si pensi.
È impressionante rendersi conto di come i problemi affrontati dalla Lega siano poi caduti nel vuoto
e ancora oggi siano senza soluzione: aborto, riforme, giovani, economia, ora di religione, scuola,
energia, questione femminile, burocrazia...solo per citarne alcuni. La Lega Democratica ha
dimostrato, in tutti i momenti della sua esistenza, una straordinaria capacità di precorrenza dei
tempi, di anticipazione dei problemi e di proposta di soluzioni mai ascoltate.
Cosa rimane oggi della Lega? Forse nulla, se non attorno a pochi e sparsi centri di riunione della
sensibilità politica cattolico-democratica, come “Il Margine”, “Appunti”, piccoli gruppi locali, la
faticosa attività di alcuni singoli.
La Lega ha fallito? I cattolici democratici non sono riusciti a concretizzare nulla di ciò che avevano
proposto? Probabilmente ci sono stati momenti in cui la Lega e “Appunti” sono rimasti legati a
visioni politiche o ad elucubrazioni mentali ormai superate o improponibili, in cui si chiusero
elitariamente su se stessi, in cui fecero fatica persino ad accordarsi internamente. Ma ciononostante,
oggi ancora di più serve recuperare la capacità di dibattito e di diffusione culturale, la Resistenza
mai sopita, l'amore per la Costituzione e le regole comunitarie, il ragionamento, la concretezza, la
comunità, la responsabilità: tutte tematiche che la Lega aveva a cuore, che cercava di insegnare e di
diffondere, per stimolare quella rivoluzione dal basso che ancora oggi ci chiama ad essere
protagonisti nelle azioni quotidiane, non solo in sterili lamentele.
Lorenzo Perego
8
CHI SONO I CATTOLICI DEMOCRATICI?
2
Guido Formigoni spiega come distinguere il cattolicesimo democratico nell'insieme del panorama
cattolico: essere democratici rispetto al Cristianesimo significava fare propria la “laicità moderna
dello stato come un valore positivo per la fede”
3
e sposare l'ascesa delle masse ad una uguaglianza
nei diritti politici e sociali. Queste sono le due discriminanti, rispetto al rapporto fede-democrazia,
che identificano i cattolici democratici; ad esempio, i cattolici sociali, pur condividendo le istanze di
solidarietà e giustizia, erano rimasti ancorati su posizioni antimoderne ottocentesche, mentre i
cattolici liberali erano paladini della laicità delle istituzioni, ma rimanevano meno sensibili alla
dimensione partecipativa della politica. Anche Alberto Monticone ci ricorda che la tradizione
democratica “non appartiene a tutta la storia del cattolicesimo in Italia”
4
.
Nella posizione opposta e speculare al cattolicesimo democratico, possiamo collocare i cattolici
intransigenti, “sostenitori dell'identificazione senza residui fede-politica, [… e] piuttosto
conservatori o addirittura reazionari e tradizionalisti[...] Gli intransigenti rifiutano in blocco la
modernità e utilizzano la democrazia solo come spazio per combattere in nome della difesa di
«interessi cattolici», mentre sostengono generalmente una visione statica del corpo sociale”
5
.
Dopo il Concilio
In seguito alla cosiddetta “scelta religiosa”, dopo il Concilio Vaticano II, la Conferenza Episcopale
Italiana e l'Azione Cattolica si concentrarono sul tema dell'evangelizzazione e dell'impegno
concreto dei cattolici per il bene comune, ricucendo così gli strappi causati dal referendum sul
divorzio del 1974. Artefice principale di questa svolta, che lasciò spazio per un ampio dibattito
culturale nell'area cattolica, fu il segretario della Cei, monsignor Enrico Bartoletti. Nodo
fondamentale di questo percorso fu l'organizzazione del convegno su “Evangelizzazione e
promozione umana”, che vide coinvolti diversi esponenti della futura Lega Democratica: l'esistenza
2 Cfr. anche gli articoli di Paola Gaiotti “Sui «cattolici democratici»” e “Cattolicesimo democratico nel trentennio
postbellico”, riportati in appendice al testo.
3 G. FORMIGONI, Alla prova della democrazia – Chiesa, cattolici e modernità nell'Italia del '900, 2008, Trento,
p. 83
4 A. MONTICONE, I cattolici della Lega Democratica, “Dimensioni nuove” 7/1977, p. 54
5 Ivi, p. 84
9
del pluralismo politico dei cattolici era ormai assodata.
Non mancarono ovviamente le voci di opposizione a questo cammino intrapreso dalla Chiesa, tra
cui bisogna ricordare, per il suo essere in polemica con l'Azione Cattolica e con la Lega
Democratica, il movimento di Comunione e Liberazione di don Luigi Giussani. La visione ciellina
riduceva infatti la relazione con Cristo all'appartenenza ad uno specifico gruppo, che si definiva
cristiano tout-court: la “cultura della presenza” di Cl opponeva la scelta identitaria alla
rivitalizzazione del tessuto popolare, e sosteneva la necessità di difendersi dalle istituzioni
laicizzate, piuttosto che portare il Vangelo tra le genti. “Si trattava di una contrapposizione netta di
lettura storico-teologico-pastorale della situazione della Chiesa in Italia, su cui si innestava una vera
sfida per l'egemonia”
6
.
6 Ivi, p. 184
10
I FRUTTI DEL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO E
I PRIMI PASSI DELLA LEGA
Pietro Scoppola, Ermanno Gorrieri, Achille Ardigò e altri futuri fondatori e appartenenti alla Lega
Democratica avevano vissuto la loro infanzia negli anni del fascismo, anni di ascesa di modelli
borghesi, di crisi della coerenza religiosa cristiana, con una Chiesa troppo spesso simpatizzante del
duce, a volte in maniera anche diretta. L'avvento e lo sviluppo della guerra risvegliarono però dal
torpore i valori della vita e della pace, riportando la Chiesa al suo ruolo di mater et magistra e
spingendo molti cattolici a prender parte alla Resistenza.
Achille Ardigò, Leopoldo Elia, Angelo Gaiotti, Franco Pecci e altri parteciparono poi nel 1951 agli
incontri di Rossena
7
, durante i quali Giuseppe Dossetti, ormai dimissionario dalla politica, espose la
sua “teoria dei due piani”: la biforcazione era tra due vie distinte ma complementari, tra impegno
politico, portato avanti da De Gasperi e Fanfani, per la democrazia formale e un minimo di
riformismo sociale, e impegno ecclesiale di Dossetti, per superare il modello della Chiesa totalitaria,
nato ai tempi del fascismo. I già citati partecipanti, insieme a Gorrieri, Prodi e Pedrazzi, porteranno
questa radice (post-)dossettiana nella Lega Democratica.
Fulvio De Giorgi definisce il decennio 1958-1968 l'“età dell'oro dei cattolici italiani”
8
. L'avvento del
centro-sinistra significava, sempre secondo de Giorgi, la ricomposizione dei due piani della
degasperiana democrazia formale e della dossettiana democrazia sostanziale. Sul piano
ecclesiastico, il Concilio Vaticano II spazzò via la visione della Chiesa totalitaria e sancì la libertà di
coscienza anche nell'impegno politico dei laici cristiani, mentre nel 1964 Vittorio Bachelet fu
nominato presidente dell'Azione Cattolica.
Il 1968
Dal 1968 prese avvio un nuovo periodo, caratterizzato dalla contestazione, dal dissenso cattolico,
dalla nascita di Cl, dalla fine del periodo kennediano-johnsoniano alla presidenza USA, dall'avvio
7 Cfr. A. GAIOTTI, Appunti sugli interventi di Dossetti a Rossena, “Appunti di cultura e di politica” 4/1989, pp. 20-30
8 Per un veloce sguardo agli avvenimenti di quegli anni si rimanda a: F. DE GIORGI, La Repubblica delle coscienze.
L'esperienza della Lega Democratica di Scoppola, Gorrieri, Ardigò, 2008, in corso di pubblicazione
11
della globalizzazione neo-liberale, dall'inizio della strategia della tensione e del terrorismo, dalla
messa in minoranza di Aldo Moro nella Dc da parte di dorotei e fanfaniani.
Il Concilio Vaticano II aveva aperto nuove prospettive per la presenza politica dei cattolici, mettendo
in discussione la necessità dell'unità, e aveva favorito richieste di coerenza religiosa più
intellettualmente esigenti: venivano valorizzati il primato e la libertà della coscienza. Le
trasformazioni della società italiana in questi anni portarono nuove sfide al cattolicesimo conciliare:
mentre Ac e Acli rifiutavano il collateralismo con la Dc per intraprendere la cosiddetta “scelta
religiosa”, un'opzione a favore delle istanze dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, altre posizioni
nascevano nel dibattito cattolico. Le reazioni alle sfide della società borghese presero l'aspetto di
due riflessioni in particolare: alcuni spingevano all'estremo la laicizzazione, teorizzando derive
marxiste; altri (tra cui buona parte della gerarchia) vedevano ancora il comunismo come il rischio
maggiore e lo spauracchio per eccellenza. Si trattava di due modelli entrambi connotati da “una
insufficiente capacità di lettura dei «segni dei tempi»”
9
.
La contestazione studentesca prese avvio da un ateneo fondato da intellettuali cattolici della sinistra
democristiana, quell'Università di Trento la quale, unica in Italia, aveva una facoltà di Sociologia,
che avrebbe dovuto preparare le future élite dirigenti cattoliche. Pietro Scoppola arrivò
nell'università trentina nel 1969 e si scontrò con le proteste degli studenti, li denunciò al comitato
tecnico dell'ateneo, provocando lo sconcerto di Norberto Bobbio, e continuò a fare lezione.
Scoppola non poteva accettare che i professori fossero ridotti a consulenti per la rivoluzione degli
studenti: “Non mi pento affatto di aver denunciato duramente la situazione”
10
, disse a Beppe
Tognon, aggiungendo tuttavia: “Ma devo confessare […] che io non avevo capito la contestazione
del '68. [La] guardai con maggiore interesse […] quando […] mi incontrai nella facoltà di Magistero
dell'università di Roma con la contestazione del '77, rozza e senza alcuna cultura: quasi solo
violenza”
11
.
Le proteste del '68 non portarono praticamente alcun cambiamento a livello politico, e lo si vede
anche dai risultati delle elezioni, praticamente invariati rispetto a cinque anni prima (a parte il
tracollo dei socialisti, dovuto però alla inopportuna fusione coi socialdemocratici, poi subito
abbandonata): i partiti rimasero totalmente indifferenti alle richieste del Paese, approfondendo il
solco di separazione con la società civile. Intanto si stava producendo un allontanamento tra il
cattolicesimo democratico post-conciliare e la Dc, mentre i gruppi di base, alla ricerca di vie nuove,
9 Ibid.
10 P. SCOPPOLA, La democrazia dei cristiani: il cattolicesimo politico nell'Italia unita, 2005, Roma, p. 40
11 Ivi, pp. 40-41
12
erano sempre più orientati a sinistra. Lo stesso Paolo VI, spostando la sua attenzione sui problemi
della chiesa universale, emarginava Lercaro, Dossetti e altri, protagonisti di incisive esperienze
locali: “La politica montiniana in Italia non rifiuta[va] l'innovazione […] ma teme[va] indirizzi
troppo personali”
12
. Pur rimanendo il pontefice la guida più autorevole verso la realizzazione del
Concilio, attraverso i media passava l'immagine (falsa) di un papa indeciso, esitante, quasi
conservatore, progressivamente distaccato dai cattolici democratici e dalla Dc, ormai sempre più
partito affaristico-clientelare. In realtà Paolo VI fu il papa della “grande virata del cattolicesimo nel
cuore del Novecento”
13
, nonché colui che pose il primato dell'evangelizzazione come obiettivo
primario dei cristiani nel mondo moderno. Quando il pontefice si spense, la sua opera politico-
civile costruita nel corso degli anni Trenta, ovvero “il decisivo contributo del cattolicesimo italiano
alla democrazia repubblicana”
14
, rischiò di essere messa in discussione.
I cambiamenti portati dalla contestazione furono notevoli a livello sociale, dallo scontro
generazionale alla liberazione sessuale, mentre tra i cittadini nasceva l'esigenza di partecipare alla
politica staccandosi dalla tutela dei partiti: nacquero infatti in questi anni una miriade di
associazioni che si richiamano all'ideale democratico (Scuola democratica, Medicina democratica,
Genitori democratici e così via).
Il '68 diede l'impulso anche alla nascita di diverse effimere organizzazioni politiche extra-
parlamentari, nelle quali finirono per convergere coloro che non accettavano un ritorno alla
“normalità” dopo gli scontri di piazza: alcune di queste formazioni assunsero un carattere
sovversivo, violento e clandestino, e saranno la spina nel fianco dello Stato per tutto il decennio
successivo.
Gli anni Settanta
Gli anni Settanta in Italia cominciarono il 12 dicembre 1969, quando una bomba esplose nell'atrio
della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone e
inaugurando la stagione dello stragismo ad opera degli estremisti di destra e di sinistra, degli
attacchi al cuore dello Stato, degli “anni di piombo” e della “strategia della tensione”. Alcuni gruppi
12 A. RICCARDI, Il cattolicesimo della Repubblica, in AAVV, Storia d'Italia, VI, a cura di G. SABBATUCCI, V.
VIDOTTO, 1999, Roma-Bari, p. 287
13 A. RICCARDI, Memoria di Paolo VI. Quel ponte tra il Giubileo del 1975 e il Duemila, 2000, in AAVV, Montini-
Paolo VI. Invito alla gioia, 2007, Milano, p. 82
14 Ivi, p. 81
13
di estrema sinistra, tra cui le Brigate Rosse, furono forse manovrati dai servizi segreti reazionari,
così come della strage di piazza Fontana furono falsamente accusati gli anarchici: tutto ciò, in tempi
di Guerra Fredda, faceva parte di un piano per screditare le sinistre e spostare l'elettorato verso la
scelta moderata o reazionaria. Non è questo il luogo per trattare approfonditamente queste
tematiche, ma sull'Operazione Gladio, gli eserciti stay-behind, i servizi segreti deviati e la strategia
della tensione, la bibliografia è ampia e ricca
15
.
Le proteste studentesche avevano lasciato il posto agli scioperi e alle lotte degli operai, mentre la
democrazia veniva messa in pericolo dal tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese, tra il
7 e l'8 dicembre 1970. La Dc era in questo periodo divisa più che mai, e si susseguirono insipidi
governi di centro-sinistra guidati da Rumor.
Il 1970 fu un anno molto ricco di eventi: il varo delle giunte regionali ufficializzò la presenza di una
fascia “rossa” tra Emilia, Toscana e Umbria; fu approvato lo Statuto dei lavoratori; venne istituito il
referendum, dando attuazione all'articolo 75 della Costituzione.
Nello stesso anno si concluse anche l'iter della legge sul divorzio. Il primo ddl fu presentato nel
1965 dal socialista Fortuna: sebbene fosse una proposta molto moderata, la Dc e la gerarchia
ecclesiastica la bocciarono ferocemente. Nel 1969 il liberale Baslini introdusse alcune modifiche,
mentre i comunisti assicurarono il loro voto favorevole, e così il 1° dicembre dell'anno seguente il
Parlamento approvò la nuova legge.
Alla fine del 1971 terminò il mandato presidenziale di Saragat, il quale non si era particolarmente
distinto durante la sua permanenza al Quirinale, anzi aveva anche tenuto un atteggiamento ambiguo
nei confronti della “strategia della tensione”: molti analisti, sapendo che il Psdi era estremamente
filo-americano, accusarono Saragat di connivenza con la Cia, secondo la quale l'eversione di destra
e il connubio pericoloso con i servizi segreti avrebbero favorito l'ascesa di un governo forte e
moderato
16
. La successione al socialdemocratico fu molto combattuta, la Dc dovette rinunciare alla
candidatura di Fanfani e ripiegare su Giovanni Leone, uomo di compromesso, che fu eletto il 24
dicembre dopo ventitré estenuanti scrutini, grazie ai voti del Msi: iniziò così il percorso della svolta
a destra.
Nel frattempo, numerose organizzazioni cattoliche erano riuscite a raccogliere le firme necessarie
per l'indizione del referendum sulla legge Fortuna-Baslini, e la consultazione era stata fissata per la
primavera successiva. Era chiaro che nessuno dei partiti voleva questo referendum: la Dc temeva
15 Si veda su tutti D. GANSER, Gli eserciti segreti della Nato: operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale,
2005, Roma e la vastissima bibliografia riportata dall'autore
16 Cfr. P. GINSBORG, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, 1989, Torino, p. 453
14
l'isolamento dai suoi alleati laici, mentre il Pci paventava una cancellazione della legge, a causa
dell'ampia influenza sulla società che i cattolici ancora avevano. Fu quindi trovato un escamotage:
Leone indisse le elezioni con un anno di anticipo (era la prima volta nella storia della Repubblica
che una legislatura si concludeva prima dei cinque anni) e questo fece slittare la data del
referendum.
Dal voto del 1972, i partiti maggiori non guadagnarono né persero percentuali significative, ma la
vera sorpresa fu il Movimento Sociale, che dopo aver inglobato i monarchici e aver rubato voti ai
liberali (grazie anche alle candidature del generale De Lorenzo, autore del “Piano Solo” e di un
tentativo di colpo di stato nel 1964, e di Saccucci, collaboratore di Junio Valerio Borghese),
raddoppiò la sua percentuale, attestandosi all'8,7%: la strategia della tensione sembrava aver avuto
successo. Andreotti varò allora un governo di centro-destra (il primo della storia repubblicana) con
socialdemocratici e liberali, il quale prese provvedimenti nettamente antioperai mentre corteggiava
l'Msi. L'esecutivo non dimostrò però basi solide, e già un anno dopo Rumor inaugurò il suo quarto
governo, con una maggioranza di centro-sinistra: la classe politica italiana aveva difeso la
democrazia dagli assalti dei neofascisti ma, invece di avanzare verso nuovi progetti, si rifugiava in
schemi vecchi di dieci anni. Non a caso, il XII congresso della Dc, preceduto dal patto di Palazzo
Giustiniani tra Moro e Fanfani, riportò quest'ultimo alla guida del partito, dopo l'abile
acquietamento del conflitto interno.
Riflettendo su queste pericolose oscillazioni della democrazia, e analizzando la deposizione
violenta del legittimo governo di Salvador Allende in Cile (11 settembre 1973), il segretario del Pci
Enrico Berlinguer si rese conto che non era pensabile governare in Italia con poco più del 50% dei
voti, come la Dc aveva fatto fino ad allora (ma anche le sinistre unite avrebbero raccolto una
maggioranza risicatissima): egli propose un patto di governo tra i tre maggiori partiti popolari, una
stagione di “compromesso storico” tra Dc, Pci e Psi.
Intanto, la guerra dello Yom Kippur tra Israele e i paesi arabi portava ad una stretta sulle forniture di
petrolio da parte dell'Opec, la quale causò in tutto il resto del mondo una crisi energetica, che
aggravò le difficoltà dell'economia, già messa a dura prova dalla rottura del sistema di Bretton
Woods, dalla svalutazione del dollaro e da altri fattori concomitanti che misero in luce la fine del
periodo del boom economico.
15
Il referendum del 12 maggio 1974
Alla fine del 1973, Pietro Scoppola e Luciano Pazzaglia furono coinvolti da Stefano Minelli,
direttore della casa editrice Morcelliana, nella preparazione di un numero speciale della rivista
Humanitas su “Concordato: revisione o superamento?”, in uscita nel gennaio 1974. Scrive
Pazzaglia: “In quel numero io prospettai […] l'idea di affiancare […] a un insegnamento della
religione cattolica di tipo facoltativo un insegnamento di cultura religiosa obbligatoria per tutti”
17
.
Scoppola scrisse invece un lungo articolo intitolato “I partiti e le nuove prospettive di politica
ecclesiastica in Italia”, nel quale metteva in luce i rischi che la Chiesa avrebbe corso se avesse
ingaggiato una battaglia senza tregua al referendum sul divorzio. Fanfani, sostenuto da monsignor
Benelli, si era convinto che la Dc, con l'appoggio della Chiesa, avrebbe ottenuto dalle urne il rigetto
della legge, rafforzando così la credibilità del partito presso il suo elettorato, ricucendo lo strappo
con la società civile.
I “cattolici del no” (ricordo alcuni nomi, citati da Fulvio De Giorgi
18
: Pietro Scoppola, Luigi
Pedrazzi, Ettore Passerin d'Entrèves, Francesco Traniello, Paolo Brezzi, Giuseppe Alberigo, Pierre
Carniti, Sandro Antoniazzi, Emilio Gabaglio, Sandro Magister, Ruggero Orfei, Guglielmo Zucconi,
Giancarlo Zizola) lanciarono un appello, rifacendosi alla lezione del Concilio sui temi della
coscienza e della laicità. In un primo momento, essendosi già pronunciati contro la pratica del
referendum per sciogliere questioni così delicate, si chiesero se non fossero da preferire l'astensione
o la scheda bianca. In seguito, prevalse la linea del no, ufficializzata con un convegno presso
l'albergo Palatino di Roma il 23 marzo 1974, poiché Fanfani e la gerarchia ecclesiale avevano
operato per giungere ad uno scontro frontale inevitabile. Il segretario della Dc in particolare, dopo
aver fallito per due volte la conquista della Presidenza della Repubblica, abbandonò la sua
“immagine di uomo di centro-sinistra in favore di un approccio che si rifacesse ai valori cattolici
tradizionali”
19
. Paolo VI decise di tenersi in disparte: pur opponendosi nettamente alla legge, poneva
tuttavia maggior cura alla “pace religiosa”, intendendo evitare uno scontro dannoso all'interno dello
stesso mondo cattolico, tanto che “teme[va] che spingere al referendum [fosse] invitare ad «un
eroismo dei cattolici italiani, pastoralmente inutile»”
20
; la Cei scelse invece una via più dura, anche
se alcuni vescovi erano chiaramente a favore della libertà di scelta. La Cisl e la maggior parte dei
17 L. PAZZAGLIA, La Lega Democratica e l'incubazione di “Appunti di cultura e politica”, “Appunti di cultura e
politica” 4/2008, p. 7
18 F. DE GIORGI, La Repubblica delle coscienze, op. cit.
19 P. GINSBORG, Storia d'Italia, op. cit., p. 471
20 A. RICCARDI, Il cattolicesimo della Repubblica, op. cit., p. 292
16
gruppi cattolici di base si schierarono apertamente per il no, mentre nel fronte laico a tentennare era
il Pci, preoccupato che gli attacchi virulenti di Fanfani potessero far presa anche sul proprio
elettorato, e allarmato dal pericolo di rovinare la strategia del compromesso storico lanciata da
Berlinguer.
Bisogna ad ogni modo sottolineare che anche i sostenitori del sì, come Gabrio Lombardi o Sergio
Cotta, avevano impostato il dibattito su basi laiche, così come era stato deciso dalla Direzione Dc
del 9 febbraio, che aveva sposato l'impostazione fanfaniana della campagna referendaria. Nel
ricordo di Scoppola: “Un merito dei promotori del referendum è stato quello di impostare il
confronto sul terreno civile e non su quello confessionale. La proposta di Andreotti di un doppio
binario, con l'indissolubilità per i matrimoni concordatari e il possibile divorzio per i matrimoni
civili […] oltre che contraria al principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge dello
Stato, avrebbe avuto effetti negativi dal punto di vista religioso perchè avrebbe indubbiamente
incentivato, fra gli incerti, il ricorso al matrimonio civile a preferenza del matrimonio religioso. La
scelta dei cosiddetti cattolici del no non implicava certo un'indifferenza di fronte al valore
dell'indissolubilità del matrimonio, […] ma si ispirava alla preoccupazione di non imporre con
legge dello Stato un modello così alto di comportamento”
21
. Anche da parte ecclesiale, ci fu in
prevalenza la difesa della santità religiosa del matrimonio, piuttosto che uno scadere nell'apologia di
un'idea autoritaria della società italiana.
Il 12 maggio 1974, gli elettori furono quindi chiamati alle urne per abrogare o meno la legge
Fortuna-Baslini (898/70). L'affluenza fu del 87,7% e l'esito del referendum vide la vittoria del no
con il 59,3% dei voti: in realtà, anche molti elettori missini si erano espressi a favore del no
22
, segno
del fatto che il discrimine viaggiava proprio lungo il confine tra cattolici e non cattolici, e per questo
si aprì una profonda lacerazione all'interno della Dc tra i “fedeli” e coloro che si erano invece spesi
per il mantenimento della legge.
La Chiesa e il mondo cattolico ne uscirono dilaniati, e nell'elettorato prima fedele si diffuse l'ostilità
all'egemonia politica della Dc, garantita da pratiche di sottogoverno o da collateralismi ormai datati.
È da ricordare però lo “sforzo compiuto successivamente dalla Conferenza episcopale italiana, per
iniziativa in particolare di mons. Enrico Bartoletti, di ricomporre la lacerazione aprendo anche ad
esponenti del no la partecipazione al comitato preparatorio del convegno del '76 su
«Evangelizzazione e promozione umana»”
23
.
21 N. LIPARI, A. MONTICONE, P. SCOPPOLA, I cattolici e la riforma della vita pubblica, 1988, Padova, p. 30
22 Cfr. L. PEDRAZZI, Dopo cinque anni, “Appunti di cultura e di politica” 1/1979, p. 26
23 N. LIPARI, A. MONTICONE, P. SCOPPOLA, I cattolici e la riforma della vita pubblica, op. cit., p. 30
17