7
Questi vari aspetti, considerati di fondamentale importanza per il successo di un’azienda,
sono già diventati, in alcuni paesi come Stati Uniti, ma anche Inghilterra - senza dover
andare troppo lontano - oggetto di studio da parte di specialisti della comunicazione
istituzionalizzandosi poi in discipline accademiche.
Nel nostro paese si registra un certo ritardo in questo tipo di attività, dovuto forse alla
soltanto recente introduzione nei nostri corsi di studi di materie attinenti alla
comunicazione.
Non c’è dubbio che la situazione dovrà evolvere rapidamente se non si vuole continuare a
rivolgersi a specialisti stranieri.
Le molte attività a cui si ricorre in questo campo sono racchiuse sotto il nome di Corporate
Identity, in italiano Immagine Coordinata.
La Corporate Identity, che racchiude fondamenti di marketing e management, esprime i
valori centrali di un’organizzazione; le basi su cui essa deve creare il suo modo di
comunicare e di essere.
Questo ambito, per la verità più operativo che didattico, sta diventando molto importante nel
mercato odierno. L’enfasi sull’identità dell’impresa, sta seguendo di pari passo l’importanza
strategica che sempre di più viene attribuita agli elementi immateriali dell’azienda. Questi, a
causa della sempre crescente omogeneizzazione dei prodotti offerti, sembrano essere le
uniche varianti in grado di garantire competitività all’impresa.
Oggi nel mondo del business bisogna chiedere a se stessi cosa può aiutarci a venire fuori
dalla massa, cosa ci può rendere memorabili, come trasmettiamo ai consumatori ciò che
facciamo e chi siamo. Dare una risposta ad argomenti come questi può non rivelarsi molto
8
semplice. Certamente ogni azienda conosce la sua attività; ma non può esattamente sapere
come i consumatori la riconoscono e cosa ricordano di essa. Questo problema può essere
risolto da una buona Corporate Identity che aumenta la consapevolezza pubblica
dell’impresa.
Lo stile di un’azienda deve essere sempre ben curato e coordinato in tutti gli strumenti
utilizzati per comunicare; questo è il necessario punto di partenza per chiunque si voglia
presentare sul mercato in modo accattivante.
Tutto ciò è la Corporate Identity che riflette il valore posseduto da un’azienda;
rappresenta la faccia che l’impresa presenta al mondo ogni giorno giocando un ruolo
fondamentale nel posizionamento dell’impresa sul mercato. La Corporate Identity può
essere considerata come la rappresentazione delle strategie di marketing dell’azienda. Il
successo di tutto il programma si raggiunge con la consistente applicazione del marchio su
tutto ciò che è prodotto dall’azienda. L’applicazione ripetuta del marchio e quindi la sua
visibilità né fa aumentare la valutazione.
Aziende e prodotti, servizi pubblici e partiti politici, oggi in molti casi usare l’immagine
coordinata, intesa come studio ed intervento globale sull’immagine, significa legare con
maggiore coerenza i contenuti alle forme di comunicazione specifiche, aumentando la
credibilità e la forza di penetrazione della comunicazione d’impresa nel suo complesso.
9
1.1 Dall’individuo all’organizzazione: le basi del concetto di identità.
Una riflessione sull’identità può non essere un così oggettivo e distanziato campo di
studi, basta, infatti, pensare che ognuno di noi ne ha una. Si potrebbe partire allora dal porre
domande a se stessi per ricercare la provenienza del nostro modo di essere.
Perché parlare di identità? Un concetto di cui tutti sappiamo il significato. Ma siamo
sicuri di conoscere veramente cos’è l’identità?
Ognuno di noi ha la propria; questo aspetto fondamentale di ogni persona è formato da due
parti: quella fisica e quella comportamentale.
La prima è data dalle caratteristiche che involontariamente ci portiamo dietro dalla nascita,
la forma fisica; mentre con la parte comportamentale si intendono i nostri atteggiamenti, il
modo di fare, il nostro porci verso gli altri. Tutte queste cose sono un mix tra i nostri stimoli
innati e ciò che invece ci viene inculturato grazie al processo socializzazione. Quindi è
anche il contesto esterno, inteso come situazioni, opportunità, che forma la nostra identità.
L’identità quindi, contrariamente a quanto si pensa, è un concetto sempre in evoluzione, non
è qualcosa di statico che, una volta formata ci portiamo dietro e ci caratterizza per sempre.
1
Secondo Antonio Romano una buona identità d’impresa si riconosce in primo luogo dai
comportamenti delle persone che vivono all’interno della stessa. Il lavoro svolto da AReA
2
,
1
Intervista ad Antonio Romano, Presidente e Direttore creativo di AReA Strategic Design.
2
E’ una società che opera nel campo dei sistemi d’identità visiva con specializzazione sulla Corporate Identity, ha una
storia quasi ventennale. Nasce nel 1980 Studio Romano creato da Antonio Romano con l’intento di fare total design e
poi per ragioni di mercato restringe il proprio campo d’intervento ad un universo comunque vasto che è quello del
design multidisciplinare. La struttura comincia ad operare nel campo della Corporate Identity prima con progetti per
piccole imprese, poi, nei primi anni 80, con progetti per le istituzioni. A questo punto la struttura comincia ad avere
bisogno di un’identificazione per uscire dall’anonimato degli studi grafici che in genere fanno un po’ di tutto.
Nel 1990 vengono introdotte all’interno dell’agenzia nuove professionalità, figure non più legate strettamente al design,
il quale da materia prima diventa la parte conclusiva del processo. Nel 1991 la struttura cambia denominazione e
diventa operativa come AReA – Antonio Romano e Associati – cui viene aggiunto “strategic design” come ambito di
posizionamento.
Sin dal 1988 opera due sedi, Roma e Milano. Verso la fine degli anni 80 cominciano anche le consulenze all’estero che
riscuotono un discreto successo e quindi si fa sempre più strada l’idea di dare un profilo internazionale alla società,
10
la definizione dell’identità visiva può essere riassunta nel concetto “il bel vestito che induce
ad azioni migliori”. In altri termini, ogni essere umano ha il diritto di pensare di essere unico
e irripetibile; ma che cosa è invece che può unire gli individui: uno stile di comportamento
che può essere reso omogeneo o il più prossimo possibile all’omogeneità. L’identità visiva
ha la funzione di riuscire a creare riconoscibilità perché solo chi è riconosciuto può essere
scelto; poi deve incrementare i valori di visibilità attraverso una massa critica che è
valorizzata dalla ripetizione dei segni; infine l’identità visiva serve a differenziarsi dagli
altri. Tutto contribuisce all’identità e se questa è efficace lo si vede anche nei
comportamenti delle persone.
Questa mutevolezza del concetto considerato è dimostrata anche dal fatto che l’identità è
basata su tre livelli:
- chi sono
- chi voglio essere
- chi sembro
divenuta sempre più forte. La crisi economica degli anni successivi blocca ogni progetto e nel 1997, stanchi di un
mercato italiano abbastanza stagnante, viene aperto un ufficio a Parigi, sia per le opportunità offerte dal mercato
francese che per la presenza di buoni partners. Il consenso ottenuto dopo solo un anno di lavoro ha fatto nascere lo
slogan: “AReA Italian Design Global Vision” che è diventato una sorta di grido di battaglia in un mondo egemonizzato
da strutture inglesi in Europa e americane nel mondo.
I responsabili della struttura hanno allargato ultimamente la presenza di AReA in Europa, aprendo un ufficio a
Francoforte e sono sbarcati oltre oceano con un ufficio a Toronto.
Il successo di AReA è sostanzialmente legato alla particolarità dell’approccio. La cultura della Corporate identity,
infatti, si è consolidata nei paesi anglosassoni mentre non esiste una tradizione italiana in questo senso. Per contro, può
esistere un approccio tutto italiano in grado di pianificare il lavoro d’identità.
Il posizionamento è l’elemento chiave su cui si poggia la strategia di un sistema d’identità. Il positioning è una “materia
prima” squisitamente anglosassone; quello che i consulenti di AReA pensano si possa aggiungere ad un concetto di
positioning è la possibilità di interpretare paesaggi ulteriori per il brand. Alla mera logica di positioning, l’agenzia
aggiunge ulteriori elementi legati agli stili di vita, di tendenza, a quelli latenti ma prossimi ad emergere cercando di
assegnare a tutto l’insieme uno stile preciso.
Gli operatori di AReA sono portatori di un proprio stile, oltre che di un metodo di lavoro e di un linguaggio visivo. Chi
sceglie una performance progettuale AReA in qualche modo sceglie uno stile preciso e sa già che tipo di prodotto avrà
in mano una volta completato l’intervento.
Molti comunicatori spariscono dietro al lavoro del proprio cliente; in AReA c’è la convinzione che la capacità di un
proprio stile renda riconoscibile il lavoro e fornisca un buon servizio alla clientela. Questo, inoltre, può rappresentare un
ambito di differenziazione nel mercato.
11
Se il primo livello può sfuggire alla nostra volontà perché deriva da una serie di fattori fisici
e sociali sui quali noi non abbiamo influenza, gli altri due livelli ci chiamano in gioco
personalmente.
Chi vogliamo essere o chi vogliamo sembrare, fondamentalmente, dipende da noi, dalle
nostre aspirazioni. Questi tre fattori, come è noto, con il tempo cambiano anche
drasticamente e agiscono interdipendentemente durante tutta la vita di una persona
determinandone il comportamento.
L’identità è l’insieme dei mezzi che ogni individuo usa per proiettare all’esterno la sua
personalità. Alcuni elementi dell’identità sono pianificati come gli abiti, il biglietto da
visita, il modo di parlare. Altri no: per esempio le abitudini inconsce, l’altezza, la forma del
viso.
Il concetto identità così specificato sembra confondibile con quello di immagine, ma la
differenza fondamentale sta nel fatto che mentre la nostra identità in qualche modo la
creiamo noi stessi, l’immagine, che noi diamo all’esterno, è creata da chi ci sta di fronte.
L’identità quindi oltre al suo divenire mutevole per i cambiamenti del soggetto, è
caratterizzata dal ricordo di qualcosa di passato, di tutti quei mutamenti che non ci hanno
riguardato di persona ma che geneticamente sono presenti in noi. Una parte fondamentale
dell’identità è quindi la memoria.
In un suo saggio Ferrarotti
3
, considera i legami tra i concetti di identità e memoria.
L’autore, riprendendo gli scritti di Freud, sostiene che la memoria non è qualcosa di passivo
dove si stampano i momenti più importanti del passato, bensì la vede come una facoltà
creativa capace di reinventare il passato.
3
Rivista SFERA, num. 59 Agosto - Ottobre 1994, Editrice Sigma-Tau
12
Grazie alla stratificazione dei ricordi la memoria riesce a costruire l’insieme di idee e valori
che costituiscono l’essere, cioè forma la personalità dell’individuo. Da qui deriva la
mutabilità della memoria che non deve essere considerata mai data una volta per tutte. Essa
si costruisce e cambia in base all’esperienza vissuta e ricordata. Questo spiega perché la
memoria è una componente essenziale per l’identità dell’individuo.
Per meglio far comprendere il concetto, Ferrarotti afferma che “non siamo nulla in senso
assoluto. Siamo solo ciò che siamo stati. Più precisamente ciò che ricordiamo di essere stati.
Da qui, la crucialità del ricordo come momento fondamentale nella costituzione del
soggetto, garanzia della sua continuità nel tempo e della sua specificità”.
Non essendo l’identità un’acquisizione permanente, ma in continua trasformazione, si può
dedurre che, sia l’identità individuale sia quella collettiva, si costruiscono dalla cultura e
dalla storia.
Un esempio pregnante può essere considerato il fenomeno della Croce. Questo simbolo,
molto importante nella nostra società a maggioranza cattolica, è costantemente presente
nella vita della maggior parte di noi a testimoniare un cambiamento avvenuto duemila anni
fa e di cui noi ancora siamo memori: la Croce come simbolo di morte infamante, è diventata
segno di nuova vita, di vittoria.
C’è un momento in cui due distinte identità vengono a scontrarsi. E’ il momento
dell’entrata di un individuo in un’organizzazione.
Ogni organizzazione è immaginabile come un sottoinsieme socioculturale che al suo interno
riprende le variabili presenti nella cultura in cui opera
4
. All’interno di un’organizzazione
operano persone diverse ognuna con un proprio bagaglio di conoscenze, valori, ognuna con
4
Cfr. Pierfranco Malizia, La costruzione sociale dell’organizzazione, Milano, Guerini Studio, 1998
13
una propria personalità, ognuna con una propria identità. Ma anche l’organizzazione ha una
sua identità che le deriva dalla sua storia, da quegli elementi immateriali che chi ha
contribuito alla sua nascita ed al suo sviluppo vi ha apportato. L’incontro tra le due identità,
quella dell’organizzazione e quella dell’individuo, avviene grazie al processo
dell’inculturazione
5
. Questo consiste nell’apprendimento/interiorizzazione di norme,
comportamenti e valori. Esso è presente anche a livello sociale e caratterizza tutta la vita
dell’individuo, dalla nascita fino alla fine. Anche nella cooptazione avviene questa
inculturazione, infatti l’individuo dovrà assimilare e mettere in pratica i comportamenti
previsti e idonei che gli consentiranno di vivere nell’organizzazione.
5
Cfr. A. Giddens, Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1992
14
1.2 Identità nella comunicazione aziendale
Non si può non comunicare
6
. Questa affermazione fatta dagli studiosi di Palo Alto è
da considerare come regola fondamentale sia per quanto riguarda gli individui che le
aziende. Secondo il gruppo di studiosi californiani sia la comunicazione sia la non
comunicazione sono considerate come messaggio dagli interlocutori che le interpreteranno
ognuno secondo le proprie preferenze.
L’importanza della comunicazione fu rivelata sin dagli inizi del secolo quando con la teoria
ipodermica
7
, appoggiata dalla psicologia behaviorista, veniva sostenuto che l’emittente, con
un messaggio mirato e ripetuto, poteva influenzare a suo piacimento il ricevente considerato
come passivo, privo di qualsiasi difesa. Secondo questa teoria, nel processo comunicativo
era solo l’emittente ad avere una parte attiva potendo manipolare con i suoi messaggi le
credenze ed i comportamenti del ricevente. Sostanzialmente il processo si basava su uno
stimolo - input dato dall’emittente - a cui seguiva una risposta automatica - comportamento
del ricevente.
Facendo un passo avanti si arrivò poi ad un modello più complesso di comunicazione
sistemizzato da Laswell, che analizzava passo dopo passo il processo comunicativo che
avviene tra un emittente ed un ricevente. Ma ancora non si era giunti alla vera e propria
rivoluzione portata dall’approccio empirico-sperimentale, che prendendo il via dalla magic
bullet theory, inserì nel processo comunicativo le variabili psicologiche degli individui. Il
ricevente diventò quindi parte integrante ed attiva della comunicazione; un destinatario in
grado di difendersi e di accettare o meno le informazioni provenienti dall’esterno.
6
Cfr. Pierfranco Malizia, op. cit.,
7
Cfr. Mauro Wolf, Teorie della comunicazione di massa, Milano, Bompiani
15
Al di fuori dell’aspetto psicologico questi modelli hanno segnato anche lo stile
comunicativo delle imprese. Ad un lancio indiscriminato di messaggi, tutti aventi la
convinzione di colpire il destinatario cliente/massa, passando poi per le teorie sulla
pubblicità subliminale, si è arrivati a comprendere che l’emittente, individuo o impresa che
sia, per avere successo deve tenere in considerazione il ricevente ed inviargli messaggi per
lui interessanti in un codice comprensibile.
Il processo di comunicazione, quindi, è mutato fino a diventare un continuum grazie
all’importanza assunta dal feed-back; l’impresa in quanto soggetto comunicativo deve
essere cosciente di ciò e del fatto che soltanto perché esiste, che lo voglia o no, genera
comunicazione.
Un’impresa che si ostini a non comunicare, permette a chi interagisce con essa di formarsi
idee senza avere elementi ai quali riferirsi, o meglio, potendo “analizzare” solo il silenzio.
Le imprese che hanno capito l’importanza del fattore comunicazione hanno a loro
disposizione un’arma in più da usare sul mercato.
La comunicazione è diventata funzione vitale per l’impresa; chi riesce ad usarla per i propri
fini ha un vantaggio competitivo notevole, chi invece la subisce si troverà in ritardo rispetto
agli altri.
Possiamo definire la comunicazione aziendale come “quella funzione del
management che consiste nel definire, pianificare e gestire l’immagine aziendale, la
reciproca informazione e comprensione con i pubblici interni ed esterni dai quali dipende il
successo dell’impresa”
8
.
8
Cfr. Federico Rampini, La comunicazione aziendale, Etaslibri, 1990, pag. 5
16
Tutti i diversi tipi di comunicazioni posti in essere dall’impresa, raggruppati sotto la voce
comunicazione aziendale, anche se gestite da persone diverse devono essere tra loro
correlati e puntare sinergicamente ai fini aziendali.
La presa di coscienza da parte delle imprese dell’importanza strategica della comunicazione
è intuibile dall’aumento dei budget ad essa destinati e dal fatto che i responsabili della
comunicazione siano arrivati ad occupare, all’interno delle imprese, posizioni dirigenziali.
L’approccio più antico alla comunicazione è quello rivolto ai beni di consumo. Come
ha evidenziato la Salem
9
, nella seconda metà degli anni Settanta il mercato cambiò a causa
dell’aumentare delle dimensioni delle grandi catene che ridussero i tempi di trasporto
aumentando i volumi di vendita; la concorrenza divenne agguerrita e le imprese per far
conoscere il proprio prodotto cominciarono a comunicare massicciamente. Con il passare
del tempo alla comunicazione di prodotto, ormai insufficiente alla distinzione, si affiancò la
comunicazione istituzionale, con la quale l’impresa promuovendo se stessa aiuta il prodotto
ad emergere. I due tipi di comunicazione hanno portato oggi a parlare di strategie di
comunicazione globali.
Lo stesso sviluppo è stato seguito dalle imprese erogatrici di servizi, data l’immaterialità e
l’alta uniformità di questi, la qualità della comunicazione diventa decisiva.
Nella definizione data da Rampini
10
, di comunicazione aziendale, è sottolineata
l’importanza della coordinazione tra comunicazione esterna ed interna. Il motivo di questa
esigenza è dato dal fatto che la comunicazione rivolta all’interno, non ha come fine solo
quello di migliorare le relazioni sociali sul posto di lavoro, ma è considerata il primo banco
di prova dell’efficacia delle politiche d'immagine aziendale.
9
Cfr. Elena Salem, Che cos’è la comunicazione d’impresa, Milano, Lupetti & Co., 1988
10
Cfr. Federico Rampini, op. cit.
17
Se non si riesce a coinvolgere nello spirito aziendale i dipendenti, rendendoli partecipi e
facendoli sentire appagati, tanto meno si potrà sperare di far presa sul cliente-utente, ciò
perché i dipendenti sono i primi portavoce dell’azienda verso l’esterno.
Condizioni interne appaganti sono necessarie all’azienda anche per vincere la
concorrenza sul mercato del lavoro e riuscire ad attirare il personale più qualificato
rivolgendo le sue attrattive al pubblico dei dipendenti potenziali.
L’azienda che è in grado di usare efficacemente lo strumento comunicazione, è
quell’azienda che non si limita ad essere emittente di messaggi, ma si pone anche come
ricevente. Ascoltare permette di comprendere meglio il contesto in cui si è inseriti e far
fronte tempestivamente ad eventuali mutamenti.
L’importanza di una comunicazione integrata a livello strategico si enfatizza nei momenti di
crisi. Questi, che possono essere i più diversi come conflitti sindacali, incidenti di
fabbricazione che rendono il prodotto difettoso, licenziamenti, crisi finanziarie, evidenziano
come la stessa sopravvivenza dell’azienda possa dipendere dalla comunicazione messa in
atto.
Un esempio di gestione della comunicazione e difesa dell’immagine è da considerarsi
il caso Mercedes CLASSE A del 1997/98 (Appendice A “Mercedes CLASSE A”).
Oggi le aziende hanno sempre più problemi di distinguibilità e riconoscibilità, sia
perché la società è caratterizzata da un sovraffollamento di segni che rende impossibile
emergere tra gli altri, sia perché le imprese, preoccupate di seguire i trend e quindi
impegnate in cambiamenti quasi continui, spesso smarriscono la propria identità.
18
Se un’impresa vuole avere successo e quindi emergere nel mercato deve tenere in molta
considerazione le risorse immateriali; esse poiché non possono essere acquistate ma vanno
conquistate, diventeranno sempre più parte consistente del patrimonio aziendale. L’azienda
deve provvedere a costruire nel tempo queste risorse che una volta acquisite possono essere
usate in ogni momento poiché proprio l’utilizzo permette l’aumento del loro valore e della
loro qualità.
Due tra i più importanti elementi immateriali a disposizione dell’azienda, sono l’immagine e
l’identità. La prima è molto spesso considerata nella nostra società come qualcosa di
superficiale, una bella facciata che nasconde una realtà non altrettanto piacevole e purtroppo
questa idea viene estesa anche all’ambito aziendale. Bisogna sicuramente cambiare questo
luogo comune e cominciare a considerare l’immagine così come la descrive Brognara
11
,
ossia come “rappresentazione mentale di un determinato oggetto che si forma dall’unione di
opinioni, impressioni, percezioni ed esperienze riportate nel tempo su quell’oggetto”.
L'immagine quindi è soggettiva e considerando ciò diventa ovvio affermare che non è
dunque l’azienda che costruisce e impone la sua immagine ai diversi pubblici, ma sono
questi che interagendo con l’azienda e accumulando esperienze si formano una sua
immagine.
Non bisogna d’altra parte commettere l’errore di pensare che in tutto ciò le aziende
rimangano passive; esse, infatti, devono cercare di fornire ai pubblici tutti gli elementi che
uniti tra loro concorreranno a formare, nella loro mente, un’immagine il più vicino possibile
a quella che l’azienda vuole trasmettere.
11
Cfr. Roberto Brognara, Vanni Codeluppi, Imagineering. Costruzione dell’immagine e strategia di comunicazione,
Milano, Guerini e associati, 1992, pag. 16.