2
Si tratta di una nuova strada, non priva di rischi, i cui risultati
(ed eventuali errori) si vedranno con il passare del tempo; ma
rappresenta anche quella “scossa” di cui il quadro museale
italiano ha bisogno per poter sopravvivere dopo anni di forzata
immobilità.
È essenziale guardare all’estero (non necessariamente solo
ai musei statunitensi) per confrontare le esperienze e gli esempi di
conduzione
2
, ma la questione si risolverà solo quando sarà creato
un “modello italiano” di gestione, plasmato sul nostro patrimonio
culturale e dotato di un certo margine di flessibilità, per potersi
adattare meglio alle necessità di un panorama sicuramente
eterogeneo.
La caratteristica peculiare di tale patrimonio è che, come
osserva il prof. Settis, <<non è un’entità estranea, calata da fuori,
ma qualcosa che abbiamo creato nel tempo e con cui
abbiamo convissuto per generazioni e generazioni, per secoli e
secoli; [...] ed è proprio questo tessuto connettivo che rende il
patrimonio italiano nel suo complesso inestimabile anche sul
fronte dell’immagine e della valorizzazione del Paese. Il nostro
bene culturale più prezioso è il contesto, il continuum fra i
monumenti, le città, i cittadini; e del contesto fanno parte
integrante non solo musei e monumenti, ma anche la cultura
della conservazione che li ha fatti arrivare fino a noi>>.
2
Ottimo esempio di gestione potrebbero essere i musei tedeschi e olandesi; questi
ultimi hanno anche ottenuto con successo il passaggio dei dipendenti dal contratto
pubblico a quello privato; per quel che riguarda la didattica museale, la Spagna è
all’avanguardia tra le nazioni europee.
3
È quest’assioma che si deve tenere presente ogni volta
che si cerchino soluzioni per la valorizzazione di un qualsiasi bene
culturale.
Il fatto che le città e i musei italiani conservino per la
maggior parte opere d’arte fortemente legate, per vicende
storiche e sociologiche, al territorio deve essere valorizzato nel
miglior modo possibile in quanto ciò contribuisce a creare
percorsi culturali unici per ogni realtà. I nostri musei non sono
“cattedrali nel deserto” appositamente costruite per ospitare
opere di tutte le culture o epoche
3
: sono soprattutto il risultato
della passione di mecenati e collezionisti che si sono avvicendati
nella nostra storia con alterne fortune, e che fin dal XVII secolo
hanno concesso la fruizione pubblica di tali collezioni, (anche se
allora il concetto di pubblico era piuttosto differente da quello
odierno)
4
.
Oggi la nozione di bene culturale e l’importanza della
relativa tutela e valorizzazione possono dirsi comprese, anche se
in modo a volte superficiale, da larga parte della società; inoltre
si deve continuare l’opera di sensibilizzazione attraverso iniziative
coinvolgenti, a partire dalle scuole d’ogni ordine e grado. Nel
1990 lo storico dell’arte A. Chastel loda l’obbligatorietà nelle
scuole italiane dell’insegnamento della storia dell’arte, mentre in
3
Non è una critica ai c.d. musei “enciclopedici” ma serve a far risaltare la tipicità del
panorama italiano. Il museo fortemente legato al territorio e alla sua storia è d’altra
parte riscontrabile anche in alcune realtà europee come Spagna e Francia, anche se
non nella stessa misura rispetto all’Italia.
4
In genere la visita era concessa a studiosi, esperti, ospiti di riguardo od artisti. Solo nel
‘700 quando alcune collezioni diventarono bene pubblico si aprì l’accesso a ogni
grado di visitatori.
4
Francia una riforma in tal senso risale solo alla metà degli anni
’90. I nostri bambini e giovani devono imparare ad apprezzare e
soprattutto rispettare le inestimabili bellezze che li circondano: e
qui entrano in gioco il museo e la sua didattica
5
.
Per poter meglio affrontare tale compito tutti i musei medi
e grandi hanno adottato programmi concordati con gli istituti
scolastici, che svolgendosi spesso durante l’intero anno scolastico
non limitano l’attenzione degli studenti ad una sola e spesso
affrettata visita.
L’aspetto didattico è solo una, forse la più recepibile
nell’immediato dal pubblico, delle attività del museo, i cui
compiti principali restano la tutela e la conservazione delle
opere, seguite dalla possibilità di svolgere attività di ricerca e di
studio, in quanto la conoscenza è lo strumento per eccellenza
per poter svolgere correttamente tutte le suddette operazioni.
Proprio per cercare di agevolare i musei ed i loro compiti
(cercando anche di rendere più appetibili gli investimenti di
privati nel settore pubblico), dagli anni ’90 sono state approvate
alcune serie di leggi, il cui intendimento era quello di riordinare un
settore lasciato per troppo tempo in secondo piano. Anche se il
risultato è attualmente al di sotto delle speranze e delle
aspettative degli addetti ai lavori, alcune leggi hanno permesso
5
Per didattica museale non si devono intendere solo i programmi pensati per i più
giovani ma anche tutto l’apparato nozionistico che si allestisce all’interno del museo;
molte critiche vengono giustamente mosse nei confronti di informazioni esplicate in
maniera incompleta o poco comprensibile per un pubblico di media cultura. Pannelli,
cartellini e fogli-guida costituiscono il “biglietto da visita” del museo per tutta la durata
del percorso: se sono chiari, curati e completi il visitatore si sentirà più a suo agio,
evitando visite frettolose e superficiali.
5
la creazione di realtà nuove capaci di destare attenzione per le
loro prerogative gestionali.
Questa tesi si propone di analizzare la struttura delle nuove forme
di gestione che si stanno affermando nel panorama italiano,
ponendole a confronto, senza la presunzione di valutare quale
potrà essere la più idonea a porre le basi di un modello, ma per
comprendere le motivazioni che hanno portato verso una
soluzione piuttosto che ad un’altra e quali sono i primi risultati di
tali operazioni, il tutto in un ambito nuovo dal punto di vista della
gestione economica delle nuove figure professionali che sono
state o dovranno essere acquisite.
6
Capitolo primo
Breve sintesi storica
In Italia, dal secondo dopoguerra, si è assistito ad una
crescita esponenziale del numero dei musei, soprattutto di quelli
medi e piccoli di carattere locale, con un grande sviluppo di
musei di carattere etnografico. In generale negli ultimi trent’anni
il museo in tutti i suoi molteplici aspetti ha cercato di evolversi,
specialmente dal punto di vista dei rapporti con i visitatori,
mentre le leggi che ne dovevano curare gli aspetti gestionali non
sono riuscite a restare al passo con esigenze sempre diverse e
complesse. Il museo non era più visto come un’istituzione
autonoma in grado di poter gestire mezzi e risorse, ma solo come
uno “strumento” per la conservazione e la tutela.
Un timido cambiamento iniziò solo nel 1964, con la
creazione della “Commissione d’indagine per la tutela e la
valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico, e
del paesaggio”
6
meglio conosciuta come “Commissione
Franceschini”
7
, che in un paio d’anni indagò sullo stato dei beni
6
L. 310/64.
7
Dal nome del suo Presidente. Alla commissione si deve l’inserimento del concetto di
“bene culturale”per sostituire i termini “cose di interesse artistico e storico” “antichità e
belle arti” “bellezze naturali” adottati dalla Legge 1089 del 1939. Ma è solo con il D. lgs.
31 marzo 1998 n. 112 che viene introdotta la definizione di “bene culturale”utile alla
7
culturali in Italia. Il rapporto del 1967 evidenziò le mancanze e il
degrado del patrimonio nazionale
8
.
Le origini dello stato d’abbandono dei beni culturali non
potevano <<essere attribuite esclusivamente, e neppure
prevalentemente, ad una deficienza quantitativa di personale e
di finanziamento>> piuttosto si spiegavano << soprattutto come
conseguenza di un basilare difetto d’impostazione del sistema
stesso della tutela dei beni culturali, tale da esigere non
miglioramenti o perfezionamenti, bensì rimedi di natura
radicale>>.
Tra i numerosi suggerimenti, vi era quello di riconoscere
<<alla direzione dei maggiori musei statali, nell’ambito delle
Soprintendenze, la qualità di uffici autonomi [...] e ad ogni museo
[...] una necessaria autosufficienza per ciò che concerne i servizi
essenziali e il personale specializzato>> auspicando un
<<adeguamento dell’organizzazione e del funzionamento [...] dei
dottrina giuridica: sono beni culturali “quelli che compongono il patrimonio storico,
artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e
gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base
alla legge”.
È una definizione ampia ed “aperta”: rispetto a quella proposta dalla
Commissione Franceschini in questo caso viene cassato il termine “materiale”
dall’espressione “testimonianza avente valore materiale di civiltà”, inoltre si parla di
beni “così individuati dalla legge”. Queste due precisazioni implicano una serie di
riflessioni che non saranno esposte in quanto non particolarmente attinenti alla materia
di questa tesi.
Per approfondimenti: Mario P. Chiti, La nuova nozione di “beni culturali” nel D.
lgs. 112/98: prime note esegetiche, <<Aedon>> n. 1/1998.
8
La Commissione espose in 84 “dichiarazioni” una serie di suggerimenti per rinnovare in
modo sostanziale la disciplina giuridica dei beni culturali e la loro amministrazione
finanziaria. Con il senno di poi si può affermare che se si fossero seguite tali indicazioni i
nostri musei verserebbero in condizioni ben diverse dalle attuali.
8
musei dipendenti da enti pubblici, da fondazioni e da
istituzioni>>
9
.
L’ottimo lavoro della Commissione Franceschini fu solo il
capostipite di una serie di progetti tesi a migliorare il sistema dei
beni culturali che caddero nel vuoto, tanto che bisognerà
aspettare gli anni novanta per vedere i primi cambiamenti a
livello legislativo.
Al 1992 risalgono i disegni di legge presentati dagli
onorevoli Covatta e Chiarante: ambedue pronosticavano
l’eventualità di affidare a terzi alcuni servizi, ed il progetto
Covatta considerava la probabilità di poter affidare interamente
la gestione d’alcune istituzioni museali a fondazioni già esistenti
oppure di crearne appositamente altre di carattere misto tra
pubblico e privato.
Il dibattito apertosi da queste due proposte portò ad
approvare il D. L. 433/92 divenuto poi L. 4/93 ovvero la legge
Ronchey, che non prevedeva una riforma organica del settore
museale, ma si preoccupava soprattutto delle carenze di base a
livello organizzativo e di sicurezza.
È anche la legge che apre la strada ai famosi “servizi
aggiuntivi” per il pubblico, in altre parole servizi di ristorazione,
guardaroba e bookshop, che destarono molte aspettative oggi
in gran parte deluse.
9
Dichiarazione LXXIII.
9
Tabella 1- Confronto tra i due disegni di legge.
Progetto Chiarante Progetto Covatta
Musei di minore
rilevanza
con direttore
nominato dalla
soprintendenza
musei-uffici
con programma
economico-
finanziario
approvato dalla
soprintendenza
Musei non
equiparati alle
soprintendenze
istituti pubblici
con
autonomia
amministrativa
contabile
Musei
autonomi
con autonomia
funzionale e
gestionale, soggetti
alla vigilanza della
soprintendenza
musei
equiparati a
soprintendenze
con autonomia
amministrativo-
finanziaria e
culturale-
scientifica pari
alle
soprintendenze
musei
speciali
con autonomia
amministrativa,
contabile,
gestionale e
funzionale soggetti
alla vigilanza del
Ministero
Fonte: Jalla, 2003
Il vero cambiamento inizia nel 1997 con l’approvazione
della c.d. legge Bassanini (L. 15 marzo 97, n. 59)
10
sul
conferimento di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni ed agli
Enti locali.
La legge contempla la possibilità di trasferire la gestione
dei musei statali alle autonomie territoriali; inoltre s’individuano
quattro funzioni quali la tutela (riservata allo stato), la gestione, la
valorizzazione ed infine la promozione. Queste ultime spettano sia
10
Seguita dalle “Bassanini-bis” (L. 127/97) e “ter” (L. 191/98).
10
allo Stato sia alle Regioni od Enti locali che cooperano nello
scopo.
Il nuovo quadro legislativo si perfeziona con l’approvazione
del <<Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali>> D. lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 sostituito poi
dal <<Codice dei beni culturali e del paesaggio>>
11
D. lgs. 22
gennaio 2004 n. 42, entrambi tesi ad aggiornare l’“inossidabile”
legge 1089/39.
Inoltre viene varato con il D.M. 10 maggio 2001 l’<<Atto di
indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di
funzionamento e sviluppo dei musei (art. 150, comma 6 D. lgs.
112/98 ) >>, redatto da una commissione d’esperti, in cui sono
contenute indicazioni di carattere amministrativo, finanziario e
gestionale concernenti il management delle istituzioni museali, a
cui queste ultime dovranno in futuro attenersi, in quanto si
prospetta anche un sistema di certificazione di qualità dei servizi
offerti, che si baserà anche su questo documento.
Queste sono alcune delle premesse che dovrebbero
portare ad una sostanziale innovazione del panorama museale
italiano, anche se si dovranno colmare diverse lacune o cercare
di interpretare correttamente disposizioni che lasciano aperte
varie possibilità.
11
Denominato anche “Codice Urbani”, dal nome del ministro.
11
Capitolo secondo
Forme di gestione
La legge Bassanini consente allo Stato di trasferire la
gestione di beni culturali a Regioni ed enti locali e, in base al
Decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 <<Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali>> art. 113, i loro servizi
possono essere gestiti:
a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le
caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una
istituzione o una azienda;
b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche,
economiche e di opportunità sociale;
c) a mezzo azienda speciale, anche per la gestione di più
servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;
d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza
rilevanza imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a
prevalente capitale pubblico locale costituite o
partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio,
qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito
12
territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti
pubblici o privati;
f) a mezzo di società per azioni senza il vincolo della
proprietà pubblica maggioritaria a norma dell’articolo
116.
La Legge 21 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria per il 2002) art. 35,
riscrive totalmente l’art. 113 che riguarderà di conseguenza i
servizi pubblici locali di rilevanza industriale e, per quelli privi di
rilevanza industriale, introduce l’art. 113-bis:
1. Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i
servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono
gestiti mediante affidamento diretto a:
a) istituzioni;
b) aziende speciali, anche consortili;
c) società di capitali costituite o partecipate dagli enti
locali, regolate dal codice civile
12
;
2. È consentita la gestione in economia quando, per le
modeste dimensioni o per la caratteristiche del servizio,
non sia opportuno precedere ad affidamento ai soggetti
di cui al comma 1.
3. Gli enti locali possono procedere all’affidamento diretto
dei servizi culturali e del tempo libero anche ad
associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate.
12
I servizi culturali potranno essere organizzati nella forma di società di capitali, quando
l’ente locale riterrà di conferire ad essi una rilevanza economica-imprenditoriale,
altrimenti si preferirà la forma dell’istituzione o della fondazione.
13
4. Quando sussistono ragioni tecniche, economiche, o di
utilità sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2, 3 possono essere
affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica,
secondo le modalità stabilite dalle normative di settore.
5. I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi
di cui al presente articolo sono regolati da contratti di
servizio.
La gestione in economia è la più diffusa, soprattutto per
quel che riguarda i musei civici e quelli di carattere locale; in
questo caso il museo è solo un “ufficio” dell’ente, con
un’autonomia limitata, privo di bilancio e tenuto a presentare
solo un rendiconto finanziario. Per qualsiasi necessità il museo
dovrà far richiesta di materiali o fondi all’ufficio di competenza
dell’ente; questo iter rallenta e rende difficoltosa qualsiasi
iniziativa od approvvigionamento del museo.
L’istituzione è definita dalla L. 142/1990 come <<organo
strumentale dotato di autonomia gestionale, privo di personalità
giuridica, per l’erogazione di servizi sociali senza rilevanza
imprenditoriale>>.
Possiamo affermare che l’istituzione sia stato il primo
tentativo concreto d’intervento atto a conciliare le esigenze di
flessibilità e autonomia e il mantenimento d’alcuni principi e
regole imprescindibili dei servizi legati ad un ambito d’interesse e
rilievo collettivo.
14
Nonostante alcuni musei gestiti tramite istituzione abbiano
dato risultati positivi
13
, molti dibattiti si sono svolti sulla sua reale
efficacia, e sono emersi dubbi e resistenze tali da mettere in
dubbio la sua concreta utilità, in quanto troppo legata all’ente
istitutore. Questo fa sì che si verifichino difficoltà nella separazione
di alcuni ambiti di gestione, e ci siano troppi vincoli dati dalla
dipendenza dallo statuto o regolamento dell’ente stesso.
L’azienda speciale è un ente strumentale dell’ente locale,
dotato di personalità giuridica e autonomia imprenditoriale. Le
difficoltà riscontrate all’applicazione di tale formula sono
pressoché le stesse le stesse dell’istituzione, a fronte di alcune
note positive quali una maggiore tempestività organizzativa e il
miglioramento dei servizi erogati. Il dato che queste aziende
speciali possano anche essere di natura consortile apre alla
possibilità di utilizzarle in caso di reti o sistemi museali integrati con
il territorio.
Il caso meno applicabile in assoluto resta quello delle
società di capitali costituite o partecipate dall’ente locale. Infatti,
un museo prevede per statuto l’assenza di fini di lucro: è
chiaramente un controsenso, salvo ricorrere a questa formula
non per la gestione del museo ma per quella d’aziende
impegnate a realizzare infrastrutture od opere pubbliche
necessarie allo svolgimento del servizio culturale.
13
A titolo d’esempio si possono citare la GAM di Torino, prima che confluisse nella
Fondazione Torino Musei, ed il Mu.MA di Genova, che verrà analizzato più avanti.
15
La possibilità di affidare la gestione dei servizi culturali ad
associazioni o fondazioni presente nell’art. 113-bis, in sostanza
allinea la normativa degli enti locali in materia di beni culturali a
quella dello Stato, che prevedeva tale possibilità tramite l’art. 10
del D. lgs. 368/1998
14
, in seguito modificato al comma 1 lettera b)
dalla L. 448/2001.
In questo caso l’ente locale esternalizza la gestione del
bene mantenendo funzioni d’indirizzo e controllo limitate; il
museo ottiene autonomia gestionale, pur attenendosi alle
previsioni del contratto di servizio stipulato con l’ente. Inoltre
l’ente può ammettere alla gestione altri soggetti sia pubblici sia
privati; questi possono partecipare secondo diverse forme, dalla
costituzione del fondo di dotazione alla sponsorizzazione delle
attività fino alla fornitura di servizi.
Nonostante sia la prospettiva più poliedrica e ricca di
potenziale, anche per le associazioni o fondazioni si sollevano
alcune obiezioni, tra cui per esempio quelle sulle possibili
conseguenze di dotazioni patrimoniali inadeguate che
richiedano ricapitalizzazioni, od il rischio che l’ente fondatore
perda la maggioranza e di conseguenza la capacità di controllo
sul soggetto detentore del servizio.
Bisogna dunque valutare tutte le possibili sfaccettature
prima della stesura definitiva dell’atto di fondazione e della
compilazione di statuto e contratto di servizio.
Tra i critici, Guido Franchi Scarselli sottolinea che rispetto
all’istituzione << nemmeno il modello della fondazione potrà
14
D. lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali,
a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”.