7
La funzione della musica nella coreografia: la forma compositiva del
teatro danza in Sasha Waltz e Pina Bausch
Il lavoro che viene qui presentato si propone di riesaminare i rapporti fra le forme del
movimento e le forme musicali nel teatrodanza contemporaneo; si ritiene infatti che tali relazioni
non siano state sufficientemente considerate dalla letteratura musicologica. Ci sembra invece im-
portante riportare l’accento sull’effetto d’insieme dello spettacolo e perciò ricondurre l’attenzione
anche sulla musica, categoria trascurata da quando, con il balletto romantico, era stata considerata
materiale di tono ‘basso’: alle partiture ottocentesche di Adolphe Adam o Leon Minkus non è as-
segnata la dignità di musica assoluta. Il punto focale di questi balletti è il movimento, inteso so-
prattutto come virtuosismo degli interpreti: non è allora necessario avere musica, né musica di
qualità.
1
Tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti-Trenta del Novecento ha avuto luogo una
svolta che ha concentrato l’attenzione sul gesto e che è stata determinata da fattori estetici, tecnici
e storico-sociologici: la Körperkultur, filone estetico di ascendenza delsartiana, che non subordina
più il corpo all’intelletto e all’anima, ma gli attribuisce uguale dignità,
2
ha permesso al gesto di po-
ter esprimere gli affetti. Mentre prima di questa svolta la danza era considerata solo forma esterio-
re di cui la musica era ispiratrice, ora acquisisce senso espressivo. Il gesto accompagna un proces-
so interiore, ostentando pulsioni e significati emotivi e intellettuali. A partire da Rudolf Laban, ai
primi del Novecento, la danza si rende arte autonoma, l’attenzione si concentra sull’espressione
corporea e la musica diventa ‘un’aggiunta extracorporea’, una delimitazione ritmico-spaziale del
movimento, apparentemente non più degna di attenzione, a differenza di quanto avviene attual-
mente per altre forme di spettacolo in cui la musica è associata a immagini, a un prodotto visivo.
Si affronterà uno studio del ‘teatrodanza’, forma di spettacolo che prevede «la compresenza di
danza, parola, gesto e azione»,
3
ma che, come afferma Pina Bausch, ha in più la musica, importan-
tissima.
4
Verrà presa in esame soltanto una parte della produzione di due coreografe, Pina Bausch
e Sasha Waltz, considerate in qualche modo l’una erede dell’altra.
1
Anche se forse è un po’ sbrigativo definirla musica non di qualità: come scrive Susan Leigh Foster nel suo libro Co-
reografia e narrazione (Roma, Audino 2003, trad. it di A. Polli), Adam aveva fornito una partitura musicale innovativa
«che usava degli schemi ritmici per imitare i dialoghi e delle specifiche combinazioni di strumenti per identificare al-
cuni personaggi», sviluppando inoltre «l’uso di reiterati temi chiave procedendo nella pièce» (p. 274).
2
Cfr. EUGENIA CASINI-ROPA, La danza e l’agitprop. Bologna, Il Mulino 1988.
3
Discorsi sulla danza: Bausch, Childs, Ek, Gallotta, Martha Graham Dance Company. Cinque incontri, a cura di M. Guatterini.
Milano, Ubulibri 1994, p. 14.
4
Cfr. ibidem, p. 16.
8
1. Premesse storiche
Isadora Duncan, Loïe Fuller, Ruth St. Denis (che col marito Ted Shawn creerà la Deni-
shawn School) e più tardi Martha Graham – le innovatrici della danza, che, rifiutando
l’artificiosità del balletto classico, danzando a piedi nudi, cambiarono con le loro innovazioni la
nostra percezione del corpo – arrivarono in Europa dall’America tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento. Nonostante la diversità delle loro proposte, ognuna di loro produsse un
importante contributo per lo sviluppo della danza moderna: «Loïe fece capire a tutti che danzare
era qualcosa di più dei passi complicati e dell’allegria; che danzare poteva richiedere i sentimenti
più profondi che di solito pertenevano alla pittura, alla musica e al dramma moderno».
5
Anche il
loro rapporto con la musica era molto differenziato: se Duncan improvvisava impiegando come
energia motrice musica colta preesistente (retaggio dell’educazione materna) e la danza di Fuller si
adattava a qualunque musica, poiché «procedeva per accumulazione di gesti», senza cercare «di
rispecchiare le gradazioni melodiche di un particolare brano di musica»,
6
Graham – che creò una
tecnica il cui rigore può competere con quello della classica, pur basandosi su presupposti total-
mente diversi – iniziò a commissionare partiture scritte appositamente per le sue coreografie.
Prima di lei già Jooss auspicava che coreografo e compositore collaborassero in modo che musica
e coreografia fossero «fissate quasi contemporaneamente»;
7
più tardi sarà proprio un danzatore di
Graham, Merce Cunningham – insieme a John Cage, compositore con cui collaborò fin
dall’inizio – ad aprire la strada alla danza post-moderna, rinnegando la narratività e l’attribuzione
di significato al movimento danzato e applicando ad esso anche procedure casuali.
La danza moderna in Europa versava in una situazione di scarsa propositività, poiché il
balletto classico vantava una ben più lunga tradizione – e infatti, secondo Elisabeth Kendall, non
si produsse nulla di innovativo fino alla generazione successiva –, ma ognuna delle tre americane
pioniere della danza fu accolta e «presa sotto la protezione di artisti e poeti e intellettuali a un li-
vello che in America sarebbe stato impensabile».
8
Nelle loro creazioni apparivano volute e spirali,
forme tanto care all’Art Nouveau, che era allora al suo apice: nella Danza del Giglio o nella Serpentine
in cui Fuller («maga della luce, del colore, del movimento e dell’impressionismo»)
9
faceva turbina-
re metri e metri di seta, o nelle danze esotiche della St. Denis, che in «The Incense esplorava il signi-
ficato evocativo della linea»
10
con la mano che saliva a spirale, in un movimento ondeggiante così
5
ELISABETH KENDALL, Dall’America all’Europa, in Alle origini della danza moderna a cura di E. Casini Ropa. Bologna, Il
Mulino 1990, pp. 101-116: 104.
6
Ibidem, p. 104.
7
KURT JOOSS, La danza del futuro, in La generazione, danzante L’arte del movimento in Europa nel primo Novecento, a cura di S.
Carandini e E. Vaccarino. Roma, Di Giacomo 1997, pp. 381-384: 384.
8
ELISABETH KENDALL, Dall’America all’Europa, cit., p. 101.
9
Ibidem, p. 103.
10
SUZANNE SHELTON, Lo spettacolo dell’Oriente: Ruth St. Denis, in ibidem, pp. 153-169: 162.
9
simile a un esercizio delsartiano, oppure nel «linguaggio della danza di Isadora [che] aveva la sua
origine nei gesti di Delsarte»
11
e che usava il corpo, coperto di leggere tuniche, senza bustini, co-
me mezzo di espressione. Isadora prese come modello quadri di Botticelli o di Tiziano o le statue
classiche che aveva visto in un museo e da essi ricavò pose, temi e motivi che avrebbe utilizzato
in seguito in tutta la sua vita artistica. I suoi gesti non erano più pose statiche accostate, come nel
balletto classico («nessun movimento senza un significato, affermava Delsarte»,
12
«il gesto è
l’agente diretto dell’anima […] ha una stretta corrispondenza con la dimensione interiore
dell’uomo»
13
), ma movimenti che partivano dall’interno del corpo, dal centro, dal plesso solare, e
portavano ad altri movimenti; in questo modo si creavano delle strutture.
14
L’evoluzione del suo
personale linguaggio si evince anche dal fatto che, se all’inizio impiegava divertissement gluckiani o
musica scritta per la danza, eseguì poi le sue creazioni mature su musichea di Chopin, Beethoven
e Wagner.
15
Quasi allo stesso tempo, in Germania, Rudolf Laban concretizzava la sua ricerca nella
‘danza libera’, dove il movimento «è l’agente diretto dell’anima»;
16
esso «non ha bisogno della mu-
sica a cui appoggiarsi, e anzi la rifiuta come estranea e condizionante, ma trae i suoi ritmi diretta-
mente da quelli corporei dell’esecutore (battito cardiaco, respiro, flussi energetici) e le sue motiva-
zioni dagli impulsi interiori».
17
Il corpo umano diventa autosufficiente come strumento di danza e
l’espressione delle emozioni diventa il suo principio motore. Il danzatore non è più soltanto un
virtuoso, come nel balletto classico, ma un essere umano che si esprime nella sua totalità, aiutato
anche dalla tridimensionalità della rappresentazione teatrale, che con Laban si espande secondo
dodici direttrici fondamentali del movimento, quattro in più «rispetto alla tradizione accademica
basata planimetricamente su otto direzioni di moto».
18
Al contrario, l’inventore dell’euritmica
Emile Jaques-Dalcroze provocava dall’esterno le risposte dell’allievo, affidandone la ‘messa in
forma’ del corpo alla musica.
19
Mary Wigman, allieva di entrambi, ne subì l’influsso, assumendo
dal primo il lavoro sul corpo e l’individuazione delle forze interiori che davano origine al movi-
mento; dal secondo l’acquisizione di uno straordinario senso ritmico che le consentiva di non uti-
lizzare la musica, che, anzi, con il suo potere emozionale avrebbe potuto condizionare la sua li-
11
ELISABETH KENDALL, Dall’America all’Europa, cit., p. 111.
12
FRANÇOIS DELSARTE citato da JOHN MARTIN, Caratteri della danza moderna, in ibidem, pp. 27-44: 41.
13
ALESSANDRO PONTREMOLI, L’estetica applicata Di François Delsarte, in La danza, storia, teoria, estetica nel Novecento. Ro-
ma-Bari, Laterza 2008
4
, pp. 5-14: 8-9.
14
Cfr. E. KENDALL, cit., p. 114.
15
Cfr. ibidem.
16
EUGENIA CASINI ROPA, Introduzione alla seconda parte, in ibidem, pp. 119-138: 134.
17
Ibidem, pp. 134-135.
18
SILVANA SINISI, Rudolf Laban, in ID. Storia della danza occidentale. Dai Greci a Pina Bausch. Roma, Carocci 2005, pp.
125-128: 127.
19
Cfr. EUGENIA CASINI ROPA, Introduzione alla seconda parte, cit., p. 137.
10
bertà espressiva. Ciò le permetteva infatti di non doversi adeguare agli intenti del compositore.
20
La sua danza ‘pura’ doveva trovare «nella forza espressiva del movimento la sua carica emoziona-
le»,
21
cercando, nell’elaborazione della forma, di mettere a fuoco immagini prodotte
dall’inconscio.
22
Kurt Jooss, anch’egli allievo e per alcuni anni danzatore e assistente di Laban, rappresenta
l’altra corrente della danza tedesca: fondendo tecnica accademica e danza libera, trasmetteva, at-
traverso «immagini forti e concise, il cosiddetto ‘essenzialismo’» un messaggio «drammaturgica-
mente significativo»,
23
come nel suo capolavoro Der grüne Tisch (1932). Jooss, come afferma Su-
sanne Schlicher, riesce a trasferire nella danza le innovazioni estetiche del mezzo più moderno del
suo tempo, il cinema espressionista, e a trasformare il danzatore in una «personalità creativa»:
24
il
suo Tanzdrama è una nuova forma di balletto d’azione contemporaneo, che crea un nuovo lin-
guaggio della danza.
25
Fu proprio Jooss a coniare negli anni Venti il termine Tanztheater, per di-
stinguere la sua direzione di ricerca dalla danza assoluta di Wigman, il Theatertanz, che mirava a
una più decisa autonomia della danza sia dagli apparati narrativi, sia dalle istituzioni (sostanzial-
mente dai teatri d’opera) e, non da ultimo, dalla danse d’école.
26
Per questo motivo probabilmente si
ritiene che il Tanztheater sia il diretto discendente dell’Ausdruckstanz, anche se soltanto Pina Bau-
sch negli anni Settanta usò il termine per identificare un nuovo genere indipendente. Ausdrucks-
tanz (danza di espressione) sottende un concetto molto ampio, all’interno del quale erano com-
presi diversi e disparati generi rappresentativi: dal teatro cultual-religioso, al Tanzdrama socialmen-
te impegnato, dal teatro delle maschere, alla danza solistica o di gruppo, professionale o amatoria-
le. Nei primi decenni del XX secolo, in Germania, la danza moderna era una provocazione nei
confronti delle tradizioni e delle convenzioni; dai suoi ranghi emersero alcuni danzatori-
coreografi, fra i quali appunto Rudolf Laban, Mary Wigman e Kurt Jooss.
27
Sul suo sviluppo eb-
bero grande influenza i programmi pedagogici per la gioventù, la «Gymnastik für die Jugend», la
«Freikörperkultur» e la «Lebensreformbewegung (Movimento per la rinascita della vita)».
28
Le va-
20
Cfr. SILVANA SINISI, Mary Wigman, in Storia della danza occidentale, cit., pp. 128-131.
21
Ibidem, p. 131.
22
Cfr. ibidem.
23
Kurt Jooss, in ibidem, pp. 131-133: 133.
24
SUSANNE SCHLICHER, Una tradizione di autonomia. Kurt Jooss, meastro e uomo di teatro, in ID L’avventura del Tanztehater.
Storia, spettacoli, protagonisti, trad. it. di P. Severi. Genova, Costa & Nolan 1989, pp. 83- 92: 83. (Ed orig. Tradition der
Autonomie: Kurt Jooss, Pädagoge und Theatermann, in ID. Tanztheater, Reinebek, Rowolt Taschenbuch Verlag 1987, pp. 95-
105: 97)
25
Cfr. ibidem.
26
SUSANNE FRANCO, Audruckstanz: tradizioni, traduzioni, tradimenti, in I discorsi della danza. Parole chiave per una metodologia
della ricerca, a cura di S. Franco e M. Nordera. Torino, Utet 2005, pp. 91-114: 94.
27
Cfr. SUSANNE SCHLICHER, Si infrangono le tradizioni: dalla danza espressionista degli anni Venti al ‘Ballettwunder’ tedesco-
occidentale in ID L’avventura del Tanztheater, cit., pp. 16-25. (Abgebrochene Traditionen: Vom Ausdruckstanz der zwanziger Jahre
zum westdeutschen ‘Ballettwunder’, in ID. Tanztheater, cit., pp. 27-37).
28
Ibidem, p. 18 (ed. or. p. 29).
11
rie espressioni dell’Ausdruckstanz si differenziavano sia dal punto di vista estetico sia per orienta-
menti teorici e pratici, ma condividevano, come afferma Susanne Franco, sia il fatto di essere in-
dipendenti dalle altre arti sia «l’idea che il movimento corporeo fosse strettamente legato a pro-
cessi emotivi e mentali oltre che il riflesso del ritmo cosmico, il ruolo del danzatore inteso come
creatore-interprete e la centralità dell’improvvisazione».
29
Nonostante che il nome possa far pen-
sare a una connessione, secondo Franco non c’è affinità né estetica né ideologica tra la danza di
espressione e il movimento espressionista tedesco, i cui prodotti, bollati come ‘arte degenerata’,
furono rigettati e proibiti dal nazionalsocialismo. L’Ausdruckstanz a differenza dell’espressionismo
non aveva una forte identità e venne per questo strumentalizzato dal regime hitleriano.
30
Anche
se inizialmente il regime aveva suscitato le simpatie e le adesioni di alcuni membri, fra i quali an-
che Laban, poiché sembrava voler sostenere questo genere come quello «tedesco per eccellen-
za»,
31
dopo il 1933 la maggior parte dei coreografi-danzatori fu costretta ad andarsene; essi ritor-
narono – come fece Jooss ad esempio – dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta
del nazismo. Mary Wigman invece rimase, forse – come scrive Franco – a causa di «uno slitta-
mento ideologico, mosso da ragioni di opportunismo politico».
32
Secondo Silvana Sinisi invece,
proprio in Wigman «sia la dinamica del corpo umano, impegnato a lottare contro lo spazio circo-
stante avvertito come minaccioso e ostile, sia la violenta espressività del volto miravano a comu-
nicare un senso di desolazione e angoscia di intensa suggestione»: precisamente «quella antitesi tra
urlo e geometria che Mittner ha individuato come segni distintivi della corrente espressionista».
33
Forse Sinisi fa riferimento, anche se non esplicitamente, alle creazioni di Wigman precedenti la
svolta politica degli anni Trenta, che determinò anche una svolta artistica; secondo l’autrice fu in-
fatti Kurt Jooss, con il balletto Der grüne Tisch del 1932, a recuperare «il versante più cupo e pes-
simistico dell’espressionismo, portandolo a tragica evidenza».
34
E d’altra parte una totale indipen-
denza dall’espressionismo (come afferma appunto Mittner, è la corrente più radicale che nel pri-
mo decennio del Novecento raggruppava diversi fatti artistici che si opponevano
all’impressionismo)
35
sembra difficile, se consideriamo in parallelo l’Ausdrucksmusik di Schönberg;
per il compositore viennese non è messa in dubbio la connessione con questo movimento, tanto
29
SUSANNE FRANCO, Audruckstanz: tradizioni, traduzioni, tradimenti, in I discorsi della danza, cit., p. 91.
30
Cfr. ibidem, p. 93.
31
Cfr. SUSANNE SCHLICHER, Il balletto classico esce dalle quinte, in L’avventura de Tanztheater, cit., pp. 19-25. (Das klassische
Ballett tritt aus der Kulisse, in Tanztheater, cit., pp. 30-33).
32
SUSANNE FRANCO, Audruckstanz, cit., pp.100-101.
33
SILVANA SINISI, Teatrodanza e arti visive nell’espressionismo tedesco, in Alle origini della danza moderna, cit., pp. 315-325:
321.
34
Ibidem, p. 325.
35
Cfr. LADISLAO MITTNER, L’espressionismo, in Storia della letteratura tedesca, vol. III, Dal realismo alla sperimentazione. To-
rino, Einaudi 1971, pp. 1188-1198.
12
da esserne considerato da James Simon la figura più rappresentativa.
36
Anche la denominazione
‘musica di espressione’ nella sua genesi «semplicemente soppiantava quella diffusa da un lato per
distinguersene e dall’altro lato per collocarsi nel dibattito artistico coevo».
37
La musica – secondo
quanto Schönberg scrive in una lettera a Busoni – «deve esprimere l’emozione, così come è nella
realtà, l’emozione che ci mette in contatto con il nostro inconscio».
38
Secondo Adorno l’espressione
musicale muta la sua funzione con Schönberg: «non sono più passioni ad essere simulate, ma so-
no piuttosto moti corporei dell’inconscio, chocs, traumi, nella loro realtà non deformata, che ven-
gono registrati nel medium musicale».
39
Subito dopo la fine della guerra ci fu in Germania una restaurazione del balletto classico:
il pubblico non voleva più i temi che l’Ausdruckstanz aveva presentato negli anni Venti e che trat-
tavano «della fame, della miseria, della solitudine e della morte»;
40
l’eccentricità e l’individualismo
degli Ausdruckstänzer non era più compatibile con i tempi e la Germania voleva dimenticare. Il
balletto classico con i suoi ideali di bellezza, spensieratezza e leggerezza, ma anche di disciplina e
ordine rappresentava le virtù necessarie per ricostruire un mondo che era andato distrutto, era
«un segno di speranza».
41
Per questo motivo i protagonisti dell’Ausdruckstanz ebbero scarso suc-
cesso nel primo dopoguerra e vennero considerati dalla critica un po’ come i sopravvissuti di
un’epoca. Un’alternativa al balletto classico non sembrava necessaria.
42
Con i suoi Tanzdramen,
rappresentati prevalentemente all’estero, Kurt Jooss però mantenne viva, negli anni Cinquanta e
Sessanta, la tradizione degli anni Venti di un teatro danza critico, in relazione con i tempi e in
contrasto con il teatro di restaurazione dell’era Adenauer.
43
Alla metà degli anni Sessanta, la gene-
razione successiva raccolse questa eredità con Gerhard Bohner, Aurel Milloss, Hans Kresnik e
infine con Pina Bausch, Susanne Linke, Reinhild Hoffmann. Molte delle innovazioni apportate
dall’Ausdruckstanz si ritrovano non solo nelle creazioni di Pina Bausch, ma anche in parte nelle
coreografie di Sasha Waltz, eredi contemporanee di questa tradizione e oggetto di questa tesi.
L’Ausdruckstanz venne infatti portato in America non solo da alcuni danzatori americani che era-
no stati in Europa a studiare, ma da molti danzatori tedeschi che, a causa della diaspora, emigra-
rono fra gli anni Venti e i Trenta del Novecento. Come afferma Susan Manning, la ginnastica
ritmica di Dalcroze fu una delle innovazioni di cui si arricchì la scena della danza americana, ma
36
Cfr. ANNA MARIA MORAZZONI, L’istanza espressiva in Schönberg e nell’espressionismo, in Storia dei concetti musicali a cura
di C. Gentili e G. Borio, vol. II, Espressione, Forma, Opera. Roma, Carocci 2007, pp. 119-138: 122.
37
Ibidem, p. 124.
38
Cfr. ibidem; BUSONI, F, Lettere con il carteggio Busoni-Schönberg, a cura di S. Sablich. Milano, Unicopli-Ricordi 1988, p.
527.
39
THEODOR W. ADORNO, Filosofia della musica moderna, a cura di L. Rognoni. Torino, Einaudi 1959, p.46.
40
SUSANNE SCHLICHER, Il balletto classico esce dalle quinte, cit., p. 21. (Das klassische Ballett tritt aus der Kulisse p. 32).
41
Ibidem, p. 21 (ed. orig. p. 33).
42
Cfr. Paura della sperimentazioni, in ibidem, pp. 24-25. (Ed. or. pp. 35-36).
43
Cfr. ibidem, p. 24 (ed. or. p. 36).
13
non solo: dopo le tournée della Wigman, una sua danzatrice, Hanya Holm aprirà una scuola a New
York, pur «adattando il proprio approccio al nuovo contesto».
44
Anche se inizialmente i metodi di
improvvisazione furono visti con un certo sospetto, essi ebbero «un impatto dirompente sulla
modern dance nel decennio della sua affermazione […]; furono marginalizzati negli anni Quaran-
ta e Cinquanta per riemergere infine negli anni Sessanta»,
45
quando l’improvvisazione venne ri-
scoperta, soprattutto come mezzo di creazione durante le prove. I coreografi della generazione
successiva, come Anna Halprin o Steve Paxton hanno potuto svilupparla come mezzo scenico di
rappresentazione coreografica solo grazie a questo studio approfondito messo in atto dai loro
predecessori.
46
Un’altra influenza che mi sembra importante – finora non rilevata da nessuno degli autori
considerati – è quella presa in esame da Gabriele Brandstetter nelle sue Tanz-Lektüren, dove
l’autrice afferma che lo sviluppo della coreografia moderna nel XX secolo è in relazione con il
processo di astrazione del corpo nella danza, che diviene un puro simbolo di movimento attra-
verso una ‘decorporizzazione’ ovvero una decostruzione. Tale processo mette fortemente in rela-
zione l’immagine danzata con quella del cinema, arte che sta contemporaneamente nascendo, e
con la quale le ‘danzatrici’ che prenderemo in considerazione hanno legami evidenti. Nella danza
dell’Avanguardia il corpo femminile non è più considerato secondo la duplice, tradizionale con-
cezione maschile che lo legge come corpo bello e desiderabile e al contempo come significante
astratto della sintassi coreografica, ma la forma femminile «scompare nella movimentata sceno-
grafia dei tessuti e dello spazio colorato, […] o appare come cifra nella rete di testi e figure geo-
metriche».
47
Ciò si realizza attraverso l’intervento di Loïe Fuller, ma soprattutto – secondo Brand-
stetter – di Valentine de Saint-Point e della sua Métachorie. Mentre la prima è considerata la Musa
del simbolismo e, secondo Eugenia Casini Ropa, risente e allo stesso tempo influenza l’Art Nou-
veau con «le volute di colore in movimento delle sue danze [che] la trasformano in una stilizza-
zione vivente»,
48
l’innovazione apportata dalla métachorie consiste nell’aver determinato la danza
come arte astratta e al contempo fondamentale all’interno di una composizione teatrale multifat-
toriale, di un teatro che presenta già un modello multimediale.
49
Secondo il Manifeste della métacho-
rie, un testo di Valentine de Saint-Point apparso su «Tribune Libre» del 14.12.1913, anche la dan-
za libera ha bisogno di rinnovamento per dirigersi verso un’arte spirituale, astratta, cerebrale, con-
trapposta alla danza come espressione di sentimenti: «una danza che esprima un’idea, serrata fra
44
SUSAN MANNING, L’Ausdruckstanz attraverso l’Atlantico, in I discorsi della danza, cit., pp. 71-89: 77.
45
Ibidem, pp. 73-74.
46
Cfr. ibidem, p. 87.
47
GABRIELE BRANDSTETTER, Tanz-Lektüren. Tanz-Text. Transformationen der Choreographie, in ID Körperbilder und Raum-
figuren der Avantgarde. Frankfurt am Main, Fischer Taschenbuch Verlag 1995, p. 367.
48
EUGENIA CASINI ROPA, Introduzione, in ibidem, pp. 227-236: 227 e 228.
49
G. BRANDSTETTER, cit., p. 373.