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legato alla gestualità ed alla voce. In un testo del primo ottocento la Torah personificata
prende la parola al suo processo, intentato dalla modernità, invitando i propri lettori a
conoscerla in modo più corretto. Si assiste così ad una captatio benevolentiae nei
confronti dell’oralità:
“Come ben sapete, figli di Israele, le parole che escono dalla bocca presentano
dei vantaggi rispetto allo scritto. Con questi organi di espressione l’uomo manifesta i
propri pensieri: talvolta a voce alta, talaltra sussurrando. L’uomo fa un segno col dito,
muove la testa in qui e in là; anche le sue braccia parlano. Non c’è nulla nel suo corpo,
dalla testa ai piedi, che non illumini l’oscurità del suo pensiero.
Agli occhi dello spettatore tutti questi movimenti sono come una luce; come delle chiavi
in mano all’ascoltatore, che possono aprire la porta delle camere dove dimorano le
idee di colui che parla”
1
.
Lo scritto con la tradizione è come la carne con l’anima: non si devono
separare le parti destinate a rimanere unite indissolubilmente, altrimenti l’uomo non
potrà avvicinare il proprio volto a ciò che è nascosto e segreto.
Eljiah Benamozegh si inserisce all’interno di questa problematica, tutta di
natura ebraica. Egli è consapevole che è impossibile sottrarsi al cambiamento, eppure
esiste un nucleo originario, il fondo di verità kafkiano, che può sopravvivere ed essere
trasmesso, denominato lo spirito primitivo di un popolo. Questo spirito si trasmette più
attraverso la parola, che non tramite lo scritto.
La parola fissata nello scritto deve essere accompagnata dalla tradizione, che
offre la possibilità di conservare efficacemente lo spirito originario, il nucleo di verità.
Benamozegh si pone coscientemente in un fronte moderatamente “antimoderno”, in
quanto resta ancorato all’idea di una gestualità significativa.
L’eccezionalità del pensiero benamozeghiano consiste nell’aver identificato
l’autentica tradizione del giudaismo con la Qabbalah, considerata la parte filosofico-
teologica dell’ebraismo, mentre la Mishnah ed il Talmud ne costituiscono la tradizione
pratico-rituale. Tre generazioni prima di Gershom Scholem, Benamozegh tenta di
presentare la tradizione esoterica ebraica, ritenendola non di origine medievale, ma
risalente a Mosè, che l’ha ricevuta sul Sinai insieme alle tavole della Legge, e
1
Alessandro Guetta, Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia Benamozegh, Milano, Thalassa de
Paz, 2001, p. 173.
3
tramandata da bocca a bocca in una catena ininterrotta di generazioni, come è scritto nei
Pirqe Avot:
“Mosè ricevette la Torah dal Sinai (e qui si tratta della Torah orale) e la
trasmise a Giosuè, agli Anziani, gli Anziani ai Profeti e i Profeti la trasmisero ai
membri della Grande Assemblea”
2
.
Egli recupera la teosofia zohariana ed il mito lurianico per affermare che la
tradizione orale (Torah she-be-‘al peh) precede ed accompagna la Torah scritta. La
Torah orale approfondisce, amplia, spiega ed applica in realtà il dettaglio della Torah
scritta.
La tradizione ha il compito di proiettare in un eterno presente il senso della
rivelazione sinaitica, il fondo di verità kafkiano, attualizzandolo. Per Benamozegh
proprio in questa concezione risiede la migliore garanzia della possibilità di conservare
lo spirito originario, ossia in una dialettica di cambiamento e di stabilità, di progresso e
di immutabilità. Un’aggadah del III secolo e.v. esemplifica quest’idea:
“Quando Mosè salì in cielo per ricevere la Torah trovò il Signore D-o
impegnato ad aggiungervi diversi segni, simboli ed ornamenti, Mosè allora gli
domandò: “Signore, perché non dai la Torah così come è, senza tutti quei segnetti
ornamentali, non è già abbastanza ricca di significati, abbastanza comprensibile,
perché la vuoi complicare?”. D-o rispose: “Devo farlo perché dopo molte generazioni
ci sarà un uomo chiamato “Aqiba”, figlio di Giuseppe, che indagherà e scoprirà una
grande quantità di interpretazioni in ogni parola, in ogni lettera della Torah. Perché
egli le scopra io debbo mettercele”. Mosè allora disse al Signore: “Ti prego, fammelo
vedere”. D-o allora gli disse: “Voltati indietro”. Mosè obbedì e si voltò proiettato nel
futuro. Si trovò così in un’Accademia talmudica, seduto nell’ottava fila insieme ad altri
allievi di rabbi “Aqiba”. Mosè però non capiva nulla di quanto veniva insegnato. Egli
allora si sentì sgomento e l’assalì una grande tristezza perché egli non riusciva a capire
le lezioni che venivano impartite su quella Torah che egli stesso aveva portato sulla
terra. Quando rabbi “Aqiba” trattò un certo problema, uno degli allievi gli domandò
come egli ne fosse venuto a conoscenza e perché il maestro ritenesse di aver dato la
risposta corretta; allora rabbi “Aqiba”gli rispose: “Io l’ho ricevuta dai miei maestri
2
La lettura ebraica delle scritture, a cura di Sergio J. Sierra, Bologna, EDB, 1995, p. 11.
4
che l’hanno ricevuta a loro volta dai loro e questi si richiamavano a Mosè che la
ricevette sul Sinai”. Mosè nell’udire queste parole si sentì alquanto rasserenato. Allora
si rivolse al Signore e gli disse: “Signore del mondo tu hai un simile uomo, perché vuoi
affidare a me la Torah?”. D-o rispose: “taci, Mosè figlio di Amram, questo è il mio
piano””
3
.
Come afferma lo stesso Gershom Scholem:
“Lo sforzo di chi cerca la verità non sta nel concepire qualcosa di nuovo, bensì
nell’inserirsi nella continuità della tradizione della parola divina, sviluppando in
relazione alla propria epoca, il mandato che da essa gli deriva”
4
.
Benamozegh è consapevole del pericolo che potrebbe incorrere il mosaismo se
la catena della viva tradizione si spezzasse. Di origine maghrebina ed iniziato allo studio
della dottrina esoterica dallo zio Yehudah Coriat, il rabbino, vivendo in una città come
Livorno che nel Settecento aveva visto operare importanti cabbalisti, si sente parte
integrante di questa catena indissolubilmente legata al Sinai.
La Torah orale, espressa dalla Qabbalah, oltre ad avere il fine di riaffermare la
dinamicità e la vivacità dell’ebraismo, diventa indispensabile nel rapporto con le altre
due religioni monoteistiche, l’islam ed il cristianesimo. Entrambe, avendo un’origine
cabbalistica, solo facendo ritorno alla dottrina originaria ed abbandonando le loro
degenerazioni, avrebbero avuto la possibilità di riformarsi.
L’opera di Benamozegh è inserita nel contesto storico-culturale dell’Italia
risorgimentale. Dichiara l’importanza del Risorgimento per il giudaismo, dal momento
che gli offre la possibilità di mostrare il suo compito fra le nazioni. Nel drammatico
diverbio tra assimilazione ed integrazione, il rabbino livornese opta per la seconda:
Israele deve mantenere la propria particolarità e deve dimostrare al mondo la propria
pienezza di pensiero.
L’esilio è indispensabile, perché così il popolo mosaico può recuperare le
scintille divine dal cristianesimo e dall’islamismo, che conduce più velocemente al
tiqqun ed alla riunificazione dell’unità divina.
3
La lettura ebraica delle scritture, a cura di Sergio J. Sierra, Bologna, EDB, 1995, p. 14.
4
Ibidem, p. 15.
5
II
Nel primo capitolo, di natura introduttiva, si analizza la storia della comunità
ebraica di Livorno, per dimostrare come l’ambiente abbia influito in maniera
preponderante sul pensiero di Eljiah Benamozegh.
La “piccola Gerusalemme”, come viene chiamata da Attilio Milano, può essere
considerata un’eccezionalità nel panorama delle comunità ebraiche italiane. Costituita
da ex marrani provenienti dal Portogallo, godette, grazie alla politica protezionistica
della famiglia Medici, di importanti diritti e privilegi, codificati nella Costituzione
Livornina del 1591.
Oltre all’autonomia politica ed economica, è importante considerare quella
religiosa, che ha reso la comunità ebraica livornese dinamica ed attenta alle influenze
provenienti dall’Africa e dal Levante. L’apogeo della vita religiosa viene raggiunto nel
settecento, grazie al flusso migratorio di ebrei provenienti dall’Africa del Nord, terra
con una profonda tradizione cabbalistica, attratti dall’importanza economica e
commerciale della città labronica; ed anche ai figli dei primi marrani giunti a Livorno,
che avevano ricevuto dalla propria famiglia un’intensa educazione religiosa.
In questo secolo molte personalità legarono il proprio nome alla città toscana.
Tenendo in considerazione in particolar modo gli studiosi ebrei che si dedicarono alla
dottrina esoterica, così da poter sottolineare la tradizione sulla quale si innesta
Benamozegh, si accenna all’opera di Joseph Ergas, Abrahama Hayim Rodriguez,
Joseph Azulai e Malahì Hakohen. È necessario anche tener conto della ricca produzione
profana, in particolar modo della poesia, che ha caratterizzato il sefardismo iberico fin
dal tredicesimo secolo.
L’ebraismo nordafricano, che si distingueva per la sua profonda ortodossia e
per la sua fede nella Qabbalah, si legò indissolubilmente alla produzione profana del
sefardismo portoghese: Eljiah Benamozegh sarà il più valido prodotto di questa
tradizione di studio.
L’ultima parte del capitolo è dedicata alla biografia del rabbino. Rimasto
orfano di padre all’età di tre anni, viene allevato dalla madre e dallo zio, il rabbino
Yehudah Curiat, che lo inizia agli studi cabbalistici, leggendogli, per ben due volte, lo
Zohar, considerato la Bibbia del misticismo ebraico. Dopo una breve ed infelice
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esperienza nell’attività commerciale, negli anni quaranta dell’ottocento abbandona il
lavoro da magazziniere, per dedicarsi allo studio biblico, talmudico e cabalistico nella
yeshivah Franco, legandosi in tal modo alla cultura rabbinica livornese, fino alla sua
morte avvenuta nel 1900.
Si sono identificati due termini chiave nel pensiero benamozeghiano:
tradizione, che ha un’importanza tutta interna all’ebraismo, ed universalismo, che
invece si dedica al rapporto dell’ebraismo con le altre religioni monoteistiche,
cristianesimo ed islamismo, e con il razionalismo positivista ottocentesco.
Il secondo capitolo è consacrato al concetto di tradizione nel sistema
speculativo di Ejiah Benamozegh. Essendo una questione tutta interna all’ebraismo, il
capitolo si apre con l’analisi della vita culturale ebraica nell’Italia del diciannovesimo
secolo, caratterizzata da un fecondo dibattito sulla ricerca di una nuova identità, dopo il
processo di emancipazione civile.
Vengono rintracciati tre centri culturali principali, che segnarono la storia delle
rispettive comunità israelitiche: il Collegio Rabbinico di Padova, legato alla Haskalah
ed alla Wissenschaft des Judentum tedesca, in perenne contrasto con l’altro polo
culturale, il Collegio Rabbinico di Livorno, caratterizzato da una profonda tradizione
mistica. Ultimo centro è da identificarsi nel Collegio Rabbinico di Torino, che ebbe vita
breve ma pesò notevolmente sull’economia della vita culturale ebraica, in particolar
modo per la formazione di due giornali, il Corriere Israelitico e L’Educatore
Israelitico, che diedero voce all’ebraismo italiano.
La profonda crisi dell’ebraismo viene analizzata attraverso il rapporto
epistolare tra Eljiah Benamozegh e Samuel David Luzzatto, il più importante esponente
del Collegio Rabbinico padovano, incentrato sul ruolo della Qabbalah all’interno della
religione giudaica. Mentre il rabbino livornese fondava il suo pensiero sulla teologia
mistica, Luzzatto si occupava di filologia, ed attribuiva la crisi del mosaismo alla
mancanza di buoni studi grammaticali: questa divergenza di interessi potrebbe spiegare
il loro antagonismo ideologico.
Le lettere che Benamozegh scrisse a Shadal, acronimo del nome Samuel David
Luzzatto, sono fondamentali per comprendere le sue idee sul ruolo della Qabbalah
nell’ebraismo. Il sistema cabbalistico benamozeghiano ha come fonti principali la
Qabbalah teosofica dello Zohar, e la mitologia lurianica del misticismo cinquecentesco
della scuola di Safed. Come afferma Moshe Idel, la peculiarità della dottrina esoterica
benamozeghiana consiste nell’aver tentato di creare un sistema caratterizzato da un
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profondo sincretismo culturale, che avrebbe dovuto legare l’esoterismo ebraico al
razionalismo filosofico positivista ottocentesco, considerato propedeutico alla vera
conoscenza, identificata con l’elemento religioso.
Per il rabbino livornese la Qabbalah è la teologia rivelata, cioè le dottrine
esoteriche risalgono alla rivelazione di Mosè sul Sinai. Divenne un portavoce
dell’antichità della Qabbalah, sostenuta nello stesso periodo da Adolphe Franck in
ambito francese e da Franz Molitor in ambiente tedesco. Così la centralità nell’opera di
Benamozegh è affidata al concetto di rivelazione, cioè alla possibilità per l’uomo di
essere conscio di far parte integrante di una tradizione risalente a Mosè.
La tradizione deve essere mantenuta e trasmessa oralmente di generazione in
generazione, al fine di conservare la sua dinamicità e vitalità. Il concetto che diventa
centrale nell’ultima parte del capitolo è quello scholemiano di “trasmissibilità pura”. La
modernità provoca la progressiva perdita dei riferimenti tradizionali, facendo rimanere
unicamente la nuda tradizione che veicola contenuti inesistenti. Di qui l’insistenza
benamozeghiana sull’importanza di una tradizione orale, più che sui contenuti di tale
tradizione.
Il terzo capitolo è incentrato sull’altro concetto fondamentale nel sistema
benamozeghiano: l’universalismo.
Benamozegh, oltre alla rivalutazione della tradizione, tenta di risolvere il
problema drammatico ed angoscioso della crisi religiosa, attraverso uno studio storico-
comparativo delle religioni monoteistiche. Egli percepisce che i veri mali del suo secolo
sono l’indifferentismo e l’ateismo, e cerca così di sconfiggerli, chiedendo la
collaborazione del cristianesimo e dell’islamismo.
Chiarisce l’antichità della dottrina esoterica ebraica, dimostrando come nei
fondamenti della morale cristiana e di quella islamica si trovino le tracce della
Qabbalah. Gli stessi dogmi del cristianesimo, la Trinità e l’Incarnazione in particolar
modo, hanno un sostegno cabbalistico, che mostra come il cristianesimo abbia
un’origine esseno-farisaica. Lo stesso Gesù viene descritto come una figura storica: un
uomo appartenente all’essenismo, la classe aristocratica del fariseismo, dedito allo
studio del Talmud e della Qabbalah, come dimostrano i suoi discorsi, ripresi dalle fonti
evangeliche.
Una volta che la religione cristiana e l’Islam si saranno purificate dalle proprie
degenerazioni dogmatiche, così da avvicinarsi maggiormente alla loro vera origine,
identificata con il misticismo ebraico, sarebbe diventato indispensabile rivelare la vera
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religione per l’umanità intera: il noachismo. Compito del popolo di Israele, per
rispondere a chi gli richiedeva una profonda responsabilizzazione da parte dell’ebraismo
in un periodo di profonde trasformazioni sul piano politico ma anche religioso, è quello
di profetizzare questa religione universale. Egli evidenzia la struttura duale, particolare
ed universale, della religione mosaica per mostrare come le due religioni innestate sul
tronco del giudaismo, una volta abbracciata la religione nata dal patto fra Dio e Noè e
simboleggiata dall’arcobaleno, possano partecipare, insieme alla religione madre, al
processo di restaurazione e riparazione dell’unità divina, ossia il tiqqun lurianico.
III
Due sono i testi principali che accompagnano tutta la ricerca. Il più importante
è, senza ombra di dubbio, “Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia
Benamozegh” di Alessandro Guetta, Maitre de conférences di letteratura e pensiero
ebraico all’Institut National des Langue set Civilisationis Orientales (INALCO) di
Parigi. L’opera riporta in un’accurata analisi del sistema di pensiero benamozeghiano,
ma ha un limite che si è cercato di risolvere in questa dissertazione.
Guetta, basando la sua ricerca in particolar modo su alcuni testi del rabbino
livornese: Teologia, Cinque Conferenze di Pentecoste ed il commento al Pentateuco,
Em la-Miqrah, si sofferma ed approfondisce la dottrina di Benamozegh dal punto di
vista esclusivamente filosofico.
Questa tesi, invece, ha lo scopo dichiarato di voler allargare il campo di
indagine agli aspetti storico-culturali dell’epoca. Il pensiero del rabbino viene così
inserito all’interno dell’eccezionale storia della comunità ebraica di Livorno, e più in
generale nell’attiva Italia ebraica dell’ottocento, rappresentata dal prezioso rapporto
epistolare fra Eljiah Benamozegh e Samuel David Luzzatto.
Si è voluto, inoltre, introdurre il sistema speculativo benamozeghiano nel seno
del dibattito letterario ebraico. Per questo motivo si è abbozzato un audace parallelismo
fra gli scritti di Israel Zangwill e Franz Kafka e la concezione della tradizione di
Benamozegh, per mostrare come la drammatica questione della crisi della religiosità e
dell’ingresso dell’ebraismo nella modernità, avesse investito tutta l’arte e la cultura
ebraica. Il rabbino livornese si è espresso su questo problema, potendo così essere
9
annoverato fra i vari autori di origine ebraica che, fra l’ottocento e la prima guerra
mondiale, hanno percepito la lacerazione nella religione giudaica.
La seconda fonte essenziale è rappresentata da una serie di interventi divulgati
ad un Convegno su Eljiah Benamozegh, tenuto a Livorno nel 2000, curati e pubblicati
dallo stesso Alessandro Guetta con il titolo “Per Elia Benamozegh. Atti del convegno di
Livorno”. Alcuni di questi saggi sono stati maggiormente di sostegno per elaborare
questa ricerca. Per inquadrare Benamozegh nel suo contesto storico e culturale, sono da
ricordare gli studi di Gadi Luzzatto Voghera, professore di Storia dell’ebraismo
all’Università di Venezia, “Percorsi dell’emancipazione ebraica in Italia”, e di Bruno
Di Porto, professore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea all’Università di
Pisa, “Elia Benamozegh un volto mediterraneo dell’ebraismo integrale e moderno,
mistico e storico, nell’incontro con l’Italia”. Fondamentale per quanto riguarda il
rapporto tra modernità ed ebraismo nelle opere del rabbino livornese è il breve articolo
di Irene Kajon, professoressa di Antropologia Filosofica alla Sapienza di Roma, dal
titolo “Rivelazione ebraica e razionalismo antico e moderno in Elia Benamozegh”. In
questo contributo la studiosa ha tentato di comprendere il modo in cui Benamozegh
pone il problema del rapporto tra la rivelazione del Sinai e il razionalismo antico e
moderno, alla luce del concetto di “moderno”.
Un’altra lacuna individuabile in “Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di
Elia Benamozegh”, che si è voluto colmare, è da individuare nella quasi totale assenza
di un’analisi dell’universalismo benamozeghiano espresso dalla legge noachide e del
dialogo interreligioso fra ebraismo, cristianesimo ed islamismo. Da questo punto di
vista, bisogna ricordare due studiosi che si sono interessati al rapporto fra mosaismo,
noachismo e cristianesimo: Leonardo Amoroso, docente di Estetica all’Università di
Pisa, con il piccolo pamphlet “Scintille ebraiche. Spinoza, Vico e Benamozegh”, e
Marco Morselli, professore di filosofia ebraica all’Università Ebraica di Roma, che con
l’opera “I Passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo”, analizza le
figure di dieci pensatori ebrei che hanno studiato il cristianesimo. Un altro breve
articolo si è interessato al rapporto fra mosaismo e messianesimo, “Noachismo,
mosaismo e messianismo in Elia Benamozegh”, giungendo alla conclusione che non la
conversione degli ebrei, ma la teshuvah dei cristiani costituisca il preludio alla venuta, o
al ritorno, del Messia d’Israele e dell’umanità. Il saggio “La Qabbalah di Elia
Benamozegh, un maestro dell’ebraismo sefardita e italiano”, si è soffermato sul
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carattere filosofico e teologico attribuito alla dottrina esoterica ebraica da parte del
rabbino livornese.
Tre opere, in particolare, di Eljiah Benamozegh vengono analizzate all’interno
della tesi: “Morale ebraica e morale cristiana”, “L’origine dei dogmi cristiani” e
“Israele e l’umanità”. Per quanto riguarda invece gli studi sulla Qabbalah fondamentali
restano le opere di Gershom Scholem, a cui si deve aggiungere l’opera di Moshe Idel
“Cabbalà: nuove prospettive”, che però tende ad avere un’idea negativa della diffusione
del misticismo ebraico nell’ottocento, affermando che non sono esistiti veri cabbalisti in
questo periodo: questa ricerca tende a confutare anche questa idea.
Interessante anche un testo di Charles Mopsik, “Cabala e i cabalisti”, soprattutto per la
parte in cui è presentata un’antologia di testi cabbalistici su diversi argomenti, come la
Torah, l’uomo e la sua azione e la redenzione e il messianismo. Questi testi servono per
comprendere le varie fonti del misticismo ebraico che possono essere rintracciate
all’interno dell’opera benamozeghiana.