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INTRODUZIONE
L’assunto iniziale da cui Kant prende le mosse per lo sviluppo del suo pensiero è da
rintracciarsi nei progressi della scienza che nella legge di gravitazione universale, scoperta
da Newton, trova il suo punto più alto, in grado di fornire alla scienza validità universale e
necessaria. Agli occhi del filosofo tedesco, la scienza ha potuto così risolvere i propri
problemi in un colpo solo grazie all’introduzione di un metodo di indagine mai visto in
precedenza, la cui solidità e l’alto grado di attendibilità nella descrizione e nella previsione
della realtà ne hanno garantito un sicuro e duraturo predominio all’interno dell’ambito della
conoscenza; una rivoluzione che ne assicurerà solidità e autorevolezza per molto tempo.
Allo stesso modo con cui la scienza ha potuto, per le motivazioni addotte, compiere
un simile passo avanti – si chiede Kant – potrà la stessa cosa avverarsi anche per la
metafisica, permettendole di risolvere i propri problemi senza continuare con dispute
irresolubili e interminabili, per giungere a risultati finalmente stabili e significativi?
Se la risposta ammetterà un esito positivo anche per tale disciplina occorrerà un
nuovo metodo efficace e duraturo, e l’intenzione del filosofo di Königsberg, ricercata
fortemente anche a causa della sua stessa formazione, quel pietismo di cui il grande senso
religioso si fonde con quello metafisico, consisterà proprio nel cercare di fornirglielo
analizzando le cause per le quali sia stato possibile, in ambito scientifico, raggiungere
determinate certezze e capire se e come, lo stesso possa compiersi sia per la filosofia prima
che per la morale. La nuova filosofia non potrà più essere, per sua stessa costituzione,
simile a quella classica che, sin dai tempi di Aristotele, tormenta l’uomo con aporie
indeterminabili: al contrario, intraprendendo la strada delle vittorie riportate dal sapere nel
corso di tutto il Settecento, potrà raggiungere una reale dignità gnoseologica, soltanto
allontanandosi il più possibile da essa.
È interessante sottolineare come tutti gli sforzi del pensiero critico, anche nel suo
periodo di formazione e preparazione, saranno sempre tesi a raggiungere questo traguardo.
Per perseguire tale scopo Kant non percorrerà una strada semplice e diritta, ma al contrario,
l’approdo finale al suo traguardo, che sarà la pubblicazione nel 1781 della Critica della
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ragion pura
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, risulterà particolarmente ostico e tormentato, la cui riproposizione risulterà
per la Kant Philologie così come per noi, che in questa sede ci proponiamo lo stesso
obiettivo, difficilissima da attuare. Tale tentativo di ricostruzione storica è necessario per
una vera comprensione delle posizioni che verranno prese all’interno della deduzione
metafisica delle categorie, oltre che in quella trascendentale, che analizzeremo nei capitoli
seguenti.
Il principale contrasto tra la dottrina di Kant e i vecchi sistemi del passato consiste
nel fatto che, per questi ultimi, la metafisica era pressoché interamente identificata con
l’ontologia la quale, a partire da determinate convinzioni generali intorno all’essere,
pretendeva di discendere con la conoscenze all’interno delle cose stesse. Sia empirismo che
razionalismo infatti, pur differenti per metodi di indagine e concezioni dei mezzi
conoscitivi, rimangono tuttavia ancorati alla prospettiva di fondo che esista una realtà
effettuale delle cose che la mente deve accogliere in sé e riprodurre per poter ottenere una
qualche conoscenza, limitandosi perciò a copiarla nel proprio mondo.
È questo il momento in cui si presenta al filosofo di Königsberg il definitivo
problema che lo porterà a scrivere una critica della ragione, per mezzo della quale sia
possibile sottoporne le pretese a un tribunale che ne giudichi il diritto. La riflessione
metafisica d’ora in avanti non potrà avere origine nella dottrina sistematica dell’essere, ma
dovrà cercare di stabilire prioritariamente quale sia significato generale della domanda
intorno all’essere. L’oggettività, la quale ha sempre avuto la valenza di uno stato di fatto
accertato fin dall’inizio, diviene una domanda alla quale la ragione deve dare risposta,
prendendo coscienza del problema reale interno ad essa; ovvero la possibilità o meno della
sua stessa fondatezza.
Questa nuova questione viene presa in considerazione per la prima volta nella
celebre lettera a Herz del 1772 dove Kant confesserà di non aver ancora trovato un risposta
definitiva riguardo al fondamento del rapporto che la rappresentazione presente in noi ha
con l’oggetto: questa aporia costituisce la «chiave per aprire tutto il segreto della metafisica
fin qui ancora occulta a se stessa»
2
.
1
I. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. e cura di G. Gentile e G. Lombardo- Radice, prima edizione
1909/1910 (revisione di V. Mathieu 1958 settima edizione), Economica Laterza, Bari 2007.
2
I. Kant, A Marcus Herz 21 Febbraio 1772, in Epistolario filosofico 1761-1800, a cura di O. Meo, Il
Melangolo, Genova 1990, p. 65.
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Sono due i possibili esiti cui ha finora condotto tale riflessione: in un caso
giungiamo a una passiva ricettività della mente nei confronti dell’esperienza, che non
spiega in alcun modo la sua capacità di ottenere conclusioni necessarie e universali, mentre
nell’altro le capacità della conoscenza umana vengono fatte risalire ad un ente superiore ed
infinito che le immette all’interno della ragione dell’uomo, in piena armonia con la natura
delle cose. Entrambi sono per Kant infondati ed inaccettabili in quanto inconcludenti ed
impossibili da dimostrare scientificamente: la soluzione dovrà essere ancora diversa.
Il contrasto che esiste tra la rappresentazione e l’oggetto non è il segno di due
caratteri di un unico essere assoluto, bensì una ben conformata e precisa direzione operandi
del giudizio: in altri termini è evidente che noi non riceviamo passivamente delle “cose”,
dalle quali in un secondo momento possiamo ottenere nozioni certe e necessarie, ma al
contrario proprio il grado e la certezza di esse ne garantisce di per sé valore. Nel momento
stesso in cui sono posti, un essere, un mondo e una natura assumono un certo valore per
noi: per questo motivo la contrapposizione deve trovare una qualche soluzione, che deve
esistere in quanto gli stessi non possono rimanerci del tutto eterogenei, proprio in forza
dell’effetto che hanno su di noi.
La soluzione vera e propria di questo grande problema verrà raggiunta solamente
nelle pagine centrali dell’Analitica dei concetti della Critica della ragion pura; in quella
deduzione trascendentale delle categorie, conseguente ed inseparabile per sua struttura
stessa, come concluderemo, dalla deduzione metafisica, costata tanta ma non inutile fatica a
Kant, in un lavoro logorante perdurato tutto il periodo che va dal 1770 sino alla
pubblicazione nel 1781.
L’intento che mi propongo di raggiungere è in prima battuta di ricostruire il
percorso del pensiero kantiano che condurrà alla pubblicazione della prima edizione della
Kritik der reinen Vernunft, per poter in tal modo analizzare e comprendere appieno la
dottrina delle categorie nel suo nascere e svilupparsi; soprattutto per ciò che concerne il
rapporto tra esse e la funzione logica del giudizio. L’aspetto eminentemente teoretico della
ricerca non potrà fare a meno di intrecciarsi indissolubilmente con il problema della
metafisica, al fine di fissare il senso della “rivoluzione copernicana” che nella Prefazione
della Critica il Nostro ci confessa di aver compiuto.
La via che si concluderà appunto con la nascita dell’opera seguirà uno sviluppo
esattamente speculare rispetto a quello col quale gli argomenti verranno esposti
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dell’Analitica dei concetti, dal momento che Kant, per poter tirare le conclusioni e giungere
al compimento della sua riflessione, ha per prima cosa esaminato minuziosamente il gruppo
dei giudizi della relazione che stanno a fondamento della determinazione degli oggetti
sensibili; ha poi isolato l’unità che ne sta alla base; ed infine, e questo punto sebbene
costituisca la chiave di volta dell’impalcatura del criticismo non è per il momento
storicamente rintracciabile in modo certo ed inequivocabile nei testi lasciatici dall’autore,
ha trovato il “filo per la scoperta di tutti i concetti puri dell’intelletto”, ovvero l’unità che
sta a fondamento dei giudizi così come del legame indissolubile tra le due logiche per lui
esistenti, ovvero quella generale o formale e quella trascendentale. Come detto, questa
strada nel testo della Kritik è posta esattamente al rovescio dato che dapprima troviamo
esposto l’ultimo punto, col nome di deduzione metafisica delle categorie, a cui consegue la
deduzione trascendentale.
Kant osserva che fino a quel momento nessun filosofo ha seriamente preso in
considerazione il cambiamento avveratosi nella matematica e nella fisica, con tutte le sue
conseguenze, per cercare di introdurlo anche in ambito filosofico: ognuno dei pochi
tentativi sinora compiuti per giungere a una conoscenza a priori degli oggetti mediante
concetti, così come richiesto dal metodo scientifico di impronta newtoniana, è fallito.
Allo stesso modo in cui Copernico nel suo De revolutionibus orbium caelestium
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ha
descritto il mondo a partire non dal punto di vista della Terra, bensì da quello del Sole,
respingendo la millenaria validità assoluta della teoria tolemaica, così Kant, per cercare di
dare una qualche dignità conoscitiva della metafisica si incarica di sperimentare una nuova
prospettiva su cui imperniare la conoscenza del rapporto soggetto-oggetto la quale prenda
le mosse proprio a partire dal primo per giungere conseguentemente al secondo, finendo
perciò con il respingere l’inadeguata prospettiva realistica della determinazione della
rappresentazione a partire dall’oggetto.
Sinora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi
di stabilire intorno ad essi qualche cosa a priori, per mezzo di concetti, coi quali si sarebbe potuto
allargare la nostra conoscenza, assumendo un tal presupposto, non riuscirono a nulla. Si faccia,
dunque, finalmente la prova di vedere se saremo più fortunati nei problemi della metafisica, facendo
l’ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza: ciò che si accorda meglio colla
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N. Copernicus, De revolutionibus orbium caelestium: La costituzione generale dell’universo, a cura di A.
Koyré, trad. it. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1975.
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desiderata possibilità d’una conoscenza a priori, che stabilisca qualcosa relativamente agli oggetti,
prima che essi ci siano dati
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.
Gli effetti diretti di tale rivoluzione sono due, e di grande portata filosofica, poiché,
in primo luogo, spostando l’interesse dall’oggetto al soggetto possiamo pienamente
sostenere che il problema di partenza della soggettività, di cui parla qui Kant legandola
indissolubilmente con il concetto di trascendentale al tal punto da costituirne addirittura le
fondamenta, altro non è che quello del diritto o meno a ricoprire tal ruolo conoscitivo, al
quale, in un secondo tempo, deve poi ricondursi una determinata forma di oggettività; in
secondo luogo, siamo così finalmente in grado di accertare tutti i principi derivanti dalle
nostre capacità di pensare, per analizzarli e darne fondamento filosofico.
Deve essere ricordato per dovere di completezza che il tentativo condotto dal
filosofo di Königsberg comporterà importanti conclusioni anche per la trattazione contenuta
nella Dialettica trascendentale, che non verranno tuttavia prese in esame in questa sede. Ci
limitiamo solo a sottolineare che il progetto kantiano avrà una conseguenza negativa e una
positiva: verrà infatti dimostrato che non sarà possibile alcuna metafisica che abbia validità
scientifica, ma esisterà soltanto una metafisica dell’esperienza dal momento che, servendosi
delle idee di Dio, Mondo e Anima, nulla può esser conosciuto a priori. Il risultato positivo
consisterà invece nella definitiva risoluzione dei paralogismi e delle antinomie, nemici
ostici di tutti i dogmatici legati alla metafisica tradizionale.
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Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 17.
I. Confutazione della metafisica dogmatica e nascita del criticismo
Negli anni che corrono tra il 1755 al 1764 ci troviamo dinanzi a un progressivo e
definitivo avvicinamento della cultura occidentale al pensiero newtoniano, il quale verso il
1750 aveva riportato la definitiva vittoria su quello cartesiano: tuttavia, al tempo stesso, la
dottrina di Leibniz andava affermandosi in tutte le università tedesche grazie a Wolff,
ragion per cui il giovane Kant si troverà, riguardo alle sue posizioni circa il problema
cruciale dello spazio all’epoca interesse primario degli scienziati e dei filosofi, esattamente
a metà strada tra la posizione del pensatore di Lipsia, secondo il quale questo è una
costruzione ideale consistente nella conoscenza oscura dell’ordine che esiste tra le monadi,
ottenuto dalla loro perfetta ed armoniosa esistenza, e quella di Newton, che al contrario
affermerà che la sostanzialità dello spazio è la conditio sine qua non di qualsiasi relazione
osservabile, che perciò risulterà ad essa subalterna.
È risaputo il fatto che Kant, in questo periodo, vede lo spazio come l’effetto di leggi
dinamiche. Il metodo della metafisica infatti non potrà più essere di stampo matematico-
cartesiano alla maniera di Wolff, dal momento che soltanto quello analitico della fisica
newtoniana risulterà avere una validità e una certezza necessarie e universali: che le cose
stiano realmente in tal modo possiamo evincerlo dalla posizione che il filosofo di
Königsberg prende in un breve ma significativo testo, tra i più importanti del periodo
precritico, dal titolo La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche
5
, la cui intenzione
è proprio quella di rifiutare definitivamente il razionalismo leibniziano della derivazione di
tutto quanto il sapere dal principio di contraddizione.
Tralasciando la pesante critica alla logica aristotelico-scolastica e al razionalismo,
ciò che deve essere qui messo in evidenza, al fine dei nostri intenti, è tutto racchiuso nella
parte conclusiva del testo dove l’autore rivela che il giudizio ha il precipuo compito di
analizzare il concetto contenuto all’interno del soggetto, allo scopo di renderlo chiaro e
comprensibile: tale operazione non è assolutamente in grado di allargare il campo della
conoscenza dal momento che si tratta di un mero sviluppo di quanto già contenuto nelle
premesse e perciò la conoscenza non ottiene nulla che già non possedesse prima. Si tratta
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I. Kant, La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche, a cura di S. Marcucci, Istituti editoriali e
poligrafici internazionali, Pisa, 2001.