- Silvia Bellisari -
3
Nel secondo capitolo, viene presentata prima la diagnosi descrittiva del DPTS secondo i
sistemi diagnostici di riferimento più recenti (APA, 1980; APA, 1990; APA 1999). Alcune
informazioni rilevanti sono emerse dal confronto tra questi sistemi. Per esempio, è emerso
come la definizione di trauma sia stata rivista nel corso del tempo. Abbiamo anche
descritto diversi tipi di traumi, distinguendo fra traumi a carattere collettivo e traumi a
carattere individuale.
Successivamente viene affrontata la diagnosi valutativa del DPTS secondo la teoria
cognitivo-comportamentale; cioè viene fornita una spiegazione di come i sintomi possano
insorgere e mantenersi a causa di una struttura cognitiva rigida. Abbiamo individuato
proprio nella rigidità del concetto di sé e del mondo il principale fattore di rischio che
determina l’insorgenza del DPTS.
Il terzo capitolo è dedicato alla descrizione dei fattori protettivi e di rischio, cioè di
quelle condizioni, della persona e del suo ambiente relazionale, che, se presenti, facilitano
oppure ostacolano l’insorgenza del DPTS. Il principale fatto protettivo è la flessibilità nel
concetto di sé e del mondo, cioè la disponibilità della persona a rivedere gli schemi interni
in base alle nuove informazioni provenienti dal trauma. Tale flessibilità è resa possibile
dalla facilità nella messa in atto dei meccanismi di assimilazione e accomodamento.
Sembra, infatti, che i sintomi di intrusione, tipici del DPTS, siano dovuti proprio
all’incapacità della persona di processare le nuove informazioni traumatiche.
Dato che i sintomi del DPTS sono di tipo cognitivo e sono mantenuti in vita dal
comportamento di evitamento, il percorso di sviluppo ideale che sembra essere alternativo
al disturbo è uno sviluppo di tipo cognitivo. Nel terzo capitolo, infatti, abbiamo cercato di
ripercorrere quali condizioni ottimali dovrebbe incontrare il bambino nel corso dello
sviluppo per poter acquisire la flessibilità nel concetto di sé e del mondo. Anche se la
teoria cognitivo-comportamentale è il principale sistema teorico di riferimento di tutto il
lavoro, abbiamo estrapolato alcuni contributi anche dalla teoria dell’attaccamento, poiché
l’ambiente che incide sullo sviluppo del bambino è un ambiente soprattutto relazionale ed
è proprio grazie alle primissime relazioni di accudimento che egli struttura i modelli
operativi interni su di sé e sul mondo, che agiscono per tutta la vita come schemi di lettura
della realtà (Bowlby, 1992a; 1992b; 1992c). Per ricostruire lo sviluppo ideale della
- Silvia Bellisari -
4
flessibilità è stato utilizzato il modello di Piaget (1970; 1981; 1992) che però è stato reso
specifico grazie alla promozione dei fattori protettivi precedentemente individuati ma
grazie anche ai contributi della teoria dell’attaccamento.
Infine, nell’ultimo capitolo abbiamo ipotizzato come si possa intervenire al livello
primario, secondario e terziario per la prevenzione del disturbo. Mentre le ipotesi di
interventi di prevenzione primaria che abbiamo tracciato hanno come destinatari i genitori
di famiglie non a rischio, gli interventi di prevenzione secondaria dovrebbero essere rivolti
a quei soggetti che, pure essendo stati vittime di un trauma, non hanno sviluppato il
disturbo, ma sono a rischio. La prevenzione terziaria coincide con la terapia ed è rivolta a
quelle persone che presentano tutti i sintomi del DPTS ed ha l’obiettivo di evitare la
cronicizzazione del disturbo e l’insorgenza di altre patologie. Gli interventi di prevenzione
a tutti i livelli prendono spunto dalle tecniche cognitive e comportamentali. Alla fine degli
interventi di prevenzione secondaria e terziaria, la persona deve essere in grado di
elaborare un concetto di sé e del mondo più accurato e flessibile. Invece l’obiettivo degli
interventi di prevenzione primaria è quello di sostenere i genitori nel compito di essere
delle figure di accudimento sensibili e responsive per i loro bambini, in modo che essi
possano sviluppare quella flessibilità che potrebbe proteggerli dal disturbo, qualora
dovessero essere vittime di un trauma.
Il metodo utilizzato è di tipo compilativo e il lavoro non vuole apportare un
contributo originale agli studi sul DPTS, ma solo essere una sintesi personale e
sufficientemente completa degli studi esistenti in letteratura sull’argomento. L’unico
contributo che potrebbe risultare originale è quello relativo alla ricostruzione del percorso
di sviluppo ideale della personalità, che ha come obiettivo la promozione della flessibilità
nel concetto di sé e del mondo.
- Silvia Bellisari -
5
CAPITOLO PRIMO
ASPETTI INTRODUTTIVI AL DISTURBO DA STRESS POST-TRAUMATICO: Il
CONCETTO DI TRAUMA PSICHICO
Questo capitolo costituisce una introduzione al DPTS. Verranno affrontati argomenti
che sono attinenti non al disturbo vero e proprio, ma al concetto di trauma.
Già dagli anni Ottanta, il disturbo è stato inserito nel DSM, il trauma è stato definito
in modo univoco e per il DPTS sono stati stabiliti dei criteri diagnostici precisi. Tuttavia
quella elaborata nel DSM è una definizione fenomenologia e ateoretica. Proprio per questo
motivo verrà preso in considerazione il punto di vista di tre teorie. Successivamente verrà
messa in luce la relazione tra il trauma, lo stress e l’ansia, per poi passare ad analizzare
quali conseguenze produce il trauma a livello di strutture neurologiche e fisiologiche, ma
anche sui sistemi di memoria. Un evento estremamente doloroso, se non viene
adeguatamente rielaborato, può produrre effetti dannosi sulla personalità di chi lo ha
sperimentato e questi effetti possono essere trasmessi anche alle generazioni successive.
L’ultimo paragrafo metterà in luce come viene trasmesso un trauma e quali effetti
può produrre.
1. Il trauma psichico: lettura alla luce delle diverse teorie
Il termine trauma deriva dal greco Ω Υ ∆ Ξ Π ∆ e vuol dire lacerazione.
In medicina, la parola viene usata per indicare le lesioni provocate da agenti
meccanici la cui forza è superiore alla resistenza dei tessuti cutanei o degli organi.
In neuropsichiatria, indica una lesione del sistema nervoso o dell’organismo psichico
per effetto di avvenimenti che irrompono bruscamente ed in modo distruttivo (Galimberti,
1992, 956-957).
In ambito psicologico, invece, le diverse teorie, hanno dato una propria definizione di
trauma psichico e dei fattori che ne determinano l’insorgenza.
Lo scopo di questo paragrafo è quello di mettere in luce la molteplicità dei punti di
vista. Verranno prese in considerazione: la teoria psicoanalitica, la teoria dell’attaccamento
e il cognitivismo. La teoria psicoanalitica, soprattutto nel modello freudiano, spiega il
- Silvia Bellisari -
6
trauma come evento intrapsichico, in cui gli stimoli esterni reali hanno rilevanza
secondaria. Gli autori successivi a Freud, cominciarono a considerare l’influenza
dell’ambiente e dei legami interpersonali. Tra questi, soprattutto Bowlby (1985; 1992a;
1992b; 1992c), ritenne che la qualità delle prime esperienze relazionali fosse la variabile
fondamentale dello sviluppo psichico successivo. Dato che l’attaccamento è considerato il
sistema motivazionale primario, è anche quello capace di spiegare la reazione patologica
ad un trauma, anzi, ogni disturbo nella relazione di attaccamento è da considerarsi, esso
stesso, un vero trauma.
Infine abbiamo affrontato la teoria cognitiva, nella quale il trauma viene messo in
relazione all’incapacità della persona di integrare le informazioni con gli schemi
precostituiti di sé e del mondo. Della teoria cognitiva viene considerata soprattutto
l’impostazione di Guidano (1997) e Liotti (2001a; 2001b), i quali tentano di spiegare la
nascita degli schemi cognitivi secondo la teoria dell’attaccamento, cioè chiamando in causa
le prime esperienze relazionali con le figure di accudimento.
Queste tre teorie riescono, insieme, a spiegare un fenomeno complesso come quello
del trauma psichico. E’ proprio l’esigenza di completezza, infatti, che ha motivato la scelta
di trattare il fenomeno da diversi punti di vista.
1.1. La teoria psicoanalitica
Nella concezione psicoanalitica classica, il trauma è un evento improvviso ed
inatteso, che per la particolare intensità, oltrepassa la capacità di elaborazione psichica
dell’Io ed ha effetti patogeni durevoli sull’organizzazione psichica (La Plance et al.,1993,
393-396).
Le diverse teorie psicodinamiche sono alquanto eterogenee e a volte discordanti tra
loro. Per rendere ragione della pluralità dei punti di vista e per garantire una certa
completezza, verrà preso in considerazione l’approccio di Freud al problema del trauma.
Successivamente verranno presentati, in breve, i contributi di alcuni autori successivi
al caposcuola.
- Silvia Bellisari -
7
1.1.1. Il trauma secondo il modello di Freud
Freud (1967, 163-383), alle origini della sua attività clinica con le pazienti isteriche,
ritenne che il trauma psichico fosse soprattutto di natura sessuale e che si collocasse nel
periodo dell’infanzia. Solo successivamente egli passò ad analizzare le caratteristiche
generali del trauma psichico, indipendentemente dalla tipologia dell’evento.
Proveremo ora a tracciare l’itinerario che l’Autore percorse, per passare da una
visione del trauma come problematica di natura sessuale ad una visione più ampia.
Come abbiamo già detto, nei primi studi condotti su pazienti isteriche, egli ritenne
che i sintomi erano dovuti al riemergere, in particolari condizioni di stress, di un episodio
di natura sessuale. Le pazienti avevano subito un abuso durante l’infanzia, avevano
rimosso l’avvenimento, ma avevano sviluppato i sintomi isterici. Il trauma di natura
sessuale era riemerso grazie all’ipnosi e grazie al materiale associativo prodotto durante
l’analisi (Freud, 1967, 163-383).
Quindi, in questa prima fase, il trauma è la reazione ad una situazione oggettiva:
“…le esperienze sessuali dell’infanzia, consistenti in stimolazioni genitali, pratiche simili
al coito eccetera, vanno dunque riconosciute, in ultima analisi, come quei traumi da cui
derivano la reazione isterica agli avvenimenti della pubertà, e lo sviluppo dei sintomi
isterici” (Freud, 1968, 347).
Successivamente, si rese conto che parte dei ricordi che emergevano durante il
trattamento non potevano essere ricondotti ad avvenimenti realmente accaduti, ma erano il
risultato di una costruzione fantastica. Egli stesso, a proposito di un paziente che ricordava
di aver subito molestie sessuali all’età di tre anni, dice: “Il punto di vista che mi accingo
ora a mettere in discussione è dunque il seguente, le scene della prima infanzia che ci
vengono fornite da un’analisi esauriente, come ad esempio quella compiuta nel nostro
caso, non sono la riproduzione di avvenimenti, ai quali sarebbe possibile riconoscere
un’influenza sulla vita ulteriore e sulla formazione dei sintomi; sono invece formazioni
fantastiche nate da stimoli occorsi in età adulta, destinati a fungere in certo qual modo da
rappresentazione simbolica di desideri ed interessi reali” (Freud, 1975, 501).
Una fase importante nell’evoluzione del concetto di trauma è costituita dallo studio
dei disturbi conseguenti ad uno shock. Infatti Freud afferma che: “..in seguito a gravi
- Silvia Bellisari -
8
scosse meccaniche, scontri ferroviari ed altri incidenti che implicano un pericolo mortale si
può verificare una situazione che è gia stata descritta da tempo e a cui è stato dato il nome
di nevrosi traumatica” (Freud, 1977, 196). I sintomi della nevrosi traumatica e dell’isteria
erano molto simili, ma nella nevrosi traumatica si hanno anche sintomi di melanconia,
ipocondria e indebolimento.
Ciò che determina il disturbo, oltre all’intensità della stimolazione esterna, è la sua
capacità di provocare una breccia nella barriera protettiva: “…negli eventi che portano alla
nevrosi traumatica viene infranta la protezione esterna contro gli stimoli e le quantità
eccessive di eccitamento invadono l’apparato psichico, cosicché (l’angoscia viene)
prodotta ex novo dalle condizioni economiche della situazione” (Freud, 1978, 250).
Nelle ultime formulazioni si può notare come l’idea di trauma psichico assuma un
significato più ampio e come diventi predominante il ruolo della realtà psichica e della
fantasia inconscia. Ciò che produce il trauma è l’incapacità dell’apparato psichico di
liquidare il sovraccarico emozionale. Inoltre entrano in gioco diversi fattori: l’evento stesso
ma anche la ricostituzione interiore dell’individuo che lo sperimenta. Il trauma diventa una
funzione dell’interazione tra i due fattori. Quando un’esperienza provoca una reazione
patologica insolita, ciò avviene perché essa sottopone la persona ad una pressione
eccessiva, cioè ad una quantità di stimolazioni che non è in grado di affrontare. Gli
individui, inoltre, sono diversi nella capacità di far fronte a tali pressioni. Infatti, ciò che
può essere traumatico per una persona non lo è per un’altra (Freud, 1982, 331-448).
Tuttavia c’è una particolare età della vita, che va dalla nascita a circa sei anni, in cui
ogni individuo tende ad essere particolarmente vulnerabile perché l’Io è oggettivamente
immaturo. E’ in questo periodo dell’infanzia che si contraggono le nevrosi (Freud, 1982,
331-448).
Per spiegare gli effetti del trauma, Freud (1975, 490) introduce il concetto di “a
posteriori”. Quando si verifica un trauma, anche di tipo sessuale, questo evento, pur
rimanendo nella psiche, non produce effetti patogeni fino a quando le condizioni
maturative o eventi successivi non convertano retroattivamente il primo evento in trauma;
solo in questo momento si manifestano le conseguenze patogene.
- Silvia Bellisari -
9
Sembra che l’Autore abbia abbandonato il modello esplicativo meccanicistico e causale
adottato all’inizio. Non c’è più un nesso di causa effetto tra evento traumatico ed esito
patologico. Infatti, gli effetti immediati e a lungo termine di un evento traumatico sono
attribuiti alle trasformazioni che questi episodi subiscono ad opera dei desideri inconsci,
dei conflitti e delle fantasie.
1.1.2. Il trauma secondo gli sviluppi recenti della psicoanalisi
Nelle formulazioni psicoanalitiche moderne, il concetto di trauma ha assunto un
significato ancora più esteso, pur nella molteplicità di punti di vista. C’è chi ritiene che il
trauma possa avere effetti positivi e costruttivi (Semi, 1989, 91), chi invece ritiene che
possa avere effetti devastanti e indurre un’attività di ripetizione (Greenacre, 1952, 74).
In genere, rispetto a Freud, oggi sono tenuti in considerazione anche i fattori
ambientali e relazionali.
Le intuizioni di Freud sono state riprese e ampliate.
Freud (1978, 298-299), per esempio, aveva parlato della nascita come della
primissima esperienza traumatica. Questa intuizione viene sviluppata da Rank (1990, 29-
38).
La nascita, secondo Rank (1990, 29-38), è un avvenimento che segna la vita di ogni
individuo ed è la causa di una serie di fenomeni psichici come l’angoscia, la rimozione e la
riattivazione di alcune manifestazione somatiche che rimandano al momento della nascita,
che diventano, in età adulta, di tipo nevrotico. L’angoscia è considerata un’esperienza
primaria che può essere riattivata da eventi successivi della vita, come per esempio un
trauma in età adulta.
In genere, nelle teorie sul trauma successive a Freud si privilegiano dei modelli
complessi che tengono in considerazione più variabili.
Una definizione di trauma che sembra completa è quella proposta da Semi (1989,
71), il quale definisce il trauma come una qualsiasi situazione intrapsichica caratterizzata
dall’impossibilità dell’apparato psichico di far fronte ad un improvviso eccesso di stimoli
esterni. Vengono messe in luce diverse componenti: il fattore quantitativo della
- Silvia Bellisari -
10
stimolazione, il rapporto tra la stimolazione esterna, lo stato dell’apparato psichico e
l’irrilevanza delle caratteristiche della stimolazione.
Anche Rangell (cit. in Van Velsen, 1997, 63) individua, nella realtà traumatica,
diverse variabili: il fattore scatenante che può essere sia interno che esterno, l’incapacità
dell’Io di svolgere la sua funzione protettiva, la debolezza psichica dell’individuo come
fattore di rischio e la risposta emotiva negativa e dolorosa come esito del trauma.
Oltre ad aver dato spiegazioni complesse e diversificate, gli autori successivi a Freud
cominciano a distinguere i diversi tipi di eventi traumatici. Kris (1977, 265-266) ne
individua due tipi: si ha un trauma da shock nel caso in cui un avvenimento singolo
colpisca fortemente e improvvisamente il bambino. Il trauma da sforzo, invece, è l’effetto
di situazioni prolungate, ed è traumatico in quanto causa l’accumulo di tensioni e
frustrazioni. Le conseguenze dell’avvenimento traumatico sono: senso di colpa, terrore che
appare nelle fantasie, e le difese che si costruiscono contro queste fantasie. Tuttavia è
l’insieme delle esperienze di vita che determina quale avvenimento acquisti il significato di
esperienza traumatica. Khan (cit. in Van Velsen, 1997, 65) parla invece di “trauma
cumulativo”, che è l’esito di ripetute esperienze stressanti che il bambino sperimenta nel
contesto della relazione con la madre. Se la madre riesce ad essere uno scudo protettivo
efficace contro le stimolazioni esterne nocive, diminuisce la possibilità che il bambino
sperimenti dei traumi.
Per spiegare le conseguenze del trauma, Brett (cit. in Van Velsen, 1997, 62)
individua due modelli. Il primo, che deriva da quello freudiano, spiega la sintomatologia
conseguente ad eventi di gravità non eccessiva. Questo modello descrive i fenomeni che
accompagnano la risperimentazione del trauma e l’alternarsi di fasi di diniego e ripetizione
compulsiva dell’evento. Il secondo modello deriva dai lavori di Kardiner e Kristal (cit. in
Van Velsen, 1997, 62) ed è utilizzato nella spiegazione di traumi più gravi, come quello
dell’Olocausto. In seguito ad avvenimenti fortemente stressanti, nel bambino si verifica un
“massiccio fallimento adattivo” caratterizzato dall’arresto nello sviluppo. L’adulto invece
può presentare una regressione dello sviluppo affettivo.
- Silvia Bellisari -
11
Abbiamo ripercorso, da Freud fino alle impostazioni teoriche recenti, il punto di vista della
psicoanalisi sulla realtà del trauma. Il trauma è stato considerato da Freud, prima come un
evento specifico di natura intrapsichica conseguente ad episodi di natura sessuale.
Successivamente, il termine trauma è passato ad indicare un episodio che sovrasta la
capacità delle barriere protettive delle persone di farvi fronte. Nella psicoanalisi
interpersonale, invece, la realtà del trauma viene presa in considerazione da punti di vista
molteplici, tra cui quello delle relazioni interpersonali e del rapporto con l’ambiente.
1.2. La teoria dell’attaccamento
La teoria dell’attaccamento viene esposta di seguito a quella psicoanalitica per il
fatto che le posizioni assunte da Bowlby, sembrano una prosecuzione di quelle
psicoanalitiche classiche e anche un completamento di queste ultime. Nell’evolversi della
teoria psicoanalitica, l’accento è stato spostato sempre più sui legami con l’ambiente, a
scapito dei fattori pulsionali, per spiegare la genesi della sofferenza psichica (Greenberg et
al., 1986, 21-156).
Bowlby (cit. in Holmes, 1994, 68), nei primi lavori, si occupò dell’impatto che una
separazione traumatica poteva avere sui bambini. Rispetto a Freud e alla Klein, fece un
importante passo avanti: considerò i legami di attaccamento tra il bambino e la madre non
come un istinto derivato dalla nutrizione o dalla sessualità infantile, ma come un sistema
motivazionale a sé stante.
Tra la teoria di Freud e quella di Bowlby possiamo individuare alcuni punti di
contatto: per entrambi la separazione dalla madre può risultare traumatica, soprattutto nel
corso dei primi cinque o sei anni di vita. Come abbiamo sottolineato in precedenza, Freud
afferma che si ha un trauma quando l’apparato psichico viene esposto ad una quantità
eccessiva di stimolazioni. Anche per Bowlby la separazione dalla madre e l’inserimento in
un ambiente estraneo provocano un intenso disagio per un lungo periodo di tempo. Per
entrambi gli Autori, i meccanismi di difesa che il bambino mette in atto per proteggersi
dall’esperienza negativa sono la rimozione, la scissione e la negazione. Tuttavia Freud non
indicò mai come fonte di un trauma un evento di tipo relazionale (Bowlby, 1992a, 24-30).
- Silvia Bellisari -
12
1.2.1. Il trauma come perdita della base sicura: il modello di Bowlby
Il comportamento di attaccamento si può definire come un comportamento
finalizzato alla ricerca e al mantenimento della vicinanza ad un altro individuo
significativo. La figura di accudimento svolge la funzione di “base sicura” a cui ritornare
dopo aver esplorato l’ambiente. Se il bambino sperimenta un evento che provoca una
stimolazione di intensità elevata attiva rapidamente un comportamento di attaccamento
(Bowlby, 1992a, 399-402; Holmes, 1994, 72).
Van der Kolk (cit. in Zulueta, 1999, 207), in linea con questa impostazione, afferma
che la forma di trauma psicologico più precoce, e forse più dannosa, è proprio la perdita di
una base sicura.
Lo stesso Bowlby (1992b, 18) trattò il tema del trauma del distacco affermando che
la perdita di una persona amata è una delle esperienze più intensamente dolorose che si
possano provare. La reazione tipica di un bambino che è stato separato dalla madre è di
protesta: egli si sforza di recuperare la madre perduta. Successivamente subentra la
disperazione. Nel bambino non diminuisce il desiderio di ricongiungersi alla madre, ma
svanisce la speranza che questo avvenga. Infine diventa apatico e chiuso in sé (Bowlby,
1992c, 20). Se ricongiunto alla madre, egli presenta un comportamento difensivo che
consiste in una reazione di distacco, cioè di totale assenza di comportamento di
attaccamento (Bowlby, 1992c, 32).
Nel caso in cui l’individuo avverta la minaccia di una separazione, attiva un sistema
difensivo centrato sull’angoscia, cioè su un miscuglio di sentimenti di preoccupazione,
tensione e rabbia. Se la perdita della figura significativa è permanente, si ha una reazione
di lutto caratterizzata da una fase iniziale di torpore a cui segue un momento di rabbia e di
ricerca della madre. La conclusione del lavoro del lutto è data o dalla disorganizzazione o
da una nuova riorganizzazione (Bowlby, 1992a, 45-53; Holmes, 1994, 94-100).
Bowlby (cit. in Holmes, 1994, 100) era convinto che molti problemi psichiatrici
fossero dovuti a separazioni traumatiche avvenute in età precoce. La sua teoria è stata
avvalorata da recenti scoperte psicofisiologiche, le quali sostengono che separazioni
precoci possono produrre effetti durevoli sulla sensibilità dei recettori cerebrali,
conducendo a livelli di angoscia permanentemente innalzati
- Silvia Bellisari -
13
Secondo Prugh e Harlow (cit. in Ainsworth, 1966, 13-41), oltre all’evento della
separazione, vanno considerati altri fattori, come l’età del bambino nel momento in cui
avviene la separazione, o la fase di sviluppo che sta attraversando, oltre che la durata della
separazione. Va considerata, inoltre, la qualità della relazione tra la madre e il bambino,
perché può essere un fattore protettivo o di rischio nella capacità del piccolo di reagire
all’evento.
Il modo in cui chi si occupa del bambino reagisce ai suoi stati d’animo dopo la
perdita può influenzare in modo decisivo lo sviluppo successivo (Holmes, 1994, 100).
Se il trauma colpisce la diade madre-bambino, risulta determinante il significato che
la madre attribuisce all’evento, la sua capacità di rimanere sintonizzata sulle esperienze del
piccolo, di saperlo calmare e rassicurare. (Drell et al., 1966, 261-264).
Il modello di Bowlby implica degli sviluppi interessanti rispetto alla pscicoanalisi,
sia ai fini terapeutici che ai fini di una maggiore comprensione delle reazioni ai traumi.
1) E’ possibile parlare di resilienza: molti bambini che hanno subito traumi
ambientali consistenti non hanno riportato danni psicologici permanenti, mentre
la psicoanalisi freudiana individua un nesso causale tra evento traumatico e
successivo sviluppo psicopatologico. In altre parole, non è possibile che un
soggetto traumatizzato non sviluppi una nevrosi.
2) Il modello di Bowlby spiega il perpetuarsi dei pattern patologici di
attaccamento; quegli adulti che da bambini hanno subito una separazione
traumatica presentano dei sintomi tipici in caso di lutto: forte rimpianto
inconscio per la persona perduta, rimprovero cosciente rivolto verso se stessi,
preoccupazione coatte rivolte verso altre persone, incapacità a convincersi che
la perdita sia permanente. Sono condizioni che impediscono all’adulto di essere
una figura di accudimento a cui è possibile attaccarsi in modo sicuro. A
differenza di Freud, la patologia psichica viene collocata all’interno di un
contesto relazionale transgenerazionale.
3) Il setting terapeutico è il luogo in cui, chi ha subito il trauma della perdita, può
riportarlo in vita e, successivamente, fare un’esperienza alternativa di
attaccamento sicuro (Holmes, 1994, 168). Rispetto a Freud, Bowlbly individua
- Silvia Bellisari -
14
la possibilità che il terapeuta svolga una funziona di “base sicura” che permette
alla persona di rielaborare la perdita.
In conclusione, possiamo affermare che Bowlby introdusse un approccio alla realtà
del trauma più completo e flessibile, non solo perché oltre ai fattori di natura intrapsichica
viene presa in considerazione la storia relazionale del bambino, ma anche perché viene
restituita alla persona la possibilità di un’evoluzione positiva nello sviluppo poiché tra il
trauma e la reazione patologica non c’è un nesso di causa effetto.
1.2.2. Il lutto patologico: un’applicazione della teoria dell’attaccamento
Nell’approccio dell’attaccamento il principale trauma che viene preso in
considerazione è quello della perdita delle figure relazionali più importanti. Vediamo in
questo paragrafo quali possono essere le conseguenze di una mancata rielaborazione del
trauma della perdita.
E’ soprattutto la qualità della relazione di attaccamento che determina il corso del
lutto, nel caso in cui questa relazione venga interrotta bruscamente. Parkes (cit. in Holmes,
1994, 191-192) si possono manifestare quattro pattern diversi di lutto patologico.
1) Lutto per il dolore di una perdita inaspettata: insorge in seguito ad una perdita
prematura, improvvisa o multipla e determina una reazione iniziale di shock,
unita alla sensazione persistente della presenza della persona scomparsa. Di
fronte ad una tale perdita traumatica, sia le persone con attaccamento sicuro che
quelle con attaccamento insicuro sono ugualmente vulnerabili.
2) Lutto ritardato: si osserva nella persona con attaccamento evitante ed è una
reazione caratterizzata dalla mancanza di una reazione emotiva, come il pianto.
Le persone lamentano un senso di stordimento e l’incapacità di trarre beneficio
dalle relazioni e dalle distrazioni.
3) Lutto ambivalente: insorge in quei casi in cui la persona che sopravvive aveva
una relazione tormentosa con il defunto. Inizialmente prova una certa
soddisfazione, che poi lascia il posto al senso di colpa e all’autoaccusa.
- Silvia Bellisari -
15
4) Lutto cronico: è caratterizzato da uno stato di disperazione e di mancanza di
prospettive positive per il futuro. Si verifica in quei casi in cui la persona era
totalmente dipendente dalla relazione.
Questo modello mette in luce come una perdita possa costituire un evento traumatico
e come la risoluzione positiva del lutto sia una funzione delle precoci esperienze di
attaccamento. Inoltre si evidenzia come, di fronte a traumi di una certa gravità, gli
individui siano tutti ugualmente vulnerabili. Tuttavia, di fronte a traumi di moderata entiità
la qualità dell’attaccamento è determinante nella previsione della reazione soggettiva.
1.3. La teoria cognitiva
In questo paragrafo si vuole mettere in luce quale significato può assumere il trauma
all’interno della teoria cognitivo-evoluzionista formulata da Guidano nell’opera “La
complessità del sé” (1997) e da Liotti nelle opere “Le opere della coscienza” (2001a) e “La
dimensione interpersonale della coscienza” (2001b). Questi Autori sono stati scelti per il
fatto che propongono l’integrazione tra approccio cognitivo e teoria dell’attaccamento.
Verranno solo accennate le idee centrali di entrambi gli approcci teorici e
dell’integrazione tra i due, poiché una trattazione più estesa verrà affrontata nel percorso di
sviluppo del disturbo post-traumatico da stress e nella ricostruzione del percorso di
sviluppo ideale.
1.3.1. Il trauma come esito della valutazione cognitiva degli stimoli
La diverse teorie cognitive condividono un assunto di base che è la presenza di un
processo cognitivo di rappresentazione e di codifica delle informazioni che agisce come
mediatore tra l’individuo e la sua risposta. Questa rappresentazione interna costituisce il
vero stimolo attivante (Arto, 1997, 194).
Si chiama processo cognitivo la modalità tipica con cui la persona elabora in modo
automatico le informazioni, seleziona, immagazzina e richiama alla mente i dati di realtà.
Tale processo tende all’autoconferma, cioè seleziona ed elimina quei dati che non sono
congruenti. La modalità tipica con cui interpretiamo noi stessi e il mondo è definita
- Silvia Bellisari -
16
struttura cognitiva e contiene le supposizioni tacite, le idee generali e i valori che
influenzano i processi cognitivi (Meichenbaum, 1999a, 24-28).
Mentre il cognitivismo studia i molti modi in cui la costruzione di significati si
traduce in una organizzazione stabile e ordinata della conoscenza di sé e del mondo,
l’approccio evoluzionista si occupa principalmente dei sistemi motivazionali che guidano
tale organizzazione e delle emozioni che accompagnano l’attivazione dei sistemi
motivazionali (Guidano, 1997, 8). I principali sistemi motivazionali sono: il sistema di
attaccamento, il sistema di accudimento, il sistema sessuale, il sistema antagonistico, il
sistema cooperativo.
Tali sistemi sono innati (Liotti, 2001b, 158-164). Il bambino piccolo, per esempio, ha
bisogno di stare vicino alla madre ed è in grado di percepire e segnalare il distacco. Si
tratta di un bisogno innato di attaccamento, che è funzionale all’autoconservazione
dell’individuo (Suttie, cit in Holmes, 1994, 69).
Prendendo in considerazione principalmente il sistema dell’attaccamento, possiamo
rilevare che, grazie ad esso, l’individuo sviluppa schemi innati dell’interazione di sé con
l’altro. Da questo si deduce che il mondo interiore della persona non può essere compreso
se non all’interno di un contesto relazionale. E’ in questa dinamica transazionale che
emerge e si sviluppa il mondo interiore di ognuno e la conoscenza di sé. Infatti i modelli
operativi interni implicano degli “schemi emozionali” che sono una parte fondamentale
della conoscenza tacita che ciascuno ha di sé. Tale conoscenza è immediata, preriflessiva e
si esprime fenomenologicamente attraverso atteggiamenti emotivi e sensomotori
(Casonato, 1992, 362).
1.3.2. Il trauma secondo una lettura integrata tra teoria cognitiva e dell’attaccamento
Per comprendere la risposta della persona ad un evento fortemente stressante bisogna
fare riferimento ai modelli operativi interni di sé e del mondo che agiscono come vere e
proprie strutture cognitive a determinare il modo in cui la persona legge la realtà e risponde
ad essa. Tali modelli operativi interni derivano dalle esperienze relazionali e di sviluppo.
Mentre la teoria cognitiva può spiegare come le strutture cognitive agiscono da
mediazione tra lo stimolo attivante attuale e la risposta emotiva e comportamentale, la
- Silvia Bellisari -
17
teoria dell’attaccamento, tramite il concetto di modello operativo interno, può spiegare
come gli schemi di sé e del mondo si siano creati, come continuino a rimanere attivi e
come siano in grado di determinare le esperienze emotive.
Ogni persona, inoltre, ha sviluppato una modalità tipica di gestire le informazioni che
non sono compatibili con i propri modelli. Anche questa modalità è una funzione delle
esperienze affettive e relazionali precedenti. Alcuni possono avere imparato ad isolare e
reprimere le informazioni non coerenti con i modelli di sé e del mondo, altri invece
potrebbero essere stati abituati a gestire emozionalmente le incoerenze, in modo da avere
un riavvicinamento tra le informazioni e i modelli.
Queste capacità sono frutto degli stili di interazione con la figura di accudimento e di
gestione delle emozioni che si apprendono nell’infanzia e che tendono a perpetuarsi nella
vita adulta.
Secondo l’approccio cognitivo, il trauma si verifica quando una persona possiede
delle strutture cognitive rigide che non permettono di integrare, attraverso i processi di
assimilazione e accomodamento, le informazioni estremamente discordanti relative all’idea
di sé, delle relazioni con gli altri e con il mondo. Le organizzazioni cognitive rigide si
riscontrano anche nell’incapacità di riconoscere certe emozioni e di regolarle
efficacemente (Liotti, 2001b, 113).
A seconda del tipo di attaccamento che ha sviluppato, la persona possiede una
maggiore o minore flessibilità cognitiva.
I bambini attaccati in modo ansioso hanno molta meno familiarità dei bambini sicuri
con i processi di integrazione delle informazioni, spesso cercano di scartare gli elementi di
realtà che risultano discrepanti per mantenere integri i loro schemi cognitivi. Il processo di
revisione può proseguire in modo molto difficoltoso e a scatti, tanto che sia l’affettività che
il comportamento possono risentirne. Se le circostanze cambiano drasticamente, come nel
caso di un evento traumatico, si può giungere fino alla disorganizzazione. Inoltre, mentre i
bambini sicuri hanno accesso alle informazioni cognitive e affettive in ugual misura e sono
molto più equilibrati e capaci di integrare le discrepanze, i bambini insicuri si difendono
dall’una o dall’altra fonte di informazione e raggiungono difficilmente un nuovo equilibrio
nel caso in cui si dovessero trovare in situazioni di emergenza (Crittenden, 1997, 44-46).