5
- il successivo e salutare forte calo dei rendimenti dei titoli di stato
(dopo la drammatica crisi finanziaria del 1992), che ha eliminato la
possibilità per il risparmiatore di fruire di facili rendite “garantite”. In
un primo momento questo fenomeno ha indotto i risparmiatori ad
avvicinarsi rapidamente a strumenti finanziari a più alto contenuto di
rischio (azioni, fondi comuni d’investimento ecc.) rimanendo, però, in
seguito, per lo più delusi per i tracolli finanziari che hanno
caratterizzato il mercato obbligazionario nel 1999 e quello azionario
negli anni 2000-2002;
- l’aumento dell’instabilità dei mercati finanziari ed il downgrading
delle attese sui rendimenti medi degli investimenti;
- la revisione dello stato assistenziale e dei sistemi pensionistici (in
Italia ed altrove) che sta costringendo i risparmiatori a pensare di
destinare una parte del risparmio verso forme di previdenza
complementare ( polizze vita, fondi pensione);
- una progressiva crescita dell’informazione a tutti i livelli che ha
permesso al cliente-risparmiatore di formarsi un quadro di cultura
finanziaria sempre crescente e, attraverso lo sviluppo d’Internet, la
creazione di un nuovo e diffuso canale di distribuzione dei servizi
finanziari on line, fenomeno questo che contribuirà a cambiare in modo
profondo l’intero sistema finanziario.
In questo contesto la nascita della figura del Promotore Finanziario,
istituzionalizzata con la Legge 1/91, ha introdotto un elemento di novità
nel panorama italiano (mentre nei Paesi anglosassoni questo era già
realtà da diversi anni) venendo incontro soprattutto ad un accresciuto
bisogno del risparmiatore di meglio orientare le proprie scelte di
6
investimento, di fruire di un servizio di consulenza volto a far luce sulla
complessità dei mercati dopo i rapidi e frequenti sconvolgimenti in atto.
Naturalmente la figura del P.F. non nasceva dal niente, ma prendeva
spunto dalle esperienze, già in atto nel nostro paese, di un certo tipo di
collocamento dei servizi finanziari fuori dal ristretto ambito bancario.
N’erano un esempio pionieristico il collocamento dei primi fondi
comuni d’investimento di diritto lussemburghese ( Fonditalia-
Interfund) e dei successivi primi fondi di diritto italiano (Imicapital-
Imirend) fatto dall’allora società leader del Gruppo I.M.I nel settore
(Fideuram) e da altri strumenti analoghi collocati dai gruppi Monte dei
Paschi di Siena e RAS, così come da altre numerose esperienze
successive.
Nell’ottica di estendere il collocamento dei prodotti finanziari
attraverso l’uso di tecniche di vendita molto incisive, di emanazione
anglosassone, si sono distinte poi le Banche e tutte le S.I.M. (società di
intermediazione mobiliare) di emanazione bancaria createsi negli anni
’90, il cui sviluppo ha coinciso peraltro con la forte crescita del
risparmio gestito in Italia e con significative performance reddituali
degli Istituti Bancari.
I fenomeni macro economici suddetti hanno poi, nel corso degli ultimi
anni, provocato una crescita della “complessità” nella gestione delle
risorse finanziarie, ma anche e soprattutto nella domanda di servizi di
consulenza da parte dei clienti risparmiatori, spesso vittime della scarsa
attenzione delle banche e di alcuni P.F. verso una giusta asset
allocation dei risparmi loro affidati nonchè di un’inadeguata analisi
della propensione al rischio dei clienti stessi, ma bensì verso una logica
commerciale non più legata alla vendita dei prodotti finanziari, ma
piuttosto volta a capire le vere esigenze derivanti dal ciclo di vita del
risparmio delle famiglie.
7
Fenomeni definiti di “risparmio tradito”, coincidenti con crack
finanziari nazionali ed internazionali ( Enron, Argentina, Cirio,
Parmalat ecc. ) hanno poi completato l’opera di sfiducia già alimentata
dalla stampa e dall’informazione verso il sistema bancario, dando luogo
a fenomeni di disaffezione nel sistema tout court e di chiusura di una
buona parte delle famiglie verso gli operatori tradizionali, fino a
favorire fenomeni d’ulteriore allargamento dell’offerta di natura
transattiva (Banco-Posta) .
Da queste considerazioni e dall’analisi della professione del Promotore
Finanziario, questo lavoro tenta di descrivere l’impresa alle prese con il
marketing interno, con il rapporto che generalmente la lega ad una
Banca, con la quale ha un tipo di partnership particolare, attraverso il
passaggio dalla “vendita di prodotto” degli anni 80-90 verso un
progressiva relationship con il cliente. Quest’ultimo si pone sempre più
al centro dell’interesse e del “marketing di contatto”che il P.F. deve
mettere in atto, resosi necessario da un’accresciuta concorrenzialità nel
settore. Si tenterà quindi di analizzare quali sono gli strumenti per
sviluppare una vera fidelizzazione del cliente risparmiatore, che ha
magari già scelto uno o più servizi finanziari, ma che è sempre più
attratto dalle “sirene” del mercato.
La “Relazione” quindi, come soluzione verso la fiducia e verso la
“retention”, passando per una prospettiva di qualità totale del servizio
in tutte le sue componenti, tale da ottenere la customer satisfaction..
Spazio quindi per un nuovo modo di comunicare il servizio al cliente,
per renderlo partecipe attivo delle scelte di investimento, della miglior
composizione personalizzata dello stesso servizio, per offrire quella
relazione che spesso tuttora è carente nel rapporto fra Banca/Promotore
e cliente risparmiatore. Questo attraverso un impiego strategico del
S.I.M (sistema informativo di marketing), un ruolo attivo e sempre più
decisivo della Banca partner nel fornire strumenti tecnici, logistica,
8
supporto formativo e gestionale adeguati, un importante ruolo del
personale di contatto adeguatamente formato e reso pienamente
partecipe del progetto di fidelizzazione.
Nel frattempo il P.F. si sta avviando verso l’ulteriore fase di sviluppo
della sua professione, la “consulenza oggettiva”; dovrà definire scelte
di marketing adeguate al contesto di riferimento specifico di ogni
impresa ( non tutte le aree presentano medesime risorse e medesimo
livello di cultura finanziaria, ogni cliente presenta proprie attitudini
verso un servizio, verso l’innovazione, ogni segmento di clientela di un
portafoglio ha necessità di specifiche strategie ); comporta anche di
percepire nuovi paradigmi con i quali affrontare la domanda ed i
bisogni emergenti. Un “marketing dell’etica”, per esempio, può
rappresentare uno dei principali volani con cui si dovrà misurare il
professionista della consulenza finanziaria nel prossimo futuro,
consapevole di incontrare una domanda sempre più esplicita di pulizia e
di trasparenza nel mondo degli affari economico-finanziari.
Un capitolo a parte il lavoro lo dedica ad uno specifico studio sulla
fidelizzazione del portafoglio clienti di un consulente/promotore
finanziario. Un modello teorico, ripreso da studiosi del settore, che si
accosta molto allo specifico marketing di chi oggi, se vuole mantenere
vivo il proprio ruolo nel mercato e assicurarsi un futuro di successo,
non può non considerare. Esso si basa innanzitutto sul concetto di
“disaggregazione bidirezionale della performance, intendendo per tale
un’approfondita analisi sia della performance sul cliente che della
performance del cliente. Questo con l’obiettivo di andare appunto
“oltre la fidelizzazione”, per ottenere una maggior consapevolezza del
proprio potere discrezionale nei suoi confronti e nei confronti della
concorrenza. Capire in sostanza da una parte i veri motivi per i quali il
cliente ci ha scelto come partner consulenziale (fattori chiave
d’acquisto), distinguendoli fra fattori tecnici (il prodotto finanziario), di
9
servizio (la consulenza ed il contesto) e personali (il cliente ha scelto
noi come persona per la relazione che abbiamo saputo creare); dall’altra
esaminare il vero valore del cliente attraverso una matrice di
fidelizzazione che, aldilà della RFA (ricchezza finanziaria
amministrata) o del fatturato procurato, focalizzi meglio fattori
prospettici del potenziale di ogni cliente. Tutto quanto al fine di operare
in un Marketing personalizzato e di settore capace di attivare le
strategie di contatto necessarie a valorizzare una relazione duratura nel
tempo e performance reddituali proiettate verso il futuro, al di là di
ogni evento di mercato.
10
Capitolo 1
Da promotore a consulente finanziario. Un ruolo che
cambia.
1.1 Il mercato e la nascita dei Promotori Finanziari.
Sono certamente le situazioni interne ed internazionali accennate
nell’introduzione ad aver favorito, agli inizi degli anni ’90, la nascita di
soggetti imprenditoriali come appunto lo sono i Promotori Finanziari. Il
bisogno crescente, da parte dei risparmiatori, di trovare interlocutori
professionali competenti e motivati al punto di informare e contribuire
ad accrescere la cultura finanziaria, di capire le sempre più raffinate
esigenze d’allocazione del risparmio da parte delle famiglie, di
suggerire soluzioni adeguate alle esigenze stesse e soprattutto di
assistere personalmente e con la dovuta discrezionalità i clienti sempre
meno inclini ad accontentarsi dei prodotti bancari generalisti, hanno
progressivamente creato le condizioni per un riconoscimento giuridico
di una nuova categoria di professionisti-imprenditori.
La figura del Promotore Finanziario (P.F.) è stata introdotta nel
sistema finanziario italiano dalla Legge 1/1991, che lo definisce come
l’unico soggetto di cui l’intermediario bancario può avvalersi per
l’offerta dei propri servizi fuori delle proprie sedi. L’esercizio di tale
attività presuppone l’iscrizione ad un Albo Nazionale, previa il
superamento di un esame a cura d’apposite commissioni regionali
tenute presso le Camere di Commercio, di nomina Consob.
Attualmente l’attività del P.F. è disciplinata dal Testo Unico della
Finanza e da una serie di Regolamenti Consob molto precisi, che ne
attuano di fatto un controllo molto severo nel rapporto con la clientela e
negli obblighi di esercizio della stessa attività, pena sospensioni e/o
11
radiazione dall’Albo. Ciò ha determinato, nei fatti, un primo grande
cambiamento nelle modalità di collocamento dei prodotti finanziari ,
creando una discontinuità con la precedente attività “porta a porta” di
alcuni venditori specializzati che agivano per conto di società
fiduciarie, in attività dalla metà degli anni ’70. Il legislatore voleva in
sostanza venire incontro alle mutate esigenze del mercato del risparmio,
dettate in primis dalla necessità di evitare esperienze precedenti poco
edificanti come i crack di alcune società finanziarie (Europrogramme,
OTC ecc.), avvenute in Italia a danno di molti risparmiatori per la
mancanza di norme chiare nella sollecitazione del risparmio pubblico e,
in secondo luogo, per seguire l’esperienza positiva del mercato
finanziario statunitense, laddove figure professionali simili ai promotori
finanziari stavano ormai da anni realizzando importanti risultati nella
pianificazione finanziaria delle famiglie.
Dall’introduzione della legge 1/91, buona parte dei gruppi bancari ed
assicurativi italiani hanno creato reti di vendita formate da promotori
finanziari con contratti d’agenzia, attraverso due modalità: costituendo
una S.I.M., quindi un soggetto giuridico a sé, che distribuisce i suoi
servizi esclusivamente attraverso i promotori, oppure creando una rete
interna alla banca (soluzione meno praticata per i problemi di
coordinamento e di concorrenza interna alla banca fra gli sportelli ed i
promotori).
Le finalità perseguite con la scelta di avvalersi anche di questo specifico
canale sono varie e si possono così riassumere:
a) la necessità di sviluppo orizzontale del portafoglio clienti, attraverso
l’acquisizione di nuova clientela, tanto nelle zone tradizionalmente
presidiate quanto in quelle di nuova espansione, nelle quali l’azione di
sviluppo del promotore poteva efficacemente affiancare e anche
12
anticipare, se non addirittura sostituire, la presenza di sportelli della
banca;
b) l’assistenza e la consulenza ai clienti, per consolidarne la fiducia con
un rapporto continuo e realmente personalizzato;
c) lo sviluppo di clientela marginale, ma di alta potenzialità o di
clientela attiva su di una gamma ristretta, ma mirata, con servizi ad alta
redditività;
d) lo sviluppo commerciale di particolari tipologie di prodotto o
particolari segmenti di nicchia del mercato;
e) una strategia di marketing che, sviluppando clientela di target
elevato in un’ottica di personalizzazione del servizio, aumentava le
masse con prodotti prevalentemente di risparmio gestito, in alternativa
ai tradizionali strumenti di deposito e di raccolta in vigore nel decennio
precedente (titoli di stato, certificati di deposito bancari), tipici del
rapporto con gli uffici titoli delle filiali.
Molte delle SIM costituitesi agli inizi degli anni ’90 si sono poi
trasformate in Banche (vedi la fusione di Fideuram SIM con Banca
Manusardi per dar luogo all’attuale Banca Fideuram), grazie all’utilizzo
delle nuove tecnologie, che hanno permesso l’utilizzo dei servizi
bancari anche in assenza di agenzie diffuse su tutto il territorio. Ciò ha
consentito altresì lo sviluppo di sportelli “leggeri” per supportare la rete
dei promotori nella gestione dei conti correnti, dei servizi accessori e
nelle operazioni in titoli. In quest’ottica il mercato si è così ampliato, si
è concentrato intorno alle Reti più importanti, ed oggi più della metà dei
promotori attivi opera per conto delle prime cinque-sei società (Banca
Fideuram, Xelion Banca, Banca Generali, Banca Mediolanum, Azimut,
RasBank).
13
1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei
prodotti finanziari.
Prima della nascita della figura del P.F., il mercato finanziario
conosceva, come si è detto, figure di venditori (si definivano allora
impropriamente consulenti finanziari) reclutati per lo più dalle Società
fiduciarie di Istituti Bancari ( Fideuram era la società fiduciaria del
Gruppo IMI già dal 1970 ), allo scopo di collocare esclusivamente
alcuni tipi di prodotti finanziari innovativi che in Italia stavano
entrando, dopo alcune esperienze di collocamento attraverso
multinazionali americane (IOS). I primi fondi comuni erano di diritto
lussemburghese (Fonditalia, Interfund, ISF, Italfortune ecc.), strumenti
collettivi di gestione del risparmio già attivi in Europa e, sull’onda del
successo già avuto da analoghi strumenti negli USA, divenuti attraenti
per i risultati che riuscirono a realizzare in quegli anni.
La logica dei venditori reclutati da queste società pionieristiche
(Fideuram, Dival), era soprattutto quella di collocare quel tipo di
prodotti nella cerchia dei clienti potenziali più evoluti ed informati
(professionisti, lavoratori autonomi ecc.) e soprattutto nelle famiglie
che affidavano loro i risparmi sulla base del prestigio e del carisma del
consulente (spesso uscito dalle Banche per intraprendere quel tipo di
attività in proprio) e quindi in possesso di un bagaglio di fiducia già
acquisito in precedenti rapporti.
Si trattava della vendita di un prodotto finanziario innovativo, quindi,
presentato con brochure e grafici sulle caratteristiche e sui rendimenti
fino ad allora realizzati, ma soprattutto frutto di un impatto nuovo con
14
un risparmiatore disinformato, tradizionale, timoroso e nello stesso
tempo sognatore, sospettoso di ogni novità che potesse in qualche modo
mettere a rischio il risparmio faticosamente accumulato, ma attratto da
rendimenti molto interessanti. Di fronte a questo difficile mercato, il
venditore di prodotti finanziari dei primi anni ’80 veniva reclutato e
successivamente addestrato, più che per conoscere il mercato
finanziario e l’offerta esistente dei prodotti bancari e postali, per
attrezzarlo con tecniche di vendita persuasiva particolarmente
aggressive (ad imbuto) che, in ogni caso, presupponevano un duro e
paziente lavoro di contatto con il mercato per ottenere un risultato. Una
palestra importante di vita e di relazioni, una dura selezione fatta dal
mercato, nella quale i più assertivi e professionali (oltrechè onesti)
hanno saputo forgiarsi ed hanno gettato le basi per una dimensione
professionale futura di grande utilità sociale ed economica. Pochi
“consulenti” a quel tempo possedevano uffici propri, le riunioni di
formazione venivano effettuate dai Manager negli alberghi ed il training
consisteva in ripetuti “role playing” per testare il livello di autonomia
del neo-reclutato ad affrontare il potenziale cliente da solo, senza il
supporto del supervisore di gruppo. Si analizzavano in sostanza le
tecniche per la telefonata (con l’unico scopo di avere un appuntamento),
per l’approccio iniziale (tendente a rompere il ghiaccio), per la vendita
dell’intervista (allo scopo di rilevare le principali esigenze del cliente e
la sua posizione finanziaria), per la successiva presentazione del
prodotto (in realtà erano inizialmente uno o due fondi comuni in forma
unica o attraverso Piani d’accumulo mensili) e soprattutto per il
superamento delle obiezioni necessarie per poi concludere la trattativa
con la firma della proposta di investimento. Importantissima in quel
contesto era poi, dopo la conclusione del contratto e l’inizio del
rapporto con il nuovo cliente, la richiesta di altri nominativi (conoscenti
e/o parenti) per alimentare delle referenze attive in grado di agevolare il
compito del consulente nel pianificare il suo lavoro di nuove telefonate