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INTRODUZIONE
Il percorso intrapreso da Jean-Luc Marion si pone come obiettivo una nuova
filosofia dell’uomo, ottenuta attraverso il ribaltamento delle tradizionali
categorie di pensiero. Il suo itinerario all’interno della fenomenologia ha come
presupposto l’apertura incondizionata all’intuizione dei fenomeni, come
Husserl; inoltre, caratterizza il fenomeno come ciò che si manifesta in se stesso
e secondo la propria iniziativa, a partire da un’origine non disponibile, come
Heidegger. Marion, però, va ben oltre i limiti imposti dalla coscienza imposti da
Husserl e la dipendenza dall’apertura dell’essere che contraddistingue il
pensiero di Heidegger. Per questa ragione, riconduce l’apparire del fenomeno
alla sua libera iniziativa di darsi all’interno di una donazione incondizionata, che
travalica i limiti imposti da un orizzonte e precede ogni iniziativa, compresa
quella dell’essere. La donazione si configura come qualcosa di anteriore ed
originario, che squalifica ogni pretesa trascendentale del soggetto, fondandolo
come adonato, colui che si riceve a partire dalla donazione del fenomeno.
Il primo capitolo funge da “introduzione fenomenologica”: si mette in luce la
necessità di ricavare un nuovo spazio in cui poter filosofare e concepirsi a
partire dal superamento della concezione tradizionale di “metafisica” e della
conoscenza di tipo causale-oggettuale. Lo spazio della donazione si pone al di là
di ogni costruzione ontoteologica di reciproca fondazione tra l’ente comune e
l’ente per eccellenza, rinviando ad una istanza originaria segnata da una
profondità e da uno scarto, rispetto ad ogni costruzione epistemologica e mira
4
intenzionale. Inoltre, approfondisce e delinea le caratteristiche della donazione a
partire dal principio “tanta riduzione, quanta donazione”. Tale principio
riconduce ogni datità all’atto della donazione delineando, contemporaneamente,
sia un processo della massima immanenza sia l’attraversamento di una certa
distanza. Questa peculiarità è dovuta alla piega del dato che, da un lato ne
preserva l’origine oscura e lo scarto, dall’altro fa in modo che il lascito della
donazione sia incondizionato e che il dato, quindi, porti con sé il segno della
donazione da cui proviene. La piega rende conto di un’origine imprevedibile,
che allarga al massimo le possibilità del fenomeno, per cui questo si situa al di là
di ogni orizzonte di definizione. Marion propone un cambio di prospettiva, che
lascia libero accesso ad un fenomeno saturo di intuizione non costituibile come
oggetto né sottomesso al controllo di un concetto, ma che si impone come
contro-esperienza fondandomi come adonato.
Il secondo capitolo si concentra sulla figura dell’adonato e della ridefinizione
che il fenomeno saturo gli impone. L’adonato è colui che risponde alla chiamata,
figura fenomenologica della donazione che dà un lato ne fa il salvatore dei
fenomeni, dall’altro lo costituisce secondo un ritardo irriducibile. Il fenomeno
saturo è in più rispetto alla sua ricezione e al suo responsorio: la donazione dona
a fondo perduto, lascia libero sviluppo al fenomeno, uno sviluppo che non
esclude mai una nuova possibilità. La riduzione alla donazione ci rende
l’apparire come un paradosso, che supera ogni schema trascendentale del
soggetto, ogni sua costruzione per imporsi come contro-esperienza che mi guida
5
nella ricezione del fenomeno attingendo la sua possibilità dall’incondizionato.
La perdita della funzione trascendentale comporta una nuova visibilità del
fenomeno che l’adonato non può costituire come oggetto, ma del quale riceve
gli effetti della donazione: deve guardare meno per vedere di più, ricevere
l’effetto non-visibile oggettivamente della donazione.
Il terzo capitolo si occupa del confronto con l’altrove della donazione rispetto
al quale risulto dato. La donazione mi rinvia ad un altro da me, a ciò che non
posso controllare, che possiede il mio sé e me lo dona. L’altro come luogo del sé
entra in gioco nel fenomeno erotico. Marion designa l’amore come dimensione
originaria, anteriore al pensiero e all’essere, che mi fornisce la rassicurazione di
essere amato. Una rassicurazione che non posso produrre da me stesso, ma che
richiede il mio decentramento verso ciò che mi manca e verso cui tendo in virtù
del mio desiderio. Amare è atto che si fa in prima persona e che,
conseguentemente, mi individualizza, mi mette in gioco, mi spinge al luogo del
mio sé, verso l’altro che possiede ciò che mi manca. Una conferma e prova dei
risultati della fenomenologia di Marion è data dal raffronto con l’itinerario di
Agostino all’interno delle Confessioni: questo confronto fornisce il modo per
affrontare l’aporia del luogo del sé. Il mio luogo è un non-luogo, è il luogo
dell’altro che mi fornisce una nuova possibilità per raggiungere ciò che non
posso darmi da solo: io a me stesso. Per Agostino questo luogo è Dio, per
l’adonato il luogo è dato dalla donazione ed è continuamente da scoprire
secondo una sua nuova possibilità.
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CAPITOLO 1
DONAZIONE FUOR D’ESSERE
1.1Gli inizi della fenomenologia e il percorso dell’essere
Infatti non si supera un vero pensiero rifiutandolo, ma
ripetendolo, anzi prendendo in prestito da esso i mezzi per
pensare con esso al di là di esso. In questo modo anche il
fallimento riesce.
1
Con questa indicazione Jean-Luc Marion conclude l’introduzione di
Riduzione e donazione. Frase che appare esplicativa riguardo al percorso
intrapreso all’interno della fenomenologia dal filosofo francese e a cui ci
riferiremo per mostrare il modo in cui Marion riesca a riflettere sempre al di là
degli atteggiamenti teoretici e delle credenze tradizionali, per spingere la
fenomenologia fino alla sua possibilità ultima.
In questo senso, Marion non si arresta ad una interpretazione tradizionale e
alla lettera dei testi e degli autori che analizza, ma cerca di estrapolare sempre
nuove possibilità dalle loro concezioni fino a spingerli verso conclusioni
inizialmente imprevedibili. Ogni dottrina o posizione di pensiero viene condotta
all’estremo per ricavarne un nuovo risultato: Marion, così, ci trasporta dal
superamento della metafisica tradizionale al concetto di icona come “il visibile
che si satura di invisibile”, dall’essere come principio primo ad una dimensione
1
J. L. Marion, Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, trad. it. S.
Cazzanelli, Riduzione e donazione. Ricerche su Husserl, Heidegger e la fenomenologia, Marcianum Press,
Venezia 2010, p.29.
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originaria fuor d’essere in cui l’essere si figura come una co-incidenza
all’interno della più originaria donazione, dal soggetto trascendentale costituito
all’adonato che si riceve in ciò che si dà.
Ecco pochi esempi del ribaltamento delle categorie tradizionali di pensiero
che portano Marion a rovesciare le acquisizioni della filosofia di stampo
metafisico, tramite una fenomenologia della donazione che spinge alle estreme
conseguenze i risultati di Husserl e Heidegger.
Già L’idole et la distance (1977) segna lo scarto rispetto alla concezione
tradizionale di “metafisica” come costruzione ontoteologica (idea che Marion
riprende da Heidegger) e al sapere di tipo oggettuale-causale che, incarnandosi
nella figura idolatrica del divino, lo rende conoscibile e accessibile alla maniera
di qualunque ente. Questa opera segna chiaramente una prima tappa nel percorso
di creazione di un nuovo spazio caratterizzato dalla distanza, uno spazio non-
idolatrico in cui potersi concepire e filosofare a partire da un’irriducibilità al
principio primo; in cui ci scopriamo già costituiti anteriormente e rispetto al
quale ogni definizione risulta provvisoria e transitoria, necessitante di
un’ermeneutica infinita in una distanza che, appunto, non può essere definita ma
soltanto percorsa. Si tratta di una distanza che, in questa opera, emerge
soprattutto a livello teologico, a partire dalla concezione di Dio come idolo e
dalla sua costruzione ontoteologica: concezione che attraversa quasi per intero la
storia della filosofia.
8
Marion effettua l’abbattimento di questa concezione idolatrica ripercorrendo
il pensiero di alcuni autori. Innanzitutto, esamina l’opera di Nietzsche, il primo
ad aver tematizzato la produzione di idoli da parte dell’uomo. Nel celebre
aforisma 125 della Gaia Scienza
2
egli espone la morte di uno dei tanti idoli di
Dio creati dall’uomo, il Dio del cristianesimo e della morale, specchio della
visione e della forma che l’uomo gli conferisce, un “dio troppo umano”: «la
morale squalifica il proprio idolo appunto perché essa sola ne ha fatto il valore.
E, in questo movimento, l’ha mortalmente visto».
3
Il superamento dell’idolatria
comporta la decisione di abitare uno spazio non-idolatrico in cui non siamo noi a
stabilire il rapporto o ad instaurare la relazione: in questo senso Nietzsche
denuncia il sistema idolatrico del divino e la sua creazione da parte dell’uomo,
ma resta idolatra. Egli espone il sistema metafisico all’interno del quale Dio
viene concepito, ma non riesce a tirarsene fuori: la volontà di potenza e l’eterno
ritorno ripropongono la stessa struttura ontoteologica della metafisica, non
ammettono la distanza e l’assenza di un Dio che viene sempre concepito
all’interno della dimensione dell’essere e a partire dall’ente sensibile. Non riesce
a pensare nella distanza: «La distanza nietzscheana finisce solo col censurare la
distanza di Dio, di più, con l’obliterarla, nell’evidenza testuale,
sostituendovisi».
4
Ed ancora «la sua distruzione dell’idolo apre, più che un
deserto, lo spazio anonimo per un’invasione anarchica del divino».
5
La
2
Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza e idilli di Messina, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 1977.
3
J. L. Marion, L’idole et la distance. Cinq études, trad. it. di A. Dell’Asta, L’idolo e la distanza, Jaca Book,
Milano 1977, p. 44.
4
Ivi, p. 78.
5
Ivi, p. 85.
9
distruzione di ogni idolo conduce così alla sua creazione da parte dell’uomo
come Dio di volontà, a immagine e somiglianza dell’uomo, da lui facilmente
raggiungibile, riproponendo così il «sistema onto-teo-logico di fondazione
reciproca tra l’ente per eccellenza e l’ente comune».
6
Scarto, spazio, ritiro e distanza sono espressi prima da Hoelderlin e dal suo In
Amabile azzurro
7
: «nessuna visibilità si mostra con una figura, senza che un
ritiro la preceda per accoglierla. Questo sfondo in cui prende forma il luogo del
Padre, è dunque abisso. Come un cielo sostiene le immagini che vi si
delineano».
8
Così sorge l’immagine dell’invisibile; essa si delinea solo a partire
dal ritiro di un’istanza altra che le conferisce visibilità allo stesso modo in cui il
cielo ritirandosi e ponendosi come sfondo rende possibile il sorgere e il
delinearsi di ogni figura.
Si tratta di una distanza che è caratterizzata, secondo Dionigi, da una doppia
impensabilità: da un lato Dio ci supera in quanto in totale supremazia sul
semplice ente, dall’altro, per difetto, dobbiamo fare i conti con la sua assenza.
Ogni possibile rapporto con il divino è, di conseguenza, da concepire nel ritiro e
nell’assenza, per cui si rivela non soltanto irriducibile ad ogni nostra
rappresentazione, ma ci precede secondo anteriorità e in una distanza che non
siamo più noi a concepire e in cui ci ritroviamo consegnati e donati. La
reciproca dipendenza della costruzione ontoteologica viene superata secondo
una gerarchia che non prevede un rapporto simmetrico, ma che nasconde la sua
6
J. L. Marion, Le Visible et le révélé, trad. it. di C. Canullo, Il visibile e il Rivelato, Jaca Book, Milano 2007, p.
72.
7
Cfr. Hoelderlin, Liriche, ed. it. a cura di E. Mandruzzato, Adelphi, Milano 1977.
8
J. L. Marion, L’idolo e la distanza, cit., p. 95.
10
origine asimmetrica, irriducibile e originaria, che si manifesta e si compie
soltanto donandosi all’ente. All’idolo bisogna sostituire l’icona, immagine non
fine a se stessa, ma che rinvia all’origine secondo un ritiro che accoglie il
visibile come immagine dell’invisibile. Si tratta di uno spazio che si apre nella
distanza, secondo uno scarto ed un rinvio ad un’istanza altra da noi, che ci
precede e che resta irriducibile rispetto ad ogni nostra costruzione.
In Dieu sans l’être (1982) questa inversione di marcia segna un ulteriore
passo in avanti: Dio viene concepito prima di ogni iniziativa, compresa quella
dell’essere. È la definizione di Dio da parte dell’uomo come essere supremo e
perfettissimo che provoca sviamenti e produce ogni sua concezione idolatrica:
l’intento diventa quello di pensarlo al di fuori dell’essere, anzi di ritrovarci ad
essere pensati a partire dalla sua iniziativa. Segno di questa distinzione è la
differenza tra idolo e icona.
L’idolo è ciò che si vede e cattura la vista con il suo splendore, provoca un
certo abbagliamento, che non ci spinge ad andare oltre e ci costringe ad
arrestarci ad un primo visibile, designando, in tal modo, una carenza della
nostra mira, che si limita a ciò che lo sguardo umano può raggiungere: un idolo
commisurato a se stesso.
Nell’icona, invece, il visibile si satura d’invisibile, anche se non appare in
questo. A differenza dell’idolo, non costringe lo sguardo ad arrestarsi al primo
abbagliamento, ma lo spinge ad andare oltre, a superarsi, a non fermarsi ad una
11
prima visibilità per tentare di giungere a ciò che resta invisibile, ci rinvia ad altro
da sé, ad un fondo che resta non-mirabile a partire dalla nostra intenzione.
Qui si opera l’inversione di marcia: non è il mio sguardo a prendere
l’iniziativa puntando a definire, demarcare chiaramente il proprio idolo, ma è
esso stesso che si ritrova preso, indirizzato verso un’icona che lo mira, che apre
la nostra vista per dirigerla in profondità, chiamandola ad attraversare una
distanza da cui proviene l’invisibile: «l’icona è definita da un’origine senza
originale: un’origine essa stessa infinita, che si riversa o si dona per tutta
l’infinita profondità dell’icona».
9
La misura dell’icona è la sua infinita
dismisura, per cui «non più l’idolo visibile come specchio dell’invisibile del
nostro sguardo, ma il nostro viso come specchio visibile dell’invisibile».
10
Non è più il mio sguardo che guarda (regarde), ma il mio sguardo che si
ritrova visto, trascinato, preso, coinvolto nella contro-mira dell’icona che lo
destina a percorrere una distanza in profondità dalla quale si origina l’invisibile.
Risulta del tutto vano ogni tentativo di definizione, di inquadramento, di
concettualizzazione attraverso cui pretendiamo di descrivere e inglobare tutta la
realtà; si ritrova del tutto screditata, secondo questo orientamento, la pretesa
ossessiva di fondare la nostra concezione sul principio dell’essere, principio che
domina e a cui ogni manifestazione si trova ricondotta, ma che non ha prodotto
altro che idoli, visioni degradate e, a partire dal nostro punto di vista, tali da
rivelarsi del tutto limitate e infinitamente superate.
9
J. L. Marion, Dieu sans l’être. Hors texte, trad. it. di A. Dell’Asta, Dio senza essere, Jaca Book, Milano 1987,
p. 35.
10
Ivi, pag. 37.
12
Si tratta di una squalifica dell’essere che è effettuata in campo teologico, ma
che viene trasposta in campo fenomenologico con Réduction et donation.
Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie (1989). Qui il
riferimento obbligatorio, come sottolineato anche dal titolo, è ai due maestri
della fenomenologia e l’operazione di Marion consiste nel pensare al di là delle
loro conclusioni, nel dischiudere la via a delle possibilità a cui essi avevano
apparentemente sbarrato la strada, nell’usare il pensiero di uno per andare oltre i
limiti dell’altro. Il nuovo inizio della filosofia attraverso il metodo
fenomenologico elaborato da Husserl e portato avanti da Heidegger si arresta di
fronte al problema dei problemi, alla questione delle questioni: la dimensione
dell’essere. Marion asseconda lo sviluppo delle riflessioni di questi due baluardi
del pensiero fenomenologico per mostrare, come essi stessi ci dirigano oltre ciò
a cui hanno creduto di arrestarsi, in modo tale da fornirci mezzi e strumenti per
superarli. In questo senso Réduction et donation si presenta come il cammino da
percorrere per arrivare prima, al di là e fuori dall’essere, seguendo gli indizi
fornitici dall’essere stesso nella sua manifestazione, il Dasein.
È un pensare fuori dall’essere oltre la mancata conclusione di Sein und Zeit, la
mancata risposta alla Seinsfrage, l’aporia sul senso dell’essere. Pensare oltre
Husserl e Heidegger, giungere ad un’istanza anteriore e irriducibile all’essere,
ridurre datità del fenomeno ad una donazione pura, assoluta e incondizionata, è
qualcosa che ci conduce, quindi, fuori dall’essere seguendo il percorso
dell’essere stesso.