2
valore economico della fedeltà hanno confermato tale
tendenza
3
.
Inoltre i mercati attuali sono saturi, poco dinamici e i clienti
nuovi si attraggono o prendendoli alla concorrenza oppure
puntando su nuovi potenziali acquirenti. Compito affatto
semplice perché oggi il cliente razionalizza i suoi acquisti, sa
cosa offre il mercato e ha imparato a dire no, senza considerare
che spesso i consumatori più disponibili a cambiare fornitore
sono i meno redditizi: poco fedeli, attratti dal prezzo più basso,
talvolta cattivi pagatori. Meglio lasciarli alla concorrenza
dunque.
A queste difficoltà vanno aggiunti i costi di acquisizione che
un’insegna deve sostenere per convincere un consumatore a
scegliere un proprio prodotto o servizio; pubblicità,
promozioni, sconti speciali, ricerche e marketing sono solo
alcune delle spese e, a fronte di esse, le entrate procurate dai
nuovi acquirenti potrebbero non costituire un profitto.
Mantenere i clienti esistenti, dunque, è un’attività molto meno
costosa perchè non necessita grandi investimenti e rende molto
di più: basta curare i consumatori, prestare loro attenzione e dar
loro vantaggi (sconti, promozioni, premi fedeltà). Per
mantenere i vecchi clienti, l’insegna non deve far altro che
continuare le proprie attività, mentre, per acquisirne di nuovi, si
deve impegnare a “fare qualcosa in più”. E, naturalmente,
meglio di quanto non lo facciano i suoi concorrenti.
Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla propensione alla
spesa che aumenta con l'aumentare del periodo di fedeltà. I
clienti fedeli permettono di conseguire margini di profitto più
importanti perché tendono a incrementare i propri volumi di
acquisto. Il consolidarsi della relazione permette al retailer di
essere sempre più efficace nella soddisfazione del cliente
grazie al processo di apprendimento continuo delle sue
aspettative che lo rende disposto a sostenere una moderata
3
Daccò M., 1997.
3
differenza di prezzo (premium price) pur di non incorrere nei
necessari costi di cambiamento che derivano dalla sostituzione
di un fornitore, incrementando la convinzione del cliente che
l’insegna gli offre qualcosa che la concorrenza non può dare .
E’ quindi il consumatore veramente fedele ad essere meno
vulnerabile alle azioni di marketing della concorrenza: il
riacquisto avviene senza neanche considerare le alternative di
mercato disponibili, anche se potrebbero offrire un valore
superiore a quello garantito dall’impresa scelta. Non solo non
si verifica la ricerca attiva di alternative d’offerta, ma, in
genere, anche l’attenzione alle offerte dei concorrenti diventa
selettiva grazie all’inezia cognitiva creata dalla fedeltà.
Contemporaneamente si abbattono i costi di gestione dei
clienti: la maggior conoscenza delle offerte e dei servizi si
traduce in una minor richiesta di assistenza. Quando i clienti
ripetono l’acquisto una seconda, una terza, una quarta volta,
conoscono già cosa offre il negozio, dove si trovano i punti
vendita e quali merci o servizi sono disponibili, quindi il
retailer non ha bisogno di investire in pubblicità per attrarli.
Quando ritornano, perciò, non ci sono costi da sostenere, o
comunque sono ridotti; di conseguenza, sono solo fonte di
profitto.
Inoltre, i clienti fedeli mettono in moto un circolo virtuoso
basato sul passaparola e sulla trasmissione della fedeltà, per cui
agevolano la conquista di nuovi clienti a costi bassi. Le persone
che comprano perché consigliate dal passaparola di un
conoscente tendono infatti ad essere più fedeli di quelle che
comprano convinte dalla pubblicità.
In conclusione, ogni insegna dovrebbe ricordare che il valore
della customer loyalty non è temporale o situazionale: i clienti
fedeli sono sempre vantaggiosi e apportano una serie di
benefici concreti perché condizionano direttamente la
redditività, l’immagine e il clima dello store.
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Implementando politiche di fedeltà l’impresa può dunque
conseguire contemporaneamente tre obiettivi :
1) generare profitto, necessario per sostenere strategie di
crescita;
2) accrescere la soddisfazione dei clienti sul piano dell'offerta
e su quello della relazione;
3) aumentare la store loyalty e con essa il proprio potere di
mercato sia orizzontale, sia verticale.
Ecco perché è indispensabile che i retailer si attivino al fine
di sviluppare nell’acquirente una fedeltà vera, stimolando il suo
coinvolgimento emotivo, il suo attaccamento psicologico e la
sua dedizione verso l’insegna.
Per capire quali dinamiche portano alla creazione di un
legame così solido è stato deciso di analizzare una serie di
modelli che descrivono, sotto diversi punti di vista,
l’evoluzione del rapporto tra clienti e impresa. Tali schemi,
descritti nel primo capitolo, prendono in considerazione il
legame non più lineare esistente tra soddisfazione e fedeltà ed
evidenziano come esso influisca sulle scelte dei consumatori
che, nell’arco di pochi decenni, si sono ritrovati circondati da
un’offerta sovrabbondante. Per ovviare a questo inconveniente
gli autori studiati suggeriscono di conoscere sempre meglio i
propri clienti, per garantire un’offerta che soddisfi appieno le
loro aspettative ed i loro desideri. Nasce così il servizio ai
clienti, con lo scopo di ascoltarli, raccogliere suggerimenti e
reclami e fornire loro l’assistenza necessaria per scegliere un
prodotto, conoscerlo ed utilizzarlo correttamente. A questo
servizio si sono affiancati poi i programmi fedeltà, ideati per
“educare” il consumatore a comportamenti fedeli verso
l’insegna, e le carte fedeltà, uno dei mezzi di maggior successo
per legare efficacemente l’acquirente allo store, entrambi
approfonditi nel secondo capitolo. Questi espedienti
consentono ai distributori di conoscere nel dettaglio le abitudini
5
di acquisto e di consumo dei clienti, permettendo così
un’adeguata segmentazione e soddisfazione della domanda.
In questo senso alcune insegne si sono dimostrate abilissime e
sono state riportate come esempio nell’ultimo capitolo.
Sisa, per esempio, punta a soddisfare i clienti che mirano al
risparmio, offrendo ai titolari della carta offerte esclusive; sulla
stessa scia si pone Esselunga che, avendo un target di clienti
giovani con una situazione economica media, ha creato un
network con partner che possono offrire sconti su prodotti di
uso quotidiano, come la benzina.
Ikea, invece, punta sul lato relazionale e ludico del rapporto
con i clienti, sviluppando in essi la sensazione di appartenere
ad una grande famiglia grazie alla Family card e agli
appuntamenti mensili che organizza.
Coin svolge periodicamente questionari di customer
satisfaction per verificare se i propri clienti sono veramente
contenti di quello che offre.
Coop, infine, si focalizza sul coinvolgimento totale degli
acquirenti fedeli, grazie alla diffusione di valori quali la
solidarietà e la genuinità, e la possibilità per i clienti di
diventare dei veri soci dell’azienda, attraverso la sottoscrizione
della carta.
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7
Capitolo 1
I modelli di customer loyalty
1. Gli antecedenti della fedeltà: la soddisfazione, il valore, il
commitment
La soddisfazione è il principale motore della fedeltà del
cliente. Essa si crea attraverso la focalizzazione dei processi
aziendali sul valore offerto con l’obiettivo di avvicinare il
retailer ai consumatori, creando un rapporto personale con
ciascuno di essi.
Possedere un prodotto deve essere un’esperienza gratificante
e memorabile per l’acquirente se si vuole ottenere la sua
soddisfazione, specialmente oggi che, a causa della vasta scelta
di prodotti, marche e prezzi, i consumatori scelgono l’impresa
che sa esaudire meglio le loro aspettative.
Affinché si sviluppi la customer satisfaction, il cliente deve
percepire la proporzionalità tra i benefici ricevuti e i costi dello
scambio, tra il valore offerto dall’impresa e quello che egli
stesso le offre. Una sensazione di scarsa equità infatti lo porta a
convincersi che l’impresa adotta comportamenti opportunistici,
e questo abbassa il livello di soddisfazione, soprattutto nei
clienti acquisiti rispetto a quelli occasionali.
L’importanza della soddisfazione del consumatore, quale
presupposto della fedeltà, richiede un costante impegno alla
comprensione del comportamento del cliente, in particolare
all’analisi delle sue aspettative, del suo sistema percettivo,
delle sue mappe valutative in relazione al posizionamento delle
alternative e delle sue reazioni ad esse.
Una persona che deve scegliere se attribuire o meno la
propria fiducia ad uno store giudicherà le esperienze che ha
avuto con esso, ed è su queste che il retailer deve dare il
proprio meglio, concentrandosi sulla qualità che offre. I
consumatori sono generalmente disposti a sopportare alcune
8
valutazioni negative prima di esprimere una insoddisfazione
netta, aspettando l’equità di valore nel lungo periodo. Ma la
relazione tra impresa e cliente può diventare duratura solo se
l’impresa riesce ad assecondare pienamente le aspettative dei
clienti e aumenta l’importanza della qualità dell’offerta.
La scarsa qualità dei prodotti o servizi non costituisce tuttavia
l’unico fattore di insoddisfazione. Spesso l’errore è stato
compiuto dall’insegna nello scegliere i clienti sbagliati o
nell’attuare le strategie che non sono riuscite ad attrarre i clienti
giusti.
Nel primo caso, l’azienda che cerca di trattenere clienti
impossibili da soddisfare spreca tempo e denaro perché questi
continueranno a richiederle risorse superiori o differenti
rispetto ai benefici che possono apportare, danneggiando
inoltre lo stato d’animo degli impiegati a contatto con il
pubblico e screditando l’azienda agli occhi degli altri possibili
acquirenti.
Nel secondo caso, il livello di soddisfazione del target giusto
dipende dalla qualità dei prodotti o servizi usati e, per
incrementarlo, bisogna far leva su quattro fattori: gli elementi
di base del prodotto o servizio che il cliente si aspetta che gli
vengano offerti da tutte le imprese concorrenti; i servizi
aggiuntivi di base, come l’assistenza ai clienti, che rende il
prodotto o il servizio più facile da usare; la compensazione
delle brutte esperienze e i servizi aggiuntivi capaci di
soddisfare le esigenze personali dei clienti.
La maggior parte dei clienti, quando inizia un rapporto con
un’azienda, non ha esperienze negative o positive, ma solo
aspettative, che, se non vengono corrisposte fin dall’inizio,
potrebbero convincerlo a troncare la relazione. La fedeltà,
infatti, non è legata ad una singola esperienza di "contatto" con
l'azienda, ad una soddisfazione istantanea: per avere un
comportamento fedele è necessario che alla soddisfazione
contingente del cliente si affianchi una sequenza di esperienze
9
positive, ossia la soddisfazione cumulata
4
, vero capitale
intangibile che l'impresa costruisce e deposita nella mente dei
propri clienti.
Non bisogna commettere l'errore di ritenere soddisfatto un
cliente fedele né la soddisfazione un elemento necessario e
sufficiente per assicurarsi la retention dei clienti: come molti
autori sottolineano, infatti, la soddisfazione è sicuramente un
elemento indispensabile per rafforzare il legame con gli
acquirenti, ma i due fattori non sono direttamente
proporzionali. Osserva Reichheld
5
che un numero di
consumatori compreso tra il 65% e l’85% di quelli che
abbandonano l’impresa sono comunque abbastanza soddisfatti
delle prestazioni ricevute. Viceversa, dei clienti insoddisfatti
posso ripetere gli acquisti presso una certa azienda a causa
degli elevati switching cost dovuti alla scelta di un nuovo
partner commerciale.
Le variabili che intervengono nel processo di sviluppo della
fedeltà sono dunque molteplici, e non sempre legate al lavoro
dell’insegna: vincoli geografici, legali, economici, temporali,
gap di conoscenza, una diversa cultura o ideologia o l’impatto
psicologico, convincono il cliente ad accettare livelli più bassi
di qualità rispetto alla concorrenza pur di non rinunciare alla
relazione.
Va inoltre sottolineata l’importanza della continuità della
relazione con il cliente, e quindi della componente fiduciaria
nei rapporti di mercato, perché essa consente di realizzare
prodotti che si adattino alle esigenze del consumatore. Più
l’offerta è personalizzata infatti, maggiore sarà la difficoltà per
i concorrenti di imitare l’ampiezza della gamma di prodotti o la
flessibilità di adattamento alle richieste della clientela. Ma
limitarsi semplicemente a soddisfare i clienti, oggi che godono
di ampia libertà di scelta, non è più sufficiente per conservarne
4
Busacca A., 1998.
5
Reichheld F. F., 1993
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la fedeltà: bisogna offrire qualcosa in più. Non è più possibile,
infatti, vendere solo il prodotto, esso deve essere parte di un
pacchetto totale, composto da comfort, convenienza e
affidabilità permanenti per l’intero ciclo di possesso e che
rappresentano il valore aggiunto.
Aggiungendo valore l’insegna differenzia la propria offerta da
quella della concorrenza e incoraggia la fedeltà, perciò essa
dovrebbe studiare tutti i suoi prodotti per capire come
migliorarli.
Il valore, in termini tecnici, è dato dalla differenza tra il
valore totale per il cliente, cioè l’insieme dei benefici o
vantaggi che egli può trarre dalla transazione, e il costo totale
per il cliente, ossia i costi monetari, il tempo impiegato per
l’acquisizione, apprendimento e l’utilizzo, così come i costi
psicologici e fisici.
In pratica, le persone decidono in continuazione cosa ha
valore per loro, in base ai loro gusti personali, alle loro
preferenze, a quello che cercano o vogliono. Perciò la
percezione del valore varia da consumatore a consumatore: uno
potrebbe preferire l’assistenza clienti, un altro potrebbe
apprezzare le idee e la cultura dell’impresa.
E non bisogna confondere il valore con il prezzo: il prezzo è
solo una parte del valore.
Le persone comprano per convenienza, selezione, desiderio, e
un milione di altre ragioni. È compito del distributore
individuare quali valori sono più importanti per ciascun cliente.
Per offrire maggior valore l’impresa può sfruttare la
comunicazione con i clienti in quanto, grazie ai flussi costanti
di informazioni resi possibili dalle tecnologie informatiche, è
possibile tracciare un customer profiling molto accurato,
captare l’attenzione dei consumatori e assicurarsi l’ascolto,
seguendoli e risolvendo i loro problemi.