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CAPITOLO PRIMO
Le politiche pubbliche: concetti e strumenti di analisi.
1.1 I policy studies in scienza politica: teorie e modelli.
La politica è, da secoli, oggetto di interesse e di riflessione di numerosi filosofi, storici e
studiosi. Tale interesse è comprensibile, vista e considerata l’importanza che la politica
riveste nella vita degli uomini. Ad essa, infatti, possiamo attribuire la realizzazione di
una serie di attività che comportano cambiamenti, positivi o negativi, sia nell’ambito
politico che in quello culturale, sociale ed economico delle nostre società.
Quindi, in maniera molto sintetica, la politica può essere definita come «l’insieme delle
attività, svolte da uno o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzate da comando,
potere e conflitto, ma anche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti al
funzionamento della collettività umana alla quale compete la responsabilità primaria del
controllo della violenza e della distribuzione al suo interno di costi e benefici, materiali
e non» (Cotta, Della Porta, Morlino, 2001, p.29).
La politica è, quindi, una sfera dell’agire umano, dalla quale si possono scindere tre
dimensioni. La prima è quella che va sotto il nome di politics.
Con il termine politics ci riferiamo allo studio del potere, considerato come l’attitudine
ad intervenire e influire sulle scelte fatte dagli individui (Cotta, Della Porta, Morlino
2001).
In linea generale, questo termine è utilizzato per designare tutti quei fenomeni, tra cui
lotta per il potere, competizione tra patiti politici, gruppi di pressione e persone in
genere, che vengono posti in essere, da uno o più individui, al fine di influenzare la
collettività e di rivestire funzioni di notevole rilevanza in seno ad un dato paese (Mèny,
Thoenig 2003).
Questa è la prima faccia della politica, all’interno della quale tutto ruota intorno al
potere, riconosciuto come fattore principale della vita politica ed elemento su cui si basa
l’agire dei politici di professione.
La seconda faccia, invece, concentra la propria attenzione su tutti quei fenomeni che
sono legati alla definizione della comunità politica e alle relative strutture e processi di
mantenimento e cambiamento che avvengono all’interno della stessa.
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Questa faccia, contrassegnata col termine polity, mette in evidenza il fatto che la
comunità politica non è una realtà stabile e inalterabile, in quanto è soggetta, nel tempo,
ad una serie di trasformazioni e innovazioni, di cui, queste ultime, a loro volta incidono
sulla vita politica (Cotta, Della Porta, Morlino 2001).
La terza faccia, infine, è quella che contrassegniamo con il termine policy, o politiche
pubbliche in italiano.
Questa dimensione concentra la propria attenzione sullo studio e sull’analisi di tutte
quelle scelte che vengono proposte, da singoli o da gruppi, al fine di poter affrontare e
risolvere, nel modo più conveniente possibile, tutti quei problemi che si presentano in
una data comunità (Cotta, Della Porta, Morlino 2001).
Nonostante l’enorme importanza di tutte e tre le componenti della politica sopra citate,
negli ultimi anni l’attenzione di molti studiosi di scienza politica si è concentrata
particolarmente sulla terza faccia, ovvero in quella che contrassegniamo con il termine
policy.
Infatti, proprio a partire dagli anni cinquanta negli Stati Uniti, e poi verso gli anni
settanta in Europa, si è sviluppato all’interno della scienza politica un importante settore
di studi, denominato scienza delle politiche pubbliche, che ha al centro il concetto di
policy o, per usare la traduzione italiana, di politica pubblica.
La scienza delle politiche pubbliche è quindi una disciplina relativamente recente,
diffusasi quando alcuni studiosi di scienza politica cominciarono a interessarsi al
rapporto fra i governi e i cittadini.
Tale disciplina fu fondata da Harold Lasswell e da altri studiosi americani ed inglesi,
con lo scopo di sostituire gli studi politici tradizionali, i quali erano fondati su ricerche
formali o ricerche strettamente legate al diritto, e integrare teoria e pratica.
Secondo lo studioso Lasswell una politica pubblica è «un programma di azione
proiettato verso il futuro che si basa sulla individuazione di obiettivi di valore e prevede
procedure e atti finalizzati al raggiungimento di questi» (Cotta, Della Porta, Morlino,
2001, p.438).
Lasswell in sostanza sottolinea l’aspetto programmatico e l’intenzionalità delle
politiche, le quali nascono direttamente dalla volontà di un’autorità governativa di
intervenire nella realtà culturale, sociale ed economica di una società, al fine di
migliorarla.
Lowi invece, che è un altro autore che ha dato un contributo importante a questo settore
di studi, concentra la sua attenzione sul ruolo che riveste la coercizione nelle politiche
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pubbliche e sul carattere normativo delle stesse. Egli sostiene che una politica pubblica
è una regola, stabilita da parte di una autorità governativa, che esprime la tendenza ad
influenzare il comportamento dei cittadini attraverso l’uso di sanzioni (Cotta, Della
Porta, Morlino 2001).
Da quanto detto da Lasswell e da Lowi si evince che le politiche non sono definite da
tutti allo stesso modo, ma nonostante ciò tutte le definizioni condividono un aspetto
fondamentale che è quello che le politiche sono il risultato di scelte e decisioni che
vengono prese da attori politici e non.
In maniera molto sintetica, quindi, una politica pubblica può essere definita come
l’insieme degli accorgimenti che vengono presi da parte di un’autorità pubblica nei
confronti di una data collettività o di un dato paese, con lo scopo di migliorare e
progredire (Cotta, Della Porta, Morlino 2001).
Per quanto concerne i tipi di politiche pubbliche, è importante dire che non esiste una
unica classificazione delle politiche, in quanto ne possono essere proposte diverse a
seconda delle esigenze di analisi e degli aspetti, caratterizzanti le politiche stesse, su cui
si concentra principalmente l’attenzione (Howlett, Ramesh 2003).
Negli studi politologici, tra le tante classificazioni di politiche, assumono grande
importanza quella proposta da Lowi
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e quella proposta da Wilson
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in quanto mettono
maggiormente in evidenza il fatto che, spesso, le politiche comportano sia vantaggi che
svantaggi, e ciò a sua volta comporta in una data società la nascita di conflitti tra i
membri della stessa.
Le politiche pubbliche, in sostanza, sono un fenomeno molto complesso da capire e
studiare, difatti, esistono diverse teorie che cercano di analizzare e spiegare i fenomeni
politici. Tali teorie si differenziano tra loro a seconda degli elementi su cui concentrano
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Theodore Lowi, concentrando la propria attenzione sul criterio della probabilità, distingue le politiche
tra politiche distributive, redistributive, regolative e costituenti. Le politiche distributive comportano
benefici su pochi individui e costi su tutta la collettività. Inoltre non comportano un ricorso diretto alla
coercizione. Le politiche redistributive, al contrario di quelle distributive, comportano benefici su
larghe fasce di cittadini, mentre i suoi costi possono essere ripartiti su molti o pochi. In esse il ricorso
alla coercizione è immediato. Le politiche regolative incidono in maniera diretta sulla vita dei cittadini.
Ad es. l’emanazione di una legge incide sulla sfera dei cittadini perché tutti devono rispettarla. Le
politiche costituenti non comportano un’immediata coercizione, e incidono su tutta la collettività
(Mèny, Thoenig 2003).
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Wilson, analizzando il grado di concentrazione o diffusione dei costi e dei benefici delle politiche,
distingue quattro tipi di politiche. Il primo tipo è quello dove sia i costi che i benefici derivanti da una
politica ricadono solo un piccolo gruppo di individui. Il secondo tipo è quello dove i benefici ricadono
su un piccolo gruppo di persone, mentre i costi su tutta la collettività. Il terzo, si caratterizza per il fatto
che i benefici derivanti dalla politica ricadono su tutti, mentre i costi sono sopportati solo da un piccolo
gruppo.
Infine il quarto tipo è quello dove sia i benefici che i costi, della politica stessa, ricadono su tutta la
collettività (Mèny, Thoenig 2003).
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la loro attenzione, a seconda del metodo di analisi da loro impiegato e cosi via (Howlett,
Ramesh 2003).
Ad esempio, prendendo come criteri base l’oggetto di analisi su cui le teorie
concentrano la propria attenzione, e il metodo di analisi da loro utilizzato per studiare
un determinato fenomeno, si possono individuare diverse teorie (Howlett, Ramesh
2003).
Sulla base del metodo di analisi le teorie si distinguono tra teorie deduttive e teorie
induttive.
Le teorie deduttive sono quelle che partono dal generale per poter giungere a studiare il
particolare, mentre, le teorie induttive, invece, al contrario di quelle deduttive, partono
dall’osservazione del particolare per poter poi giungere al generale.
Sulla base dell’oggetto di analisi, invece, le teorie si distinguono tra: teorie che
concentrano la loro attenzione sull’individuo, quelle fondate sullo studio dei gruppi e
dottrine che concentrano la loro attenzione sulle istituzioni.
Combinando questi due aspetti, ovvero metodo di analisi e oggetto di analisi, possiamo
individuare le seguenti teorie: il public choice; il marxismo; il neoistituzionalismo;
l’economia del benessere; il pluralismo/corporativismo e lo statalismo (Howlett,
Ramesh, 2003, p. 24 ).
La teoria della public choice, o scelta pubblica, si basa principalmente su tre presupposti
fondamentali.
Il primo è che, secondo questa teoria, il solo attore politico che conta è l’individuo, nel
senso che il singolo attore, politico o elettore, si lascia guidare dai propri interessi e
cerca sempre di ottenere il massimo dei vantaggi per sé.
In sostanza, questa teoria pone l’individuo al centro dell’analisi delle politiche, e lo
considera come soggetto capace di massimizzare le proprie scelte, cioè il politico
ragiona in termini di voti, ossia cerca di attuare politiche richieste dai suoi elettori,
consentendogli una sua riconferma alle prossime elezioni; e anche l’elettore ragiona allo
stesso modo del politico, ovvero quando andrà a votare sceglierà il politico che
accoglierà le sue richieste, indipendentemente su chi ricadranno poi i costi (Howlett,
Ramesh 2003).
In secondo luogo, la teoria della public choice insiste sulla distinzione tra beni pubblici
e beni privati. La differenza principale tra queste due tipologie di beni è che, i beni che
vengono prodotti dal mercato vengono richiesti direttamente dai consumatori, i quali li
ottengono dietro un corrispettivo che è dato dall’incontro tra domanda e offerta dei beni
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stessi; mentre i beni pubblici, a differenza di quelli privati, non vengono richiesti
direttamente dai consumatori, ma sono offerti dalle amministrazioni pubbliche
indipendentemente dalla loro richiesta. Questi ultimi, ovvero i beni pubblici, sono detti
beni indivisibili in quanto nessuno può essere escluso dal godimento di tale bene.
Un esempio classico di bene pubblico è l’illuminazione pubblica, bene dal cui
godimento non può essere escluso nessun soggetto, indipendentemente dal fatto che
esso contribuisca o meno a ciò.
In sostanza, dei beni e dei servizi pubblici se ne fanno carico le amministrazioni
pubbliche in quanto nessun privato produrrebbe mai dei beni che non sono direttamente
richiesti dalla collettività o dai consumatori.
Principalmente, gli obiettivi dei teorici di questa scuola sono: cercare di riuscire ad
identificare i beni pubblici in modo tale da misurarne i costi rispettivi, per poi imputarli
direttamente ai beneficiari; e trasformare gli apparati amministrativi, i quali, secondo
questi teorici devono essere in grado di poter soddisfare le preferenze individuali che
vengono espresse nei diversi contesti di una data società (Howlett, Ramesh 2003).
In terzo luogo, infine, la scuola della public choice concentra la propria attenzione sulla
questione relativa alla distribuzione delle risorse, le quali sono molto limitate.
In riferimento a ciò, lo studioso Olson aveva osservato che il soggetto-attore,
individualmente considerato, può godere di un bene collettivo senza dover sostenere
nessun costo, e dal godimento del quale non può essere escluso (fenomeno del free-
rider).
I beni collettivi, infatti, rappresentano un particolare caso di fenomeno di spill over, cioè
vuol dire di effetti di ricaduta di cui soffrirà o profitterà un dato gruppo o un dato
individuo (Mèny, Thoenig 2003).
Questa scuola di pensiero è stata molto criticata. La prima critica è che viene esaltata
troppo la figura del mercato. Però i sostenitori della public choice si difendono
dall’accusa di essere liberisti
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, sostenendo che la preoccupazione principale di tale
teoria sono le scelte collettive e non il mercato.
Un’altra critica, invece, viene mossa per il fatto che in tale filone le istituzioni sono
considerate dei meccanismi neutri, cioè lo Stato deve intervenire il meno possibile nelle
scelte economiche, poiché il mercato è capace da sé di correggere gli squilibri che si
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Il liberismo è una teoria economica che ha costituito il più importante e prestigioso indirizzo di politica
economica del diciannovesimo secolo. Questa teoria sostiene che l’unico stimolo per l’uomo a operare
nella sfera economica sia il proprio vantaggio personale. Nel nostro secolo il pensiero liberista è
impegnato a correggere e a evitare alcuni fenomeni che, sviluppandosi in un clima di libera
concorrenza, tendono tuttavia a sopprimere le basi.