PREMESSA
I cambiamenti avvenuti nell‟amministrazione pubblica durante
gli anni Novanta, hanno posto le basi per lo sviluppo di una
nuova cultura amministrativa, elevando il conseguimento e
l‟ottimizzazione del risultato a principio e regola dell‟agire dei
pubblici poteri. L‟intento del legislatore, a partire dagli anni
Novanta in poi, fu quello di far pervenire l‟amministrazione
pubblica a decisioni di qualità, che esprimano l‟adeguatezza
della scelta compiuta ai canoni fondamentali che orientano la
relativa azione. Tali canoni vanno ricercati non solo nella
legalità, ma anche soprattutto nella economicità, nella efficacia e
nella efficienza, nonché nella trasparenza e nella
semplificazione.
Tutti questi elementi hanno visto come unico catalizzatore un
attore in particolare, la dirigenza. Con il riconoscimento ai
dirigenti di un‟ampia autonomia operativa, con l‟eliminazione
(quasi totale) delle residue forme di ingerenza dell‟autorità
politica nella propria sfera di competenza, questi attori sono
diventati i principali soggetti attraverso cui l‟amministrazione
pubblica dovrà raggiungere gli obiettivi che gli interventi
legislativi avevano posto in essere. Spesso però tutte le novità
apportate non sono state ben accolte da coloro che ne erano
destinatari, ancorati spesso a processi operativi già consolidati e
di routine, orientati soprattutto verso una cultura giuridica, poco
manageriale e poco abituata alla cooperazione, causando non
pochi problemi di comprensione fra coloro che si definiscono
addetti ai lavori.
Porre al centro dell‟attenzione la dirigenza amministrativa
costituisce una scelta in qualche modo obbligata. In particolare
lo studio è incentrato non soltanto sull‟accesso alle cariche
dirigenziali, ma anche sul reclutamento, sulla formazione, sulla
1
responsabilità che i manager pubblici hanno, e che gli elevano
sempre più a garanti di una corretta attività amministrativa .
Partiremo nei primi capitoli con l‟analisi della figura
dirigenziale presente negli anni 70‟ e 90‟, sottolineando come le
riforme di quegli anni siano state essenziali nella ricostruzione
della dirigenza pubblica poi avvenuta nel 2001, 2002 e per finire
nel 2009. Cercheremo di capire quanto il legislatore abbia
imparato dagli errori del passato e abbia voluto migliorarsi. Lo
comprenderemo anche facendo riferimento alla giurisprudenza
recente, e alla dottrina che alle volte ha sostenuto, altre criticato
le innovazioni apportate.
2
CAPITOLO I
L‟ISTITUZIONE DELLA DIRIGENZA NELLE
AMMINISTRAZIONI DELLO STATO
1.1 LA DIRIGENZA NEL D.P.R 748 DEL 1972
1
L‟origine della dirigenza nelle amministrazioni statali, cioè di
un corpo di alti funzionari che avrebbe dovuto svolgere nel
settore pubblico una funzione tendenzialmente assimilabile a
quella svolta dai dirigenti delle grandi aziende private, è
avvenuta con il d.p.r. 30 giugno1972 n° 748, con il quale è stato
attribuito ai funzionari il c.d. status dirigenziale, costituito dalla
titolarità di una pluralità di competenze autonome e di
rappresentanza. Le innovazioni della disciplina contenuta in tale
d.p.r., che si proponeva di porre rimedio alla situazione
previgente, nella quale quasi tutti i poteri decisionali venivano
2
concentrati nella figura dell‟organo politico, il ministro, erano
soprattutto indirizzati alla determinazione di competenze
differenziate tra l‟organo politico ed i vari livelli delle qualifiche
dirigenziali, con la possibilità di distinguere tra il momento
dell‟agire politico e quello dell‟agire amministrativo, alla
presenza del rapporto fiduciario relativamente alla nomina e alla
preposizione degli uffici,alla configurazione di responsabilità
1
Il d.p.r. 748/72 recante norme sulla “disciplina delle funzioni dirigenziali nella amministrazione dello Stato anche ad
ordinamento autonomo” fu emanato a seguito di due leggi di delegazione, la n° 249/1968 e la n° 775/1970, la quale nel
rinnovare la precedente, apportava importanti mutamenti, riconoscendo precise competenze in capo ai funzionari della
burocrazia statale. La differenza di maggior rilievo risiede nel fatto che mentre nella legge del 1968 prevalse la linea
secondo la quale i direttori generali spettava l‟emanazione dei provvedimenti vincolati e la competenza ad emettere gli
atti”che si risolvono in un apprezzamento tecnico”,nonché quelli di limitato rilievo discrezionale,nella legge del 70 si
delineò un cambiamento. Con l‟art 12 lett. b) della legge del 70 infatti si conferiscono alle direzioni generali, agli uffici
equiparati e superiori piena rilevanza di organi esterni alle amministrazioni statali. Nonostante ciò, ancora lontano è il
cammino della dirigenza verso il superamento delrapporto gerarchico rispetto all‟organo politico, tutti i progetti di
riforma , culminati nella legge del‟68, contenevano, infatti indicazioni precise della supremazia gerarchica del Ministro
nei confronti dell‟apparato burocratico
2
Così M.V. FRANCESE, La responsabilità dei dirigenti statali nell‟esercizio delle funzioni dirigenziali, in foro
amministrativo, 1991, I, p.279. A seguito del d.p.r. n. 748 del 1972, che ha regolato il rapporto di lavoro dirigenziale
del personale dei ministeri, delle aziende autonome dello stato, delle università, il d.p.r. n 551 1987 ha esteso la
disciplina ai dirigenti degli enti pubblici non economici.
3
proprie dell‟apparato burocratico distinte dalla responsabilità
3
penale,civile, amministrativa e disciplinare. Vi era infine la
flessibilità nell‟impiego della dirigenza con la unificazione dei
ruoli presso la presidenza del consiglio dei -ministri. La
dirigenza nella riforma del 1972 era suddivisa in tre distinte
4
qualifiche:il dirigente generale, che poteva svolgere le funzioni
di capo delle direzioni generali o degli uffici centrali o periferici
di livello pari o superiore, oppure il consigliere ministeriale con
compiti di studi e ricerca ( art 1 ); il dirigente superiore, che
poteva svolgere le funzioni di vicario del dirigente generale, il
capo di servizio centrale dipendente organicamente dal ministro
o di altri uffici di pari livello previsti dalla legge, di consigliere
ministeriale aggiunto con compiti di studio e di ricerca, di
ispettore generale, di capo di ufficio periferico particolarmente
importante con circoscrizione non inferiore a quella provinciale
( art 4 ); il primo dirigente, che era preposto alla direzione di
suddivisioni o di uffici equiparati ( art 5 e art 6 ).
L‟istituzione della dirigenza nelle regioni, negli enti locali e nel
servizio sanitario è stata invece affidata alla fonte normativa
contrattuale che ha regolato lo stato giuridico e il trattamento
5
economico Tale differenza è stata significativa e non ha
.
3
In proposito si legge nella decisione del Consiglio di Stato, sez IV, 24 maggio 1983 n 330:” la responsabilità
dirigenziale è testualmente affiancata alla responsabilità penale, civile,contabile e disciplinare e dunque non si
identifica o confonde con alcuna di esse(…) , la responsabilità dirigenziale di cui art 19 d.p.r 748 1972 non è una
sottospecie, ne una estensione, ne un modo di essere della responsabilità disciplinare”. In tema di responsabilità
disciplinare la dottrina ha sempre sostenuto che essa si basi su due assunti fondamentali: da un lato essa deriva
essenzialmente dalla violazione di un obbligo inerente ad un particolare rapporto di servizio che lega il soggetto
all‟amministrazione, dall‟altro che la potestà punitiva emerge dalla posizione di supremazia della p.a. Tali circostanze
non sussistono invece, nella responsabilità dirigenziale descritta dall‟art 19 del d.p.r 748 1972.
4
È un certificato ufficiale, rilasciato a seguito di un esame finale, riconosciuto in tutta Italia e anche in Europa
nell'ambito del sistema educativo/formativo. Tale certificato viene rilasciato dalla Regione e dalle amministrazioni
provinciali. La qualifica professionale si consegue al termine di un corso di qualificazione professionale dopo che il
corsista ha acquisito tutte quelle competenze necessarie all'esercizio di un'attività professionale ben definita e
riconosciuta dalle normative regionali.
5
L‟introduzione formale della dirigenza è avvenuta nelle regioni a statuto ordinario con il terzo Accordo Nazionale di
lavoro( 29 aprile 1983, in G.U n 207 del 1983) e negli enti locali con il d.p.r 25 giugno 1983 n347. In entrambi i
provvedimenti i dirigenti vengono suddivisi in 2 qualifiche funzionali cui non corrisponde una precisa differenza nelle
4
attenuto solo ala fonte normativa, bensì allo stesso ruolo della
dirigenza locale che, rispetto a quello della dirigenza statale,
appariva decisamente più marginale. L‟area dei poteri autonomi
della dirigenza degli enti locali e delle unità del servizio
sanitario nazionale, infatti, risultava alquanto più limitata,
considerato che gli organi politici conservavano la
rappresentanza degli enti, con il potere diretto di emettere e
sottoscrivere atti provvedimenti amministrativi.
1.2 LA DISTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE TRA
GLI ORGANI DI DIREZIONE POLITICA E LA
DIRIGENZA
Al dirigente pubblico erano affidati compiti di direzione, con
connessa potestà decisoria di ampie ripartizioni delle
amministrazioni centrali, dei più importanti uffici periferici e
delle maggiori ripartizioni di quelli con circoscrizione non
inferiore alla provincia; compiti di studio e di ricerca;
consulenza, progettazione, programmazione. Spettava alla
dirigenza l‟emanazione, in relazione alle direttive generali
impartite dal ministro, di istruzioni e disposizioni per l‟
applicazione di leggi e regolamenti; la propulsione, il
coordinamento, la vigilanza e il controllo, al fine di assicurare la
legalità, l‟imparzialità, l‟economicità, la speditezza e la
rispondenza al pubblico interesse dell‟attività di dipendenti e
uffici. E ancora, la partecipazione ad organi
collegiali,commissioni o comitati operanti in seno all‟
amministrazione; la rappresentanza dell‟amministrazione e la
cura degli interessi della medesima presso gli enti e le società
attribuzioni, ma una distribuzione di tipo gerarchica in base alle strutture organizzative cui vengono preposti. Per
entrambe le qualifiche dirigenziali si prevedono due tipi di attività: quella di esperto e quella del dirigente preposto alla
direzione di strutture organizzative; attività che possono coesistere nella stessa figura del dirigente o essere affidate
disgiuntamente. Per quanto riguarda il servizio sanitario, l‟art 47 della legge 23 dic. 1979, n 833 suddivide fra diverse
fonti la disciplina del personale delle USL, pur dettando direttamente alcune disposizioni in materia. Il secondo livello
della normativa è rappresentato dal decreto delegato sullo stato giuridico( d.p.r. 761 1979) del decreto presidenziale con
in quale si rendono esecutivi gli accordi nazionali sul trattamento economico.
5
sottoposte alla vigilanza dello stato, nei casi previsti dalla legge
( c.fr art 2, d.p.r. n 748 del 1972). Le competenze delle tre
qualifiche dirigenziali, si distinguevano per un diverso limite di
autonomia sul piano del valore economico della prestazione
67
svoltae potevano essere raggruppate in tali tipologie :
- atti vincolati: erano attribuiti ai dirigenti di competenza
dell‟amministrazione centrale, in particolare ai dirigenti generali
e ai dirigenti superiori assimilati, nonché ai primi dirigenti.
- Attività contrattuale: potere di approvazione, di progetti per
lavori pubblici, forniture, ecc., competenza per l‟approvazione
dei contratti e la concessione dei lavori, poteri di approvazione
transazioni relative a lavori, forniture e servizi oppure il potere
di disporre la non applicazione di clausole penali, o di
promuovere liti.
- Mobilità del personale: comune alle tre qualifiche dirigenziali
era il potere di disporre lo spostamento del personale fra le
maggiori ripartizioni del proprio ufficio.
- Concessioni, autorizzazioni e licenze: spettava alla legge o al
regolamento, anche ministeriale, disporne la riserva al ministro
o ai dirigenti superiori o ai primi dirigenti: i provvedimenti
rimanenti erano di competenza dei dirigenti generali, ferma
restando la facoltà di avocazione dei singoli affari da parte del
ministro. Oltre alle attribuzioni istituzionalmente loro spettanti, i
dirigenti esercitavano le attribuzioni che ad essi venivano
delegate dal ministro, ovvero, con la sua approvazione, dal
rispettivo superiore gerarchico, senza alcuna ulteriore
specificazione in merito alla delega, né sulle modalità di
conferimento. Soltanto per la delega di attribuzioni dagli organi
centrali agli organi periferici era necessario un apposito
6
Nell‟ambito della tripartizione dei livelli dirigenziali, gli art 4-5-6-7-8 e 9 elencavano le funzioni specifiche spettanti
ai dirigenti, con l‟ulteriore precisazione agli art 10-11-12 e 13 delle attribuzioni particolari per i dirigenti
dell‟amministrazione del personale, addetti ad attività di studio e ricerca e a coloro che esercitavano funzioni ispettive
7
Secondo lo schema di S.RAIMONDI DIRIGENZA,ad vocem, ENC.GIUR, ROMA 1989
6
provvedimento da pubblicarsi nel Bollettino ufficiale
dell‟amministrazione.
Altrettanto precisamente descritte dalla lettera della norma
(cfr.art.3), erano le competenze che facevano capo al ministro e
che riguardavano poteri di indirizzo e di direttiva: cioè il
ministro stabiliva le direttive generali alle quali gli organi
centrali e periferici dell‟amministrazione devono ispirarela
propria azione, nonché i programmi di massima e l‟eventuale
scala delle priorità per l‟azione da svolgere, nei limiti degli
stanziamenti di bilancio e delle rispettive competenze; poteri di
verifica e controllo: vi era cioè la generale potestà ministeriale
di procedere all‟annullamento per vizi di legittimità e alla revoca
o riforma per motivi di merito degli atti emanati dai dirigenti,
ma solo entro i successivi 40 giorni( art 3 3c d.p.r. 748 1972).
Da quanto detto ne deriva che nessun atto adottato dai dirigenti
poteva definirsi definitivo. Infine Poteri di attivazione e di
contestazione della responsabilità dirigenziale: era di
competenza del ministro la contestazione al dirigente dei
risultati negativi dell‟organizzazione del lavoro e dell‟attività
dell‟ufficio.
Da quanto esposto, si conferma l‟impressione di un organo
politico con ampi poteri di direzione, cui formalmente risulta
assegnata la competenza di emanare soprattutto atti di alta
amministrazione, traspare dunque il ruolo primario e
sovraordinato dell‟organo politico rispetto alla dirigenza
amministrativa, continuamente sottoposta ad incursioni nella
8
propria sfera di attribuzioni.Altra competenza fondamentale,
esercitabile dall‟organo politico, era rappresentata dal potere di
assegnazione dei dirigenti agli uffici centrali e periferici e della
loro revoca, nonché del potere di proporre al Presidente del
Consiglio la nomina a dirigente generale o a qualifiche
Superiori. Non sfugge certamente come la scelta delle persone
che avrebbero dovuto essere assegnate alla funzioni dirigenziali
8
cosi ARCIDIACONO, Profili di riforma dell‟amministrazione statale, cit, p.90
7
e la proposta di quelle destinate ad assumere i posti di maggiore
responsabilità e prestigio nell‟assetto burocratico, rappresentasse
uno strumento di penetrante ingerenza nell‟apparato
amministrativo, lasciato nelle mani del ministro. La
preposizione dei dirigenti ai relativi uffici e i conferimenti degli
incarichi dirigenziali si caratterizzavano per ampia
discrezionalità dell‟organo politico essendo affidati alla scelta
9
volontaria del Ministro, senza alcun principio informatore
.
Circa la scelta di reclutamento della dirigenza, il sistema
descritto nel d.p.r. 748/72, basato su una forma di corso-
concorso, non trovò mai attuazione, mentre la qualifica
dirigenziale andò progressivamente configurandosi quale
naturale evoluzione della carriera impiegatizia.
La nomina a primo dirigente si conseguiva mediante corso di
formazione dirigenziale con esami finali al quale erano ammessi
gli impiegati con qualifica non inferiore a direttore di sezione,
purchè alla data di inizio del corso stesso avessero compiuto
10
cinque anni di servizio. L‟ammissione al corso, in realtà mai
11
attivato, si conseguiva mediante concorso per titoli di servizio
.Fra le conseguenze negative di questo sistema vi è certamente
la frammentazione dell‟amministrazione in vari comparti
sufficientemente impermeabili ed indipendenti l‟uno dall‟altro,
che hanno finito per trasformarsi in veri e propri “feudi”
9
Cosi C.Pinelli , Responsabilità per risultati e controlli, Relazione al convegno di Bologna 14-15 febbraio 1997. La
corte dei Conti ha talora affermato, alla stregua del buon andamento, che il potere discrezionale di nomina dei dirigenti
incontra un limite nella “esistenza, risultante dal curriculum nominato, dei requisiti personali e professionali idonei a
costituire la congrua e adeguata motivazione( Corte dei Conti, sez contr., 19 dicembre 1991, in Riv Corte Conti, 1992,I,
pag 25). La stessa Corte ha dichiarato illegittimi alcuni regolamenti ministeriali i quali circoscrivevano la durata degli
incarichi dirigenziali al mandato del Ministro che li aveva conferiti. Corte dei Conti, sez contr,19 novembre 1990, n 75
10
Il corso, della durata di 14 mesi, gestito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione era ad “indirizzo
spiccatamente professionale” e verteva essenzialmente “sulle tecniche idonee ad assicurare la più corretta e razionale
organizzazione dell‟amministrazione e l‟economicità, oltre che l‟efficacia della sua azione, senza peraltro prescindere
dall‟approfondimento della cultura, giuridico-amministrativa ed economica o tecnico-scientifica, indispensabile per
l‟esercizio delle funzioni dirigenziali”(art 23, d.p.r 748 1972)
11
L‟art 22 indica con precisione le categorie dei titoli di servizio ammessi a valutazione ed il punteggio massimo
attribuibile: a) rapporti informativi e giudizi complessivi del quinquennio anteriore:punti 60;b) incarichi e servizi
speciali:punti 18;c)lavori originari concernenti i compiti di istituto:punti 12;d) i titoli attinenti alla formazione e al
perfezionamento professionale del candidato
8
12
consegnati ai ministri. Sostanzialmente analoghe anche le
modalità di conferimento delle qualifiche di dirigente superiore.
1.3 LA RESPONSABILITA’ CONNESSA
ALL’ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DIRIGENZIALI
Si è spesso pensato che per i funzionari pubblici, schiacciati
dalla soggezione della supremazia gerarchica, era stata per lungo
tempo vanificata una responsabilità individuale, distinta dalla
13
responsabilità dell‟ente.
Se è vero che il fondamento etico e giuridico della responsabilità
del dirigente deriva dalla esigenza di “assicurare l‟osservanza
di norme di organizzazione e di funzionamento, che secondo lo
spirito dell‟art. 97 Cost. consentono il perseguimento
dell‟imparzialità e del buon andamento della pubblica
14
amministrazione”, è altrettanto vero che soltanto con il d.p.r.
n°748/72, accanto alla responsabilità penale, civile ed
amministrativa, previste dall‟art. 28 Cost., nelle ipotesi di
violazione di diritti dei privati o della pubblica amministrazione,
viene configurata una specifica responsabilità legata alla
posizione dirigenziale.
Gli obiettivi da raggiungere nella individuazione di tale
responsabilità erano di due tipi:
12
ildescritto meccanismo ordinario di accesso alla dirigenza non ha trovato attuazione a causa delle resistenze dei
funzionari, con la legge n. 301 del 1984,sebbene in via transitoria, è stato reintrodotto il sistema della selezione per
merito comparativo. Sempre in via transitoria è stato previsto un sistema entro il quale il 40% dei posti erano assegnati
mediante concorso speciale riservato al personale piu anziano della carriera direttiva, un altro 40% mediante corso
concorso di durata abbreviata di appena 6 mesi e solo per il 20% mediante un concorso pubblico parzialmente riservato
13
In proposito si riportano le considerazioni di Berti( Il funzionario e la responsabilità, Milano 1989): più l‟atto
amministrativo, unica tangibile manifestazione esterna dell‟amministrazione, si presentava come espressione autoritaria
di un potere legale e per questo mai illecito, più si contraeva e si riduceva l‟area nella quale era possibile per cosi dire
rilevare dalla manifestazione di potere una responsabilità del funzionario autonomo e sanzionabile come tale
nell‟ordinamento generale pag 121 122
14
M.U Francese, La responsabilità dei dirigenti statali nella problematica generale della responsabilità dei pubblici
dipendenti, in Foro amm., 1985, pp2614-2615
9
1. la legittimità, imparzialità e buon andamento degli uffici;
2. i buoni risultati dell‟organizzazione del lavoro e dell‟attività
15
degli uffici medesimi.
La responsabilità dirigenziale aveva come parametri
l‟osservanza degli indirizzi generali dell‟azione amministrativa,
emanati dal Consiglio dei Ministri e dal ministero competente,
l‟osservanza dei termini e delle altre norme sul provvedimento,
per poi arrivare al conseguimento dei risultati. Si cercò in questo
modo di correlare la responsabilità non ai singoli atti, ma
all‟attività complessiva svolta dal dirigente; si è parlato perciò di
16
responsabilità “manageriale”, in quanto investiva il dirigente
nel caso di mancato o incompleto raggiungimento di un risultato
nell‟organizzazione del lavoro e nell‟attività dell‟ufficio da lui
diretto.
I risultati negativi, eventualmente rilevati, nell‟organizzazione
del lavoro e nell‟attività d‟ufficio dovevano essere contestati ai
dirigenti con atto del ministro, sentito il competente dirigente
generale. Il riferimento in base al quale verificare i risultati
concreti ottenuti, con particolare riguardo al buon andamento
dell‟amministrazione, all‟ordinamento dei servizi ed alla loro
efficienza era rappresentato dalle direttive emanate dal ministro,
delle quali però non venivano specificate la forma, i tempi e le
modalità con le quali avrebbero dovuto essere impartite.
Secondo tale procedimento, qualora non si ritenessero fondate le
giustificazioni adottate dall‟interessato a seguito della
contestazione, il ministro riferiva al Consiglio dei Ministri, se si
15
Art 19 1 e 3c, d.p.r. 748 1972 a nome del quale i dirigenti sono “specialmente responsabili sia dell‟osservanza degli
indirizzi generali dell‟azione amministrativa emanati dal Consiglio dei ministri e dal ministro per il dicastero di
competenza, sia della rigorosa osservanza dei termini e delle altre norme di procedimento previsti dalle disposizioni di
legge o di regolamento, sia del conseguimento dei risultati dell‟azione degli uffici cui sono preposti”
16
In dottrina Sandulli ( Manuale di diritto amministrativo, xv edizione, Napoli, p 229) definisce la responsabilità
descritta dal d.p.r. 748 1972 come una responsabilità di tipo manageriale, analoga a quella dei dirigenti delle imprese
private, la quale attiene essenzialmente alle capacità. Su posizioni analoghe era attestata anche la giurisprudenza: TAR
Lazio, I, 9 luglio 1980 n 780. In Consiglio di stato, sex II, 3 ottobre 1985, n 2378 si legge: poiché la responsabilità di
cui si discute si misura essenzialmente in termini di risultati negativi dell‟organizzazione del lavoro e dell‟attività degli
uffici( art 19 3c) nella sua valutazione di regola non viene in discussione il fatto che i dirigenti siano stati o meno
osservanti,sotto il profilo formale, dei propri doveri d‟ufficio, richiedendosi ai dirigenti, quale contropartita del nuovo
status ad essi riconosciuto, un impegno manageriale.
10
trattava di dirigenti generali, o al Consiglio di Amministrazione,
se si trattava di dirigenti superiori e primi dirigenti. Ad essi
spettava l‟adozione del provvedimento conclusivo. Inoltre ogni
anno,i dirigenti preposti alle direzioni generali, agli uffici
centrali equiparati o superiori ed ai servizi centrali
organicamente dipendenti dal ministro dovevano riferire al
17
Consiglio di Amministrazione sul modo con il quale si era
svolta l‟azione amministrativa in relazione alle direttive del
18
ministro Fra le sanzioni conseguenti all‟accertamento della
.
responsabilità dirigenziale, si indicavano, “in casi particolari”, il
collocamento dei dirigenti generali a disposizione
dell‟amministrazione di appartenenza (il provvedimento era
deliberato dal Consiglio dei Ministri, per un periodo non
superiore ai tre anni, decorso il quale erano collocati a riposo di
diritto). Nei casi di “rilevante gravità o d responsabilità
reiterata”, invece, il Consiglio dei Ministri poteva deliberare il
collocamento a riposo, per ragioni di servizio, dei dirigenti
generali. Per i dirigenti superiori ed i primi dirigenti il Consiglio
di Amministrazione aveva il potere di deliberare il loro
trasferimento ad altre funzioni di corrispondente livello. Il
sistema appena illustrato si è scontrato sin da subito con la
difficoltà di valutare la responsabilità dirigenziale in un contesto
nel quale le direttive politiche quasi mai assumevano la forma
prevista dalla legge di “atti programmatori”. Di conseguenza,
17
Tale organo rappresentava un punto di raccordo fra l‟azione politica e l‟attività amministrativa ed avrebbe dovuto
assolvere ad una funzione mediatrice, pur senza avere compiti di amministrazione attiva. Non si riscontra una norma
che delinei in maniera chiara le competenze tuttavia esso rappresenta una sorta di “conferenza dei direttori generali”,
che registra l‟andamento dell‟azione amministrativa svolta dai dirigenti e dei risultati da essa conseguiti, chiamato tra
l‟altro a valutare i piu rilevanti provvedimenti adottati dall‟amministrazione sui quali esprimeva un parere. Tale
Consiglio, che moltiplicava per molte procedure l‟influenza della cogestione fra politici, dirigenti e rappresentanti
sindacali è stato soppresso dall‟art 1, 29° co.,legge 24 dicembre 1993, n 537, sugli interventi collettivi di finanza
pubblica. In tal senso M.D‟ALBERTI, L‟alta burocrazia in Italia, pag 63
18
Il Consiglio di Amministrazione redigeva una relazione generale sull‟andamento dei servizi, sui risultati dell‟azione
amministrativa, e,in particolare, dell‟applicazione delle leggi e dei regolamenti, sulle principali osservazioni occorse e
sui piu rilevanti provvedimenti adottati dall‟amministrazione, avanzando adeguate proposte per il miglioramento
dell‟organizzazione dei servizi. Il feed-back terminava con la comunicazione della relazione del consiglio di
amministrazione ala presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini della relazione al Parlamento sullo stato della p.a
11
stante la impossibilità di verificare il raggiungimento di
qualsiasi risultato, il regime sanzionatorio previsto in caso di
inadempienza è rimasto una semplice ipotesi descritta dalla
19
norma Con riguardo alla responsabilità dirigenziale, per avere
.
un più chiaro quadro della situazione vigente, si può prendere in
20
considerazione la non abbondante giurisprudenza in materia..
se si considera la giurisprudenza amministrativa, non maggiore
21
chiarezza si riscontra nelle pronunce del Consiglio di Stato.
In merito al profilo di responsabilità riferito al buon andamento
dell‟amministrazione si è richiamata la giurisprudenza della
Corte dei Conti in sede di controllo, e, tale principio, in sede
giurisdizionale è stato considerato quale possibile parametro per
22
accertare il danno erariale. In merito al profilo di
responsabilità connesso al raggiungimento dei risultati, nella
scarsa giurisprudenza in materia, si è sostenuto che “ciò che ha
rilievo non è tanto il fatto che il dirigente sia stato più o meno
19
La storia amministrativa ci ha dimostrato che quasi mai si è ricorsi a tali sanzioni, salvo casi clamorosi e
inequivocabili, anche perché, probabilmente, vi è la consapevolezza della difficoltà di contestare precise inadempienze
in assenza di rigide direttive e vincoli di programma e di progetto dell‟autorità politica ai quali ancorare la relativa
responsabilità. In tal senso G.C LO BIANCO, Raffronti tra la normativa vigente sulla dirigenza pubblica e il disegno di
legge governativo
20
Raccolta da M. U. FRANCESE, LA Responsabilità dei dirigenti nell‟esercizio delle funzioni dirigenziali, cit., 1991,
p. 289 ss
21
Il Consiglio di Stato( Ad. Plen., 22 febbraio 1972 n. 2) ha affermato che un sistema normativo che consenta, sia pur
in astratto di non ottemperare ai principi di buon andamento ed imparzialità è un sistema costituzionalmente illegittimo.
In Cons. Stato, sez v, 15 maggio 1973, n. 509, si è ritenuto che, ove l‟amministrazione comunale ometta di esercitare la
facoltà di richiedere ulteriori documenti a corredo della domanda edilizia già presentata, ciò giustifica il sindacato
giurisdizionale di legittimità per violazione dei canoni di coerenza logica, buon andamento e correttezza. In Cons. St,
sez IV, 19 giugno 1973, n.660, si afferma il principio che la P.A che adotti criteri particolarmente rigorosi tendenti a far
avanzare alle qualifiche più elevate gli impiegati migliori, fa una puntuale applicazione del principio di imparzialità e di
buon andamento. In Cons. Stato., 21 ottobre 1980, n 890, si è affermato che il trasferimento di un impiegato, che
preceda o sia contemporaneo al momento di erogazione di una sanzione disciplinare, è conforme al principio del buon
andamento purchè venga adottato al solo scopo di tutelare il prestigio dell‟ufficio. Ancora secondo il Cons. Stato, sez
VI , 29 settembre, 1982, n. 449, la rettifica degli atti erronei da parte della P.A è espressione dei principi di imparzialità
e buon andamento. In Cons. Stato, sez IV, 7 febbraio 1983, n. 64, si è ritenuto non conforme al principio del buon
andamento l‟inquadramento di un dipendente comunale( avvocato capo) ad un livello retributivo funzionale in cui non
vi sia alcuna differenziazione con gli altri impiegati aventi minori responsabilità
22
Cosi in Corte conti, sez II, 5 aprile 1973, n.15 e Corte conti, sez I, 30 ottobre 1978 n 177, si è evocato il buon
andamento attraverso il dovere di diligenza del pubblico dipendente che deve sostanziarsi in un comportamento di
buona amministrazione paragonabile al comportamento del buon padre di famiglia di cui all‟art 1176 c.c. a ciò è
conseguito l‟indirizzo giurisprudenziale della Corte dei conti che basa la responsabilità amministrativa e contabile dei
funzionari posti al vertice dell‟amministrazione, tutte le volte che il danno erariale sia loro ascrivibile a titolo di culpa in
vigilando, sulla violazione del principio del buon andamento. Tratto da M.U. FRANCESE po. Cit, 1991, pag 290
12
osservante dei propri doveri, quanto il fatto che i risultati
complessivi dell‟azione dell‟ufficio siano più o meno
corrispondenti quantitativamente e qualitativamente, alle
23
ragionevoli attese.” Per quanto attiene alle misure
sanzionatorie, nella stessa sentenza si stabilisce che, nella
valutazione della responsabilità dirigenziale vige la “più ampia
discrezionalità, (sempre che non si incorra in illogicità
manifesta, contraddittorietà palese e rilevanti sintomi di
dell‟eccesso di potere)”. In coerenza all‟impostazione della
responsabilità intesa quasi come responsabilità politica che
implica non una valutazione di colpevolezza, bensì di inidoneità
all‟espletamento di determinate funzioni, in un‟altra decisione
del Consiglio di Stato si legge che “l‟accertamento della
sussistenza di tale tipo di responsabilità non dà luogo
all‟applicazione di una vera e propria sanzione, ma alla
rimozione dell‟interessato dall‟esercizio delle funzioni,
24
eventualmente anche con destinazione a funzioni diverse”.
1.4 LIMITI DELLA RIFORMA
Il tentativo di dar vita ad una classe dirigente attraverso le
disposizioni legislative esaminate, si è rilevata del tutto
inadeguata, risolvendosi in una riforma del personale
completamente slegata dalla riforma dell‟organizzazione.
Autorevole dottrina ha individuato le ragioni del suo fallimento,
esse sono:
23
Cons. Stato, sez IV 24 maggio 1983, n° 330 e Cons. Stato, sez. II, 3 ottobre 1985, n° 2378, cit. e Con stato, , sez VI,
14 novembre 1988, n. 1236, cit. nella quale si legge della responsabilità dirigenziale:”(…) avendo di mira non tanto la
legittimità formale dei singoli atti, quanto piuttosto la qualità degli obiettivi raggiunti in attuazione degli indirizzi
generali all‟uopo impartiti dal consiglio dei ministri e dal ministro competente, si avvicina per certi aspetti alla
responsabilità politica”.
24
Cons. Stato, sez IV, 14 novembre 1988, 1236 cit.. in tale decisione si afferma che la responsabilità dirigenziale
implicando un giudizio non tanto di colpevolezza, bensì di inidoneità all‟esercizio delle funzioni dirigenziali, non da
luogo all‟applicazione di una vera e propria sanzione, ma alla rimozione delle funzioni, con possibilità in alcuni casi,
della destinazione ad altre funzioni.
13
non applicazione dei principi in essa proposti,
25
generale confusione tra politica e amministrazione.
totale disattenzione ai profili organizzativi e procedurali
dell‟attività amministrativa, unita alla mancanza contestuale
trasformazione e revisione dei principali assetti delle strutture
pubbliche.
Mancanza di direttive generali che avrebbero dovuto
orientare e ispirare lo svolgimento delle funzioni dirigenziali,
il non completo superamento del rapporto gerarchico con il
ministro, che ha consentito le ripetute intrusioni del soggetto
politico nell‟area di attività del dirigente.
il ruolo del dirigente è risultato particolarmente debole
la sua figura si è andata caratterizzando per la scarsa
autonomia nei confronti degli organi elettivi e per i limitati
26
poteri di gestione, difficili da esercitare
.
27
Il finto dirigente, inserito in un ambiente operativo poco
adeguato, caratterizzato dalla precarietà delle strutture e delle
procedure, imbrigliato in una fitta rete di controlli formalistici e
pressochè inutili al fine di una valutazione sulla efficacia della
propria azione, ha assistito impotente alle continue ingerenze
dell‟organo politico nella propria sfera di competenze, che si
manifestavano anche attraverso l‟esercizio del potere di
rimozione degli atti posti in essere dai dirigenti .
25
In tal senso S. CASSESE, “maladministration e rimedi”, in Foro it., V, 1992, pag 246
26
Fra le cause di tale situazione sono state invocate: l‟impreparazione della dirigenza ad amministrare per programmi e
progetti, l‟invadenza dei politici che si è manifestata con l‟omissione del potere-dovere di emanare i programmi, e , in
via mediata con la gestione amministrativa perpetrata tramite gli uffici di gabinetto che spesso si sostituiscono
surrettiziamente alle direzioni generali nei rapporti con l‟autorità politica. G.C LO BIANCO Raffronti tra la normativa
vigente sulla dirigenza pubblica e il disegno di legge governativo
27
L‟espressione è utilizzata per definire la figura del dirigente delineato nel d.p.r748 del 1972 “senza adeguate
disponibilità e discrezionalità di spesa”: M.RUSCIANO La dirigenza amministrativa tra pubblico e privato.
14
1.5 IL NEW PUBLIC MANAGEMENT
L‟insoddisfazione di cittadini ed imprese verso la Pubblica
Amministrazione, le richieste di qualità ed efficienza nei servizi
e il diffuso convincimento che laddove le decisioni politiche non
riescono ad essere realizzate e ad avere un impatto sociale ed
economico rilevante, ciò deriva in buona misura da incapacità
ed inadempienze della burocrazia, sono state un rilevante
stimolo all‟innovazione gestionale nelle amministrazioni
28
pubbliche. Per migliorare i livelli di efficacia ed efficienza
dell‟azione amministrativa il legislatore ha attinto metodologie e
tecniche gestionali dal settore aziendale, mirando al
superamento dell‟organizzazione burocratica ed all‟adozione di
nuovi modelli e logiche organizzative, in particolare di principi
e metodi manageriali che appartenevano al bagaglio del
dirigente privato. Le basi culturali di tali orientamenti sono
offerte dal filone di studi dedicato al New Public
29
Managementche inizia fra la fine degli anni ‟70 ed i primi anni
‟80 nel Regno Unito durante il governo Tatcher e nelle
amministrazioni locali degli Stati Uniti alle prese con la
recessione economica, seguiti dai governi della Nuova Zelanda e
dell‟Australia. In seguito molti altri Paesi aderirono al
movimento che gli studiosi iniziarono ad identificare nei suoi
30
tratti caratteristici soltanto verso la metà degli anni ‟90.
La maggior parte dei governi europei ha visto con interesse la
possibilità di adottare nelle amministrazioni pubbliche modelli
28
Cosi F.P CESARE La nuova dirigenza pubblica, Roma ,1999,pag 13
29
Una panoramica dello sviluppo delle scienze comportamentali-amministrative in relazione al New Public
Management si ritrova in G.GUERING, Origini e basi tecniche del New Public Management, pag 669
30
Il legame fra le riforme italiane nel campo dei servizi pubblici locali - iniziate con la Legge n. 142/1990, e il new
public management e la public governance trova implicita conferma nelle parole di Pollit e Bouckeart (2002: 33): «le
nuove idee di management (...) si sono diffuse da una business school all‟altra, nelle sale riunioni dei consigli di
amministrazione delle grandi aziende, nei seminari dei governi e anche nell‟edicole degli aeroporti. C‟è stato un
considerevole scambio tra Paesi diversi, facilitato da organizzazioni internazionali quali il PUMA/OCSE e la Banca
Mondiale (...) Ci sono pochi dubbi che gli scritti dei guru e le presentazioni dei consulenti di gestione abbiano
influenzato i leader politici e del servizio pubblico in molti paesi (...)».
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