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INTRODUZIONE
Il mondo in cui viviamo oggigiorno, i confini che delimitano i confini nazionali, gli
stati asiatici e africani i cui drammi e guerre vengono mostrati attraverso i telegiornali
o i social network, le conflittualità politiche emerse in questi anni sono frutto di un
processo globale iniziato con la fine della Seconda guerra mondiale e conclusosi
solamente nel 1997 con la restituzione di Hong Kong alla Cina, ovvero sia la
decolonizzazione.
In realtà la decolonizzazione non è un vero e proprio processo, bensì un insieme di
attività e di eventi convulsi che portarono al crollo degli imperi coloniali europei,
istituzioni secolari uscite distrutte dal conflitto globale. Proteste, manifestazioni di
disobbedienza civile, partiti clandestini e paramilitari, scontri armati, guerre civili e
massacri scriteriati sono tutti elementi ritrovabili nella decolonizzazione, un evento
controverso e simbolo dell’instabilità politica dilagante nel XX Secolo.
La tesi cercherà di trattare questo argomento così dispersivo e ampio, cercando di
raccontare i vari percorsi delle popolazioni africane e asiatiche nel riconoscimento
dell’indipendenza e la riacquisizione della libertà nazionale, le controversie generate
da questo “processo” rapido e incontrollabile, il ruolo avuto dalle amministrazioni
europee e occidentali durante l’emancipazione generale, per concludere poi con
un’analisi dei risultati ottenuti dalla decolonizzazione e vedere se veramente si possa
definire conclusa.
Il primo capitolo si concentrerà sul descrivere la situazione politica mondiale prima
dell’inizio della Seconda guerra mondiale, un mondo sorretto dall’equilibrio coloniale
e comandato dalle potenze europee uscite vincitrici dalla Prima guerra mondiale, i cui
imperi erano motivo d’orgoglio e rappresentavano la presunta superiorità dell’uomo
bianco europeo nei confronti delle popolazioni “inferiori”. Un periodo fra le due guerre
dove cominceranno a sorgere i primi movimenti nazionalisti, autori delle prime
proteste a carattere popolare nelle colonie europee, manifestazioni primordiali e
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represse facilmente dalle élite coloniali ma che rappresentano un’anticipazione di
quanto accadrà durante la decolonizzazione.
Nel secondo capitolo si osserveranno gli effetti della Seconda guerra mondiale sugli
imperi coloniali europei, usciti distrutti e umiliati dal conflitto globale, e sulle colonie,
depredate di uomini e risorse per una guerra occorsa a migliaia di chilometri di distanza
su campi di battaglia ostili e portatori di morte. Il secondo conflitto mondiale
rappresenta un crocevia importante per lo sviluppo dei movimenti nazionalisti
coloniali, i cui membri videro con i propri occhi che gli europei potevano essere
sconfitti, prospettiva che per loro sembrava impensabile. Il capitolo tratterà inoltre il
ruolo fondamentale delle Nazioni Unite e delle due nuove superpotenze mondiali, gli
Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica, accomunati da una mentalità
anticolonialista che si dimostrò decisiva per la promozione dell’indipendenza degli
stati africani e asiatici.
Il terzo capitolo rappresenta il fulcro di questa digressione: si cercherà di raccontare e
trattare le decolonizzazioni in atto nei principali imperi europei, passando da quella
italiana a quella spagnolo, concludendo infine con quella degli stati iberici e
dell’Inghilterra. Il capitolo si concentra soprattutto nell’analizzare le controversie sorte
da questo “processo”, le contraddizioni che fecero da fondamenta nella creazione dei
nuovi stati indipendenti, i dissidi all’interno delle comunità nazionali, i sogni infranti
per alcuni movimenti e i genocidi causati dalle repressioni, dalle guerre, dalle carestie,
dalla scelleratezza umana. Un capitolo che sottolinea il crollo inesorabile degli imperi
europei ma anche la fragilità del nuovo assetto globale, fragile e affetto da una
balcanizzazione che condurrà a una instabilità politica presente tutt’oggi.
Il quarto capitolo si focalizza sulla decolonizzazione francese, probabilmente la più
controversa a causa della politica coloniale a doppia faccia di Parigi: concessioni e
riforme nelle regioni dell’Africa Nera e nei protettorati del Nordafrica, guerrafondaia
e violenta nelle colonie più rappresentative della grandeur francese dell’800 e di inizio
900, ovvero l’Indocina e l’Algeria, scenari di guerre tragiche e che macchiarono
l’immagine internazionale della Francia.
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Il quinto e ultimo capitolo tratta invece dell’indipendenza dell’India, la “perla
dell’impero britannico”, un’emancipazione frettolosa e mal condotta da parte
dell’amministrazione inglese, stanca e uscita distrutta dalla Seconda guerra mondiale,
e dalla popolazione indiana, flagellata da contrasti religiosi ed etnici che culmineranno
in stragi, esodi di massa e guerre esasperanti. Una conflittualità i cui effetti sono
percepibili ancor’oggi, una rappresentazione perfetta delle contraddizioni associabili
alla decolonizzazione, l’evento più controverso del secolo passato.
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L’EPOCA DELLE COLONIE
La fine delle guerre napoleoniche, il progresso tecnologico dovuto alla seconda
rivoluzione industriale e l’improvvisa crescita demografica della popolazione in
Europa furono alcune delle cause che provocarono una intensificazione del processo
di colonizzazione durante la seconda metà del XIX° Secolo. La corsa per le colonie
coinvolse i principali paesi europei, desiderosi di espandersi oltre i propri confini
nazionali e alla ricerca di nuove materie prime da importare, vendere o utilizzare in
madrepatria.
L’intensificarsi delle missioni coloniali durante l’800 sortì l’effetto di spostare la
competizione per il predominio dell’Europa al di fuori del continente, una
competizione da cui non rimasero esclusero le potenze ritenute minori (Portogallo,
Spagna, Belgio e Olanda) o di formazione recente come Italia e Germania. Vittime di
questa nuova fase della colonizzazione furono i paesi africani e asiatici, oggetto di
conquista da parte delle potenze europee che soggiogarono le popolazioni indigene,
impreparate ad affrontare gli eserciti stranieri e costrette ad arrendersi di fronte alla
loro supremazia militare e tecnologica.
Le spedizioni coloniali europee furono però l’origine di dissapori e di controversie fra
le varie potenze europee, in particolare sul dominio del bacino del Congo, una regione
che aveva attirato gli interessi di molteplici nazioni, in particolare la Francia e il
Portogallo; nel tentativo di contenere gli effetti destabilizzanti che le espansioni
coloniali potevano provocare sulle relazioni internazionali, il cancelliere tedesco Otto
Von Bismarck convocò i rappresentanti dei paesi europei a presenziare alla
Conferenza di Berlino (1884 – 1885), con l’obiettivo di risolvere le controversie nate
dal colonialismo. Il risultato principale della conferenza fu l’inizio della corsa per la
spartizione dell’Africa (“scramble for Africa”), dove le nazioni europee si spartirono
i territori africani senza il consenso delle popolazioni locali, spinte da un’ideologia
eurocentrica e xenofoba che alimentava la presunta “missione civilizzatrice” nelle
regioni africane da parte delle potenze europee.
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La Prima guerra mondiale non svilì la mistica coloniale e la sensazione di imponenza
che gli imperi europei trasmettevano sui propri domini, poiché il contributo umano e
materiale delle colonie fu presentato come un segno inconfutabile di lealtà e
attaccamento. Gli imperi coloniali però non realizzarono, o non volevano realizzare,
che le società coloniali stavano subendo al proprio interno dei mutamenti consistenti,
cambiamenti dovuti a un improvviso progresso culturale e tecnologico delle
popolazioni coloniali. E mentre l’Europa si leccava le ferite e cercava di riprendersi
dalla ferocia bellica della Prima guerra mondiale, le popolazioni indigene
cominciarono ad organizzarsi in movimenti nazionalisti, con l’obiettivo di
riconquistare la propria sovranià e pronti a contrastare, sia civilmente che
bellicosamente, i propri padroni europei.
L’imperialismo europeo
L’Europa estesa
I principali imperi coloniali europei vissero il loro periodo massimo di espansione
territoriale nel periodo fra le due guerre mondiali: fatta eccezione per l’annessione
della Manciura da parte del Giappone e l’occupazione dell’Etiopia da parte dell’Italia
fascista, l’estensione coloniale degli imperi fu dovuta principalmente alla
trasformazione dei domini tedeschi e ottomani in possedimenti o mandati
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controllati
da alcuni dei paesi usciti vincitori dalla I° Guerra Mondiale, ovvero Gran Bretagna,
Francia, Paesi Bassi e Belgio.
Questa ridistribuzione dello spazio coloniale, richiesta con il trattato di Versailles e
durante la conferenza di San Remo dell’aprile 1920, ridefinì ulteriormente i confini
delle colonie e inasprì il rapporto fra la madrepatria e le proprie colonie, reso già
complicato dall’attaccamento morboso delle madrepatrie nei confronti delle proprie
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Il Mandato della Società delle Nazioni è un istituto creato per regolare le sorti dei territori e delle
colonie cedute dall’Impero Ottomano e dalla Germania alla fine della Prima guerra mondiale.
Attraverso i mandati le potenze europee, che non potevano costruire basi e fortificazioni militari,
aiutavano i stati mandatari a raggiungere la propria indipendenza economica e politica.
L’amministrazione dei mandati internazionali era regolamentata dall’art. 22 del Patto delle Società
delle Nazioni, dove si specificava anche la divisione dei mandati in base al grado di sviluppo del paese
mandatario (Classe A; Classe B; Classe C). Per una lettura del Patto della Società delle Nazioni e in
particolare dell’art. 22, cfr. Atlante del Ventesimo secolo. I documenti essenziali 1919 – 1945, a cura
di Vittorio Vidotto, Bari, Editori Laterza, 2011.
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colonie, con quest’ultime che erano la fonte principale per l’esportazione di risorse
economiche e di materie prime altrimenti introvabili in patria, nonché la dimostrazione
della forza militare e politica dei paesi occidentali.
Il colonialismo europeo toccò il proprio apice espansionistico negli anni ‘30: l’Europa
all’epoca possedeva all’incirca 56,5 Km
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del pianeta, agglomerando a sé più di 600
milioni di persone (il 31% della popolazione mondiale). Il paese europeo che veniva
riconosciuto come la forza colonizzatrice principale era la Gran Bretagna, un
autentico impero universale, non lontano idealmente dall’impero spagnolo di Carlo V
del XVI° Secolo, dove “il sole non tramontava mai”. L’impero britannico ebbe
un’evoluzione costante nel corso dei secoli e si può definire come un insieme variegato
ed eterogeneo di possedimenti coloniali, raggruppabili in tre fasce precise:
• I dominion: gruppo formato da nazioni come il Canada, l’Australia, la Nuova
Zelanda e l’Unione sudafricana, sono ex colonie britanniche abitate da popolazioni
bianche che beneficiarono di una quasi indipendenza dal Commonwealth delle
nazioni;
• L’impero delle Indie: chiamato così a partire dal 1872 dalla regina e imperatrice
Vittoria, questa fascia definisce l’insieme unico dei paesi appartenenti al
subcontinente indiano, con l’eccezione della Birmania, dichiaratasi indipendente
nel 1937. Il governo dell’India spettava al viceré, un monarca che aveva completa
libertà sull’esercizio dei propri poteri amministrativi e che controllava
l’amministrazione dell’Indian Civil Service, il servizio civile d’élite della colonia
indiana;
• Il Dependent Empire o Dependencies, un gruppo disparato e vario di colonie della
Corona inglese, consistevano in protettorati, basi strategiche e mandati, concentrati
perlopiù nell’Africa Nera, nell’Asia e nel Mediterraneo.
Alcuni paesi sfuggivano da questa rigida divisione, come per esempio l’Egitto, che
ottenne l’indipendenza in maniera frammentaria fra il 1922 e il 1936 ma che rimase
all’interno della sfera d’influenza inglese a causa della presenza del canale di Suez, un
canale artificiale che permetteva (e permette tutt’oggi) il passaggio di navi e merci
dall’Europa all’Asia, una fonte di profitto ritenuta essenziale dall’impero inglese e la
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cui proprietà sarà ragione di conflitto fra gli egiziani e i britannici. All’impero
britannico inoltre furono assegnati dalla Società delle Nazioni i mandati dell’Iraq
(indipendente nel 1930), della Transgiordania (1936) e della Palestina; quest’ultima
costituisce un caso completamente a sé stante, in cui l’immigrazione ebraica entrò in
contrasto con le pretese arabe, generando una situazione conflittuale che la Corona
inglese, anche per negligenze sue, non riuscì a gestire.
Nonostante non fosse mastodontico come l’impero britannico e la sua natura sia stata
oggetto di dibattito nei circoli intellettuali socialisti, l’impero coloniale francese fu la
rappresentazione della potenza militare e della grandeur della Francia. I possedimenti
francesi si concentravano fra il blocco maghrebino-africano e l’Indocina, regioni la cui
giurisdizione non competeva alla stessa istituzione ministeriale: l’Algeria, considerata
per la sua vicinanza alla Francia come un’appendice della madrepatria, era di
competenza del Ministero degli interni; il Marocco e la Tunisia dipendevano invece
dal ministero degli esteri; la Siria e Libano, essendo dei mandati a cui era stata
promessa l’indipendenza, erano gestiti in co-abitazione con la Società delle Nazioni;
il resto delle colonie invece era sottoposto al controllo del Ministero delle colonie, il
cui compito era controllare e gestire possedimenti molto diversi fra di loro quali il
Madagascar, la Réunion (un’isola dell’Oceano Indiana), le isole Comore, la Somalia
francese, l’Unione indocinese etc...
A questa varietà di possedimenti e istituzioni ministeriali si aggiungeva anche
un’applicazione diversificata della dottrina coloniale, con la Francia che oscillava fra
l’assimilazione, adottata soprattutto in Algeria e nell’Indocina, e l’associazione,
praticata invece in paesi come la Tunisia e il Marocco, una dottrina più rispettosa
dell’identità della popolazione natia e meno esigente dal punto di vista amministrativo.
La Francia si contendeva il primato di seconda potenza coloniale con i Paesi Bassi,
che possedevano un impero coloniale antico ed erede spirituale del passato splendore
navale e commerciale delle Province Unite. L’impero olandese era meno esteso
rispetto a quello francese, ma in compenso era più ricco e prospero, grazie allo
sfruttamento delle piantagioni e delle materie prime delle isole di Giava e Sumatra, i
due atolli principali delle Indie orientali olandesi e che rappresentavano la punta di