2
Se dunque un tempo un personaggio come Pac Man era entrato a far parte solo del-
la sotto cultura giovanile dell’epoca, oggi Lara Croft (eroina del videogioco Tomb Raider)
è diventata un prodotto che fa parte dell’immaginario collettivo, come lo sono stati Renzo e
Lucia, Gulliver, Gandalf, Rocky Balboa, Batman, l’Uomo Ragno o qualsiasi altro eroe di
cinema, letteratura o fumetti.
Se è vero che molti personaggi dei videogiochi, dei fumetti o di tante altre forme di
espressione, considerate inferiori da chi predilige generi classicamente considerati “alti”
come la letteratura o il teatro, fanno parte della cultura di massa pur non essendo un pro-
dotto artistico, è altrettanto vero che vi sono videogiochi, cartoni animati, fumetti che sono
forme d’arte a tutti gli effetti. Del resto lunghe battaglie hanno sempre caratterizzato
l’inserimento più o meno ufficiale tra le forme d’arte dei nuovi mezzi di espressione, si
pensi al cinema, dunque non c’è da stupirsi che in futuro anche nuove forme di espressione
vengano finalmente considerate tali.
Il nuovo medium è una risorsa che va compresa a pieno per sfruttarne le po-
tenzialità e limitarne i rischi, senza abbandonarsi a pregiudizi o facili giudizi morali
negativi. E’ naturale che di fronte a novità rivoluzionarie le domande e gli interrogativi
siano molti, così come è naturale che ogni realtà nasconda aspetti sia positivi che negativi
(es. Internet non è priva di rischi, così come non lo è la realtà stessa che viviamo ogni gior-
no!).
3
II. I game studies
«Il computer è il primo metamedium e, come tale, offre delle potenzialità
a livello di rappresentazione ed espressione mai incontrate prima».
lan Kay
A partire dai primi anni del ventunesimo secolo una nuova disciplina accademica si
è fatta strada nel campo dello studio dei new media: l’analisi dei videogiochi, o game stu-
dies. Undici anni fa, Paul Saffo, direttore dell’Institute for the Future di Menlo Park, in
California, ha formulato la cosiddetta “regola dei trent’anni”, secondo la quale “da cinque
secoli a questa parte, la quantità di tempo richiesta perché le nuove idee possano penetrare
completamente all’interno di una cultura si è assestata regolarmente su una media di tre
decenni”
1
. Su questa costante storica, Roger Fidler ha sviluppato il concetto di “mediamor-
fosi”, inteso come “la trasformazione dei mezzi di comunicazione, causata dalla complessa
giustapposizione di bisogni percepiti, pressioni competitive e politiche, e innovazioni so-
ciali e tecnologiche”.
2
La metamorfosi del videogioco si è conclusa: introdotto sul mercato nei primi anni
settanta, il ludus elettronico non è più una semplice meraviglia elettronica, ma un prodotto
complesso, causa ed effetto della rivoluzione digitale. Pur essendo scaturito in seguito a
processi di fusione tra media pre-esistenti, il video game possiede tutti i caratteri
dell’unicum: è, di fatto, una nuova “tecnologia culturale”.
3
Marshall McLuhan ha scritto profeticamente: “L’idrido, ossia l’incontro tra due
media, è un momento di verità e di rivelazione dal quale nasce una nuova forma.
1
V. “Paul Saffo and the 30-year rule”, Design World, 1992
2
V. Roger Fidler Mediamorfosi, Guerini & Associati, Milano 2002
3
V. Abruzzese & Borrelli L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio, Carocci, Roma 2000
4
Ogni volta che si stabilisce un immediato confronto tra due strumenti della comuni-
cazione, anche noi siamo costretti, per così dire, a un urto con le nuove frontiere che ven-
gono a stabilirsi tra le forme”.
4
Gli fa eco Manovich, che precisa: “il videogioco – insieme
ai siti Internet, mondi virtuali, multimedia, computer grafica e computer animation – è,
prima di tutto, una nuova forma culturale che dipende dal computer per quanto concerne la
sua presentazione e distribuzione”.
5
Negli ultimi tre anni, negli Stati Uniti e in Europa, il campo del game studies è let-
teralmente esploso. Il videogioco ha espugnato la Torre d’Avorio, diventando una “disci-
plina autonoma di insegnamento e ricerca, il cui programma non è soggetto alle pretese ti-
ranniche di una comunità accademica accondiscendente, quando non apertamente ostile”.
6
Da qui la necessità di analizzare in modo sistematico e rigoroso il fenomeno del videoga-
me, creare un vocabolario comune, individuare e sciogliere i principali nodi di discussione.
E’ quello che si propone di fare la mia tesi.
Due furono le arti fondatrici: l’Architettura e la Musica, scoperte dall’uomo pri-
mitivo fabbricando la sua prima capanna e danzando col solo accompagnamento della vo-
ce, che cadenzava i colpi dei piedi sul terreno. La Pittura e la Scultura nacquero, poi, co-
me declinazioni dell’Architettura, la Poesia (intesa come Letteratura) e la Danza come
prolungamenti della Musica. Il cerchio delle sei arti sembrava rimanere tale, fino a quando
l’umanità sperimentò l’invenzione del cinematografo, oggi definito per convenzione “La
settima arte”. Non era ancora finita, in quanto la nostra specie, sempre in movimento sulla
via del progresso, avrebbe trovato nuove forme di espressione artistica. Fu un critico e sto-
rico cinematografico francese di nome Claude Beylie (1932-2001) che propose di integrare
nel novero delle arti anche il Fumetto, definendolo “Nona arte”, in quanto l’ottavo posto
spettava, sempre secondo Beylie, alla Radio-Televisione.
4
V. Marshall McLuhan Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1964
5
V. Lev Manovich Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Roma 2002
6
V. Espen Aarseth “The Dungeon and the Ivory Tower: Vive La Differrence ou Liaison Dangereuse?” Game Studies,
vol. 2, luglio 2002
5
Il videogioco è solo intrattenimento? E’ un passatempo riservato a una cerchia di
appassionati? Può essere considerato cultura? E se invece, grazie al progresso tecnologico,
fosse diventato una forma d’arte? Potrebbe essere la “Decima arte”?
6
LEVEL 0
LE ORIGINI DEL VIDEOGIOCO
I. IL GIOCATORE DI SCACCHI DI MAELZEL
1
«Non tutti gli artisti sono giocatori di scacchi,
ma tutti i giocatori di scacchi sono artisti»
Marcel Duchamp
Un barone ungherese di Presburg, Wolfgang von Kempelen, nel 1769 inventò un
congegno che avrebbe stupito il mondo. Era un automa di dimensioni umane raffigurante
un uomo avvolto in abiti orientali, seduto dietro una specie di scrivania chiusa sul davanti
da tre sportelli, con due cassetti in fondo; per il suo aspetto e il turbante che portava in testa
era conosciuto come "il Turco".
1
V. Ciro Ascione Videogames, elogio del tempo sprecato, Edizioni Minimum Fax, 1999
Ecco l’automa che sa-
peva giocare a scac-
chi; almeno fino a
quando Edgar Allan
Poe non ne scoprì il
trucco…
7
I suoi movimenti, per quanto elaborati, non erano una grande novità: si pensi che
già le bambole meccaniche di Neuchatel, create da Jacquet-Droz, potevano suonare la pia-
nola o scrivere dopo aver intinto la penna nel calamaio. Il turco di von Kempelen invece
muoveva solo il braccio sinistro, agitava la testa e roteava gli occhi; ma, a differenza degli
altri automi, era in grado di giocare a scacchi! Prima di ogni partita, l'inventore apriva gli
sportelli ad uno ad uno, mostrando agli spettatori un complesso di ingranaggi, rotelle, fili di
ogni genere, veramente impressionante. Nessuno riusciva a comprendere il suo funziona-
mento.
In seguito alla morte di von Kempelen, avvenuta nel 1784, i figli vendettero l'auto-
ma a Johann Maelzel, celebre inventore del metronomo, che gli fece fare il giro di tutte le
corti d’Europa. Sconfisse Giuseppe II d’Austria e Napoleone, e verso il 1835 sbarcò negli
Stati Uniti, dove colpì la fantasia del giovane Edgar Allan Poe. Fu proprio Poe, in una luci-
da e brillante esposizione in un giornale locale, a rivelare “the spoof of the Turk”, ovvero
la truffa del Turco.
L’automa era semplicemente azionato nell'interno da un uomo di piccola statura,
che si occultava abilmente dietro gli ingranaggi, spostandosi a destra o a sinistra a se-
conda dello sportello che veniva aperto. I movimenti dei pezzi sul tavolo, durante la parti-
ta, gli venivano segnalati da piccoli magneti posti al di sotto, in modo che il giocatore po-
tesse riprodurre le mosse su una scacchiera tascabile, e rispondere, poi, manovrando il
braccio mobile del turco. A lungo si nascose all'interno dell'automa un polacco di nome
Worowski, che aveva perso le sue gambe in guerra, e in seguito il francese Mouret.
Il giocatore di scacchi di Maelzel, pur essendosi rivelato un abile trucco da presti-
giatore, aveva però scoperchiato il proverbiale vaso di Pandora. Lo stesso Poe ammetteva
che, se si fosse trattato di un puro e semplice congegno automatico, avrebbe rappresentato
l’invenzione più grande della storia dell’umanità.
8
Nel 1820 il matematico Charles Babbage aveva già messo a punto un primitivo
modello di calcolatore. Ma i calcoli algebrici, scrive Poe, «sono fissi e determinati, non di-
pendono da nulla e da nulla sono influenzati, tranne che dai dati originariamente forniti».
2
Una partita a scacchi invece può prendere infinite pieghe, una mossa di un giocato-
re non implica affatto una sola possibile risposta da parte del suo avversario. Una macchina
capace di giocare e di vincere una partita a scacchi perciò doveva essere in grado di esami-
nare le migliaia di mosse effettuabili a ogni turno, e di scegliere la migliore in assoluto.
Si sarebbe trattato di un congegno assai più complesso del calcolatore, in quanto
non si sarebbe basato su un semplice meccanismo di causa-effetto, ma avrebbe preso in
considerazione ogni variante immaginabile.
Il trucco di von Kempelen fu ripetuto nel 1961 dai programmatori del MIT
(Massachusetts Institute of Technology), giovani e geniali studenti di informatica convinti
che i computer dovessero essere usati anche come mezzo di svago al di là della loro fun-
zione seriosa e intoccabile. Così collegarono due computer siti in stanze differenti, e in-
vitarono due professori a testare il nuovo sensazionale programma che avrebbe inse-
gnato a una macchina il gioco degli scacchi. Entrambi gli accademici erano convinti
di sfidare un computer, mentre in realtà stavano giocando tra loro.
Pochi mesi dopo, dagli stessi programmatori, nacque il primo vero e proprio programma di
scacchi per computer; e furono sempre gli studenti del MIT a scrivere il codice sorgente di
Spacewar, simulazione di una battaglia spaziale nonché primo videogioco della storia.
L’approccio trasgressivo e irriverente dei giovani programmatori alla macchina get-
tava le basi dell’attuale filosofia informatica: il computer non si limitava più ad essere un
gigantesco e costoso calcolatore, ma un dispositivo che poteva interfacciarsi con tutti gli
aspetti della vita e della fantasia.
2
V. Lo studio scettico di Edgar Allan Poe sull’automa in “Von Kempelen and His Discovery” consultabile all’URL
http://www.textual.net/poe/kempelen.htm
9
Oggi sfidare a scacchi il computer è un passatempo obsoleto, poco amato dagli ap-
passionati di videogame, eppure fino a pochi anni fa era visto ancora come un prodigio
tecnologico. Si pensi alla partita tra l’intelligenza artificiale HAL 9000 e l’astronauta Keir
Dullea in 2001: Odissea nello spazio, alla sfida tra Kurt Russell e il suo Macintosh ne La
Cosa o agli scacchi ologrammatici di Guerre stellari. L’inganno (o il sogno?) del barone
von Kempelen si è trasformato in realtà, in occupazione banale.
Tornando sugli automi, si pensi ai due mori di piazza San Marco a Venezia, costrui-
ti nel XV secolo, che percuotono una pesante campana di bronzo o al carillon del munici-
pio di Staroměstské a Praga, del 1490, che mostra la sfilata dei dodici apostoli mentre uno
scheletro animato scandisce il rintocco delle ore. Si pensi a come queste straordinarie opere
abbiano affascinato generazioni di uomini e donne, grazie alla rappresentazione meccanica,
reiterata, dei medesimi gesti. Non è lo stesso meccanismo del cinema nella sua forma clas-
sica? Un film, a ogni proiezione, è sempre uguale, è un flusso di immagini riproducibile
all’infinito; così come gli Apostoli di Staroměstské sfileranno sempre nello stesso ordine. E
l’attesa, lo stupore, il coinvolgimento sono paragonabili a quelli che si manifestano durante
una proiezione in una sala cinematografica.
Così, come l’invenzione dell’automa anticipa quella del cinema (intuendo le po-
tenzialità della rappresentazione automatica di una narrazione), il giocatore di scacchi di
Maelzel anticipa la necessità, da parte dell’uomo, di interagire pudicamente con un uni-
verso meccanico, fittizio, e nello stesso tempo fantastico. Anticipa quindi il videogioco. E
lo fa nel corpo di un automa, quindi di una diretta anticipazione del cinema. E’ la prima
analogia che si può riscontrare tra il mondo del cinema e quello dei videogiochi, l’inizio
di un lungo filo rosso che lega questi due linguaggi.
10
II. IL CERCHIO EVOLUTIVO DEL VIDEOGIOCO
«La vita ha un solo vero fascino: quello del gioco»
Charles Baudelaire
Se la storia dei videogiochi fosse una giornata di ventiquattro ore, Pong (il padre di
tutti i giochi da sala) sarebbe nato alle 6 e 35 del mattino. L’Atari 2600 (una delle prime
console
3
casalinghe) viene al mondo in tarda mattinata, alle 10 e 17, e il Nintendo
Entertainment System
4
raggiunge le spiagge americane alle 4 e 27 del pomeriggio. Il
Megadrive
5
della Sega e il Game Boy
6
di Nintendo si fanno vedere per l’happy hour, alle 6
e 30 del pomeriggio. E gli evolutissimi sistemi casalinghi per videogiochi come Playstation
2
7
e Xbox
8
ci investono venti minuti prima di mezzanotte.
9
Dal lontano 1962 (anno di nascita di Spacewar) ad oggi una classificazione dei gio-
chi risulterebbe mastodontica e proibitiva; perciò tramite delle tabelle
10
è possibile eviden-
ziare quali siano state le tappe fondamentali della loro evoluzione:
3
La console è un computer casalingo destinato unicamente a scopi ludici
4
E’ prima console targata Nintendo, meglio conosciuta con l’acronimo NES
5
Console di successo di casa Sega
6
E’ la prima handheld, ovvero la prima console palmare
7
Console di seconda generazione della Sony
8
Console di nuova generazione della Microsoft
9
V. J.C. Herz Il popolo del joystick Feltrinelli, Milano, 1998
10
V. J.C. Herz Il popolo del joystick pag. 24-33, Feltrinelli, Milano, 1998
11
L’era pre-Pong
Anno Evento Gioco
1962 Spacewar
1966
Prima interfaccia sperimentale TV/computer,
fa scivolare due puntini luminosi in uno schermo.
1972
Nolan Bushnell fonda l’Atari. Pong diventa il
primo successo da sala giochi.
Pong aveva solo due istruzioni: INFILA LA MO-
NETA e PER UN PUNTEGGIO ALTO EVITA DI
MANCARE LA PALLA.
Sullo schermo c’erano solo due linee che rappresen-
tavano le racchette e un quadrato che rappresentava
la palla.
1974 Pong casalingo dell’Atari
1976
Channel F della Fairchild, primo sistema casalin-
go di videogiochi con cartucce.
1974: Un’immagine tratta
da Pong, primo videogioco
per l’intrattenimento casa-
lingo.
12
L’era Atari
Anno Evento Gioco
1977
Primo crollo dei videogiochi (la cosiddetta “peste
dell’hardware
11
”)
Gli scaffali si infestano di cloni di Pong per uso casa-
lingo dei quali ci si disfa poi con altrettanta rapidità,
svendendoli a prezzi di fallimento. La Fairchild e la
RCA si estinguono come fabbricanti di console per
uso domestico. I produttori di cloni spariscono. So-
pravvive l’Atari.
1978 Atari VCS (2600)
Space Invaders. E’ stato il primo videogioco a
sfruttare realmente il mezzo, senza rifarsi agli an-
tichi passatempi quali il ping pong o il flipper.
Quarantotto alieni da fantascienza, disposti su sei
file orizzontali, marciavano verso il basso dello
schermo e sparando proiettili laser. Tanti più ne
venivano colpiti, tanto più in fretta avanzavano.
Quando alla fine venivano eliminati tutti, appariva
un nuovo squadrone che partiva una fila più in
basso del precendente, all’infinito.
1979
Quattro ex programmatori dell’Atari fondano la Ac-
tivision, prima azienda di software per videogiochi.
Activision non produce hardware, ma solo cartucce,
e prospera come parassita simbiotico dell’Atari 2600
e delle piattaforme successive.
Asteroids. La sua grafica vettoriale disegnava
un’astronave a forma di freccia galleggiante in
mezzo a una tempesta di asteroidi, da ridurre in
pezzi via via sempre più piccoli per mezzo di e-
splosioni. Aveva una sua eleganza minimalista.
Fu anche il primo coin-op
12
dotato di un tabellone
elettronico del punteggio che permetteva ai gioca-
tori di inserire le proprie iniziali su una schermata
onorifica alla fine di una partita da record.
1980 Intellivision della Mattel
Pac Man. IL gioco da sala giochi. Simboleggia la
neonata estetica delle sale giochi inizio anni ottan-
ta: una sola leva di controllo, colori sgargianti,
intervalli animati tra i vari livelli e personaggi
senza estremità con soprannomi carini; i terribili
fantasmini inseguitori erano conosciuti come
Blinky, Pinky, Inky e Clyde. Ingoiando una pillo-
la energetica si rovesciavano le posizioni, e una
volta che venivano mangiati, gli occhi se ne tor-
navano fluttuando nel recinto di partenza per ri-
mettersi in sesto.
1981
Nintendo e Sega iniziano a esportare giochi da sala
negli Stati Uniti.
Frogger. L’odissea di un ranocchio per evitare di
diventare cadavere al bordo della strada. Correre
attraverso l’autostrada, saltare di tronco in tronco
al di là del fiume e d evitare i serpenti velenosi
per raggiungere il piccolo nido anfibio in cima
allo schermo.
1982
La Colecovision debutta con la sua grafica superiore
e un adattatore per cartucce Atari.
Sulla base delle deboli previsioni per le vendite nata-
lizie, gli agenti di Wall street abbandonano la nave
degli investimenti collegati ai videogiochi, che sta
colando a picco.
Donkey Kong. Primo successo americano della
Nintendo. Un idraulico panciuto, baffuto e dalla
carnagione scura chiamato Mario, deve salvare
una damigella rapita da un gorilla. Negli anni e
innumerevoli videogiochi dopo, Mario è diventato
la mascotte della Nintendo.
11
L’hardware rappresenta tutti i componenti fisici del computer
12
Forma contratta di “coin operating”, ovvero “funzionante a monete”.
13
1983
Secondo crollo dei videogiochi (la “peste del sof-
tware”)
Inondati da caricatori costruiti da case di software, i
consumatori sono incapaci di distinguere le perle dal-
la feccia e prediligono i cesti delle svendite, costrin-
gendo anche i produttori di giochi di alta qualità in
un circolo vizioso di sconti e perdite. Decine di pro-
duttori di software dichiarano bancarotta e la ricerca
e lo sviluppo sui videogiochi vengono congelati.
Dragon’s Lair. Primo e unico laser game
13
di suc-
cesso. Lato positivo: la crociata del prode Dirk
per salvare la nubile Principessa Daphne sembra-
va proprio un’avventura a cartoni animati della
Disney. Lato negativo: era necessario seguire un
set molto restrittivo di mosse lineari…o morire.
Bel gioco anche se stupido.
1984
La Nintendo presenta in Giappone il proprio Fami-
con a 8 bit.
1985
L’industria dei videogiochi da casa negli Stati Uniti e
in Europa è virtualmente inesistente.
13
I laser game sono i primi tentativi di film interattivi, finiti nel dimenticatoio per la loro scarsa interattività.
In basso: Space Invaders (1978)
A destra: l’intramontabile Pac Man (1980)
14
A sinistra: Donkey Kong (1982)
In basso: la schermata iniziale di Frogger (1981)
A fianco: Dragon’s Lair (1983),
bello da vedere ma frustrante da
giocare
15
L'era a 8 bit
Anno Evento Gioco
1986
Il Nintendo Entertainment System (NES) e Super
Mario Bros. Prendono d’assalto l’America e la
conquistano.
Il Master System di Sega segue a ruota il NES.
Gauntlet. Il primo gioco di ruolo (GdR)
14
da sala. I
controlli da cappa, spada e sortilegio di Gauntlet
potevano ospitare fino a quattro giocatori: Questor
l’Elfo, Merlin il Mago, Thor il Guerriero e Thyra la
Valchiria. Richiami sonori rimbombanti annuncia-
vano informazioni importanti come “Tesoro, 100
punti” e “Mago, la tua forza vitale sta terminando!”
quando il gioco incitava ad inserire nuove monete
per ripristinare le esauste riserve di energia.
1988
Il NES Nintendo è il giocattolo più venduto negli
Stati Uniti.
14
Il gioco di ruolo è un gioco che permette di creare un proprio alter ego con determinate caratteristiche e concede ai par-
tecipanti una libertà assoluta nello svolgersi dell’avventura. La fantasia e l’immaginazione dei partecipanti sono il suo
punto di forza.
Gauntlet (1985),
gioco di ruolo
simbolo dell’era a
8 bit