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INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dalla volontà di capire perchè alcune imprese
riescano ad affrontare le crisi reputazionali e d’immagine con
successo, considerandole opportunità per migliorarsi, mentre altre
falliscono.
La motivazione che mi ha spinto ad affrontare questo tema è, più
precisamente, la ricerca del ruolo della comunicazione all’interno del
crisis management, per capire se un diverso approccio comunicativo
può significare un diverso esito della crisi.
Le imprese vivono costantemente in uno stato di rischio, non solo
dal punto di vista economico-finanziario ma anche da quello di
immagine e reputazione, spesso non considerato di eguale
importanza.
La gestione di una crisi reputazionale è una materia ancora poco
sviluppata all’interno della cultura d’impresa perché si ignora il fatto
che una strategia sbagliata possa recare più danni della crisi stessa.
Il modello comunicativo delle imprese è in evoluzione costante e
necessita quindi di un continuo adattamento ai nuovi canali e
strumenti che si diffondono. È facile pensare, infatti, come la
rivoluzione digitale e l’avvento dei social media stiano modificando
gli schemi comunicativi tradizionali: la viralità dei contenuti e la
multi-canalità richiedono un atteggiamento differente da quello a cui
si era abituati.
Una crisi di immagine non deve però essere sempre considerata
come un evento disastroso in grado di interrompere la business
continuity: sono sempre più frequenti gli esempi di brand che da una
criticità apparentemente negativa colgono l’opportunità per avviare
processi di miglioramento, che altrimenti non sarebbero stati fatti.
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L’obiettivo di questo elaborato è quindi capire come la comunicazione
possa avere un ruolo fondamentale per trasformare una crisi in
un’opportunità di cambiamento.
La tesi è articolata in quattro capitoli, a cui vengono in ausilio gli
approfondimenti di diversi casi studio.
Il primo capitolo introduce la nozione di impresa, vista come sistema
socio-tecnico che crea valore non solo economico-finanziario ma
soddisfa anche le esigenze dei portatori di interesse.
Tali attori, detti anche stakeholder, sono fondamentali per la vita
dell’impresa perché sono in grado di condizionarla ed influenzarla.
Verrà approfondito il loro ruolo in quanto principali destinatari della
comunicazione del brand.
L’attenzione è quindi posta sulla natura circolare del processo di
comunicazione, sottolineando l’importanza di considerare il rumore
di fondo e la ricezione dei feedback, che influenzano il buon esito del
processo stesso.
Infine vengono analizzate le macro-aree in cui si può suddividere la
comunicazione di impresa: l’area economico-finanziaria, di
marketing, organizzativa e istituzionale.
Il secondo capitolo rappresenta il cuore dell’elaborato, perché
approfondisce il concetto di crisi aziendale e di issue management.
Il tema centrale è la concezione della crisi dell’azienda - evento
che rompe lo stato di quiete precedente - come opportunità per
avviare un cambiamento.
Durante la propria vita le imprese sono costantemente esposte al
rischio e fortunatamente stanno aumentando la propria
consapevolezza; nonostante ciò manca ancora una forte cultura
alla prevenzione e alla gestione delle criticità.
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Per poter affrontare una crisi è necessario conoscerla a fondo: per
questo ho approfondito gli elementi che la caratterizzano e che
permettono il suo sviluppo e le possibili cause.
A seconda dell’origine, infatti, la crisi può essere classificata ed
affrontata in diversi modi: in questo lavoro sarà protagonista la
crisi traumatica, ovvero un evento critico causato da situazioni
impreviste come catastrofi naturali, errori umani o azioni di terze
parti.
Avendo quindi delineato il contesto di riferimento, vengono
proposti i modelli di due autori, Fink e Mitroff, che studiano le fasi
del ciclo di vita della crisi, ovvero ciò che accade prima, durante e
dopo l’evento critico.
Il loro lavoro ha portato a un grande risultato nella concezione
dell’issue management: Mitroff, riprendendo il precedente studio
di Fink, introduce la fase di apprendimento, che permette
all’organizzazione di utilizzare il patrimonio di informazioni
acquisito durante la crisi per affrontare quelle future, integrandolo
nella nuova cultura interna che si va a creare e rendendo il modello
ciclico.
Nell’ultima parte del capitolo l’attenzione si sposta proprio
sull’issue management, definendolo e approfondendo il processo
che l’impresa utilizza per gestire i segnali critici che anticipano la
crisi vera e propria.
Il terzo capitolo, invece, si concentra sul tema della reputazione
aziendale, ovvero la percezione e il giudizio del brand agli occhi dei
pubblici, formatasi in base alle azioni e ai comportamenti che
l’impresa ha avuto in un lungo periodo di tempo.
È un asset fondamentale per la vita dell’impresa e, data la sua
dimensione temporale, non può essere comprata o imitata.
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È la risorsa intangibile che garantisce credibilità al brand e fa la
differenza sugli atteggiamenti degli stakeholder: si pensi ai
lovemarks, cioè ai brand come Apple o Coca-Cola che vanno oltre la
semplice proposta di beni ma creano una profonda relazione
emozionale con i consumatori, diventando per loro insostituibili e
mantenendo una credibilità difficile da scalfire.
Per rendere la corporate reputation un dato oggettivo e facilmente
confrontabile, viene proposto il Reptrak Pulse, uno strumento ideato
dal Reputation Institute e riconosciuto a livello internazionale, che
permette di misurare il valore della reputazione e standardizzare tale
dato per poterlo paragonare fra competitor di diversi Paesi.
La reputazione è quindi una risorsa da preservare e rafforzare nel
tempo perché può fare la differenza fra la sopravvivenza e il
fallimento in seguito a una crisi: è quindi fondamentale che le
imprese siano pronte a ricostruirla se viene danneggiata durante
eventi critici.
Il quarto e ultimo capitolo è dedicato all’avvento dei nuovi media e
alla loro influenza nella comunicazione aziendale. Si apre con la
differenza fra i media tradizionali e quelli digitali introducendo il
concetto di rivoluzione orizzontale, ovvero il cambiamento del
contesto comunicativo dato dall’avvento del Web 2.0.
Questa novità si è facilmente imposta nella vita dei cittadini perché
consente all’utente di non essere più solamente un destinatario di
informazioni da accettare passivamente, come avviene per i mezzi
tradizionali o per il Web 1.0.
Con il nuovo Web il consumatore assume un ruolo attivo e può creare
contenuti e portare valore nel nuovo mercato digitale.
L’evoluzione dell’utente verrà studiata confrontando ciò che lo
caratterizza nelle due ere tecnologiche ed analizzando i diversi ruoli
che egli può assumere sui social media.
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La novità principale è quindi il contesto relazionale in cui si è immersi
quando si naviga, facilitato dalla diffusione dei dispositivi mobili e dei
social media, strumenti definiti e classificati in questo capitolo.
A questo proposito, è riportata un’indagine sull’aumento della
popolazione connessa ad Internet e presente sui social media sia in
Italia sia nel mondo, con dati aggiornati a gennaio 2018.
L’incremento di tali dati e la diffusione dei dispositivi mobili tramite i
quali è possibile connettersi a Internet è fondamentale per capire
l’influenza che questi media stanno avendo sulla popolazione e, di
conseguenza, la necessità delle imprese di adattarsi a questa nuova
situazione.
La rivoluzione orizzontale, infatti, non ha modificato solo la vita dei
consumatori ma sta obbligando le imprese ad adattare i propri
modelli comunicativi a questa nuova realtà, specialmente per quanto
riguarda la comunicazione di crisi.
È facile immaginare, infatti, come il nuovo Web sia influente per
quanto riguarda il ciclo di vita delle crisi. Internet, come si vedrà,
può agire in vari modi: può essere il luogo in cui nascono criticità che
offline non sarebbero avvenute, così come può amplificare la portata
di una crisi nata in un altro contesto rendendola virale e
diffondendola velocemente in tutto il mondo; ma può anche essere
uno strumento essenziale di risoluzione delle criticità, per lo meno in
termini di comunicazione.
Mediante l’analisi di casi studio ho infatti cercato di capire se il Web
possa rappresentare una risorsa per le imprese per riuscire ad
affrontare e gestire le crisi in modo più efficace rispetto ai metodi
tradizionali.
Al termine dell’elaborato ho presentato l’approfondimento di cinque
casi studio a mio parere significativi al fine di questo lavoro.
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Il primo caso analizzato, il naufragio di Costa Concordia, ben
rappresenta l’esempio di un’azienda che è riuscita a sopravvivere a
una delle più importanti crisi catastrofiche mai avvenute in Italia.
Non solo la compagnia, seppure con qualche errore nella strategia
comunicativa, è riuscita ad affrontare la crisi, ma l’ha anche
trasformata in un’opportunità per avviare dei cambiamenti
organizzativi interni in materia di sicurezza e controllo.
In seguito ho riportato il caso Tylenol, case history fondamentale
perché rappresenta il primo esempio di crisi ben gestita, che ha dato
origine agli studi approfonditi di issue management.
Il colosso farmaceutico americano, vittima di avvelenamento dei
prodotti da parte di terzi, ha reagito seguendo la miglior
pianificazione possibile, rappresentando uno dei primi casi di ritiro
dei prodotti già lanciati sul mercato e creando un nuovo tipo di
confezione anti-sabotaggio.
Anche in questo caso, quindi, possiamo osservare come una tragedia
che aveva causato vittime sia stata trasformata in un’opportunità di
miglioramento, copiata poi da imprese di tutto il mondo.
Segue il caso Barilla che dimostra il cambiamento interno che
l’azienda può introdurre dopo essere incorsa in uno scandalo
reputazionale: in seguito alle dichiarazioni omofobe del Presidente
del Gruppo, l’azienda ha lavorato con una strategia ben pensata per
cambiare la propria policy a favore dell’inclusione dei diversi tipi di
consumatore.
Gli ultimi due esempi analizzati sono accomunati dalla stessa origine:
dichiarazioni scandalistiche all’interno della trasmissione
giornalistica Report, esplose poi sui social media.
Nel caso del brand di abbigliamento invernale Moncler, accusato di
maltrattamento delle oche dalle quali trae le piume, la risposta è
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stata lenta e preceduta da una comunicazione 1.0; questo caso è
emblematico del fatto che in Italia la maggior parte delle aziende sia
molto attenta ai rischi che possono colpire direttamente il business,
ma non consideri allo stesso livello i pericoli che colpiscono
l’immagine e la reputazione.
In questo caso è fortunatamente riuscita a uscirne senza perdite
grazie al fatto che il consumatore italiano non metta al primo posto
fra i criteri di acquisto l’attenzione all’eticità.
Moncler ha sicuramente mancato un’occasione per rinforzare la
propria immagine tramite una risposta tempestiva ed adeguata, ma
allo stesso tempo ha consolidato l’insegnamento dell’importanza
dell’ascolto dell’ambiente.
Il secondo brand al centro di inchieste giornalistiche molto critiche è
Eni, che rappresenta il miglior caso di crisis management avvenuto
unicamente tramite social media.
La multinazionale petrolifera è diventata un esempio di come si
dovrebbe gestire una crisi: la risposta è stata preparata in anticipo,
avendo ascoltato l’ambiente e colto i segnali delle potenziali criticità;
è stato scelto il mezzo in base alle caratteristiche più adatte alla
situazione, in questo caso Twitter, e sono stati adeguati i toni
comunicativi al target destinatario.
Così facendo, stupendo il pubblico e la redazione della trasmissione
stessa per la prontezza e la puntualità con cui ha reagito, ha spostato
l’attenzione dalle accuse che le erano state rivolte al modo in cui ha
risposto, evidenziando il proprio adattamento al nuovo contesto
digitale e dimostrando il nuovo ruolo proattivo che le imprese
dovrebbero avere nella gestione delle crisi.
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1. L’IMPRESA
L’impresa è definita come “un’organizzazione economica costituita
da un complesso di interlocutori esterni e interni che – mediante la
combinazione di risorse differenziate – svolge processi di
acquisizione e produzione di beni e servizi, allo scopo di creare e
distribuire valore tra tutti i suoi partecipanti”
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È quindi un sistema socio-tecnico che agisce in un proprio ambiente
competitivo, ovvero i mercati in cui intende operare, e il cui fine non
è solamente il perseguimento di obiettivi economici ma anche il
soddisfacimento delle esigenze dei portatori di interesse con cui
intrattiene relazioni.
Tali attori -chiamati anche stakeholder, seguendo l’accezione
anglosassone- dimostrano interesse nei confronti dell’organizzazione
perchè ne condizionano, con diversi gradi di intensità, la vita e a loro
volta ne vengono influenzati.
I portatori di interesse ricoprono infatti un ruolo fondamentale per
l’attività dell’impresa in quanto garantiscono direzione al business,
creano relazioni di fiducia e di interdipendenza che possono essere
consolidate e mantenute nel tempo e rappresentano i pubblici
obiettivo delle azioni e della comunicazione del brand.
Gli stakeholder si possono distinguere in primari e secondari
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Gli stakeholder primari sono tutti coloro che influenzano
direttamente l’impresa, senza i quali essa non potrebbe
esistere. Sono portatori di interesse primari i soci, gli azionisti,
i finanziatori (obbligazionisti, istituti di credito, creditori), i
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Sciarelli S., Economia e gestione delle imprese, Cedam, Padova, (2002)
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Pastore, A., Vernuccio, M. Impresa e comunicazione. Apogeo, Milano, (2008)
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dirigenti, i dipendenti, i clienti intermedi e finali, i fornitori di
materie prime e di servizi, i business partner e i concorrenti.
Gli stakeholder secondari, invece, non hanno un rapporto
diretto con l’impresa e quindi non sono essenziali per la sua
sopravvivenza. Alcuni esempi di stakeholder secondari sono le
istituzioni politiche, economiche, finanziarie, la comunità
locale, i media, la pubblica opinione, i gruppi di rappresentanza
e di pressione (sindacati, associazioni, lobby…) ed altri ancora.
I portatori di interesse, oltre ad indirizzare la gestione delle attività
dell’organizzazione e intrattenere relazioni fiduciarie più o meno
strette, sono i destinatari principali della comunicazione d’impresa.