2
Naturalmente non tutti gli Stati hanno finora contribuito a questa fioritura
giurisprudenziale. Fra questi, purtroppo, è da annoverare l’Italia. Nonostante
la Convenzione sia entrata in vigore nel nostro Paese da dieci anni,
5
è ancora
irrisorio il numero delle decisioni pronunciate dai nostri giudici e si tratta di
pronunzie che per lo più ne escludono l’applicazione. Tale dato assume
maggior risalto se confrontato con la situazione in alcuni Stati a noi vicini:
Austria, Francia, Germania, Paesi Bassi - nazioni in cui la Convenzione è
entrata in vigore non prima che in Italia, se non addirittura alcuni anni dopo
6
, e
che sono tra i nostri maggiori partners commerciali - hanno dimostrato di aver
preso una notevole familiarità con la disciplina uniforme in oggetto; le Corti
Supreme di tutti questi Paesi infatti si sono già pronunciate in materia.
7
Nel caso della Germania, il Paese più prolifico per quanto riguarda la
produzione giurisprudenziale, si contano addirittura circa centotrenta
pronunzie, gran parte delle quali fra l’altro vedono un’impresa italiana (di
solito nella veste di venditrice) tra le parti in causa. Ma la giurisprudenza
italiana, come ricordato poc’anzi, non è stata finora all’altezza dell’intensità
dei rapporti commerciali intrattenuti dalle imprese del nostro Paese con quelle
degli altri Stati in cui la Convenzione è in vigore.
5
La Convenzione di Vienna è entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 1988. La legge di ratifica è l. 11
dicembre 1985, n. 765, in G.U. 27 dicembre 1985 n.303, Suppl.
6
La Convenzione è entrata in vigore in Austria l’1 gennaio 1989, in Francia l’1 gennaio 1988, in
Germania l’1 gennaio 1991, nei Paesi Bassi l’1 gennaio 1992.
7
Confronta per l’Austria OGH, 2 luglio 1993, in JBl, 1994, p. 119; OGH, 24 novembre 1993, in
Unilex; OGH, 26 maggio 1994, in Unilex; OGH, 27 ottobre 1994, in ZfRV, 1995, p. 159 ss.; OGH, 10
novembre 1994, in JBl, 1995, p. 253 s.; OGH, 24 ottobre 1995, in Unilex; OGH, 6 febbraio 1996, in
RdW, 1996, p. 203; OGH, 20 luglio 1997, inedita; per la Francia cfr. Cour de Cassation, 4 gennaio
1995; per la Germania cfr. BGH, 26 marzo 1992, in RIW, 1992, pp. 756-760; BGH, 15 febbraio 1995,
in RIW, 1995, pp. 505-506; BGH, 8 marzo 1995, in RIW, 1995, pp. 595-597; BGH, 3 aprile 1996, in
RIW, 1996, pp. 594-597; BGH, 23 luglio 1997, inedita; per i Paesi Bassi cfr. Hoge Raad der
Nederlanden, 25 settembre 1992.
3
Sono sufficienti i numeri a dimostrare quanto detto: finora si contano
quattro sentenze di merito
8
, un lodo arbitrale
9
e due sentenze delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione.
10
Fra queste, merita senz’altro una menzione
particolare la sentenza resa dal Tribunale di Cuneo che, dovendo decidere
sulla tempestività di una denuncia per difetto di conformità della merce
effettuata 23 giorni dopo la consegna (art. 39 CISG), ha fatto riferimento alla
dottrina internazionale e ad alcuni precedenti giurisprudenziali stranieri che
hanno affrontato la medesima questione. I giudici hanno notato come «la
dottrina che ha preso in esame gli artt. 38 e 39 della Convenzione, ha avuto
modo di precisare come il termine per la denuncia internazionalmente elastico
lasci spazio per una valutazione da parte dell’interprete, ed in ultima istanza,
del giudice in termini di ragionevolezza, nel senso che l’elasticità andrà
commisurata alla situazione concreta di volta in volta manifestatasi. La rara
giurisprudenza rinvenibile sul punto, relativa a pronunce emesse da giudici
8
Pretura di Parma-Fidenza, 24 novembre 1989, in Unilex; Tribunale Civile di Monza, 29 marzo 1993,
Giur. it., 1994, I, 2, p.146 (con data 14 gennaio) con nota di BONELL; Corte d’Appello di Genova, 24
marzo 1995, in Unilex; Tribunale Civile di Cuneo, 31 gennaio 1996, Unilex. Nel caso esaminato dai
giudici di Monza, avente ad oggetto una controversia tra un venditore italiano ed un compratore
svedese relativa ad una partita di ferrocromo, è stata risolta negativamente la questione
dell’applicabilità della Convenzione con una decisione criticata da più parti in dottrina. Dopo aver
escluso l’applicabilità della Convenzione in base all’art. 1 comma 1° lett. a), in quanto al momento
della conclusione del contratto essa era entrata in vigore in Italia ma non in Svezia e quindi non
entrambi gli Stati in cui le parti avevano la loro sede d’affari erano Stati contraenti CISG - come
invece richiesto appunto dall’art. 1 comma 1° lett. a) -, la Corte non ha ritenuto applicabile neppure il
criterio di collegamento previsto dall’art. 1 comma 1° lett. b). Affermando che «[…] l’applicazione
delle norme di diritto internazionale privato non può venire in considerazione quando
l’individuazione della legge applicabile al contratto internazionale promani in via negoziale dagli
stessi contraenti…», il Tribunale di Monza ha di fatto negato valore di criterio di collegamento alla
volontà delle parti , le quali, nel caso di specie, avendo provveduto ad una electio iuris (il diritto
italiano), avevano implicitamente reso applicabile la Convenzione in base all’art. 1 comma 1° lett. b).
Per un’analisi in senso critico di questa sentenza, cfr. BONELL, La prima decisione italiana in tema di
Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, nota a sent. cit.; FERRARI, Diritto uniforme della
vendita internazionale: questioni di applicabilità e diritto internazionale privato, in Riv. dir. civ.,
1995, II, 669ss.; FERRARI, La vendita internazionale. Applicabilità ed applicazioni della
Convenzione di Vienna del 1980, p.71.
9
Tribunale Arbitrale ad hoc- Firenze, 19 aprile 1994, in Diritto del commercio internazionale, 1994,
pp. 861 ss.; gli arbitri di Firenze, in base al rinvio al diritto italiano operato dalle parti in sede
contrattuale, hanno ritenuto che la convenzione fosse implicitamente esclusa. Degna di nota è tuttavia
una dissenting opinion secondo la quale invece la Convenzione, proprio grazie all’indicazione del
diritto italiano quale legge regolatrice del contratto, avrebbe dovuto trovare applicazione in base
all’art. 1 comma 1° lett. b).
10
Corte Suprema di Cassazione, Sez. Un., 24 aprile 1988, n. 5739, Foro it., 1989, I, p.2878; in questo
caso la Corte ha escluso l’applicazione della Convenzione ad un contratto concluso prima della sua
entrata in vigore in Italia; Corte Suprema di Cassazione, Sez. Un., 9 giugno 1995, n. 6499, Giust. civ.,
1996, I, p. 2065, che fa riferimento all’art.3 della Convenzione per qualificare come appalto e non
come vendita un contratto di fornitura sia di beni che di servizi. Si aggiunga infine una sentenza della
Corte Costituzionale, 19 novembre 1992, n. 465, Giust. civ. 1993, p. 314 , che nel respingere una
questione di legittimità costituzionale relativa all’art.1510 comma 2 del codice civile, fa espresso
riferimento agli artt. 31 e 67 della Convenzione di Vienna in quanto basati sullo stesso principio della
norma italiana.
4
stranieri, appare decisamente rigorosa, in quanto fa leva sull’onere
preventivo imposto dall’art. 38 della Convenzione all’acquirente, che è tenuto
ad esaminare il più presto possibile la merce: qualora si tratti di difetti
facilmente ravvisabili mediante tale controllo, pertanto, anche la durata del
termine per la denuncia ne risulterà conseguentemente ridotto. Il Pretore
della giurisdizione (svizzera) di Locarno-Campagna in un caso assolutamente
analogo ma speculare per quanto riguarda la nazionalità dei contraenti
(fornitura di mobili tra un venditore italiano ed un compratore svizzero), ha
ritenuto che in presenza di un difetto evidente l’acquirente dovesse
immediatamente denunciarlo; in un caso addirittura identico per quanto
attiene il genere di beni fornito – abbigliamento – il Landgericht di Stoccarda
ha ritenuto tardiva una denuncia comunicata sedici giorni dopo la consegna
della merce». Accanto alla concreta soluzione adottata nel merito, è da
sottolineare come in questo caso i giudici italiani abbiamo mostrato di aver
ben presente quanto contenuto nell’art. 7 comma 1° della Convenzione,
secondo cui nell’interpretare le norme della disciplina uniforme si deve aver
riguardo «al suo carattere internazionale e alla necessità di promuovere
l’uniformità della sua applicazione».
Proprio la norma da ultimo citata, nel fissare gli scopi da perseguire
nell’interpretazione della Convenzione, rende palese ed esplicita l’importanza
di un’applicazione quanto più possibile uniforme della disciplina de quo ( ma
è un discorso che vale per qualsiasi convenzione di diritto materiale
uniforme
11
), lasciando poi aperto il problema dei mezzi da utilizzare per
raggiungere tale obiettivo. E’ del tutto evidente infatti che una legge uniforme,
nata con l’obiettivo di rendere omogenea la disciplina di un istituto giuridico –
nella fattispecie, la vendita internazionale di beni mobili corporali – al di là
delle singole normative nazionali, vedrebbe frustrata ogni sua utilità se venisse
poi interpretata ed applicata diversamente a seconda degli Stati in cui sia in
vigore. Va dunque da sé che «è necessario applicare le leggi uniformi in modo
uniforme»
12
.
11
A conferma di ciò può essere significativo citare il contenuto dell’art. 2 della legge 218 del 31
maggio 1995 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che al comma 2°,
riferendosi alle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, recita: «Nell’interpretazione di tali
convenzioni si terrà conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro applicazione
uniforme » (corsivo nostro). Si noti che le espressioni adoperate sono le stesse dell’art. 7 comma 1°
CISG.
12
Così FERRARI, La vendita internazionale. Applicabilità ed applicazioni della Convenzione di
Vienna del 1980, p. 8.
5
Uno dei presupposti dell’applicazione uniforme è senz’altro
l’interpretazione uniforme delle norme da parte di tutti coloro – giudici,
arbitri, avvocati - che si trovino ad aver a che fare con la Convenzione; e
un’interpretazione uniforme è raggiungibile solo attraverso un metodo
interpretativo rispettoso delle peculiarità di un corpo normativo elaborato a
livello internazionale e che tenga conto quindi del contenuto dell’art. 7 comma
1° secondo cui, fra l’altro, «nell’interpretazione della Convenzione si deve
avere riguardo al suo carattere internazionale». Per questo motivo va preferita
un’interpretazione «autonoma» della Convenzione, che affronti termini ed
espressioni della stessa indipendentemente dal significato che essi
eventualmente assumano in un particolare ordinamento statale
13
e che ricerchi
le soluzioni ai problemi esegetici nell’ambito dello stesso testo uniforme,
rispetto ad un’interpretazione «nazionalista», che tratti invece la disciplina
internazionale alla stregua di una legge nazionale e che applichi quindi criteri
e metodi interpretativi propri di un determinato sistema giuridico
14
. Un siffatto
metodo ermeneutico porterebbe facilmente ad un’applicazione non uniforme
della Convenzione e favorirebbe il fenomeno del c.d. forum shopping
15
.
In definitiva è proprio l’art. 7 comma 1° ad imporre implicitamente il
metodo di interpretazione «autonoma», poiché «avere riguardo al carattere
internazionale» della Convenzione altro non significa che rifiutare pratiche
interpretative proprie di ordinamenti giuridici nazionali, che sarebbero
13
Cfr. BONELL, Art.7, in La Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni
mobili, p. 22, dove si legge che «…avere riguardo al carattere internazionale della Convenzione
implica anche la necessità di interpretare i suoi termini e concetti in via autonoma, cioè nel contesto
della Convenzione stessa e non attraverso il riferimento che ad essi può essere tradizionalmente
attribuito all’interno di un particolare sistema giuridico nazionale ».
14
L’interpretazione «nazionalista» si basa sulla tesi che una convenzione internazionale come la
Convenzione di Vienna, una volta ratificata da parte di uno stato, diventi una semplice norma interna
di quello stato. Contro questa posizione cfr. FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili. Artt.1-
13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile Scialoja-
Branca, p. 134, che cita una sentenza della Corte di Cassazione (24 giugno 1968, n. 2106, in Riv. dir.
int. priv. e proc., 1969, 914) che, pur riferendosi ad una convenzione diversa da quella in oggetto,
afferma: «…non è consentito, sulla base di una norma interna avente una diversa area di applicazione,
dare ad una norma di derivazione internazionale diretta a regolare il traffico internazionale un
significato diverso da quello risultante dalla formula per essa adoperata e dalla comune intenzione
degli Stati contraenti. La norma di derivazione internazionale fa parte (…) dell’ordinamento giuridico
italiano, ma non può essere interpretata per mezzo di una norma interna».
15
Cfr. FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili. Artt.1-13. Ambito di applicazione.
Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, p. 130. Vedi anche
BONELL, Art.7, in La Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p.21, che avverte che il risultato del «raggiungimento dell’uniformità nel regime applicabile ai
contratti internazionali di vendita (…) sarebbe seriamente messo in pericolo se coloro ai quali è
affidato il compito di applicare la Convenzione ricorressero, in caso di ambiguità ed oscurità del testo,
a principi e criteri ricavati da un particolare diritto nazionale interno…».
6
palesemente in contrasto con lo spirito di una disciplina uniforme
16
, come
affermato di recente anche dalla Corte Suprema tedesca
17
.
A sostegno ulteriore di un’interpretazione «autonoma» si può considerare
anche il comma 2° dell’art. 7, che si occupa delle lacune della Convenzione.
Una volta definite le lacune come le «questioni concernenti materie
disciplinate dalla presente Convenzione che non sono espressamente risolte da
essa» e liberato il campo quindi dalle materie volutamente escluse dall’ambito
di applicazione della disciplina uniforme, come ad esempio la validità del
contratto o gli effetti che da esso possono derivare sulla proprietà dei beni
venduti (art. 4), la responsabilità del venditore per morte o lesioni personali
causate dai beni (art. 5) oppure la possibilità di chiedere l’esecuzione in forma
specifica (art. 28), l’art. 7 comma 2° dispone che esse «devono essere risolte in
conformità con i principi generali sui quali essi si basa ovvero, in mancanza di
tali principi, in conformità con la legge applicabile in virtù delle norme di
diritto internazionale privato». E’ necessario quindi che, di fronte ad una
lacuna, ci si sforzi di colmarla innanzitutto cercando la soluzione all’interno
della Convenzione stessa, senza ricorrere alle leggi nazionali. Le vie da
seguire sono allora le seguenti: in primis, l’applicazione analogica delle
disposizioni CISG quando sia possibile
18
, altrimenti il ricorso ai principi
generali della Convenzione
19
.
16
Cfr. FERRARI, La vendita internazionale. Applicabilità ed applicazioni della Convenzione di
Vienna del 1980, p.11; LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni
mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it., 1996, IV, 148, dove
l’autore sostiene la tesi «secondo la quale il ricorso alla regole ermeneutiche nazionali violerebbe il
suo [ della Convenzione ] carattere internazionale».
17
Cfr. BGH, 3 aprile 1996, in RIW, 1996, p. 594; la Corte, notando come la Convenzione, al contrario
del diritto tedesco, non distingua tra consegna di beni difettosi e consegna di beni diversi da quelli
ordinati, ma parli solamente di consegna non conforme al contratto, ha negato che per
l’interpretazione di tale concetto fosse ammissibile il ricorso al diritto domestico.
18
Il ricorso all’analogia per colmare le lacune della Convenzione di Vienna è ammesso da BONELL,
Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, p.24, quando
«[…] i casi espressamente regolati ed il caso de quo siano così simili che sarebbe del tutto
ingiustificato non adottare la stessa soluzione».
19
BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili, p.
24, sottolinea che «[…] il ricorso ai principi generali come mezzo per colmare le lacune diverge
dall’applicazione analogica in quanto costituisce un tentativo di ritrovare una soluzione per il caso
concreto non attraverso una mera estensione di singole disposizioni a casi analoghi, ma sulla base di
principi e norme che in virtù del loro carattere generale possono essere applicati su scala molto più
ampia».
7
Fra i principi generali, alcuni sono espressamente enunciati, come il
principio della buona fede
20
, il principio dell’autonomia delle parti (art. 6), il
principio della libertà delle forme nella conclusione del contratto (art. 11 e 29
comma 1°), il principio «della vincolatività degli usi generalmente conosciuti
e regolarmente osservati nel commercio internazionale»
21
, il principio per cui
il ritardo nel pagamento di una somma di denaro obbliga il debitore al
pagamento degli interessi (art. 78). Altri invece sono implicitamente contenuti
in specifiche disposizioni della Convenzione; la dottrina individua ad esempio
il principio per cui «le parti debbono tenere un comportamento pari a quello di
una persona “ragionevole”», il principio della mitigation, «in base al quale le
parti debbono prendere le misure ragionevoli necessarie a limitare i danni
derivanti dall’inadempimento contrattuale», il divieto di venire contra factum
proprium
22
, il principio del favor contractus, etc.
23
Solo come extrema ratio, quando non sia in alcun modo possibile
salvaguardare “l’autosufficienza” della Convenzione, l’art. 7 comma 2°
20
Al principio della buona fede fa riferimento, seppur nel limitato contesto dell’interpretazione, anche
l’art. 7 comma 1°, secondo cui «… si deve avere riguardo (…) alla necessità di promuovere (…)
l’osservanza della buona fede nel commercio internazionale».
Per BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p. 26, in base al principio della buona fede si può arrivare ad imporre alle parti «… determinati
obblighi aggiuntivi di carattere positivo». Contra FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili.
Artt.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile Scialoja-
Branca, p.150, che precisa che «…il comportamento delle parti deve essere sì valutato con il metro
della buona fede, ma nei limiti della Convenzione stessa, ossia avendo riguardo soprattutto al suo
ambito di applicazione ratione materiae come circoscritto dagli articoli I e segg.».
Il principio della buona fede è stato decisivo, ad esempio, in un caso recentemente affrontato
dall’Oberlandesgericht di Colonia, 8 gennaio 1997, in Unilex: il venditore, dopo aver ripreso indietro
i macchinari consegnati per effettuare alcune riparazioni, sospese la sua prestazione condizionandola
al pagamento di alcuni debiti precedenti da parte del compratore; tuttavia le parti avevano già discusso
le loro pendenze senza farne cenno nel loro accordo sulla riparazione e pronta riconsegna della
macchina, pertanto, secondo la Corte, il compratore era legittimato a fare affidamento sulla non
sospensione della prestazione del venditore su tali basi. Una recente applicazione del principio della
buona fede si trova anche in una sentenza dell’Oberlandsgericht di Karlsruhe, 25 giungo 1997,
inedita, in cui il venditore aveva eccepito solo in un secondo momento la tardività della denuncia;
nonostante ciò, la Corte ha ritenuto che tale comportamento non fosse contrario alla buona fede poiché
il venditore aveva in precedenza cercato di rimediare al proprio inadempimento, ma il suo tentativo
era stato vanificato dal rifiuto del compratore
21
FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili.Artt.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni
generali, p.160.
22
Per un’applicazione pratica di tale principio cfr. Corte Arbitrale internazionale della Camera
Federale di Commercio di Vienna, n. SCH 4318, in RIW, 1995, p. 590, secondo cui se una parte lascia
intendere all’altra che non farà valere contro di essa un suo diritto, non può poi esercitarlo.
23
I principi «impliciti» menzionati nel testo sono indicati da FERRARI, Vendita internazionale di beni
mobili. Artt.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali, pp.161-162, che cita inoltre il
principio per cui «ogni parte deve collaborare con l’altra per permetterle l’esatto adempimento delle
sue obbligazioni contrattuali». Vedi anche BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di
vendita internazionale di beni mobili, p. 26 e FERRARI, Principi generali inseriti nelle convenzioni
internazionali di diritto uniforme: l’esempio della vendita, del «factoring» e del «leasing»
internazionali, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1997, p. 651.
8
ammette il ricorso a norme esterne , così come individuate dalle norme di
diritto internazionale privato. Si torna quindi ai diritti nazionali per integrare la
legge uniforme. Ma il fatto che ciò sia ammesso solo in mancanza dei principi
generali interni alla Convenzione, non può non voler dire che, finchè sia
possibile, essa sia trattata in modo «autonomo».
24
Se dunque il metodo interpretativo autonomo si afferma come più adatto,
rispetto al metodo «nazionalista», a perseguire l’obiettivo dell’applicazione
uniforme della Convenzione, ciò non impedisce che, proprio sulla base del
fatto che l’art. 7 comma 1° «individui non già un metodo, ma uno scopo»,
25
altre tecniche ermeneutiche possano essere avanzate. Si fa qui riferimento alla
posizione avanzata di recente nella dottrina tedesca,
26
secondo cui alla
Convenzione di Vienna sarebbero applicabili, in quanto costituenti diritto
consuetudinario internazionale e pertanto universalmente valido
27
, le regole
interpretative codificate negli artt. 31-33 della Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati
28
. Fra i vantaggi di questo metodo interpretativo rispetto al
metodo «autonomo», vi sarebbe l’obbligo da parte degli Stati CISG, e quindi
dei loro tribunali, di applicare i principi interpretativi di diritto consuetudinario
internazionale alle norme della Convenzione, risultato non raggiungibile con i
metodi tradizionali. In tal modo, sempre a detta di tale dottrina, si eviterebbero
i rischi derivanti dai diversi modi di intendere e applicare l’interpretazione
autonoma – per non parlare delle diversità esistenti tra i metodi interpretativi
24
Secondo LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili nella
pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it., 1996, IV, 149, è ammissibile il
ricorso ai Principi Unidroit ( Principi dei contratti commerciali internazionali ) per colmare le lacune
CISG, in quanto loro scopo è quello di «essere utilizzati per l’interpretazione o l’integrazione degli
strumenti di diritto internazionale uniforme»; l’Autore cita due lodi arbitrali della Camera di
Commercio di Vienna in cui i Principi Unidroit sono stati usati per colmare la lacuna CISG relativa
agli interessi.
25
FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili. Artt.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni
generali, p.132.
26
HAPP, Anwendbarkeit völkerrechtlicher Auslegungsmethoden auf das UN-Kaufrecht, in RIW 1997,
p.376 ss.
27
A sostegno della propria tesi e a titolo di esempio, l’Autore ricorda «daß ein anderer internationaler
rechtsetzender Vertrag, das CMR-Abkommen, mangels spezieller Auslegungsregeln nach den
allgemeinen völkerretlichen Auslegungsregeln, wie sie in Art. 31-33 WVRK niedergelegt sind,
ausgelegt wird».
28
L’art.31 afferma che un trattato va interpretato secondo buona fede in conformità al significato
comune attribuito ai suoi termini in connessione tra loro ed alla luce del suo fine e scopo; inoltre
bisogna tenere conto di eventuali successivi accordi tra le parti contraenti relativi all’interpretazione
del trattato, di ogni prassi successiva riguardante la sua applicazione e di ogni norma di diritto
internazionale applicabile nei rapporti tra gli Stati.
Secondo l’art. 32 si ammette il ricorso ai lavori preparatori come mezzo complementare
d’interpretazione quando i criteri stabiliti dall’art. 31 porterebbero a risultati ambigui o insensati.
L’art. 33 infine regola l’interpretazione dei trattati redatti in più lingue.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati è stata ratificata dall’Italia con legge 15 febbraio
1989, n.91, pubblicata in Gazz. Uff., suppl. ord. al n. 62 del 15 marzo 1989.
9
nazionali -, stimolando così un’applicazione omogenea del diritto uniforme
internazionale, come auspicato dall’ormai più volte citato art. 7 comma 1°.
29
In ogni caso, ciò che guiderà l’interprete nell’affrontare la questione
dell’interpretazione della Convenzione di Vienna, dovrà essere sempre la
preoccupazione di garantire la sua applicazione uniforme a livello
internazionale. Una recente sentenza tedesca, pronunciata
dall’Oberlandesgericht di Francoforte
30
, ha motivato la propria decisione
facendo espresso riferimento all’esigenza di garantire un’applicazione
uniforme della Convenzione. Nel caso di specie, un acquirente tedesco si era
rifiutato di pagare il prezzo di una partita di molluschi della Nuova Zelanda al
venditore svizzero, poiché contenenti una quantità di cadmio superiore ai
livelli fissati dal Ministero Federale della Sanità tedesco. La Corte ha deciso a
favore del venditore affermando innanzitutto che le direttive ministeriali non
fossero vincolanti e che quindi i mitili fossero «idonei all’uso al quale servono
abitualmente beni dello stesso tipo» (art. 35 comma 2° CISG ). Inoltre,
prosegue la Corte, i beni sarebbero stati conformi al contratto anche se le
direttive del Ministero fossero state norme vincolanti di diritto pubblico; infatti
il venditore non è tenuto, sempre ad avviso dei giudici tedeschi, a rispettare le
norme di diritto pubblico relative alla qualità della merce che siano vigenti in
ogni Paese in cui la merce stessa potrebbe essere esportata. Soltanto
disapplicando tali norme statali, infatti, l’art. 35, relativo all’idoneità dei beni,
può ricevere l’applicazione uniforme richiesta dall’art. 7.
31
La scelta del metodo (almeno) «autonomo» per l’interpretazione della
Convenzione è quindi un risultato necessario per promuovere l’uniformità
della sua applicazione, ma certo non sufficiente. Nulla impedisce infatti che
29
L’Autore conclude affermando che «die Auslegung des CISG nach völkerretlichen Grundsätzen
kommt daher der in Art.7 Abs. 1 geforderten “Einheitlichkeit der Anwendung” und ihrem
“internationalen Charakter” entgegen».
30
OLG Frankfurt a. M., 20 aprile 1994, in RIW, 1994, p.593; la sentenza è ricordata allo stesso
proposito e brevemente riassunta da LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale
di beni mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it.,1996, IV, p.
148.
31
La Corte ricorda come «in dottrina dovrebbe essere ritenuta preponderante l’opinione che
riguardo alla decisione della questione se gli oggetti della consegna siano idonei all’uso al quale
servono abitualmente beni dello stesso tipo, non sia necessario tenere conto delle pertinenti
prescrizioni di diritto pubblico di tutti i paesi in cui al momento della conclusione del contratto era
possibile un’esportazione dei beni. Anche la Camera di Commercio Internazionale ha sostenuto nella
propria presa di posizione sul progetto di contratto E 1978 il punto che nessuna prescrizione di
diritto pubblico potesse avere una qualche influenza nella conformità al contratto dei beni nel senso
dell’art. 35 (2) a). Dato che in base all’art. 7 per l’interpretazione della Convenzione si deve tenere in
considerazione il suo carattere internazionale come anche l’esigenza che il diritto trovi
un’applicazione uniforme negli Stati contraenti, dovrebbero sussistere numerose ragioni a favore
della descritta opinione giuridica».
10
per una stessa disposizione esistano più interpretazioni autonome
32
. E’
pertanto indispensabile individuare altri strumenti idonei al perseguimento
degli scopi espressi dall’art. 7 comma 1°.
Un primo mezzo consiste nel ricorso alle versioni linguistiche ufficiali della
Convenzione in caso di ambiguità di una qualche sua disposizione
33
. Vi è chi
arriva a considerare come obbligatorio il confronto con le versioni ufficiali
quando si sia di fronte ad una traduzione non ufficiale del testo uniforme
34
,
cosa che vale in modo particolare per la traduzione italiana, definita
«sfortunatamente piena di imprecisioni, se non addirittura di veri e propri
errori»
35
. A tal proposito si può ricordare che il ricorso alle altre versioni
linguistiche è già stato utilizzato nella giurisprudenza tedesca.
L'Oberlandesgericht di Colonia
36
ha fatto ricorso alle versioni ufficiali in
lingua francese ed inglese per precisare il significato del termine tedesco
“Waren” nel senso di “beni mobili corporali”, ed escludere pertanto
dall’ambito di applicazione della Convenzione di Vienna le informazioni
concernenti una ricerca di mercato, seppur incorporate in un supporto
magnetico.
37
Altro metodo consiste nel ricorso ai lavori preparatori per ricostruire con
maggior esattezza il significato di un termine o di un’espressione. In dottrina
si sottolinea tuttavia come tale metodo di interpretazione non debba essere
32
Cfr. BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p. 21, per il quale l’interpretazione autonoma «... è solo una prima condizione per la sua [della
Convenzione] applicazione uniforme in pratica. Rimane pur sempre la possibilità che la Convenzione,
per quanto considerata un corpo normativo autonomo, riceva interpretazioni divergenti nei vari
Paesi». Vedi anche FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili. Artt.1-13. Ambito di
applicazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, p. 137, il
quale fa notare come «nell’ipotesi in cui vi fossero tre interpretazioni autonome possibili, la
probabilità che si giungesse ad un risultato uniforme sarebbe, secondo un calcolo di probabilità,
solamente del 33%, ossia la probabilità che si sviluppasse un conflitto sarebbe del 67%».
33
La Convenzione di Vienna è stata redatta nelle sei lingue ufficiali dell’ONU, che come noto sono il
francese, l’inglese, lo spagnolo, il russo, l’arabo ed il cinese.
34
Cfr. BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p. 21, quando afferma che « un confronto del genere diviene anzi obbligatorio, se il testo che viene
effettivamente applicato è soltanto una traduzione in una lingua non ufficiale delle Nazioni Unite ».
35
Così BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni
mobili, nota al testo di p. 21.
36
OLG Köln, 26 agosto 1994, in RIW, 1994, p. 970; questa sentenza è ricordata a tal proposito da
LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili nella pratica:
un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it., 1996, IV, p.150.
37
Così testualmente la sentenza citata nel testo: «[…] Nel senso di “Waren” si devono reputare
solamente i beni mobili corporali (bewegliche körperliche Sache), che formano tipicamente oggetto di
una vendita commerciale. Questa accezione trova corrispondenza e conferma nella scelta dei termini
usati nella versione inglese del trattato – lì appare l’espressione “ supply of goods ” – e nella versione
francese, “fourniture de merchandises”».
11
sopravvalutato, poiché da un lato «una volta adottata, la Convenzione, come
ogni altra legge, ha una vita propria, ed il suo significato può mutare nel
tempo»
38
, dall’altro vi è differenza tra i Paesi di civil law e i Paesi di common
law per quanto riguarda la portata da attribuire ai lavori preparatori di un testo
legislativo.
39
Il metodo de quo è stato utilizzato dall’Oberlandesgericht di
Francoforte
40
per risolvere la questione se la conformità dei beni al contratto
fosse da valutare secondo il parametro della “qualità media”
(durchschnittliche Qualität), criterio prevalente in civil law, oppure secondo
quello della loro semplice “commerciabilità” (Handelbarkeit), prevalente
invece nei Paesi di common law. Nell’optare per quest’ultima soluzione, la
Corte ha ricordato che una proposta canadese in favore del criterio della
“qualità media” era stata poi ritirata.
41
Ancora, è possibile cercare ausilio nell’ormai sconfinata dottrina
sviluppatasi in materia .
42
Ma lo strumento fondamentale per il perseguimento dell’applicazione
uniforme della Convenzione di Vienna, per ammissione pressochè unanime
della dottrina, è costituito dallo studio della giurisprudenza internazionale.
43
E’ essenziale cioè lo studio della pratica degli altri Stati contraenti, del “se” e
38
BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p.22.
39
Per un’analisi di tali differenze, cfr. FERRARI, Vendita internazionale di beni mobili. Art.1-13.
Ambito di applicazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, p.
141.
40
OLG Frankfurt a. M., 20 aprile 1994, in RIW, 1994, p. 593.
41
Così testualmente la Corte: «Circa la questione controversa, se il requisito prescritto è soddisfatto se
i beni siano anche di qualità media oppure già se i beni siano solamente commerciabili, potrebbe
rilevare la circostanza che un progetto di integrazione del trattato della delegazione canadese, che
prevedeva i requisiti di qualità, venne ritirato nel corso delle trattative ».
42
Le opere di commento alla Convenzione di Vienna sono ormai moltissime; un elenco dei principali
commentari pubblicati è riportato da LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita
internazionale di beni mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it.,
1996, IV, p.150, nota 29; una vasta bibliografia di opere italiane e straniere è contenuta in Unilex, cit.;
vedi anche WILL, CISG. The UN Convention on Contracts for the International Sale of Goods.
International Bibliography 1980-1996. The First 284 or so Decisions.
43
Cfr. BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p.22, in cui si legge che «[…] il metodo più efficace per assicurare uniformità nell’applicazione della
Convenzione consiste nel considerare il modo in cui essa è interpretata negli altri Paesi »; FERRARI,
Vendita internazionale di beni mobili. Art.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali, in
Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, p.138, secondo cui «(…) l’uniformità può essere
raggiunta solamente se chi deve applicare la disciplina adotta un’interpretazione che ha riguardo alla
pratica anche di altri Stati contraenti.»; LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita
internazionale di beni mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it.,
1996, IV, p.150, il quale afferma che «[…] la strada maestra resta comunque quella di guardare a
come la Convenzione viene interpretata e applicata dalle giurisdizioni di altri Stati.»; HAPP,
Anwerbarkeit völkerretlicher Auslegungsmethoden auf das UN-Kaufrecht, in RIW, 1997, p.380, che
riconosce come «(…) sich die Literatur einig [ist], daß relevante Urteile von Gerichten und
Schiedsgerichten bei der Entscheidungsfindung in Betracht gezogen werden sollten.»
12
del “come” una determinata questione sia stata già oggetto di sentenze o lodi
arbitrali. Nel pronunciare su di una questione già discussa, pertanto, «si
dovrebbe sempre tenere conto delle soluzioni elaborate fino a quel momento
in altri Stati contraenti».
44
E «se al riguardo dovesse già essersi formato un
indirizzo giurisprudenziale uniforme, esso potrebbe addirittura essere accettato
come una sorta di precedente vincolante».
45
In mancanza di un indirizzo
uniforme, alle pronunzie straniere si dovrebbe comunque attribuire un valore
persuasivo, nel senso di un obbligo di motivazione di un’eventuale diversa
soluzione sulla medesima questione.
46
Vi è inoltre nella dottrina tedesca chi arriva a sostenere un preciso obbligo
giuridico da parte dei tribunali statali di tenere conto delle sentenze straniere
relative alla CISG.
47
Questa dottrina, già ricordata in precedenza a diverso
proposito, pone a fondamento delle proprie posizioni l’applicazione alla
Convenzione di Vienna delle regole di diritto internazionale così come
codificate negli artt. 31-33 della Convenzione sul diritto dei trattati, in
particolare di quella contenuta nell’art. 31, secondo cui «un trattato deve
essere interpretato in buona fede (…) e alla luce del suo fine e scopo (…). Sarà
tenuto conto insieme al contesto: a) di ogni ulteriore accordo tra le parti circa
l’interpretazione del trattato o l’applicazione delle sue disposizioni; b) di ogni
prassi successivamente seguita riguardo all’applicazione del trattato (…)». In
base a ciò, le sentenze pronunciate dai tribunali degli Stati contraenti un
trattato internazionale, in questo caso la CISG, dovrebbero essere considerate
come «prassi successiva» (spätere Praxis) di quegli stessi Stati, rilevante per
l’interpretazione del trattato stesso e di cui si dovrebbe tenere conto secondo il
disposto del summenzionato art. 31.
48
Inoltre bisognerebbe tenere in conto le
sentenze di diversi Paesi che sono giunte a conclusioni uguali su uguali
questioni, in quanto costituenti perlomeno «indice di un accordo» (Indiz für
44
BONELL, Atr.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili,
p.22.
45
Così BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni
mobili, p.22.
46
Questa è la tesi sostenuta da BONELL, Art.7, in Convenzione di Vienna sui contratti di vendita
internazionale di beni mobili, p. 22, e accettata anche da FERRARI, Vendita internazionale di beni
mobili. Art.1-13. Ambito di applicazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice Civile
Scisloja-Branca, p. 138, come anche, almeno nell’attribuzione di un valore persuasivo ai precedenti
stranieri, da LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili nella
pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it.,1996, IV, p. 151.
47
HAPP, Anwenbarkeit völkerretlicher Auslegungsmethoden auf das UN-Kaufrecht, in RIW 1997,
p.380.
48
Cfr. HAPP, Anwendbarkeit völkerretlicher Auslegungsmethoden auf das UN-Kaufrecht, in RIW
1997, p.380, dove l’Autore afferma che «(…) nationale Gerichtsentscheidungen zu Bestand und Inhalt
eines Vertrages (…) können (…) daher als eine solche “spätere Praxis” herangezogen werden».
13
eine Übereinstimmung) tra gli Stati contraenti per l’interpretazione della
Convenzione nel senso dell’art. 31. Ma vi è di più: poiché, sempre per diritto
internazionale, i trattati devono essere attuati secondo buona fede e poichè
dalla regola fondamentale pacta sunt servanda discende l’obbligo di non
contravvenire agli scopi ed obiettivi di un trattato – e scopo della CISG è
l’applicazione uniforme delle sue disposizioni -, gli Stati contraenti sarebbero
obbligati, proprio in forza del diritto internazionale, a fare tutto il possibile per
favorire tale fine. Ciò consiste sicuramente anche nel tener conto delle
sentenze straniere rilevanti quando esse siano reperibili e nel non discostarsene
senza una adeguata motivazione.
49
Anche senza volersi spingere fino a questo punto, appare comunque di tutta
evidenza l’importanza della giurisprudenza straniera per avvicinarsi sempre
più all’ormai plurimenzionato fine dell’applicazione uniforme.
Il problema che si pone a questo punto è allora quello del «reperimento
delle fonti giurisprudenziali e della loro diffusione», vale a dire della
«circolazione delle soluzioni interpretative».
50
Alcune iniziative avanzate a
livello internazionale per superare questo problema meritano di essere qui
segnalate. Innanzitutto, per la sua ufficialità, quella promossa dalla
Commissione delle Nazioni Unite per il diritto del commercio internazionale
(Uncitral), che si articola in questo modo: una serie di corrispondenti nazionali
provvede alla raccolta delle pronunzie giudiziali ed arbitrali riguardanti la
CISG, per poi comunicarle all’Uncitral che a sua volta le sintetizza, le traduce
nelle lingue ufficiali e si occupa della loro distribuzione. Questo sistema è
conosciuto come «Clout» (Case Law on Uncitral Texts).
Altro strumento consiste nella consultazione del sito Internet predisposto
dall’Institute of International Commercial Law presso la Pace University,
contenente una lista delle decisioni accompagnate da sintesi e commenti.
51
49
L’A. precisa poi che ciò non significa comunque attribuire alla giurisprudenza straniera efficacia di
precedente vincolante nel senso della regola “stare decisis” vigente nei Paesi di common law, bensì
una più limitata efficacia di «precedente relativo» ( relative Präzedenzwirkung ).
50
Entrambe le espressioni sono di LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale
di beni mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in Foro it., 1996, IV,
p.151.
51
Questa via di reperimento è ricordata da FERRARI, La vendita internazionale. Applicabilità ed
applicazioni della Convenzione di Vienna del 1980, p.17, dove sono riportati anche i seguenti indirizzi
Internet del sito citato: http://cisgw3.law.pace.edu e http://www.cisg.law.pace.edu. Si veda inoltre il
sito Internet dell’Università di Freiburg: http://www.jura.uni-freiburg.de/ipr1/cisg.
14
Infine si segnala il sistema informatico «Unilex» messo a punto dal
«Centro di studi e ricerche di diritto comparato e straniero» (organo del Cnr
con sede in Roma), che contiene una vasta raccolta della giurisprudenza (ma
anche della bibliografia) sulla Convenzione di Vienna. Le sentenze sono in
alcuni casi riportate per esteso in lingua originale e in sintesi in lingua inglese,
e sono classificate in modo tale da permetterne la consultazione a partire dalla
data, dal Paese di provenienza, dall’articolo o dall’argomento trattato.
52
Se dunque è evidente, come a questo punto dovrebbe essere, l’importanza
della giurisprudenza straniera ai fini del rispetto del carattere internazionale
della Convenzione di Vienna e della promozione dell’uniformità della sua
applicazione, dovrebbe risultare motivato anche il perché di questo lavoro;
esso si propone l’analisi della giurisprudenza austriaca e tedesca, ed in
particolar modo di quest’ultima, dato che la Germania è la nazione che in
assoluto ha prodotto il maggior numero di decisioni in materia e che, essendo
anche uno dei partners commerciali più importanti per l’Italia, non può non
costituire per il nostro Paese un punto di riferimento di interesse speciale
anche da un punto di vista giuridico.
52
Tale metodo è più approfonditamente descritto da LIGUORI, La Convenzione di Vienna sulla
vendita internazionale di beni mobili nella pratica: un’analisi critica delle prime cento decisioni, in
Foro it., 1996, IV, p.152.