5
tiva delle condizioni di lavoro del personale pubblico, razionalizzando
sotto un unico tetto legislativo normative settoriali molto distinte fra di
loro. Ci anche sotto la spinta di una crisi economica che nei primi
anni Ottanta decurta significativamente le disponibilit economiche e
di una dinamica inflattiva crescente che impone una seria revisione
delle politiche di programmazione. Nel settore del pubblico impiego la
riforma istituzionale spinge il dibattito culturale e politico verso un
approccio di ammodernamento che sia teso verso il raggiungimento di
alcuni obiettivi, raggruppabili all interno di una triade: «efficacia, effi-
cienza, produttivit »
2
.
Pur essendo l iniziativa lodevole, Ł risultato presto chiaro che
l obiettivo non sarebbe potuto essere raggiunto, anche a causa della
procedura disegnata dalla legge quadro per ci che riguardava le atti-
vit negoziali. Senza scendere nei particolari, il procedimento accor-
do sindacale - regolamento di attuazione - controllo della Corte dei
Conti ha certamente costituito un punto di particolare debolezza del
meccanismo prefigurato dalla legge quadro ed Ł risultato eccessiva-
mente farraginoso e anche causa di sensibili ritardi nella definizione
delle discipline di comparto
3
. Occorre inoltre menzionare i disagi cau-
sati dalla poco efficace definizione data dalla legge riguardo ai criteri
selettivi dell agente negoziale di parte sindacale, che ha lasciato cam-
2
Russo C., Il pubblico impiego tra ieri e domani, Edizioni Lavoro, Roma, 1994, 22.
6
po aperto alle «scorrerie del sindacalismo autonomo»
4
. Infatti l alta
legittimazione riconosciuta al sindacalismo confederale e una gestione
politica del requisito della maggiore rappresentativit hanno deter-
minato un duplice fenomeno di rafforzamento del sindacalismo auto-
nomo: il moltiplicarsi delle sigle e la loro tendenza ad accorparsi in
strutture di coordinamento (simil)confederali per aver accesso ai tavoli
negoziali, finendo cos per investire, in via di fatto attraverso
l apposizione della firma sugli accordi, del requisito di rappresentati-
vit anche soggetti collettivi marginali nella gestione delle trattative
5
e
dando il via al proliferare di rincorse salariali incontrollabili che hanno
quasi completamente vanificato uno dei principali obiettivi della ri-
forma del 1983, cioŁ il contenimento della spesa pubblica per il perso-
nale.
Per quanto riguarda strettamente la contrattazione decentrata, at-
traverso la legge quadro fu data esplicita rilevanza a un processo nor-
mativo che fino allora si era affermato in via di prassi, per con delle
limitazioni. Era, infatti, evidente il timore che il riconoscimento di
spazi espliciti al livello negoziale periferico segnasse la vanificazione
delle finalit perequative e omogeneizzanti dei trattamenti normo-
retributivi dei dipendenti (e quelle di controllo della spesa pubblica)
3
Roccella M., La nuova normativa e l assetto dei rapporti sindacali, Dir. Prat. Lav., 1993, n.15,
inserto, XXI.
4
Roccella M., op. cit., XXII.
5
Cfr. le considerazioni di Russo C., op. cit., 27.
7
perseguite da tale legge. Il sistema negoziale decentrato appariva for-
temente limitato nella sua autonomia, regolato rigidamente com era da
legge e contratti. Infatti, la gi citata complessit delle procedure, in-
sieme al sistema dei controlli, la predefinizione dei contenuti da parte
di fonti sovraordinate, l esiguit delle risorse stanziate a copertura de-
gli accordi, in pratica svuotavano e indebolivano tale livello. Il siste-
ma, nella sua attuazione, non si discosta molto dalle dinamiche pre-
legge quadro, in quanto elementi negoziali e informativi seguitano a
convivere, accanto ad una informalit diffusa che coinvolge ogni ele-
mento della contrattazione decentrata (procedure, soggetti, contenuti,
livelli negoziali), con conseguenze inevitabili sul piano della traspa-
renza e del controllo burocratico del fenomeno contrattuale.
L esperienza concreta della contrattazione decentrata svolta sub legge
quadro risulta frammentaria, interrotta e tendente ad affrontare i pro-
blemi in maniera contingente ed episodica, l antitesi di quella pro-
grammazione puntuale che le finalit del provvedimento avrebbero ri-
chiesto. Il livello di negoziazione territoriale Ł rimasto compresso dal
centralismo e dalla rigidit della legge, che non consentiva articola-
zioni misurate sulle esigenze organizzative specifiche delle singole u-
nit amministrative. Inoltre, gli accordi raggiunti rimanevano sempre
avvolti da un velo di aleatoriet , a causa della mancata delega di auto-
nomia finanziaria. A ci vanno aggiunte: la modestia delle risorse, i
8
contenuti deboli degli accordi, i limitati poteri della dirigenza, le lacu-
ne del modello circa l identificazione di soggetti e procedure deputati
alla verifica dell attuazione dei contratti, la generale impreparazione
dei settori dirigenziali e sindacali a gestire un impianto innovativo del-
le prassi tradizionalmente affermate
6
.
Il progressivo deterioramento del sistema si accentua verso la fi-
ne degli anni 80, quando l ingestibilit della legge si mostrer attra-
verso «una sorta di selvaggia concorrenza tra le fonti: una micro-
legislazione a pioggia; una contrattazione piø politica che sindacale,
non di rado sottratta al controllo contabile e sempre recepita in forte
ritardo; un amministrazione del personale spesso consociativa; una
giurisprudenza amministrativa tentata dal gioco al rialzo»
7
. Da tale in-
gestibilit nasceranno fondamentalmente tre tendenze, che porteranno
al definitivo disgregamento della struttura:
a) La prima Ł rappresentata dal ruolo sempre piø massiccio
che il sindacalismo autonomo si ritaglia negli spazi contrattuali;
fenomeno questo che, come gi accennato, si traduce in un alta
6
Per le osservazioni sulle vicende della contrattazione decentrata durante la vigenza della legge
quadro, ci si Ł riferiti a Talamo V., La contrattazione decentrata nel lavoro pubblico «privatizza-
to», Riv. Giur. Lav., 1996, I, 390-394.
L autore fa a sua volta riferimento ai principali studi effettuati sull argomento quali, fra gli altri,
Treu T., La contrattazione decentrata nel pubblico impiego, Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1992, 348;
Natullo G., La contrattazione decentrata nel pubblico impiego. Alcune esperienze applicative, Fo-
ro Amm., 1990, 2225; Orsi Battaglini A., La contrattazione decentrata, in ISAP, Le relazioni fra
amministrazioni e sindacati, GiuffrØ, Milano, 1987; Zoppoli L. Santucci R., La contrattazione
decentrata negli enti locali, in Contrattazione, 1984, n.6.
7
Carinci F. Carinci M.T., La «privatizzazione» del rapporto di lavoro, Dir. Prat. Lav., 1993,
n.15, inserto, III.
9
frammentazione dei soggetti coinvolti nelle trattative e in un ogget-
tivo depotenziamento del criterio della maggiore rappresentativit
sindacale che era stata sancita dalla legge stessa.
b) La seconda Ł data dal fenomeno della c.d. fuga dalla leg-
ge quadro, cioŁ dall uscita dal suo ambito applicativo di parti sem-
pre piø consistenti di pubblica amministrazione, in modi perlome-
no eterogenei ed episodici; altro segno questo che, anticipando in
sostanza la privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, evi-
denzia la crisi definitiva della legge quadro.
c) La terza, leggermente piø complessa, Ł costituita dal pun-
to d arrivo, in un certo senso, delle prime due tendenze. Abbiamo
infatti una situazione in cui molti comparti e settori, rappresentati
da agguerriti sindacati autonomi, esercitano una forte spinta riven-
dicativa nei confronti dello Stato. Il deciso gioco al rialzo salariale
che ne scaturisce ha origine nella predisposizione del datore di la-
voro a piegarsi alle richieste dei pubblici burocrati nell ottica di un
consenso elettorale di ritorno che former l asse portante dei rap-
porti di pubblico impiego negli anni Ottanta. Nel corso del decen-
nio il livello salariale all interno del lavoro pubblico va crescendo
sempre piø, cosa che unita all elevata sicurezza occupazionale co-
stituir una sorta di accoppiata vincente nei confronti del lavoro
10
privato, che invece ha sempre vissuto la realt della rendita finan-
ziaria inversamente proporzionale alla stabilit lavorativa.
Questi fenomeni causarono in prima istanza il mancato raggiun-
gimento del fine del contenimento della spesa pubblica, che, come gi
detto, era stato il motivo preponderante della riforma del 1983. In que-
ste condizioni, l esigenza di rivedere totalmente la materia si faceva
sempre piø pressante. Tuttavia, oltre all evidente crisi della legge sia
nei metodi applicativi sia nella quasi completa assenza di risultati rag-
giunti, la svolta sarebbe dovuta necessariamente nascere dal soggetto
che piø di ogni altro era rimasto penalizzato da questo sistema.
Questo soggetto era il sindacalismo confederale, per due motivi:
a) in senso generale, la divaricazione prima accennata fra
lavoro pubblico e privato mal si conciliava con l ambizione di po-
ter rappresentare unitariamente l intero mondo del lavoro dipen-
dente.
b) in senso particolare, la dissoluzione della legge quadro ed
il progressivo indebolimento del criterio di rappresentativit costi-
tuivano un alto prezzo da pagare per il soggetto cui la legge stessa
attribuiva il ruolo di interlocutore privilegiato.
E cos che nel gennaio 1990 la CGIL presenta una prima bozza
di riforma. La proposta non ambiva soltanto a ridefinire il confine tra
contrattazione collettiva e riserva di legge, ma si indirizzava verso un
11
radicale cambiamento, che fosse capace allo stesso tempo di superare
l ormai barocco sistema della legge quadro e di smantellare il solido
bunker di privilegi che il mondo del lavoro pubblico s era astutamente
conquistato. Per raggiungere tale obiettivo la strada da percorrere era,
secondo il sindacato, quella di portare il pubblico impiego sul terreno
di gioco del lavoro privato. In altre parole era lo stesso atto posto alla
base del rapporto d impiego, il provvedimento unilaterale di assunzio-
ne, a dover essere sostituito col contratto fra lavoratore e amministra-
zione pubblica. Proprio dal primato del contratto di diritto comune,
individuale e collettivo, trae origine la contrattualizzazione , piø che
la privatizzazione , del pubblico impiego. In seguito anche CISL e
UIL si aggiungeranno alla CGIL in una seconda proposta unitaria al
governo. Sintetizzando
8
, col passare del tempo tuttavia la riforma «di-
viene sempre meno sindacale e sempre piø governativa : meno
contropartita pretesa dal sindacalismo confederale per la disponibilit
8
La proposta inizialmente non trova nessun seguito tranne quello di aprire una polemica verso gli
stessi sindacati confederali, accusati ingiustamente di voler privatizzare nel vero senso della parola
organi ed enti. L ostinazione delle confederazioni tuttavia convince il governo a creare una com-
missione mista tecnico-sindacale, incaricata di verificare la fattibilit dell ipotesi, che alla prova
dei fatti registra una straripante attivit della parte sindacale e una mera partecipazione di quella
governativa. Il primo impegno concreto del governo Ł un fallimento: il disegno di legge del
27/2/1992 (Nuove norme in materia di rapporto di lavoro e di impiego nonchØ di contrattazione
collettiva dei dipendenti pubblici) risulta varato da un Esecutivo predimissionario e trasmesso ad
un Parlamento in procinto di essere sciolto. Di certo non una situazione ideale per una riforma di
tale importanza. E infine il Protocollo del 6/7/1992 (in Lav. Inform., 1992, nn.15-16, 41) ad im-
primere l ultima e definitiva spinta al progetto: si menziona l obbiettivo di procedere gradualmente
«all omologazione formale e sostanziale del lavoro pubblico con il lavoro privato» e si lega il go-
verno a promuovere da settembre «una sede di confronto e di negoziazione con le confederazioni
sindacali maggiormente rappresentative avente quali obbiettivi la disciplina dei tempi e dei modi
di transizione alle regole del diritto comune, la delegificazione funzionale all apertura di spazi
contrattuali, la struttura della retribuzione, l organizzazione dei livelli di contrattazione in relazio-
ne anche alle componenti della retribuzione stessa».
12
manifestata altrove e piø partita vista e vissuta come propria dal go-
verno; meno iniziativa finalizzata alla riunificazione dell universo del
lavoro subordinato e piø operazione destinata a risanare a breve i conti
dello Stato»
9
. Caratteristica, questa, che diventa evidente con
l aggancio della privatizzazione nella legge delega che costituisce una
parte fondamentale della manovra finanziaria di fine 1992
10
(sono in-
fatti passati due anni dalle prime proposte confederali). Il disegno di
legge delega compie il suo iter in circa quattro mesi e viene varato dal
Senato nella sua stesura definitiva come legge 23 ottobre 1992,
n.421
11
, e, specificamente, nell art.2, comma 1, della stessa si autoriz-
za il governo a emanare «uno o piø decreti legislativi diretti al conte-
nimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore
del pubblico impiego, al miglioramento dell efficienza e della produt-
tivit , nonchØ alla sua riorganizzazione». Nel tempo canonico
prefissato, circa tre mesi, vede la luce il decreto legislativo 3 febbraio
1993, n.29, che definisce l intero quadro. Ed Ł questa la normativa che
Ł ancora oggi vigente, anche se le successive rivisitazioni sono state
numerose, a partire dai decreti legislativi correttivi
12
19 luglio 1993,
9
Carinci F., All indomani di una riforma promessa: la «privatizzazione del pubblico impiego», in
Carinci F., Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario., GiuffrŁ, Mi-
lano, 1995, XXXVIII.
10
Circa l inclusione del progetto di riforma nella finanziaria, la sua approvazione era garantita
dall entrata a regime di quest ultima. Tuttavia, per realizzare tale progetto fu necessario da una
parte accelerare la messa a punto sia politica che tecnica del provvedimento, dall altra dedicare
una puntuale attenzione ad una rigida disciplina di contenimento dei costi, oltre naturalmente alla
normativa di controllo generale.
11
«Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanit ,
di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale».
13
merose, a partire dai decreti legislativi correttivi
12
19 luglio 1993,
n.247, 18 novembre 1993, n.470, e 23 dicembre 1993, n.546, che han-
no modificato la normativa cos come sar a breve analizzata.
12
La stessa legge delega 421/1992 (art.5, comma 2) prevedeva la possibilit di ritornare su even-
tuali decreti legislativi gi varati con altri contenenti disposizioni correttive, semprechØ entro e non
oltre il 31/12/1993.
14
Capitolo II
INTRODUZIONE AL DLGS 29/1993
Dopo la breve ricostruzione della storia della legge quadro e
dei motivi che hanno portato alla sua abrogazione, veniamo ora
all analisi vera e propria della nuova disciplina, con la premessa
che si tenter di effettuare dei paragoni critici tra le due normati-
ve, laddove possibile. Inoltre Ł necessario chiarire che la materia
sar esaminata dapprima sotto la sua veste originaria (cioŁ cos
come Ł stata adottata per la prima tornata contrattuale) e dopo at-
traverso l ottica dei mutamenti significativi apportati dalle rifor-
me Bassanini.
PRINCIPI GENERALI.
Sin dalle dichiarazioni propositive della legge, appare chiaro che
le finalit della riforma che erano state annunciate nel capitolo prece-
dente siano state fatte interamente proprie dal legislatore, non senza
sottolineare per che una ulteriore e decisiva spinta verso la riforma
era provenuta anche dall esigenza di realizzare nello svolgimento
dell azione amministrativa, secondo i postulati espressi dall adesione
dell Italia al trattato di Maastricht, quei criteri di economicit , effi-
15
cienza e produttivit che sono caratteristici del modello ordinamentale
di pubblica amministrazione diffuso in campo europeo
13
. Criteri questi
che, se da una parte facevano gi parte degli intenti della legge quadro
(peraltro ampiamente disattesi nella pratica), dall altra legavano il Pa-
ese ad un reale e necessario, finalmente, raggiungimento degli stessi.
Sono quindi tre gli importanti obiettivi del decreto (art.1, comma 1):
a) accrescere l efficienza delle amministrazioni in relazione
a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi della Comuni-
t Europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi in-
formativi pubblici;
b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la
spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vin-
coli di finanza pubblica;
c) integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico
con quella del lavoro privato.
L art.1 (e in parte anche l art.73) disciplina anche l ambito ogget-
tivo di applicazione, cioŁ quali siano le amministrazioni interessate
dalla riforma. Facendo notare che l impostazione adottata ricalca so-
stanzialmente quella della legge quadro, Ł possibile distinguere fra
quelle che recepiscono in toto la disciplina e quelle che la applicano
13
Grassano P., Circa la c.d. privatizzazione del rapporto d impiego pubblico: luci e ombre,
Nuova Rass., 1993, 595.
16
non integralmente
14
. Le amministrazioni assoggettate integralmente
sono elencate nell art.1, comma 2 ed in pratica sono «tutte le ammini-
strazioni dello Stato ( )». Circa l analogia con la legge quadro, si ve-
dano gli artt.1, comma 1, e 26, comma 10, gi ripresi nella legge dele-
ga. Vengono poi le amministrazioni tenute, per diversi motivi, ad una
applicazione non integrale della disciplina:
a) le regioni a statuto ordinario, per le quali «le disposizioni
del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell art.117 della Costituzione. Le regioni a statuto ordinario si at-
tengono ad esse tenendo conto della peculiarit dei rispettivi ordi-
namenti» (art.1, comma 3 dlgs. Cfr. art.1, comma 1 legge qua-
dro)
15
;
b) le regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e Bolzano, per le quali «le disposizioni del presente decreto
14
Per motivi di chiarezza ed autorevolezza, oltrechØ per l impostazione originale schematica del
decreto stesso non suscettibile di molte interpretazioni, si Ł voluta riprendere quasi integralmente
la tabella sullo specifico punto contenuta in Carinci F. Carinci M.T., La privatizzazione del
rapporto di lavoro, Dir. Prat. Lav., 1993, n.15, inserto, IV-V.
15
Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, Ł possibile rilevare come le disposizioni del
decreto sulla contrattazione collettiva potrebbero minare quel meccanismo di adattamento
dell accordo di comparto alle peculiarit del singolo ordinamento regionale dato dal provvedimen-
to di ricezione. Per ovviare all inconveniente si potrebbero sottrarre le regioni al comparto enti
locali , potenziando contestualmente la contrattazione decentrata, per renderla idonea a svolgere
tale attivit di adattamento. Ma l ipotesi Ł difficilmente realizzabile, considerati i vincoli posti dal
legislatore delegato e alla ridefinizione dei comparti e alle disponibilit finanziarie della contratta-
zione decentrata. Piø approfonditamente dell argomento parla Zoppoli (La contrattazione colletti-
va: due passi indietro e uno avanti?, Lav. Dir., 1993, 603-604) che denuncia apertamente i limiti
della riforma della contrattazione collettiva, in particolare riguardo la contrattazione per il persona-
le regionale, addebitabili secondo l autore ad un «eccesso di centralismo».
In seguito, cfr. anche la decisione della Corte Costituzionale n.359/1993, che ha accolto le censure
delle regioni a statuto ordinario, riguardanti in particolare la contrattazione nazionale e l Agenzia
delle relazioni sindacali (ora Aran), osservando che il legislatore avrebbe dovuto «adottare solu-
17
costituiscono principi fondamentali di riforma economico sociale»
(cfr. artt.1, comma 3 e 73, comma 1 dlgs.);
c) le aziende e gli enti di cui all art.73, comma 5 (enti auto-
nomi lirici, istituzioni concertistiche, Agenzia Spaziale Italiana, I-
stituto poligrafico e Zecca dello Stato, ENEA, Azienda autonoma
di assistenza al volo, Registro aeronautico italiano, Istituto nazio-
nale per il commercio con l estero, CONI) devono uniformare i ri-
spettivi ordinamenti ai capisaldi della riforma, pur non dovendo
necessariamente essere rappresentati dall ARAN nØ ritenersi ri-
compresi in un comparto contrattuale. Si tratta di una serie di enti
ed aziende che gi nel passato si erano sottratti alle uniformit or-
dinamentali e agli appiattimenti normo-retributivi della legge qua-
dro, procedendo in maniera disomogenea e settoriale verso sistemi
di tipo contrattuale di regolamentazione dei rapporti di lavoro.
L ambito soggettivo attiene alle categorie di lavoratori escluse
dal dettato della legge. L elenco Ł corposo ed Ł contenuto nell art.2,
comma 4: «rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magi-
strati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori
dello Stato, il personale militare e delle forze di polizia di Stato, il per-
sonale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, a partire
rispettivamente dalle qualifiche di segretario di legazione e di vice
zioni organizzative e procedurali in grado di garantire una partecipazione effettiva dei soggetti re-
gionali tanto alla fase della formazione che a quella della sottoscrizione».
18
consigliere di prefettura»; i dirigenti generali statali e parastatali e
quelli ad essi equiparati; i dipendenti degli enti che svolgono attivit
di vigilanza in materia di tutela del risparmio, di esercizio della fun-
zione creditizia e valutaria come la Banca d Italia (D.Lgs. C.P.S.
691/1947), attivit di vigilanza in materia di borsa (l. 281/1985), in
materia di concorrenza e di mercato (l. 287/1990)
16
. L evidente frattu-
ra operata all interno di alcune carriere ha suscitato, specialmente nei
primissimi commenti al nuovo ordinamento da parte di nomi illustri
quali, fra gli altri, Rescigno
17
, Cassese
18
e Carinci
19
, il fondato timore
che la coesistenza di una disciplina pubblicistica regolante l esercizio
di pubbliche funzioni e di una disciplina privatistica per il rapporto di
lavoro sotteso, possa creare non pochi problemi interpretativi nella re-
alt di gestione degli uffici. Dal punto di vista di un efficace prassi
amministrativa Ł infatti necessario combinare misure organizzative e
gestionali in una difficile armonia fra atti pubblicistici e privatistici
20
.
16
Una ulteriore, seppure parziale, esclusione Ł da rinvenire nell art.73, comma 3, che dispone che i
segretari comunali e provinciali, nonchØ il personale disciplinato dalla l. 65/1986 sull ordinamento
della polizia municipale, restano regolati dall ordinamento precedente eccetto che per quanto ri-
guarda il trattamento economico, che sar definito dai contratti collettivi ex decreto 29/1993.
17
La nuova disciplina del pubblico impiego. Rapporto di diritto privato speciale o rapporto di di-
ritto pubblico speciale?, Lav. Dir., 1993, 553 ss.
18
Il sofisma della privatizzazione del pubblico impiego, Corr. Giur., 1993, 401 ss.
19
(con Carinci M.T.), La privatizzazione del rapporto di lavoro, Dir. Prat. Lav., 1993, n.15, in-
serto, VI.
20
Evitando di addentrarci troppo in un tema peraltro gi ampiamente dibattuto, il motivo di fondo
di questo discorso (la querelle tra privatizzazione effettiva o soltanto presunta del pubblico im-
piego, ossia le pseudo-privatizzazioni di cui parla Cassese), cos come analizzato immediata-
mente dopo la nascita del decreto, Ł facilmente riassumibile nelle parole di Rescigno (op. cit.,
559): «il rapporto di pubblico impiego non Ł un rapporto speciale di diritto privato, ma un rapporto
di diritto pubblico, integrato da disposizioni privatistiche». Ancora, secondo Cassese (op. cit.,
407): «la nuova norma sul pubblico impiego non dispone una privatizzazione, ma lascia il pubbli-
co impiego in un area incerta, che Ł nello stesso tempo pubblica e privata».