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L’obiettivo che mi sono posta inizialmente era quello di cogliere il
fenomeno nelle diverse sfaccettature, facendo un particolare riferimento ad un
servizio offerto dal telefono cellulare: l’invio e la ricezione di brevi messaggi di
testo. Questa nuova forma di comunicazione ha letteralmente sedotto i giovani,
tanto da arrivare a parlare di un ritorno alla scrittura in un ambiente mediale ove
è l’oralità a prevalere. Ho cercato quindi di capire quanto questo aspetto abbia
inciso sulla comunicazione e l’abbia in parte modificata.
Nel primo capitolo, un excursus storico percorre le tappe che hanno visto
la nascita della scrittura, primo vero mezzo di comunicazione, evento epocale
per la portata delle conseguenze: innanzitutto introduce le culture letterate che
interiorizzano la scrittura modificando i propri processi mentali e riducendo
l’utilizzo della memoria; sul piano sociologico, mentre la società orale è
partecipatoria e tende all’estroversione in quanto il suono socializza, la società
nella quale si è interiorizzata la scrittura tende all’introversione in quanto la
fruizione individuale, tramite la lettura, isola.
Nel secondo capitolo sono analizzate le quattro variabili che influenzano
una lingua, ossia la variabilità diatopica, diastratica, diafasica e diamesica;
l’attenzione si concentra principalmente su quest’ultimo parametro, illustrando
l’influenza esercitata da un mezzo di comunicazione sul modo di comunicare. Si
prendono poi in considerazione le caratteristiche della lingua parlata e della
lingua scritta, e accanto ad esse si entra nel merito della lingua trasmessa.
Nel terzo capitolo si considera la comunicazione attraverso la telefonia
mobile, quindi l’avvento del telefono cellulare, le tappe che hanno portato alla
sua nascita e all’introduzione nelle nostre vite. Sono state approfondite le
conseguenze sul piano sociale, linguistico, la prospettiva semiotica e il rapporto
che i giovani hanno con questo mezzo di comunicazione.
Nel quarto capitolo, suddiviso in tre parti, si parla di SMS, cioè di quella
funzione presente all’interno di tutti i telefonini che consente l’invio e la ricezione
di brevi messaggi di testo. Nella prima parte sono elencati i motivi del successo
di questo servizio, da quelli più pratici quali l’economicità, a quelli psicologici
quali il potersi esprimere liberamente; trovano poi spazio le funzioni per le quali
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sono utilizzati: dare e richiedere informazioni, esprimere sensazioni ed
emozioni, costruire e mantenere relazioni di vario genere.
Il linguaggio utilizzato negli SMS è invece il tema fondamentale della
seconda parte del capitolo, forse la parte più originale visto che prende in
considerazione una lingua dalle caratteristiche tutte sue e talvolta difficilmente
comprensibile per chi non ne fa uso: nei messaggi si trovano espressioni che
imitano il parlato faccia a faccia, parole straniere, abbreviazioni, acronimi,
simboli matematici, chiocciole, emoticons ed espressioni dialettali. La forma non
conta, l’importante è che il destinatario afferri il contenuto.
Infine l’ultima parte, che vede i messaggi protagonisti negli ambiti più
diversi, dalla cronaca, ai libri, ai film, alla politica.
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Capitolo primo
DALL’ORALITÀ ALLA SCRITTURA
Per capire nello specifico quali siano le differenze tra oralità e scrittura e
per comprendere i punti d’incontro tra questi due diversi modi di comunicare, è
necessario fare un salto nel tempo e collocarsi in quel periodo che vede la
nascita della scrittura; questo momento fungerà da spartiacque e dividerà le
culture che non la conoscono e non la possono utilizzare, dalle culture che
invece la conoscono e tramite un processo secolare la tramandano. C’è però da
tenere presente che l’invenzione della scrittura non sostituisce l’oralità, poiché
l’espressione orale è sempre esistita al di fuori della codificazione, mentre la
scrittura non può mai fare a meno dell’oralità e in tutti gli orizzonti e i mondi
aperti dalla scrittura risiede ancora, e vive, l’espressione orale: “tutti i testi scritti,
per comunicare, devono essere collegati, direttamente o indirettamente, al
mondo del suono, l’habitat naturale della lingua” (ONG 1986, p. 26).
1.1 Culture ad oralità primaria o culture orali primarie
Si definiscono culture orali primarie quelle culture che non conoscono la
scrittura. All’interno di queste culture le parole non hanno un riflesso visivo,
sono soltanto suoni che si possono “richiamare”, ricordare, sono occorrenze,
eventi. Se dunque i popoli a tradizione orale associano alla parola, al suono, un
grande potere, le parole vengono diversamente percepite dai popoli con
tradizione scritta: essi le considerano come delle “etichette mentalmente affisse
all’oggetto denominato” (ONG 1986, p. 61); questo processo si compì però
molto lentamente anche perché dei residui di oralità continuarono ad esistere
per secoli anche dopo l’invenzione della scrittura e della stampa.
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Data questa premessa, non è difficile capire come i processi cognitivi,
così come i modi di esprimersi, siano diversi nelle due diverse culture. Nelle
culture ad oralità primaria la comunicazione orale ha un’importanza
fondamentale nella trasmissione delle conoscenze e del sapere e allo stesso
modo è necessaria una buona memoria per permettere il mantenimento di tali
“saperi”. Vediamo quindi quali caratteristiche hanno il pensiero e l’espressione
in una cultura orale primaria, secondo una classificazione elaborata da J.W.
Ong (ONG 1986, pp. 65-87):
ξ “discorso paratattico”: lo stile orale è strettamente collegato al contesto in
cui avviene la comunicazione e alla “pragmatica, cioè la convenienza
dell’oratore” (ONG 1986, p. 66); la grammatica di un discorso orale non è
eccessivamente elaborata e questo è possibile poiché non è necessario
ricostruire il contesto della comunicazione, come invece accadrebbe in un
discorso scritto;
ξ “discorso aggregativo”: tipico del linguaggio orale è l’utilizzo di epiteti ed
elementi formulaici: si parlerà quindi non del soldato, ma del soldato
coraggioso; non della principessa, ma della bella principessa; non della
quercia, ma della quercia forte;
ξ “ridondanza o ‘copia’ ”: il pensiero e il discorso richiedono una certa
continuità e una certa organizzazione; per evitare di perdere il filo della
conversazione, non avendo nulla a cui riagganciarsi se non le proprie
rappresentazioni mentali, l’oratore utilizza la ridondanza, ripetendo le cose
già dette. Questo è utile sia per chi parla, sia per chi ascolta, anche
perché le parole pronunciate non giungono infallibilmente e allo stesso
modo a tutti i destinatari del messaggio: sinonimi, analogie, ripetizioni
danno all’ascoltatore una seconda possibilità di comprensione;
ξ “discorso conservatore o tradizionalista”: in una cultura ad oralità primaria
affinché ciò che è stato imparato nel corso dei secoli non svanisca o
venga dimenticato, è necessario che sia continuamente ripetuto. Questo
crea però un certo tradizionalismo e una certa inibizione verso la
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sperimentazione intellettuale. In queste società, godono di grande
prestigio i saggi, custodi e diffusori della conoscenza;
ξ “discorso omeostatico”: le culture orali escogitano delle tecniche per far
sopravvivere la conoscenza eliminando ciò che è ritenuto superfluo o che
non si ritiene opportuno tramandare; si dice quindi che vivono in un
equilibrio, omeostasi appunto, che “elimina memorie senza più rilievo per il
presente” (ONG 1986, p. 76). Così il significato delle parole si riferisce al
contesto e al momento storico in cui esse sono utilizzate e queste culture
riflettono i valori culturali della propria società piuttosto che le curiosità del
passato;
ξ “standardizzazione dei temi”: questa è la diretta conseguenza delle due
caratteristiche appena descritte. La noesi orale di queste culture organizza
il pensiero attorno ad una serie ridotta di temi strettamente legati alla vita
dell’uomo: la nascita, il matrimonio, le commemorazioni, le celebrazioni, la
morte, i riti d’iniziazione, la danza, la descrizione e l’uso degli strumenti;
ξ “discorso situazionale”: le culture orali primarie non conoscono concetti
astratti e ogni tipo di conoscenza deve essere strutturata ed espressa
facendo riferimento al mondo reale, all’esperienza, avvicinandola il più
possibile alle vicende quotidiane e al contesto familiare;
ξ “discorso dal tono agonistico”: le culture orali “sono straordinariamente
agonistiche nella loro verbalizzazione” (ONG 1986, p. 73) e pongono la
conoscenza in un contesto di competizione, per impegnare gli ascoltatori
in una battaglia intellettuale e verbale: così ci si sfida a suon di indovinelli
e proverbi. Più tardi queste dinamiche competitive sono state
istituzionalizzate nell’arte della retorica e nella dialettica di Platone.
1.1.1 La memorizzazione orale
Dopo esserci soffermati su alcune delle caratteristiche delle culture ad
oralità primaria possiamo affermare che nel caso di chi ha interiorizzato la
scrittura, espressione orale, ragionamenti e forme verbali sono influenzati e
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condizionati dalla conoscenza della scrittura; d’altra parte le culture orali sanno
organizzare il pensiero e l’esperienza in modo altrettanto complesso e
intelligente, ma sicuramente diverso. Analizziamo a tal proposito alcuni aspetti
della comunicazione orale. L’abilità mnemonica nelle culture orali è un aspetto
che gioca un ruolo decisivo: una buona memoria è, infatti, uno strumento
indispensabile per fissare la conoscenza e poterla di giorno in giorno
tramandare. Così era agile la memoria dei poeti che imparavano i materiali, i
temi, le formule e il loro uso, rendendosi capaci di tramandare per secoli i poemi
che sarebbero stati solo in seguito trascritti. La loro abilità e originalità
consisteva nell’adattare questi materiali ad ogni individuo, situazione o pubblico,
mutandone la forma, ma lasciando inalterati i contenuti. In questo tipo di
tradizione, e con particolare riferimento all’ambito mitologico, è interessante
notare come sopravvivano i personaggi eroici, che hanno compiuto gesta
mitiche, la cui fama viene addirittura ingigantita, a discapito delle personalità
incolori che non risulta importante ricordare. Così i primi sono tipizzati (il furioso
Achille, l’astuto Ulisse, ecc…), nelle fiabe e nelle favole alcune caratteristiche
sono sottolineate creando delle identificazioni (l’ingenuità di Pinocchio, la
laboriosità della formica, la malvagità del lupo, l’astuzia della volpe, ecc…) e
allo stesso modo e con gli stessi scopi, nascono delle figure bizzarre che sono
più semplici da ricordare: il Ciclope, creatura mitica con un unico occhio in
mezzo alla fronte, o Cerbero, un cane con sette teste, o le dolci sirene, creature
metà donne metà pesce, che con i loro canti distraevano i marinai. Tutto questo
ci fa capire come in una cultura basata sull’oralità, le risorse e gli accorgimenti
mnemonici siano una conditio sine qua non. Lo stesso metodo si utilizza nel
tramandare la storia: l’uomo registra determinati momenti della sua esistenza
temporale e li registra come “eventi”; di conseguenza ciò che in una società
costituisce la storia si basa sui processi con cui quella società ha selezionato gli
avvenimenti dal flusso temporale continuo, cercando e selezionando il suo
modo di appropriarsi del passato. Questo bisogno dell’attività mnemonica creò
una cultura che si può definire mimetica, imitativa, che ha portato alla
formazione di un’attitudine mentale che assegna valore alla trasmissione delle
conoscenze.