Introduzione
Il percorso di innovazione e sviluppo della comunicazione pubblica intrapreso in Italia nel corso
degli ultimi decenni non ha potuto non tenere conto delle evoluzioni comunicative avvenute
all’interno del web con l’esplosione dei social media e, in particolare, dei social network.
Con il presente lavoro si è cercato di tracciare un quadro della situazione attuale per quanto riguarda
l’uso di Facebook, il social network più diffuso in Italia e nel mondo, da parte dei Comuni della
Regione Veneto.
La scelta di analizzare i dati a livello comunale è derivata dal fatto che tali istituzioni sono quelle
che, essendo maggiormente vicine alla popolazione, presentano una maggiore probabilità di
attivazione di relazioni comunicative stabili e costanti.
Si è poi deciso di limitare l’analisi ad una specifica regione italiana per avere un quadro
diversificato per quanto riguarda le dimensioni territoriali dei comuni esaminati, pur rimanendo
all’interno di una realtà comune che, sulla base di altre ricerche effettuate, risultava particolarmente
fertile e propositivo nell’ambito della comunicazione pubblica.
Dopo che da un’analisi empirica dei siti istituzionali dei 581 comuni veneti è emerso come
Facebook fosse il social network maggiormente diffuso e si è quindi deciso, dopo aver cercato,
attraverso ulteriori indagini in Internet e richieste via mail alle amministrazioni comunali, di
delimitare tutti gli account istituzionali effettivamente esistenti.
Si è, quindi, proceduto, per gli 82 account selezionati a verificare le modalità di presentazione degli
account stessi, nonché, attraverso una lettura dei post presenti nei primi due mesi del 2014, a
cercare di capire l’uso di questi account e le eventuali interazioni generate con la cittadinanza.
I principali risultati di questa ricerca empirica, da cui è emerso come l’uso di Facebook sia ancora,
almeno nella regione esaminata, piuttosto limitato e, spesso, con modalità comunicative più
unidirezionali che bidirezionali, sono illustrati nel capitolo terzo.
Tali risultati sono anticipati da due capitoli dedicati a chiarire l’ambito della ricerca.
Nel primo capitolo viene illustrato il percorso, attraverso le principali norme legislative, delle tappe
nell’evoluzione della comunicazione pubblica italiana con il progressivo passaggio da un modello
di informazione negata fino ad arrivare ad un modello possibile ed auspicabile di comunicazione
bidirezionale ed integrata.
Nel secondo capitolo viene tracciato un quadro dell’evoluzione comunicativa provocata dal web
2.0, delle principali caratteristiche dei social media, e dei Social Network Sites in particolare,
nonché dei loro possibili usi e potenzialità comunicative per la Pubblica amministrazione. Viene,
inoltre, proposta una breve rassegna di alcune delle principali ricerche empiriche già effettuate in
Italia sul tema dell’uso dei social network da parte della pubblica amministrazione in modo da
delineare al meglio l’ambito di riferimento del contributo qui proposto.
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Capitolo 1 L’evoluzione della comunicazione pubblica in Italia
1.1 Definizione e tipologie di comunicazione pubblica
La comunicazione pubblica è da sempre considerata una disciplina in progress, che segue il
mutamento sociale e istituzionale, al confine tra saperi diversi quali la sociologia, la scienza
dell’amministrazione, il diritto pubblico e il marketing (Faccioli, 2000; Rovinetti 2010).
Sin dagli anni ’90, anni nei quali, per i motivi che vedremo nei prossimi paragrafi, la disciplina ha
cominciato a crescere di importanza in Italia, numerosi autori hanno cercato di definirne le
caratteristiche principali.
In linea di massima una definizione abbastanza completa e comprensiva è quella per cui la
comunicazione pubblica è “il contesto e lo strumento che permette ai diversi attori che intervengono
nella sfera pubblica di entrare in relazione tra loro, di confrontare punti di vista e valori per
concorrere al comune obiettivo di realizzare l’interesse della collettività” (Faccioli, 2000 pag.43).
Si distingue dalla comunicazione d’impresa per i temi che tratta, gli affari di interesse generale che
riguardano l’intera comunità (Mancini, 2002), e le finalità con cui li affronta e viene agita da attori,
pubblici, semipubblici e privati (privato non profit).
In letteratura (Mancini, 2002, Rovinetti, 2010) la comunicazione pubblica viene generalmente
divisa in varie tipologie, a seconda degli oggetti principali della comunicazione, che, spesso, ha
portato ad una estrema differenziazione delle professionalità richieste (Ducci, 2012).
Innanzitutto vi può essere una comunicazione politica che tratta argomenti controversi di interesse
generale sui quali esistono punti di vista contrastanti. Riguarda fondamentalmente l’attività dei
partiti, dei gruppi organizzati e di quell’area della Pubblica Amministrazione che è chiamata a
esprimere il punto di vista politico dei rappresentanti che ne sono a capo per mandato elettorale.
Vi è, poi, la comunicazione istituzionale che ha come oggetto l’informare sulla realtà organizzativa,
promuovere l’immagine dell’istituzione, far conoscere le norme vigenti, garantire l’accesso ai
servizi e la trasparenza degli iter procedurali, stabilire un rapporto con gli interlocutori esterni
basato sull’ascolto e la rilevazione della soddisfazione rispetto ai servizi erogati.
Tale comunicazione rappresenta la spina dorsale dell’intero sistema della comunicazione pubblica
(Rovinetti, 2010), può essere promossa dalle istituzioni pubbliche, semipubbliche e organizzazioni
del terzo settore e si può dividere a sua volta in comunicazione normativa che ha come scopo la
scrittura e la pubblicizzazione delle decisioni legislative assunte, in comunicazione delle attività
istituzionali che ha lo scopo di illustrare l’attività della Pubblica amministrazione, e in
comunicazione di pubblica utilità che ha lo scopo di facilitare l’uso dei servizi pubblici ed infine
comunicazione di promozione di immagine.
Vi è, infine, la comunicazione sociale, proveniente anch’essa da istituzioni pubbliche,
semipubbliche e private, che si incentra su problematiche di interesse generale relativamente
controverse e che può essere a sua volta suddivisa in comunicazione di pubblico servizio che
promuove essenzialmente servizi di interesse generale e di pubblica utilità, comunicazione delle
responsabilità sociali che identifica alcune istituzioni, spesso private, con la difesa di interessi
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generali relativamente controversi ed agisce su questioni di grande rilievo morale, e comunicazione
sociale propriamente intesa che sostiene e promuove argomenti, valori, atteggiamenti relativamente
controversi e appartenenti alla storia civile, culturale e sociale di ogni comunità. Quest’ultimo tipo
di comunicazione ha, quindi, importanti funzioni di integrazione simbolica per la costruzione sia di
una comune identità locale e nazionale che per favorire coesione e solidarietà sociale al fine di
salvaguardare il benessere della comunità.
Sebbene, quindi, la comunicazione pubblica non sia esclusivamente ambito della Pubblica
Amministrazione, è chiaro che le istituzioni pubbliche ne sono i soggetti produttori principali tanto
che una ulteriore suddivisione presente in letteratura (Mancini, 2002) è quella tra comunicazione
autoprodotta che si identifica con le iniziative assunte e gestite direttamente dall’istituzione e quella
eteroprodotta che è costituita dall'insieme dei messaggi costruiti, gestiti e spesso veicolati da
soggetti ad essa esterni, generalmente, ma non esclusivamente, i mass media.
Per ripercorrere, quindi, brevemente la storia dell’evoluzione della comunicazione pubblica in Italia
è necessario seguire l’evoluzione della amministrazione pubblica stessa con i suoi processi di
riforma legati ai cambiamenti culturali e sociali della società.
1.2 La comunicazione pubblica in Italia dall’Unità fino agli anni ‘70
La creazione dello Stato Italiano attraverso l’annessione progressiva tra il 1859 e il 1870 dei vari
Stati preesistenti sotto la monarchia dei Savoia, vide la nascita di uno Stato fortemente accentratore
in cui le autonomie locali e le differenze regionali vennero coscientemente sacrificate alla
burocrazia centrale (Ginsborg 1989).
Sebbene, infatti, i leader della Destra fossero disposti, sull’esempio britannico, a riconoscere la
validità di un sistema decentrato, basato sull’autogoverno delle comunità locali, prevalsero le
esigenze pratiche immediate che spinsero i governanti a stabilire un controllo il più possibile stretto
e capillare su tutto il paese e quindi a orientarsi verso un modello di Stato accentrato basato cioè su
ordinamenti uniformi per tutto il regno e una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro
(Sabbatucci, Vidotto 2007).
Attraverso, quindi, l’estensione delle preesistenti leggi piemontesi o l’emanazione di nuove leggi
quali la Legge Rattazzi sull’ordinamento comunale e provinciale, si venne a creare un apparato
statale con un forte sistema di controlli centro-periferia in cui anche le decisioni di minore
importanza si dovevano prendere nella capitale e anche a livello locale i prefetti, in quanto
rappresentanti del governo centrale, avevano maggior potere rispetto ai consigli municipali eletti.
Ogni azione dello stato, inoltre, secondo il principio tedesco del Rechtsstaat, doveva essere inserita
nella cornice della legge amministrativa.
Tale sistema avrebbe dovuto in teoria salvaguardare il cittadino dagli arbitri della burocrazia, ma in
realtà condusse a un proliferare di leggi (Ginsborg, 1989). Il risultato fu, quindi, quello di avere uno
Stato non solo centralizzato ma anche lento e inefficiente che aveva tra i propri punti di forza
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l’ossequio al precedente, un rigoroso rispetto del segreto d’ufficio, un continuo ampliamento delle
competenze dell’amministrazione pubblica e una sempre più complessa organizzazione gerarchica.
La situazione negli anni successivi all’unificazione non migliorò tanto che già nel 1919 venne
istituita la prima commissione centrale per la riforma dei servizi pubblici chiamata a cercare una
semplificazione della normativa esistente e un maggiore decentramento burocratico.
Questo tentativo subì un deciso arresto con l’avvento del regime fascista durante il quale
l’organizzazione gerarchica assunse caratteri ancora più autoritari, dirigistici e fortemente
propagandistici e la pubblica amministrazione continuò ad essere terreno di cultura del clientelismo.
Durante il fascismo, inoltre, si vide un’esplosione, già iniziata negli anni antecedenti, delle
cosiddette “burocrazie parallele” la creazione cioè di una serie di istituzioni semi–indipendenti,
ognuna con la propria burocrazia e gelosa dei propri poteri e della propria sfera di influenza
(ibidem).
Con la nascita della Repubblica, purtroppo, la situazione non vide grossi cambiamenti.
I vari governi a maggioranza democristiana non riuscirono a creare un’immagine dello Stato in cui
la gente comune si potesse identificare.
Sebbene nel 1950 venisse creato un nuovo ufficio per la riforma burocratica, ben poco cambiò ed
anzi oltre ad un ulteriore incremento delle burocrazie parallele e del parastato alla ricerca della più
larga base di consenso possibile, la burocrazia ministeriale aumentò ancor di più di numero e
grandezza.
In questi anni, quindi, si continua ad assistere ad un rapporto deformato tra cittadini e Stato in cui la
burocrazia non operava nei confronti dei cittadini sulla base di una imparziale esecuzione dei propri
compiti entro limiti temporali prefissati, ma sulla base di un potere discrezionale dove il semplice
espletamento di un atto burocratico dipendeva dalle pressioni che il cittadino poteva esercitare sul
funzionario.
E’ chiaro come, di fronte a questa situazione il cittadino molto spesso non si sentiva vincolato a uno
Stato che non riusciva a garantirgli funzionari onesti e servizi pubblici decenti e non sorprendono
quindi i risultati emersi dalla ricerca di Banfield del 1958 da cui era emerso (Banfield, 2006) come
in Italia fosse assai diffuso, specialmente nel Sud, un atteggiamento di “familismo amorale” dove i
vantaggi immediati della famiglia erano anteposti al bene della comunità che veniva perseguito solo
in caso comportasse un vantaggio personale e dove si riteneva che i cittadini non dovessero
occuparsi della”cosa” pubblica in quanto a carico dei funzionari pubblici che erano pagati per farlo.
Da un punto di vista dei modelli comunicativi, visto che ogni comportamento è comunicazione
(Watzlawick et al 1971), possiamo dire che la Pubblica Amministrazione in Italia per oltre un
secolo ha cercato di tenere lontani i cittadini non dialogando né comunicando con loro,
trincerandosi dietro il segreto d’ufficio, e la complessità delle procedure.
Il modello di comunicazione pubblica appare ancora dominato dalla logica, sublimata dalla
esperienza fascista, di controllo e orientamento dell’opinione pubblica, dove non è tanto importante
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