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Introduzione
Quando parliamo di responsabilità e colpa abbiamo a che fare con argomenti
inesauribili, parole di cui non possiamo fare a meno, necessarie ed essenziali, ma che si
fa fatica a definire in modo univoco. È certamente noto come tematiche quali la
responsabilità e la colpa abbiano interessato discorsi non solo di natura giuridica e
politica, ma anche psicologica, religiosa e filosofica. Per esempio, in psicologia sentiamo
spesso parlare di genitori che, tramite le colpevolizzazioni, detengono il potere inconscio
di far nascere nei loro figli, anche involontariamente, dubbi, incertezze, sentimenti di
inadeguatezza e, nei casi estremi, un complesso di colpa nevrotico o psicotico. Oppure
sappiamo come quasi tutte le grandi religioni abbiano in seno una serie di riti purificatori
che, fin dalla nascita, mirano a cancellare una colpa originaria e collettiva che gli uomini
sentono di aver commesso. In quest’ottica la colpa diviene nell’uomo costitutiva,
strutturale, il solo fatto di essere venuti al mondo viene percepito come colpa e,
conseguenza di ciò, sarà un’esistenza dedita alla ricerca di una sorta di riabilitazione o
cura. Anche in antropologia culturale c’è chi
1
ha voluto distinguere tra ‘cultura della
vergogna’ e ‘cultura della colpa’.
«Ogni concetto di colpa – scrive Jaspers – implica delle realtà che hanno le loro
conseguenze anche nell’ambito degli altri concetti di colpa»
2
. Il termine ‘colpa’ è un
vocabolo complesso in quanto può assumere significati diversi a seconda del contesto
all’interno del quale viene impiegato. Per evitare ambiguità sul piano semantico è
necessario distinguere tra la dimensione oggettiva della colpa, che fa riferimento
all’effettiva responsabilità di un’azione, e la dimensione soggettiva, che si riferisce
all’interiorizzazione del sentimento di colpa. Si tratta di una distinzione che dobbiamo
tenere a mente se non vogliamo incorrere in confusioni terminologiche in quanto, come
ricorda Bruno Callieri, se da un lato possiamo sentirci in colpa pur non essendo
responsabili dell’azione da cui deriva il sentimento, dall’altro è possibile che un agente
1
La prima a parlare di shame culture è stata l’antropologa statunitense Ruth Benedict. Eric Dodds,
all’inizio degli anni cinquanta del secolo scorso, ha applicato i concetti di “civiltà di colpa” e “civiltà di
vergogna” al mondo degli eroi greci. Egli riprendeva proprio i concetti chiave che la Benedit ha utilizzato
nel suo saggio Il crisantemo e la Spada. Cfr. R. Dodds, I greci e l’irrazionale, Milano, BUR Rizzoli, 2021.
2
K. Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, trad. it. di A.
Pinotti, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, p. 24.
6
non avverta la responsabilità e il senso di colpa a seguito di un’azione considerata dai più
oggettivamente condannabile
3
.
Quale che sia l’ambito entro cui utilizziamo tali concetti, non possiamo venirne
fuori senza un approfondimento e una comprensione di che cos’è la responsabilità e che
cos’è la colpa. Gli ambiti entro cui utilizziamo queste parole sono molti, quanto meno
cinque: giuridico, etico, psicologico, religioso e filosofico.
In ambito giuridico il termine ‘colpa’ fa riferimento alla trasgressione dimostrata di
una legge, all’infrazione di una norma. C’è colpa laddove un certo codice – il Codice
penale – prevede una sanzione per l’imputato giudicato colpevole. Immanuel Kant, nella
Metafisica dei costumi, ha delineato bene la differenza tra colpa e delitto: «una
trasgressione involontaria ma imputabile si chiama colpa; una trasgressione volontaria
(cioè unita con la coscienza che si tratta proprio di trasgressione) si chiama delitto»
4
.
In ambito etico, contrariamente a quello giuridico, la colpa non può essere connessa
a leggi oggettivabili. Anzi, in determinati casi proprio l’eccessiva e smaniosa osservanza
di leggi ingiuste o inique può costituire colpa non dal punto di vista giuridico, ma dal
punto di vista morale. In tale ambito il giudizio non è esterno, ma interno. Il verdetto
finale non spetta al tribunale istituito da un potere, ma al tribunale della coscienza. Il
giudizio viene rimandato a qualcuno che non risponde se non di sé: la propria coscienza.
In ambito psicologico non si parla propriamente di colpa, ma di ‘senso di colpa’
5
.
Famosissima è l’interpretazione di Sigmund Freud secondo cui i sentimenti di colpa
hanno due radici: la sessualità infantile e l’aggressività innata. Secondo Freud il senso di
colpa nasce dal conflitto tra desideri sessuali e aggressivi; conflitto che viene
interiorizzato dal singolo (Io) tra l’inconscio pulsionale (ES) e l’inconscio sociale (Super-
io). Oltre a ciò, in Totem e tabù (1913)
6
, Freud ha analizzato il senso di colpa in relazione
alla sua dottrina del peccato originale. Nell’orda primordiale – sostiene Freud – gli uomini
vivevano raccolti in piccoli gruppi capeggiati da un maschio dominante (il padre-capo)
3
«Tra l’aver commesso un’azione colpevole (…) e il sentirsi colpevole può aprirsi una differenza a
volte anche incolmabile» (B. Callieri, Il senso di colpa. Aspetti di psicopatologia antropologica, in C.
Bellantuono, La cura dell’infelicità, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1994, p. 60).
4
I. Kant, Metafisica dei costumi, Laterza, Bari, 1970, p. 400.
5
Per un approfondimento generale dell’approccio psicoanalitico al ‘senso di colpa’ rimandiamo ai
seguenti testi: L. Della Seta, Le origini del senso di colpa, Roma, Melusina, 1989; P. di Blasio, R. Vitali,
Sentirsi in colpa, Bologna, il Mulino, 2001.
6
Cfr. S. Freud, Totem e tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici (1912-
1913), in Opere, Vol. VII, Torino, Bollati Boringhieri, 1975.
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che possedeva tutte le femmine. I maschi più piccoli provano invidia nei confronti del
padre che ha il monopolio di tutte le cose e le donne. L’invidia e la rivalità sfociano nel
parricidio: i figli uccidono il padre tirannico per impossessarsi di tutti i suoi averi. Tale
delitto, ripetuto innumerevoli volte nella storia dell’evoluzione umana, entra come
ricordo nel patrimonio genetico della specie. Nasce così la religione totemica. La figura
del padre rappresenta un modello di identificazione, ma anche la fonte di un inestinguibile
senso di colpa per i figli ribellatisi al padre dell’orda.
L’approccio psicologico al concetto di colpa presenta però degli evidenti limiti
7
. Lo
psicologo, nella sua pratica di cura, si limita ad analizzare la trasgressione di tabù
primordiali e di determinate istanze parentali e sociali. Con questa metodologia non è
possibile riconoscere la colpa originaria che è connaturata alla natura umana. Il mancato
riconoscimento della costante possibilità umana di ricadere nella colpa non consente alla
psicologia un adeguato approfondimento dell’essenza della colpa. In altri termini, quello
che manca alla psicoanalisi è un’ontologia della persona, cioè la possibilità di riconoscere
nella persona ciò che è essenziale: la sua responsabilità e il radicamento nella libertà come
fatto assolutamente originario della persona. Un’indagine di questo tipo richiede un
approccio religioso o filosofico alla questione.
In ambito religioso la colpa è un fatto originario. Questa concezione è propria della
dottrina biblica del peccato originale che, come è noto, ha come oggetto il modo in cui il
peccato si è trasmesso da Adamo agli altri uomini. L’idea di fondo di tale dottrina è che
si nasca colpevoli. Il solo fatto di esser nato rende l’uomo responsabile nei confronti dei
propri simili. La nascita rappresenta certamente qualcosa di nuovo, che rende ogni uomo
irripetibile ed unico, ma porta con sé anche il segno di un imperativo imprescindibile:
essere responsabili nei confronti di tutti gli altri. L’approccio religioso, a differenza di
quello psicoanalitico, può sicuramente pervenire all’essenza della colpa, ma, pur
essendoci molteplici interpretazioni, resta fin troppo legato alla tradizione biblica.
Solo in ambito filosofico è possibile una vera e propria interpretazione della colpa
come condizione ontologica dell’esistenza. È stato Martin Heidegger, in Essere e tempo
(1927), nel paragrafo Comprensione del richiamo e colpa (§58), a parlare di struttura
ontologica della colpa. Elevando la colpa a condizione originaria ed ineliminabile
7
Soprattutto Martin Buber ha sottolineato la limitatezza del concetto di ‘senso di colpa’, oggetto di
indagine della psicoanalisi sia freudiana che junghiana. Cfr. M. Buber, Colpa e sensi di colpa, Milano,
Apogeo, 2008.
8
dell’esistenza umana, egli ha riconosciuto nella possibilità di esser colpevoli l’essenza
stessa degli uomini: «l’esser-colpevole – scrive Heidegger – non è il risultato di una
colpevolezza, ma, al contrario, questa diviene possibile solo “sul fondamento” di un esser-
colpevole originario»
8
. In altre parole, l’unico modo per raggiungere un’autentica
comprensione ontologico-esistenziale è quello di sottrarre l’idea di colpa da concetti
desunti dall’ambito esistentivo, come dal ‘prendersi cura’, dal dovere, dalla legge ecc.
L’idea esistenziale di colpa, secondo Heidegger, porta con sé il carattere del ‘non’, si
scopre cioè come «esser-fondamento di una nullità»
9
: l’uomo per essere colpevole non
ha alcun bisogno di gravarsi di una colpa tramite determinate azioni o omissioni, egli è
già colpevole nel fondamento del suo essere.
Il tema della colpa originaria ed ineliminabile ritorna anche in Karl Jaspers che, in
Filosofia (1932), ha posto la colpa tra le situazioni-limite dell’esistenza, cioè tra quelle
situazioni alle quali l’uomo non può sfuggire. L’identità dell’io e della situazione appare
a Jaspers come la colpa originaria e inevitabile che è a fondamento di ogni colpa
particolare. Nel riconoscimento e nell’accettazione di determinate situazioni, l’uomo può
eliminare dalla realtà le colpe evitabili (particolari), ma al contempo riconoscere nella sua
vera natura la colpa originaria. Si tratta – scrive Jaspers – «di evitare realmente la colpa
evitabile, per giungere a quella colpa autentica, profonda ed inevitabile, in cui non è dato
di trovar pace»
10
. Da un lato abbiamo la colpa inevitabile, che è la limitazione necessaria
dell’io nella situazione, dall’altro la colpa evitabile, cioè la mancata accettazione della
situazione e quindi la rinuncia ad essere se stessi. Tuttavia, nell’ottica jaspersiana, la
rinuncia non gioca un ruolo decisivo. La non-scelta e la non-azione non possono sottrarre
l’uomo dalla situazione in cui si trova calato; sicché la necessità e la colpa di tale
situazione rimane inalterata anche a seguito di una non-decisione. La scelta non offre
nient’altro che la possibilità di accettare questa situazione originaria. La libertà, in
Jaspers, coincide con la necessità della situazione.
La riflessione jaspersiana sul concetto di colpa può sembrare apparentemente
influenzata dai motivi heideggeriani che abbiamo sopra descritto. Tuttavia, possiamo
ragionevolmente sostenere anche il contrario. Non dobbiamo infatti dimenticare un’altra
grande opera di Jaspers: la Psicologia delle visioni del mondo. Quest’opera del 1919 –
8
M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Milano, Longanesi, 2015, p. 339.
9
Ivi, p. 338.
10
K. Jaspers, Filosofia, a cura di U. Galimberti, Torino, Utet, 1978, p. 727.
9
anteriore ad Essere e tempo di Heidegger
11
del 1927 – viene spesso descritta dalla
letteratura critica come il primo scritto di filosofia esistenzialistica
12
. La Psicologia delle
visioni del mondo si presenta come uno scritto psicologico ma, di fatto, segna il passaggio
da questi studi alla filosofia vera e propria poiché contiene tutti i temi principali sviluppati
nelle opere successive. Il concetto di colpa traspare già nelle pagine di questo testo, nella
parte dedicata alle situazioni-limite (Grenzsituationen).
L’approccio jaspersiano al concetto di colpa come situazione-limite è sicuramente
tra i più interessanti nella storia della filosofia. Il tema della colpa e, in generale, delle
situazioni-limite, non si esaurisce nelle riflessioni che troviamo nella Psicologia delle
visioni del mondo, ma viene ripreso, ampliato e approfondito in altri scritti, per poi
confluire nella Schuldfrage (La questione della colpa), sollevata da Jaspers nel 1946, in
cui la questione viene affrontata in modo esplicito e completo.
Nell’esaminare la colpa come situazione-limite, prenderò in esame soprattutto la
Psicologia delle visioni del mondo e La questione della colpa di Karl Jaspers. La domanda
che potrebbe sorgere spontanea è: non c’è il rischio di incorrere in pericolosi anacronismi
riflettendo su opere del medesimo autore concepite in periodi storici differenti e con
obiettivi diversi? Da un lato abbiamo la Psicologia delle visioni del mondo (1919), dove
l’interesse di Jaspers è orientato soprattutto agli impulsi psichici che danno vita alle
‘visioni del mondo’, dall’altro La questione della colpa (1946), dove Jaspers affronta il
problema della colpa di cui il popolo tedesco si è macchiato nei confronti dell’umanità
sotto il nazismo. Per evitare anacronismi non dobbiamo prestare attenzione solo alle date
degli eventi storici, ma anche a non confondere le forme dei problemi. I critici hanno
spesso contrapposto al ‘primo’ Jaspers, psicopatologo e filosofo, il ‘secondo’ Jaspers,
pensatore politico, considerando la Seconda Guerra Mondiale come fondamentale
momento di spartiacque nella crescita intellettuale del filosofo oldemburghese. Studiare
11
Heidegger è stato uno dei primi recensori della Psicologia delle visioni del mondo. Nella sua
recensione, egli sottolinea come Jaspers, con atteggiamento estetico, guardi alla vita come a un’idea: «la
vita “è presente” come qualcosa che viene posseduto guardando ad essa, e, in tale modalità dell’avere, la si
coglie come la totalità onnicomprensiva» (M. Heidegger, Note sulla “Psicologia delle visioni del mondo”
di Karl Jaspers, in Segnavia, trad. it. di F. Volpi, Milano, Adelphi, 1987, p. 452).
12
La «collocazione tra psicologia e filosofia, e il riferimento a un approccio lebensphilosophisch, ne
mostra la natura interdisciplinare in nuce e la capacità di catturare strutture essenziali dell’essere umano
declinabili nelle diverse discipline (…). È infatti in quest’opera che Jaspers compie il passaggio all’analitica
esistenziale, da un approccio ancora legato a quella dimensione che nella sua recensione Heidegger definirà
teoreticistica» (S. Achella, J. E. Schlimme, Presentazione, in Discipline filosofiche, anno XXVII, numero
1, 2017, p. 7).
10
un filosofo come Jaspers è sempre un’esperienza particolare, nella lettura ci si rende conto
della complessità e della ricchezza intellettuale della sua opera. È come se tutti i suoi
scritti – perfino quelli più specialistici – fossero caratterizzati da un inconfondibile afflato
filosofico. Non è dunque tanto assurdo o impossibile dimostrare la stretta connessione
esistente nel suo pensiero tra psicologia, filosofia e politica.
Questa tesi di laurea è dedicata alla colpa come momento critico dell’esistenza. Lo
scopo del presente lavoro è quello di indagare le crisi esistenziali, la colpa come
situazione-limite particolare e le reazioni alle criticità dell’esistenza. L’indagine muove
da una serie di domande fondamentali: Cosa sono le crisi esistenziali? Cosa prova e come
si comporta l’uomo di fronte alle situazioni-limite dell’esistenza? Quali sono i modi di
concepire la situazione-limite della colpa? L’uomo può reagire, affrontare o evitare tali
momenti critici? Qual è la differenza tra stile di vita autentico e stile di vita inautentico?
Il primo capitolo è introduttivo rispetto al concetto di colpa. Prima di esaminare nel
dettaglio tale concetto, ho ritenuto essenziale affrontare, con un approccio psicologico-
filosofico, il tema delle crisi esistenziali e delle possibili strategie di resistenza per
comprendere l’idea che Jaspers ha della soggettività e quali sono le risposte possibili alla
crisi. Mi sono concentrato soprattutto sui due concetti chiave della Psicologia delle
visioni del mondo: le situazioni-limite (Grenzsituationen) e gli involucri (Gehäuse). Le
situazioni-limite come punti di crisi e di frattura da cui scaturisce la necessità della
decisione; gli involucri come orizzonti ineliminabili e indispensabili dentro i quali gli
uomini si sentono al riparo, ma anche in uno stato di irrigidimento. Il capitolo si conclude
con un breve riferimento a Ernesto De Martino che, proprio come Jaspers, sostiene che
l’uomo sia alla costante ricerca di un punto d’appoggio che gli consenta di sopportare i
momenti più critici e difficili dell’esistenza. Nella prospettiva demartiniana la cultura
rappresenta una forma di riscatto, una ‘rocca della permanenza’ che consente all’uomo di
far fronte alle apocalissi culturali e al rischio radicale in cui può incorrere la presenza
quando viene sopraffatta dal divenire storico.
Nel secondo capitolo entro nel merito dell’analisi sulla colpa con una riflessione
etico-politica. Il testo di riferimento è La questione della colpa, uno scritto coraggioso
che segna il ritorno di Jaspers al suo insegnamento a Heidelberg, dopo la forzata
sospensione negli anni del nazismo. In esso è possibile intravedere tutte le premesse che
hanno portato a una nuova e consapevole maturazione del pensiero politico jaspersiano.