vengono presi di mira i luoghi di culto e rubate icone ed immagini sacre.
In ambito internazionale il problema è sentito in Cina, in
Cambogia, in Perù e in Messico, dove si continuano a saccheggiare le
vestigia delle antiche civiltà.
Lo studio inizierà con l’esame delle disposizioni internazionali e
delle motivazioni che hanno spinto verso l’emanazione di direttive
comuni di salvaguardia di questi beni.
Saranno quindi presi in considerazione, dapprima, i trattati e le
convenzioni con le quali si è tentato di disciplinare il recupero degli
oggetti d’arte e storici sottratti durante le guerre e poi, quelli che in
tempi recenti hanno disciplinato il divieto di importazione, esportazione
e trasferimento illecito di beni culturali.
Rilevante sarà capire come il legislatore internazionale ha
affrontato i problemi relativi al difficile equilibrio tra la necessità di
proteggere il patrimonio culturale di ogni Paese e l’eliminazione degli
ostacoli agli scambi. Inoltre, in che modo ha risolto i problemi
privatistici relativi al complesso rapporto tra la garanzia di circolazione
e la salvaguardia accordata all’acquirente in buona fede.
Infine, di fronte ai continui traffici illeciti viene naturale chiedersi
quali siano state le inefficienze di tali trattati e convenzioni
internazionali, quali i limiti e quali siano state le difficoltà della loro
attuazione.
L’approfondimento della normativa comunitaria di tutela dei beni
culturali costituirà la parte centrale di questo lavoro. Gli Stati dell’U.E.
hanno, dapprima, affrontato gli stessi problemi visti in ambito
internazionale e quindi di recupero di opere d’arte e di oggetti di valore
storico in seguito alle guerre e ai traffici illeciti e poi, quelli relativi alla
circolazione in ambito comunitario.
Uno dei principi fondamentali della C.E. è quello della libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.
A questo principio si contrappone l’esigenza che, invece, ha ogni
singolo Paese, di tutelare il proprio patrimonio culturale. Esigenza che
gli deriva, non solo dal desiderio di conservazione di ciò che rappresenta
la sua storia e che identifica la nazione, ma da precisi obblighi
internazionali. L’eliminazione delle frontiere interne comporta rilevanti
difficoltà nel controllo delle transazioni aventi ad oggetto questi beni se
non addirittura il rischi di una impossibilità assoluta di controllo.
Uno degli aspetti fondamentali di questo studio è capire come il
legislatore comunitario ha conciliato queste due opposte esigenze, quali
norme comunitarie sono state emanate in materia di esportazione di beni
culturali e di gestione delle frontiere esterne della C.E. Inoltre, è
interessante capire come è stata trattata la delicata materia della
restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno
Stato membro, come è stato risolto il problema della giurisdizione ed il
ripristino del regime di proprietà antecedente all’illecita uscita, infine
quali sono i punti in comune tra la normativa europea e le altre
convenzioni internazionali e quali i problemi di interconnessione.
La seconda parte di questo lavoro tratterà l’evoluzione della
normativa nell’ambito dell’ordinamento italiano, con particolare
attenzione al vigente testo unico, evidenziando l’influenza che hanno
avuto le norme internazionali, ma soprattutto comunitarie, sul diritto
interno.
PARTE PRIMA
LA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI
NELLA COMUNITA’ EUROPEA
Capitolo 1.1
LA TUTELA DEI BENI CULTURALI NEL DIRITTO
INTERNAZIONALE
SOMMARIO: 1. Premessa generale. 2. Le disposizioni
internazionali di tutela. Cenni. 3. La Convenzione
dell’UNESCO del 14 novembre 1970. 3.1. segue: Gli
obblighi di restituzione e la tutela dell’acquisto in
buona fede. 4. La Convenzione UNIDROIT del 24
giugno 1995. 4.1. segue: La restituzione dei beni rubati
e l’equo indennizzo. 4.2. segue: Il ritorno dei beni
illecitamente esportati. 4.3. segue: La questione relativa
alla giurisdizione.
1. - Premessa generale
L’accresciuta consapevolezza del valore universale del patrimonio
culturale, ha dato origine, soprattutto nella seconda metà del secolo
scorso, ad un’attiva produzione normativa, sia all’interno dei singoli
Stati sia a livello internazionale.
L’evoluzione delle norme in materia di circolazione di beni
culturali è caratterizzata dalla ricerca di un difficile equilibrio, tra
l’esigenza di salvaguardia e di protezione del patrimonio culturale
nazionale e l’opportunità di favorire l’eliminazione degli ostacoli agli
scambi. Nell’ordinamento interno di ogni singolo Paese sono presenti
norme dirette a proteggere il patrimonio artistico e storico che agiscono,
sia sulla determinazione del regime della proprietà, sia sul sistema di
controllo all’importazione ed all’esportazione. Ma la necessità di una
cooperazione tra gli Stati, sancita dall’elaborazione di norme
internazionali in questo settore, trae origine proprio dall’insufficienza
delle sole norme interne a controllare e ad arginare il fenomeno
1
.
Sebbene una valutazione in termini quantitativi risulti essere
estremamente ardua, la dimensione del fenomeno di importazione-
esportazione dei beni culturali artisti e storici è impressionante e sembra
avere sostituito se non superato l’antica prassi del bottino di guerra
2
.
Di fronte all’aumento della domanda di beni artistici e storici, visti
come “beni rifugio” nei quali investire i risparmi, nonché al prestigio
legato al possesso di opere d’arte e di oggetti antichi, si è constatata la
progressiva organizzazione e specializzazione dell’offerta di tali beni, in
violazione alle norme di salvaguardia. Un’autorevole dottrina sostiene
peraltro che, “... gli oneri e le misure previste da tali norme sono tanto
rigide quanto relativamente poco efficaci, sia a causa di una oggettiva
difficoltà di applicazione delle stesse, sia a causa di croniche
inefficienze o di estese aree di corruzione che caratterizzano taluni
apparati burocratici ai quali sono affidate determinate funzioni di
attuazione e di controllo in materia”
3
.
Nell’ambito dell’illecito traffico
4
di beni culturali, sebbene non si
possa fare una distinzione netta (come nel caso dell’Italia), generalmente
si distinguono “Paesi esportatori”, situati nell’area mediterranea
(Turchia, Egitto, Paesi del Medio Oriente, Grecia, Italia), nell’America
centrale e meridionale (Messico, Guatemala, Colombia, Ecuador, Perù),
in Asia (India Tailandia, Cambogia, Indonesia), in Africa e in Oceania, e
“Paesi importatori”, corrispondenti ai Paesi dell’occidente
1
FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, Milano, Giuffrè Editore, 2001, pag. 3.
2
“committenti, esecutori e destinatari risultano spesso sconosciuti. Per gli stessi motivi può risultare spesso
difficilmente accertabile la provenienza dei beni illecitamente trasferiti i quali - e ciò con particolare riferimento ai
beni di valore archeologico - spesso non sono stati oggetto di alcuna classificazione o catalogazione nel Paese di
origine, ovvero provengono addirittura dal saccheggio di siti archeologici ufficialmente sconosciuti o dei quali non
sono state ancora iniziate le operazioni di scavo. Inoltre a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale
l’incremento dell’interesse verso i beni culturali ha conosciuto una crescita esponenziale da parte di collezionisti
pubblici e privati”. Ivi, pag. 4.
3
Ivi, pag. 5; GRASSI I., La circolazione dei beni culturali nella Comunità europea, in MEZZETTI L., I beni
culturali. Esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, CEDAM, pag. 10.
4
Sulla nozione di traffico (e quindi di trasferimento) illecito, Frigo sottolinea come essa “ricomprenda in realtà più
di un’ipotesi il cui elemento comune, almeno dal punto di vista internazionale, consiste nell’espatrio del bene
considerato in violazione di una o più norme del Paese di origine. Questa definizione, evidentemente generica e
incompleta, mette in risalto la non coincidenza con la nozione di furto di opere d’arte da chiese, musei, collezioni
pubbliche o private, ovvero dal saccheggio di siti archeologici il cui prodotto sia successivamente oggetto di
transazioni economiche all’estero. La nozione in questione, infatti, trova ormai comunemente applicazione anche
laddove non ricorra la fattispecie del reato di furto, ma l’operazione sia posta in essere dal legittimo proprietario,
ovvero da altri con il consenso di quest’ultimo, in contrasto con le norme per solito nazionali che disciplinano
l’esportazione”. FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, op. cit., pag. 3.
industrializzato e, in particolare, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania,
Olanda, Giappone, Svizzera
5
.
Questa distinzione è nota a livello mondiale
6
e sta alla base
dell’iniziativa legislativa in tema di regolamentazione della circolazione
dei beni culturali, infatti “... essa contribuisce a spiegare l’impianto
protezionistico delle politiche e delle legislazioni nazionali,
tendenzialmente proprio degli ordinamenti dei Paesi “esportatori” a
fronte di un approccio più liberale di quelli “importatori” che si esplica,
prevalentemente, non tanto nell’imposizione di criteri più selettivi per la
restituzione quanto nella limitazione delle categorie di beni suscettibili
di divieti e di controlli all’esportazione”
7
.
5
Ivi, pag. 5.
6
“E’ noto infatti che a livello mondiale è possibile tracciare una distinzione tra i paesi che dispongono di un
patrimonio storico artistico nazionale rilevantissimo, che spesso si trova in condizioni di scarsa fruibilità ed anche di
degrado (paesi c.d. “esportatori”), ed i paesi verso i quali si indirizzano i flussi di beni culturali “stranieri” e che
sono qualificabili, al contrario, come paesi “acquirenti” di beni culturali (o paesi c.d. “importatori”). Mentre le
preoccupazioni dei paesi del primo gruppo si concentrano sugli aspetti della tutela e conservazione dei loro
patrimoni culturali, anche con strumenti di protezionismo commerciale, mirano ad ampliare quanto più possibile le
possibilità di “recupero dei beni usciti dal territorio, quelli del secondo gruppo sono più interessati ad una disciplina
di tipo “liberista” sul piano internazionale, e si mostrano tradizionalmente prudenti sulle istanze di restituzione degli
stessi da parte degli stati di provenienza”. MANSI F.P., I beni culturali nel diritto internazionale e comunitario, in
MANSI A., La tutela dei beni culturali, Padova, CEDAM, 1998, pag. 380.
7
FRIGO, La circolazione internazionale dei beni culturali, op. cit., pag. 5.
2. - Le disposizioni internazionali di tutela. Cenni.
Le prime disposizioni internazionali di tutela andavano incontro
soprattutto all’esigenza di ottenere la loro restituzione in seguito alle
spoliazioni effettuate nei casi di conflitti armati. Le opere e gli oggetti
d’arte in generale hanno sempre attratto lo spirito di conquista degli
eserciti invasori, per cui l’occupazione di uno Stato nemico aveva
sempre come conseguenza la spoliazione di tali beni. E’ per questo che
molti capolavori hanno, nel corso della storia, trasmigrato da un Paese
all’altro seguendo le vicende delle guerre
8
.
Questo fenomeno si è verificato anche in tempi relativamente
recenti (anche durante l’ultima guerra mondiale si sono verificate
spoliazioni di dimensione non trascurabili).
I primi esempi di Trattati internazionali che dettano norme a tale
riguardo sono il Trattato di Wesfalia del 1648, con disposizioni sulla
restituzione degli archivi, il Trattato di Oliva del 1660, tra Svezia e
Polonia, sulla restituzione della biblioteca reale polacca e il Trattato di
Whitehall del 1662, tra Inghilterra e Paesi Bassi, sulla restituzione delle
opere appartenenti alle collezioni degli Stuart
9
.
Ciò che invece è una novità dei nostri tempi è la predisposizione di
strumenti sempre più evoluti per consentire una tutela effettiva e, in
particolare, per contrastare il fenomeno della circolazione illegittima dei
beni culturali tra i vari Paesi
10
.
Questa consapevolezza ha portato, specialmente negli ultimi
decenni, alla conclusione di numerose ed importanti convenzioni e
trattati internazionali.
La prima iniziativa volta ad assicurare una protezione dei beni
culturali dalla violenza bellica è il Regolamento concernente le leggi ed i
8
Relativamente a pubblicazioni sulle spoliazioni effettuate nei vari Paesi conquistati durante il periodo napoleonico,
e sulle varie restituzioni, MANSI cita WESCHER, I furti d’arte - Napoleone e la nascita del Louvre, EINAUDI,
1988, che contiene anche un inventario dei beni asportati e di quelli restituiti e non, con amplia bibliografia; cita
anche MOLAJOLI, Le benemerenze di Antonio Canova nella salvaguardia del patrimonio artistico, in Quaderni di
San Giorgio n. 35, SANSONI, 1975, in merito all’incarico dello sculture di recuperare quanto trafugato dalle truppe
napoleoniche, ricevuto dalla Santa Sede. MANSI A., op. cit., pag. 4.
9
FRIGO, La protezione dei beni culturali nel diritto internazionale, Milano, 1986, pagg. 73 e ss.
10
MANSI F.P., op. cit., pag. 376.
costumi della guerra terrestre, annesso alla II Convenzione dell’Aja del
1899
11
.
All’interno di questo regolamento si sottolineano in modo
particolare i rischi insiti nelle operazioni militari di bombardamento e si
enuncia l’obbligo dei belligeranti di adottare tutte le misure necessarie a
salvare, nei limiti del possibile, gli edifici consacrati alle arti e alle
scienze (sempre che non siano adibiti a scopi militari).
Anche con il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947
12
,
successivo alla seconda guerra mondiale, si regolò la materia dei beni
culturali, ispirandosi al principio della reintegrazione dei patrimoni dei
rispettivi Paesi belligeranti, mentre una piena salvaguardia dai rischi
della guerra si ha solo con l’apposita convenzione dell’Aja del 14
maggio 1954
13
.
Con questa convenzione, infatti, si toccano sia i temi riguardanti la
sottrazione dei beni, quale preda bellica, sia quelli riguardanti il loro
danneggiamento. In quella sede venne conferito al bene culturale uno
status di garanzia, che per vari aspetti si richiama alle regole che
valgono per le formazioni sanitarie. Nello specifico, le norme della
Convenzione vietano l’asporto dei beni cultuali ed escludono che essi
possano essere oggetto di cattura o di confisca, affermando così
11
Regolamento sulle leggi e costumi di guerra terrestre annesso alla II Convenzione conchiusa all’Aja il 29 luglio
1899, approvata dall’assemblea federale il 17 giugno 1907, entrata in vigore il 28 giugno 1907. CS 11 373; FF 1900
III 1, 1907 I 824 ediz. ted. 1900 III 73, 1907 II 134 ediz. francese.
Relativamente alle convenzioni per la tutela dei beni culturali in tempo di guerra vi è anche un Regolamento annesso
alla IV Convenzione del 18 ottobre 1907, sul bombardamento da parte delle forze navali. Cfr. FRIGO, La
circolazione internazionale dei beni culturali, op. cit., pagg. 89 e ss.
12
Reso esecutivo in Italia con D.Lgs. del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, è pubblicato in
Suppl. n. 295 alla G.U. del 24 dicembre 1947. L’art. 75, § 2 del Trattato con l’Italia dispone esattamente che
“L’obbligo di restituire si applica a tutti i beni identificabili che si trovino attualmete in Italia e che siano stati
sottratti con la violenza o la costrizione dal territorio di una delle Nazioni Unite, da qualunque delle Potenze
dell’Asse, qualunque siano stati i successivi negozi mediante i quali l’attuale detentore di tali beni se ne sia
assicurato il possesso”. Il punto 9 dell’art. 75 contiene, invece, un obbligo di tipo riparatorio per l’equivalente, nella
sola ipotesi si impossibilità di restituzione del bene: “Se in casi specifici fosse impossibile per l’Italia di effettuare la
restituzione di oggetti aventi un valore artistico, storico od archeologico e appartenenti al patrimonio culturale delle
Nazioni Unite dal territorio della quale tali oggetti vennero sottratti con la violenza o la costrizione da parte delle
Forze Armate delle autorità o di cittadini italiani l’Italia si impegna a consegnare alla Nazione Unita interessata
oggetti della stessa natura e di valore approssimativamente equivalente a quello degli oggetti sottratti, in quanto
siffatti oggetti possano procurarsi in Italia”.
13
Convention for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict, Regulations for the Execution
of the Convention and Protocol. La Convenzione è entrata in vigore il 7 agosto 1956. L’Italia ha ratificato la
Convenzione con L. 7 febbraio 1958, n. 279, pubblicata in G.U. (suppl. ord.) dell’11 aprile 1958, n. 87, è in vigore
dal 9 agosto 1958. Alla data del 9 aprile 2002 via avevano aderito 103 Stati (tabella relativa allo stato delle ratifiche,
sito www.unesco.org).
l’obbligo del loro rispetto nel corso delle operazioni militari. Per
avvalersi di tale tutela, la Convenzione prevede che i beni siano muniti
di particolari segni distintivi ed estende la protezione anche al personale
adibito alla loro custodia.
Con il passare degli anni la disciplina internazionale dei beni
culturali ha potuto fare un passo avanti e uscire dalla mera
regolamentazione delle situazioni di guerra. Gli Stati hanno sentito la
necessità di migliorare i loro rapporti e di costituire organismi
internazionali stabiliti con lo scopo di conseguire interessi comuni,
anche per quanto riguarda la protezione dei beni culturali.
Sotto il patrocinio delle Nazioni Unite e in forza dell’azione
dell’UNESCO
14
, come sua istituzione specializzata per la protezione dei
beni culturali, si è pervenuti alla prima importante convenzione
internazionale. Si tratta della convenzione concernente le misure da
adottare per interdire ed impedire la illecita importazione, esportazione e
trasferimento di proprietà dei beni culturali, adottata a Parigi il 14
novembre 1970 dalla Conferenza Generale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, nella sua XVI
Sessione. Questa convenzione è stata resa esecutiva in Italia con la L. 30
ottobre 1975, n. 873
15
.
Nella sessione successiva, la stessa conferenza adottava poi la
“Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale
mondiale” firmata a Parigi il 23 novembre 1972
16
, resa esecutiva in
Italia con la L. 6 aprile 1977, n. 184
17
ed entrata in vigore il 23
settembre 1978. In quest’ultima convenzione si vuole evidenziare che la
gestione dei beni culturali e degli ambienti naturali rientra fra le funzioni
essenziali ed insostituibili dei singoli Stati ai quali appartengono e, della
loro conservazione, sono interessati tutti i popoli del mondo, per la
comunanza dei valori di civiltà.
14
“Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura”.
15
Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of
Cultural Property. La Convenzione UNESCO 14 novembre 1970 è entrata in vigore il 24 aprile 1972. L’Italia ha
ratificato la Convenzione con L. 30 ottobre 1975, n. 873, pubblicata in G.U. (suppl. ord.) n. 49 del 24 febbraio
1976. Alla data del 13 settembre 2002 è in vigore tra 94 Stati (tabella relativa allo stato delle ratifiche, sito
www.unesco.org).
16
Pubblicata nel Suppl. ord. alla G.U. n. 129 del 13 maggio 1977.
17
Pubblicata in G.U. n. 129 del 13 maggio 1977, Suppl. Ord.
L’idea che esistano beni del patrimonio culturale e nazionale che
per il loro interesse eccezionale appartengano al patrimonio mondiale è
ormai largamente condivisa. Su questa convinzione poggia il principio,
sottolineato da questa Convenzione, per cui “tutta la collettività
internazionale deve partecipare alla loro tutela, resa oggi più urgente
dall’aggravarsi della minaccia della loro distruzione, sia per naturale
degradazione, sia per l’effetto dell’evoluzione della vita sociale ed
economica, prestando forme di assistenza collettiva per sopperire anche
alla insufficienza delle risorse economiche, scientifiche e tecniche del
Paese nel cui territorio vi siano beni da salvaguardare”
18
.
La Convenzione riconosce, per quei beni che in essa sono
elencati
19
e considerati di “valore universale eccezionale” l’obbligo di
provvedere alla loro tutela, conservazione e valorizzazione culturale e
naturale per la trasmissione alle future generazioni. In essa vi è inoltre
l’impegno a non adottare misure che possano recare danno al patrimonio
culturale e naturale esistente sul territorio di un altro Stato
20
.
Per far fronte a questo impegno, la Convenzione dispone
l’istituzione di un fondo denominato “Fondo del patrimonio mondiale”,
nel quale confluiscono i contributi obbligatori e volontari degli Stati
membri.
Il “Comitato del patrimonio mondiale”, istituito presso
l’UNESCO, ha tra i suoi compiti quello di compilare ed aggiornare un
“Elenco del patrimonio mondiale” sulla base degli elenchi dei beni
evidenziati da ciascuno Stato membro. Mentre spetta al Comitato la
valutazione del requisito di “valore universale mondiale”, l’inserimento
18
ALIBRANDI T. – FERRI P., I beni culturali e ambientali, Milano, Giuffrè Editore, 2001, pag. 61.
19
La Convenzione distingue un “patrimonio culturale” (comprendente i “monumenti” ovvero le opere di
architettura, scultura, pittura e strutture archeologiche, i “complessi” così definiti i gruppi architettonici validi per la
loro unità o per la loro integrazione nel paesaggio e i “siti”, ovvero le opere dell’uomo o creazioni congiunte
dell’uomo e della natura, nonché le zone archeologiche), ed un “patrimonio naturale” (formato da “monumenti
naturali” costituiti da formazioni fisiche e biologiche, formazioni geologiche e fisiografiche nonché le zone
costituenti habitat di specie di animali o vegetali minacciate, siti naturali oppure le zone naturali rigorosamente
delimitate).
20
Sul piano organizzativo, la Convenzione istituisce presso l’UNESCO un “Comitato del patrimonio mondiale”
composto da quindici Stati eletti nel corso delle sessioni ordinarie della Conferenza Generale dell’UNESCO. Nello
svolgimento dei suoi compiti il comitato si avvale dei servizi del Centro Internazionale di studi per la conservazione
ed il Restauro dei Beni culturali (di Roma) del Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (ICOMOS) e
dell’Unione Internazionale per la conservazione della Natura e delle sue Risorse (UICN).
nell’elenco di un bene non può avvenire senza il consenso dello Stato
interessato.
Un altro importante elenco è quello “del patrimonio mondiale in
pericolo”. In questo possono venire inclusi soltanto quei beni ricompresi
nell’elenco generale, che siano minacciati da pericoli seri e concreti.
Ogni Stato, partecipante alla Convenzione, può richiedere l’assistenza
internazionale per i beni del suo territorio
21
.
Queste iniziative a livello internazionale hanno trovato in Europa,
specialmente negli ultimi anni, una precisa regolamentazione giuridica
con l’emanazione del Regolamento CEE 9 dicembre 1992, n. 3911 e
della Direttiva 15 marzo 1993, n. 93/7 (recepita in Italia con la L. 30
marzo 1998, n. 88, ora integralmente riportata nel Testo Unico in
materia di beni culturali e ambientali, n. 490 del 1999, agli artt. 65-84).
La dottrina
22
ritiene che “tali misure non rappresentino un sistema
completo di protezione di patrimoni artistici nazionali. Esse non
intendono perciò sostituire le norme nazionali, ma si limitano ad
affiancarle, creando un sistema complementare ed una tutela aggiuntiva
rispetto alle misure che gli Stati possono mantenere in forza dell’art. 36
del Trattato di Roma”.
23
21
L’assistenza può consistere nell’apprestamento di studi, nella formazione di personale specializzato, nella
fornitura di attrezzature, nella concessione di prestiti o di sovvenzioni a fondo perduto. Le richieste vengono
vagliate dal Comitato che decide sul loro accoglimento e sull’ordine di priorità degli interventi. Nel caso di calamità
o catastrofi naturali, si procede con urgenza e con priorità.
Concessa l’assistenza, il Comitato definisce le modalità di esecuzione del programma mediante un accordo con lo
Stato interessato. Il regolamento ha stabilito che il contributo internazionale al finanziamento dei lavori necessari sia
solo parziale, dovendo lo Stato, se in grado, assumersi una quota sostanziale dell’onere economico.
22
GRASSI, op. cit., pag. 12.
23
“Ai sensi e nei limiti dell’art. 36 del Trattato, dopo il 1992 gli Stati manterranno il diritto di definire il proprio
patrimonio nazionale e di prendere le misure necessarie per garantire la protezione all’interno delle frontiere
interne”, in Punto II della Direttiva 93/7/CEE.