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Introduzione
Quando nasce l’Antimafia? O meglio, quando e come si sviluppa nelle
popolazioni italiane un sentimento organico di contrasto alla malavita organizzata
di tipo mafioso? Rispondere non è assolutamente facile. Come per le Mafie,
prodotto di vari e disparati fattori sociali, politici ed economici, anche per
l’Antimafia non è possibile individuare un semplice punto di inizio. Si può al
massimo tentare di capire la sua evoluzione cronologica, l’importanza di
determinati passaggi storici (ad esempio le stragi dei Corleonesi), ma soprattutto il
ruolo svolto dai mezzi di comunicazione nel costruire, o viceversa nel cercare di
demolire, un sentimento Antimafia.
L’elevazione dell’Antimafia a “religione civile” passa indissolubilmente
attraverso l’elaborazione di una determinata strategia comunicativa, che col tempo
ha cambiato la concezione della vittima delle Mafie da semplice “morto
ammazzato” a vero e proprio eroe civile, al pari di figure da tempo
nell’immaginario mitologico patrio, quali ad esempio i partigiani. Si deve però al
contempo anche guardare l’altra faccia della medaglia. Ossia a come la
rappresentazione distorta dei fenomeni mafiosi abbia per lungo tempo (e
purtroppo continua a farlo anche oggi) sottovalutato il problema. Relegato ora a
ragioni economiche, ora a ragioni etniche e culturali, il problema è stato
volutamente sminuito e non affrontato, generando quindi stereotipi sui quali le
stesse Mafie sono riuscite a rafforzarsi.
Capire come è cambiato il modo di rappresentare e comunicare al mondo
la presenza mafiosa è preludio necessario per capire come e perché si sia
sviluppato, prima autonomamente e poi in maniera più guidata, un movimento
organizzato di contrasto alla Mafie. Ed altrettanto importante è capire ed
analizzare le (non) ragioni che hanno spinto lo Stato ad ignorare per tanto, forse
troppo tempo la pericolosità delle Mafie. Ragioni politiche, economiche, che
affondano le loro origini negli albori dello Stato italiano. Senza queste dovuta
premesse risulterebbe impossibile anche solo intravedere un filo logico nello
sviluppo dell’Antimafia.
Solo dopo aver fatto questi passaggi, indagando le varie tesi che di epoca
in epoca hanno cercato di sminuire la pericolosità delle Mafie, si può poi indagare
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sugli sviluppi dell’Antimafia e sulle sue fasi storiche. Uno sviluppo che, come
vedremo, non è di certo terminato. L’esplosione, la cristallizzazione e la nuova
esplosione del movimento antimafia. Una nuova stagione antimafiosa, amplificata
dalla potenza comunicativa dei nuovi media. Un’Antimafia con una portata
comunicativa decine di volte maggiore, con possibilità di aggregazione mai
conosciute prima.
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CAPITOLO I
LA MAFIA NON ESISTE
I cento anni di silenzio e il peso del negazionismo
L’Antimafia non nasce dal nulla. Come per le Mafie è un prodotto di diversi
fattori, circostanze, eventi. Alcune data sono certamente più importanti di altre.
Ad esempio come possiamo considerare il 1860 e il 1943 due anni cruciali nella
storia delle Mafie, altrettanto possiamo fare con gli anni ’80 per l’Antimafia. Ciò
che però balza subito all’occhio, ripercorrendo cronologicamente i fatti e i delitti
legati alla criminalità organizzata italiana, è l’esistenza di una grossa discrepanza
cronologica tra il periodo di ascesa della Mafia e il formarsi di una coscienza
collettiva antimafia. Pensiamo solo che nel 1860 la Camorra napoletana era già
così potente da influenzare sensibilmente il processo di unificazione italiana, o
che lo sbarco alleato in Sicilia è avvenuto con diversi aiuti da parte di Cosa
Nostra. Per assistere invece alla nascita di un movimento antimafia organizzato
bisognerà aspettare almeno fino agli anni ’70. Più di cento anni di distanza.
Perché questo ritardo? Per tanto, troppo tempo si è cercato di addossare le colpe
ad una fantomatica “mentalità” meridionale. Il sentore è che ciò sia stato
solamente un paravento per nascondere colpe più profonde, anche e soprattutto,
delle classi dirigenti. È quindi naturale che qualsiasi considerazione sulla tardiva
nascita di una coscienza antimafia debba necessariamente passare per un’analisi
sui comportamenti di chi doveva ergersi a paladino della lotta alle Mafie: lo Stato.
E bisogna analizzare ciò soprattutto dal punto di vista comunicativo, per cercare
di carpire le moltissime e palesi mancanze nei confronti della lotta alla criminalità
organizzata. Uno Stato che per lungo tempo ha saputo essere duro e spietato
contro briganti, operai, oppositori politici, terroristi, ma che ha peccato di
indulgenza, o peggio di connivenza con il potere mafioso. Naturale quindi che ciò
abbia portato anche ad un (in)volontario insabbiamento comunicativo. Prima di
trattare di Antimafia bisogna quindi cercare di analizzare come è stato trattato il
problema della Mafia da parte dello Stato e dell’opinione pubblica.
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Senza alcun dubbio c’è stato un silenzio che ha pesato molto sulla lotta alle
Mafie. E se per il Sud il tabù Mafia sembra ormai essere stato sdoganato, non si
può dire lo stesso per il Nord, dove ancora resiste, a dispetto di una miriade di
informazioni in merito, una dura e inscalfibile mentalità negazionista
Benchè la mole di informazioni sull’argomento sia decisamente robusta, è ancora
folto l’esercito dei negazionisti, quelli che pur di fronte all’evidenza continuano a
considerare le mafie una tragedia concentrata tra Campania, Calabria, Puglia e
Sicilia. […] spesso lo si fa soltanto per nascondere la polvere sotto al tappeto; un
tentativo goffo, ufficialmente praticato al nobile scopo di difendere l’immagine del
nostro pese. Ma il più delle volte l’effetto silenziatore attorno ad una facendo così
seria produce risultati negativi: perché è proprio nel silenzio che i mafiosi
prosperano.
1
Silenzio, come più grande favore reso alle Mafie. E quando non c’è silenzio
spesso si finisce per riprodurre una sequela infinita di luoghi comuni che, oltre a
non affrontare il problema, rischiano di complicare ulteriormente la soluzione. È
quindi premessa necessaria, prima di addentrarci nel terreno dell’Antimafia,
capire come è perché determinati luoghi comuni hanno avuto il bene placido
dell’opinione pubblica nazionale. E, se possibile, cercare anche di smontarli.
Cesare Lombroso e l’origine del pregiudizio sui meridionali
La storia della Mafia è una storia plurisecolare. Risalire alle sue origini è impresa
ardua, ai limiti dell’impossibile. Si può però dire che un momento decisivo per la
nascita di alcune bande proto-mafiose fu l’eversione della feudalità. Con la
scomparsa del vecchio sistema sociale “per la prima volta nella storia d’Italia
gruppi di uomini si organizzavano e decidevano non solo di agire contro le leggi,
ma di farsi proprie leggi, creando associazioni […] in grado di durare nel tempo”
2
.
Siamo nei primi decenni dell’800. La Mafia è ancora in uno stato embrionale.
Eppure c’è chi, come il Procuratore del Re di Trapani Pietro Calà Ulloa, parla già
1
B. DE STEFANO, La linea delle palme una mappa delle Mafie, in Strozzateci tutti, a cura di M.RAVVEDUTO,
Aliberti, Roma 2010, pp.14-15
2
E.CICONTE, Storia criminale: La resistibile ascesa di mafia ‘ndrangheta e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, p.31
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di “tante specie di governo nel governo”. È il 1838. Passeranno molti anni, le
Mafie continueranno la loro evoluzione, e saranno capaci di cogliere al volo le
opportunità che si presentarono davanti con l’unità d’Italia.
Il perché di questo breve preludio è presto spiegato. Siamo arrivati al 1860 e
le Mafie sono già talmente potenti da condizionare l’intero processo unitario del
paese. Siamo in una fase in cui il neonato governo italiano si serve
abbondantemente dei servigi della criminalità organizzata. È una fase delicata, di
transizione per il Sud Italia, ed è quindi anche comprensibile che le Mafie non
siano uno dei problemi più urgenti da trattare. Eppure è proprio in questo periodo
che matura una concezione destinata ad avere molta fortuna negli anni a venire.
Siamo parlando delle tesi culturaliste, quelle secondo cui le Mafie trarrebbero
origine da una presunta mentalità delle popolazioni meridionali. Riservandoci di
trattare approfonditamente queste tesi nel paragrafo successivo, è però importante
capire come e perché queste tesi ebbero tanta fortuna. E per farlo bisogna partire
dalla figura di Cesare Lombroso.
Medico veronese, Cesare Lombroso è stato tra i maggiori esponenti della
scuola positivista italiana. Fautore dell’antropologia criminale, Lombroso era
convito che i caratteri anatomici influenzassero il comportamento degli individui.
In poche parole una persona è portata a delinquere dalla nascita, per caratteri
etnici ed ereditari. Queste teorie si inseriscono perfettamente nel clima positivista
della seconda metà dell’Ottocento. Siamo nel periodo del “fardello dell’uomo
bianco”. Ciò che però rende interessante le teorie lombrosiane in ottica mafiosa è
la presa che queste teorie ebbero sull’opinione pubblica settentrionale. Un secolo
dopo Massimo Salvadori scriverà che l’antropologia criminale rappresenta il
maggiore fattore di carattere ideologico “che divise e divide tuttora i settentrionali
e i meridionali”
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Ci troviamo nella fase finale del processo risorgimentale. Il Regno di
Sardegna ha annesso uno dopo l’altro tutti gli stati preunitari, ad eccezione dello
Stato Pontificio. Un processo relativamente pacifico nel Centro-Nord. Al Sud
invece le cose vanno in maniera diversa. Le popolazioni sono apertamente ostili al
nuovo governo e le truppe sabaude scese dal Nord si trovano ben presto
3
M.L. SALVADORI, Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Enaudi, Torino, 1976,
p.186