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PARTE PRIMA
COMUNICAZIONE, LINGUAGGIO E
DOPPIO LEGAME
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CAP. 1 CIO’ CHE FA DELL’UOMO UN ANIMALE SOCIALE
“Le parole e la loro sintassi, il loro significato, la loro forma, sia esterna che interna, non sono
indici indifferenti della realtà: bensì possiedono un peso e un valore propri”( Jakobson, 1963).
L’interesse della comunicazione come scienza è recente nonostante il fatto che gli sviluppi che ci
sono stati nella comprensione dei suoi fenomeni siano notevoli. Questo è dovuto ai progressi che ci
sono stati e all’attenzione sempre più rivolta a fenomeni mass mediatici e interattivi. Come si vedrà,
è oggetto di studi di diverse discipline: sociologia, informatica, matematica ecc. ma soprattutto
psicologia. Ognuno di questi approcci ha studiato il fenomeno con punti di vista diversi e
focalizzandosi sui diversi elementi costitutivi. Ma anche gli ambiti applicativi sono molteplici: mass
media, religione, internet, pubblicità. A questo punto viene da chiedersi quali sono i principi cardine
della comunicazione, che cos’è.
Possiamo considerarla un aggregato di fenomeni eterogenei tra loro per profondità, rilevanza, base
culturale. Questo ci obbliga ad operare una prima distinzione fondamentale tra informazione e
comunicazione. La prima indica semplicemente una trasmissione di informazioni. Comunicare
significa informare, rendere consapevole dell’informazione e stare attenti che l’informazione giungi
a destinazione. In entrambi i casi parliamo di trasmissione di informazioni. L’elemento di
differenziazione tra gli uomini e gli animali sta proprio nelle facoltà comunicative.
Il linguaggio verbale è apparso tardi, ma l’uomo ha sempre comunicato ed è stata proprio questa
caratteristica a permettergli la sopravvivenza.
Le parole possono facilitare, aprire un discorso oppure chiuderlo. La comunicazione è caratterizzata
da una dimensione preposizionale propria del linguaggio e da una relazionale. La prima dimensione
è quella che permette l’organizzazione delle cognizioni, idee, rappresentazioni mentali in pacchetti
o proposizioni. Queste conoscenze possono essere episodiche o generali. Il linguaggio è ciò che
rende comunicabile il pensiero e fra i due c’è interdipendenza. Questo ci consente di tradurre il
bagaglio percettivo e sistematizzarlo. Il codice è costituito di unità e il suo significato dipende dal
valore di ognuno e dalla sua disposizione, il tutto strutturato in sintassi. Le sue parti sono
diversamente ricomponibili. Tale dimensione preposizionale fa in modo che si elabori la realtà con
calcoli, confronti, letture di differenze…Fa in modo che la realtà venga categorizzata. Tramite
proposizioni abbiamo costruito simboli e regole che sintetizzando hanno favorito lo sviluppo
culturale. Tutto ciò è essenziale per l’elaborazione delle informazioni e favorisce anche un
arricchimento delle conoscenze. Questo tipo di dimensione appartiene esclusivamente all’uomo.
Ciò non significa assolutamente che l’uomo è l’unico organismo comunicante ma solo che ha un
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diverso modo di farlo: più complesso, più ricco. Ogni organismo, difatti, comunica dal plancton
all’uomo. La differenza sta in come lo fa. La comunicazione non è che uno scambio tra almeno due
organismi che agiscono e retroagiscono all’azione dell’altro. Watzlawick porta l’esempio di un
moscerino che si poggia su una mano. Secondo come reagisce la mano (può scacciarlo, ucciderlo,
ignorarlo) il moscerino retroagisce di conseguenza (volerà via, morirà, resterà sulla mano).Infatti, ci
sono modi diversi di comunicare: esprimersi che è proprio anche degli organismi più semplici che
manifestano la loro presenza; trasmettere un contenuto esclusivo degli organismi più complessi. A
quanto pare, quindi, le parole non sono gli elementi decisivi della comunicazione umana; ci sono
molte altre forme di comunicazione: il linguaggio è solo comunicazione, ma la comunicazione non
è fatta di solo linguaggio. Tutta la realtà è comunicativa, è una rete di messaggi linguistici e non
linguistici. Si comunica col corpo, con gli occhi, con i gesti, con le posture, con la presenza/assenza.
Nella moda si comunica con l’abbigliamento, nella strada con i segnali, in guerra uno sparo è
comunicazione…Le persone non scelgono di comunicare, comunicano e basta, si può solo scegliere
come farlo. Non possiamo considerare la comunicazione esclusivamente come uno strumento che
utilizziamo, è l’identità stessa.
Ma non basta l’oggetto della comunicazione, altrettanto necessario è il modo in cui si espone, il
sentimento di tale esposizione, le vibrazioni che si mandano e che dall’altro lato sono recepite.
Inutile dire che lo strumento/identità, il linguaggio, viene cosi ad acquisire un ruolo di fondamentale
importanza per le interazioni del comune individuo e soprattutto come strumento primo per la
risoluzione terapeutica. Ma come si può studiare il processo comunicativo in ogni sua sfumatura?
Non si tratta di un hardware esterno all’uomo che si può descrivere o si può analizzare, no, la
comunicazione ci sta dentro e non possiamo vederla o studiarla in fondo in ogni implicazione ma si
può analizzare solo con un supporto esterno, come se avessimo bisogno di uno specchio per
guardarci. Si può, quindi, tentare un’analisi per quanto lungamente e approfonditamente sempre in
maniera molto sommaria. Possiamo partire dalla base. La radice latina è communicationem: cum-
munus ossia dono comune e cum-moenia cioè fraternità in uno spazio comune. Questo da già l’idea
di un atto che ha lo scopo di unire, del mettere in comune qualcosa o l’idea di un contatto materiale.
Per molto tempo il significato si limitava a questo. Ora a questo si aggiunge un nuovo significato:
trasporto, trasferimento di informazione. .Possiamo affrontare la questione sotto molteplici punti di
vista. Possiamo partire da una distinzione elementare di comunicazione diretta e indiretta, ma forse
già si intuisce di cosa si parla. La differenza sta nell’uso o meno di un supporto. Si può accennare a
quella che è la “comunicazione indicativa”. In questo specifico caso il soggetto non esprime
direttamente sensazioni o altro, ma si limita ad indicare l’oggetto. “Non mordermi il dito, guarda
dove indica.”(Mc Culloch,1943).Utilizzata dal terapeuta serve a richiamare la parte conscia,
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l’articolazione del pensiero del paziente. Utilizzata da quest’ultimo serve per allontanarsi
dall’evento o dall’oggetto della comunicazione, creando un divario spazio-temporale tra tale
oggetto e la sua persona. Di qui, l’utilizzo dei passati che quasi derealizzano. Il soggetto evita
rimandi sensoriali, si distacca da quelle che sono le sue emozioni e decodifica astraendo l’oggetto.
Con l’uso del passato cerca di confondere e staccare presente/passato e fa in modo di non
immedesimarsi nella situazione. Altro tipo di modalità interattiva è la “comunicazione
espressiva”che fa l’esatto contrario della precedente. Essa esprime qualcosa, non si limita ad
indicarla. E’ il tipo di linguaggio che dovrebbe direttamente descrivere un’esperienza facendo
percepire sensorialmente le sfumature. Al contrario della precedente elimina lo stacco temporale.
Ma procediamo con ordine. Inizialmente, il primo modello di comunicazione teneva conto di ben
pochi fattori. Tendeva a considerare solo, se possiamo osare il termine, la parte meccanica della
comunicazione: i pezzi esterni, “tangibili”, senza andare a fondo. Ma questo ha segnato l’inizio
degli studi, dell’interesse sulla comunicazione. Siamo nel ‘900, epoca in cui nasce il classico
MODELLO INFORMAZIONALE di Shannon e Weaver. Questa forma ancora elementare
tendeva a considerare la comunicazione come trasferimento di informazioni mediante segnali da
fonte a destinatario. Il bit era l’unità di misura della quantità di informazione. La TEORIA
MATEMATICA aggiunse a questo lo studio la nozione di “rumore” che rappresenta le
interferenze che possono comparire: malintesi, stereotipi, gli elementi che sporcano il messaggio.
L’obiettivo di questo lasso temporale è andare a minimizzarle per raggiungere le condizioni ottimali
del trasferimento dei segnali verso apparati tecnici. Il tutto si tradusse nello schema generale.
Cosi vediamo che la “fonte” è l’origine dell’informazione e il comunicatore è chiunque abbia la
funzione di lanciare un messaggio a un destinatario. Il segnale è trasferito attraverso un “canale
fisico” che è lo strumento che consente la trasmissione ed è trasformato in messaggio. Il
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“messaggio” è la trasposizione in parole del concetto che viaggia verso un “destinatario” e il
“rumore” di cui abbiamo già parlato. Questo modello tradotto nella comunicazione linguistica
considera il cervello come fonte, l’apparato vocale come trasmettitore, l’orecchio come ricettore e il
cervello dell’altro come destinatario. Questo modello era, però, limitativo e non riusciva a garantire
il pieno recepimento del messaggio. Insomma presumeva un destinatario ideale: interessato e con la
facoltà di recepirlo. Ma la realtà è ben diversa. In fondo la comunicazione ha lo scopo di ricevere un
imput. La comunicazione non è lineare e il meccanismo di retroazione messo in modo dal
“feedback” aggiunge circolarità. Andiamo, cosi, ad aggiungere un nuovo elemento al nostro
modello.
Il feedback è un’informazione di ritorno e lo schema diventa un processo senza fine, non c’è più un
unico mittente o un unico destinatario, diventano interscambiabili. L’esempio preso in causa per
spiegare il meccanismo di retroazione del modello è il termostato che regola la temperatura.
Quando si supera la soglia la fonte (sensore) manda un messaggio (temperatura alta) sottoforma di
impulso elettrico attraverso un filo di rame che è il canale e fino al destinatario (regolatore di
temperatura).Ne viene fuori la risposta (feedback), base dei sistemi omeostatici che si autoregolano.
La dinamica è continua e basata su continui feedback. Trasponiamo questo modello del termostato,
senza il variare di un solo elemento, alla comunicazione interpersonale. Come nella termodinamica
anche nella comunicazione il mittente si aspetterà la risposta per verificare se il messaggio sia
arrivato e sia stato accettato per continuare il ciclo comunicativo. Questo va a sottolineare ancora
una volta la differenza tra informazione e la comunicazione che richiede il feedback. Tali risposte,
però, possono essere positive o negative in base alla capacità di aumentare o diminuire la quantità
dell’informazione. Questo modello si focalizzava, quindi, sul concetto di codice, elemento
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necessario per la trasmissione di messaggi. Ma tutto ciò era ancora molto riduttivo, non considerava
troppi aspetti della comunicazione: elaborazione, la consapevolezza e l’inferenza e i risvolti
affettivi. Dobbiamo considerare e aggiungere al modello base, molte altre cose. Il linguaggio ci
permette di scambiare tantissime informazioni e durante l’interazione acquista importanza la
decodifica come un processo di interpretazione in cui sono importanti: il contesto, le disposizioni
emotive, le conoscenze del destinatario.
In ultima analisi, insomma, dallo scarno schema comunicativo proposto nel novecento da Shannon
e Weaver si è giunti ad un modello arricchito, un modello complesso che tiene conto di protagonisti,
elementi ambientali, distorsioni, percezioni ed anche relazione e personalità. Lo schema si può
riassumere in questo modo.
Quindi per comunicare non basta avere un codice in comune. Parliamo di qualcosa in un dato
momento, in una data situazione e ci deve essere condivisione “Hai visto il mitico dottore?”L’altra
persona deve sapere che mi sto riferendo ad un film, non solo, si presume che sappia che il dottore
in questione è IL personaggio che io preferisco, deve afferrare l’oggetto del mio mondo e nel far
questo si deve necessariamente avvicinare tanto a me, deve conoscere i miei gusti, il mio
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linguaggio, il contesto, la mia realtà contingente. La stessa frase detta cosi, in un momento qualsiasi
ad una qualsiasi persona non da nessuna informazione o, comunque, non è carpita. E’ anche vero
che mai ci può essere esatta corrispondenze tra codifica e decodifica. Quest’ultima, infatti, richiede
un’interpretazione alla luce di un insieme di competenze. A ciò si aggiunge il fatto che l’uomo è
dotato di mezzi limitati di trasmissione (udito, vista) e ricezione. Tale limite è stato superato dalla
creazione delle estensioni mnemoniche e percettive e sensoriali: le tecnologie. Ma questa è un’altra
storia. Inoltre si è capito nella comunicazione vanno distinti significati e sensi. Il significato è
intrinseco nell’oggetto: ciò che è realmente, il senso è soggettivo. E’ il significato che
“noi”attribuiamo all’oggetto in quel momento e situazioni. E’ ciò che significa per noi.
Diversi sono gli approcci teorici che hanno messo in primo piano lo studio della comunicazione a
partire dal succitato modello matematico. Ognuno ha aggiunto degli elementi al modello troppo
elementare, che non ne teneva conto oppure si è diversificato focalizzandosi su aspetti diversi del
problema comunicazionale. Si è cominciato lentamente a considerarla come un pacchetto di
relazioni tra gli individui e tra questi ed il loro ambiente. Si è cominciata ad inserire la nozione di
contesto e la nozione di effetto. Si è arrivati a considerarla come veicolo delle manifestazioni
comportamentali osservabili nella stessa relazione. Dopo aver fatto un rapido percorso tra la più
note teorie ci si soffermerà particolarmente sull’ultima, quella attinente all’ambito di analisi in
questione.
Il modello semiotico studia il sistema dei segni o meglio studia la comunicazione come
significazione e come segno. Inserisce il concetto di “referente” che è l’oggetto della
comunicazione, di “simbolo” che è il segno linguistico relativo al referente e “referenza” che è
l’idea mentale del soggetto stesso. Quindi di un oggetto concreto (referente) noi abbiamola
rappresentazione mentale (referenza) e usiamo un determinato termine linguistico per designarlo
(simbolo).Tale teoria si concentra sulla produzione di significato del messaggio, cioè sul processo
di significazione. Nella scuola semiotica si sono distinte le teorie di Saussurre che distingueva nel
segno i concetti di “significante” (che possiamo associare al succitato simbolo) che è l’espressione,
la forma dell’oggetto; e “significato” (associabile a quello che era il referente) che ne è il contenuto.
Secondo questa teoria la funzione semiotica del segno sta nella relazione stretta di espressione e
contenuto che hanno una piena equivalenza. Il segno in questa concezione ha una valenza arbitraria.
Questo concetto si contrapponeva all’idea di Peirce secondo il quale non c’è piena corrispondenza,
ma l’uno rimanda all’altro: l’espressione rimanda al contenuto. Egli andava, inoltre, ad individuare
tre tipi di segni: “Icone” (somigliano ad oggetto), “indici”(Sono vicine ad oggetto), “simboli”(la
connessione con l’oggetto è “contrattata”).
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L’approccio sociologico per lo studio della comunicazione va ad analizzare le azioni sociali e le
interazioni. Il punto di vista di Goffman parte dal presupposto che le interazioni sociali influenzano
la comunicazione. Con una metafora paragona le relazioni tra gli individui ai rapporti che
intercorrono tra gli attori di un teatro. Introduce il concetto di “frame”come una cornice in cui si
inseriscono le modalità interattive, uno schema rigido che impone procedure e modi di
comunicazione. Introduce, inoltre, il concetto di “territorio” come un palcoscenico. Nel retroscena
c’è per cosi dire la persona senza trucco nella sua concretezza, sulla ribalta sale l’attore che si
è“mascherato”con le rappresentazioni sociali che vuole mostrare.
L’approccio pragmatico mira ad enfatizzare il contesto della comunicazione, e, inoltre a porre
l’accento sui modi con cui i significati erano impiegati. Watzlawick asseriva che occuparsi di
comunicazione non significava occuparsi dell’unità di un messaggio ma di “un composto fluido e
poliedrico di molti moduli comportamentali, verbali, timbrici, posturali, contestuali, eccetera- che
qualificano, tutti, i significati di tutti gli altri”(Watzlawick, 1971).C’era, quindi, la tendenza a porre
in equivalenza il concetto di comunicazione con quello di comportamento. Il contesto che diveniva
centrale definiva la comunicazione. Si distinguono nel linguaggio: “sintassi” che riguarda la
struttura grammaticale; “semantica” inerente al significato dei segni e “pragmatica”che designa la
relazione tra i segni. Ci sono quattro teorie che fanno riferimento a tale approccio:
1. Teoria degli atti linguistici (Austin). Si parte dal presupposto che la comunicazione è
azione, fa qualcosa. Si individuano tre atti del parlare: “locutorio”che è l’emissione del
suono (“Se ti muovi ti sparo”); “illocutorio” ossia l’intenzione comunicativa del parlante
(minacciare l’interlocutore); “perlcocutorio” che riguarda gli effetti che il parlante ha o
vuole ottenere sull’interlocutore (indurlo a restare immobile).
2. Principio di cooperazione. Pone l’accento sul punto di vista grammatico: comunicazione =
significato, intenzione. Il principio primo è la consapevolezza e l’intenzionalità dei parlanti.
Ci si concentra su la possibilità di ognuno di contribuire agli scopi comunicativi. L’impegno
sta anche nell’andare oltre il significato letterale dei segni per capire le intenzioni.
simbolo
referenza
referente
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E’declinato in quattro massime affinché ognuno dei partecipanti alla conversazione dia un
contributo. Le massime sono:
• Massima della quantità: si deve dire l’essenziale di quanto è richiesto.
• Massima della qualità: non si deve dire ciò che si crede sia falso;
• Massima della relazione: si deve essere pertinenti;
• Massima di modo: non si deve essere ambigui. Tutto questo è necessario per essere
efficace ed efficiente. Un esempio di violazione in questo caso può essere: A “Dov’è
Francesco?”B “Ho visto una macchina nera davanti a casa di Stefania”. In questo
caso mancano la massima di relazione e di quantità.
3. Principio di pertinenza. Introduce il Modello ostensivo - inferenziale. Tale modello pone
l’accento sull’intenzione comunicativa che, mi si scusi il gioco di parole, va comunicata. Il
duplice atto sta nell’informare il partecipante e nell’informare che si sta informando. Centro
dell’atto comunicativo è la condivisione del significato.
4. Significati presuntivi che sono le interpretazioni preferite in uno scambio comunicativo.
Infine: la teoria psicologica. Inutile dire che la psicologia è la disciplina che forse in assoluto
utilizza la comunicazione come strumento e la studia per capire i meccanismi patologici a lei
sottesi. Questo campo non vede la comunicazione come qualcosa di fine a se stesso, non studia i
suoi meccanismi per lasciarli li, è molto di più La comunicazione non è solo relazione tra individui,
ma E’ l’individuo. Si va a formare, cosi, una piena equivalenza. Essa esprime l’identità tutta
dell’individuo. La comunicazione in questa prospettiva si trova ad essere la base dell’Io. Si viene a
costituire un circolo in cui c’è una bidirezionalità: la relazione non sussiste senza la comunicazione
e tale comunicazione non regge se non in relazione. Entrambe si manifestano secondo forme e
contesti diversi.
CAP. 2 LA DIPENDENZA NECESSARIA: L’UOMO CON L’UOMO
Asch asseriva che il fattore decisivo del problema dei rapporti dell’uomo con la società stava nella
capacità dei singoli di comprendere e reagire alle esperienze altrui. Questo comporta dei rapporti di
interdipendenza (Asch, 1956). Una volta entrati nella società entriamo in un cerchio di relazioni che
non si possono disfare. L’uomo, infatti, non può vivere isolato, ma sembra che le relazioni sociali
siano indispensabili per la sua sopravvivenza. Ci sono dei rapporti input-output che consentono al
soggetto di essere modificato dall’ambiente e di modificarlo a sua volta. Il rapporto tra le persone è
inevitabile e tale rapporto esiste grazie alla comunicazione.