vi
processo della percezione, attraverso cui l’aspetto esteriore della pagina Web giunge
alla nostra mente; l’attenzione, che permette di focalizzarci correttamente sul
compito di navigazione e sulla ricerca delle informazioni; gli stili cognitivi, che
garantiscono la compatibilità dell’insieme del sito con il nostro modo di intendere e
di pensare; ed infine la decisione, che rappresenta il nostro intento di continuare a
visitare il sito, di tornarvi, o di abbandonarlo.
Da ultimo, ma non di minor importanza, ho voluto anche tratteggiare il concetto di
cultura, intesa come sistema di norme e valori caratterizzanti una popolazione, e i
rapporti che questa può avere con i principi di una efficace navigazione.
Di grande aiuto mi è stata l’analisi di diverse situazioni sperimentali: è infatti tramite
i risultati empirici, più che attraverso la semplice teoria, che sarà forse possibile
elaborare un paradigma progettuale per la realizzazione di siti veramente compatibili
con le aspettative dell’utente. La necessità di inseguire costantemente i mutamenti
tecnologici, le mode, le tendenze della Rete, e le abitudini informatiche degli
individui, fanno intendere le lunghe tempistiche di cui necessiterà la realizzazione di
questo paradigma; tempistiche che, ad ogni modo, non potranno prolungarsi
all’infinito, pena un fatale distacco tra la Rete e la sua ragione di vita, cioè la sua
utenza.
1
I. L’usabilità
1. Cos’è l’usabilità
La normativa ISO 9241 definisce l’usabilità come “il grado in cui un prodotto può
essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia,
efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d'uso."1
Il regolamento ISO risale agli anni ’90, e ha come oggetto l’insieme dei prodotti
informatici in genere; il concetto di usabilità ha però origini precedenti, e un campo
di applicabilità più esteso: nasce negli anni 60 nell'ambito dell'ergonomia (la scienza
che si occupa dei rapporti tra l’uomo e gli oggetti, gli strumenti, le macchine e gli
ambienti) in relazione a qualunque interazione tra uomo e artefatto (ogni oggetto
creato appositamente per un determinato scopo).
Il collegamento con i prodotti informatici avviene in seguito, nell’ambito del settore
dell’ergonomia cognitiva; in questo specifico campo vengono indagate le modalità
attraverso cui un utente riesce a costruire un modello mentale del prodotto che sta
usando, creandosi perciò aspettative riguardo al suo funzionamento. Compito degli
studi di usabilità è, in questo contesto, fare in modo che il modello mentale di chi ha
progettato il software (chiamato “design model”), da cui deriva il suo reale
funzionamento, corrisponda il più possibile al modello mentale del funzionamento
del software così come se lo costruisce l'utente finale (lo “user model”).
L’usabilità viene dunque utilizzata, nelle sue prime applicazioni, come ausilio alla
progettazione, ed in particolare alla costruzione delle interfacce (l’aspetto che il
software assume e che permette all’utente di interagire con la macchina).
Si parla dunque di aspetto del prodotto informatico e di relazione con l’utente; ad
ogni azione, l’interfaccia proporrà un cambiamento di stato, che bisogna analizzare
attraverso i principi di usabilità. Non è invece importante conoscere i principi di
programmazione che soggiacciono dietro alla particolare configurazione dell’aspetto
del software.
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Cfr. David Travis, Bluffer’s guide to ISO 9241, 2003
2
Ha senso perciò parlare di usabilità solamente in presenza di un utente e di una
relazione d’uso: l’usabilità non è una proprietà del software in sé, ma un concetto che
ha come centro di analisi l’utente, che deve diventare dunque anche il protagonista
dell’attenzione progettuale.
Al giorno d’oggi, può sembrare abbastanza ovvio che un prodotto, che deve essere
utilizzato da un utente, venga progettato appositamente per lui.
Nella realtà dei fatti, bisogna ricordare che nei primi anni di sviluppo della disciplina,
il computer non era un prodotto di massa, e i principali utilizzatori dei prodotti
software finivano per essere gli stessi progettisti o persone esperte con una
formazione simile ad essi. Di conseguenza l'usabilità era un non – problema, poiché
design model e user model coincidevano.
Con la diffusione delle tecnologie informatiche a livello di ufficio e di famiglia degli
anni ’80, si è iniziato a dar corpo al problema, che esplose definitivamente negli anni
‘90 con la diffusione di massa del personal computer. Improvvisamente, gli utenti
finali non erano più i progettisti, e, presumibilmente, non si trattava nemmeno più di
esperti in informatica.
Il seme che avrebbe consentito l'utilizzo del computer a masse di utenti inesperti fu
gettato dal Macintosh, il primo computer con un sistema operativo completamente
visuale, basato sulla metafora della scrivania e dello spostamento intuitivo degli
oggetti. Il cambiamento fu epocale. Macintosh si impose come computer user-
friendly, orientato all'uso da parte di persone completamente a digiuno di
informatica. Poco dopo anche Microsoft riutilizzò la stessa metafora, e il risultato è
sotto gli occhi di tutti: Windows è oggi uno dei sistemi operativi più diffusi dei nostri
personal computer, e tutti i programmi che utilizziamo presentano un'interfaccia di
tipo visuale e metaforico, permettendo l’utilizzo anche a persone non esperte. In
questo senso, è utile ricordare che un prodotto è tanto più usabile quanto è più facile
da apprendere, consente un' efficienza di utilizzo, è facile da ricordare, permette
pochi errori di interazione e di bassa gravità, ed è piacevole da usare.
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2. Usabilità e Internet
L’avvento di Internet e la proliferazione dei siti web, a causa delle loro intrinseche
caratteristiche, hanno spostato il campo di azione dell’usabilità su un nuovo
dominio: un software viene infatti utilizzato solo dopo essere stato acquistato, mentre
un sito internet può dar luogo ad una transazione (e quindi, eventualmente, ad un
guadagno) solamente se il suo utilizzo risulta soddisfacente per l’utente. Ne consegue
dunque che l’analisi di usabilità, se può essere considerata un aspetto relativamente
marginale per i software in genere, risulta invece, nel caso dei siti web, fondamentale
e preliminare al realizzarsi di qualsiasi forma di guadagno.
I problemi da porsi sono: a cosa serve un determinato sito web? Chi lo userà, e cosa
si aspetta di trovarci? Le stesse domande devono guidare tutto il progetto, compresa
la stesura dei contenuti; gli esperti di usabilità intervengono quindi durante tutto il
processo di progettazione del sito, in ogni fase della timeline di realizzazione: dalla
definizione degli obiettivi a, come detto sopra, la costruzione dei contenuti, per
andare in definitiva ad incidere sull’interfaccia finale (che, si deve ricordare, dipende
da tutti i fattori di cui sopra e da ogni elemento coinvolto nel progetto). L’effetto
dell’analisi di usabilità potrà anche influire sull’information design e su alcuni
meccanismi di progettazione, ma si evidenzierà principalmente attraverso
l’interfaccia.
Poiché questa ha anche compiti di brand identity e, più in generale, di immagine,
l’usabilità deve fare i conti non solo con la funzionalità del sito, ma anche col design,
inteso appunto come veicolo d’immagine. Il rapporto non è affatto semplice, in
quanto si tratta di conciliare due logiche di lavoro opposte: una orientata ad una
pragmatica standardizzazione che salvaguardi la funzionalità, l’altra concentrata sul
valore dell’innovazione come attributo di design.
Esistono siti web di ogni natura e scopo; tutti sono comunque accomunati
dall’esistenza di un utente interessato ad una forma di interazione, sia essa mirata
semplicemente ad ottenere informazioni, oppure ad acquistare beni o servizi.
Scopo di un sito web è quindi quello di consentire la disponibilità di un accesso alle
suddette informazioni o servizi, attraverso modalità di comunicazione ipertestuali e
ipermediali che si sviluppano durante la navigazione. Scopo dell’applicazione dei
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principi di usabilità al sito internet è invece essenzialmente l’ottimizzazione
dell’l'interazione tra esso e l'utilizzatore, in particolare su tre assi: l'efficacia,
l'efficienza del prodotto, e la soddisfazione dell'utilizzatore
Gli studi di usabilità si servono di due ampie categorie di interventi per migliorare
questa interazione. La prima, più economica, è speculativa: una serie di esperti
analizzano il sito o un prototipo dell'interfaccia sulla base di alcuni assunti, alla
ricerca di problemi, fornendo in output una serie di osservazioni e dei suggerimenti
per possibili miglioramenti.
La seconda, più costosa e più precisa, si basa sull'osservazione diretta dell'utente-tipo
alle prese con il sito in fase di progettazione o di beta testing. A seconda dei compiti
svolti dall'utente e delle difficoltà incontrate si traggono dei suggerimenti per la
progettazione.
Entrambe le modalità di analisi sono utili, dato che risolvere tutti i problemi di
usabilità in un sito è praticamente impossibile, come nota Jakob Nielsen. Tuttavia
riuscire a ottenere che l’85% degli utenti non incontri seri problemi di usabilità
sarebbe un risultato di cui essere molto soddisfatti, e tutt'altro che scontato.
3. Come si analizza l’usabilità
Come si accennava, esistono due fondamentali strategie metodologiche per
analizzare l’usabilità di un sito internet: quella analitica e quella empirica. Nella
prima categoria rientrano l’analisi del compito (task analysis), la cognitive
walkthrough e le valutazioni euristiche. Della seconda fanno parte invece l’analisi
dei tempi di esecuzione, i questionari di soddisfazione, l'osservazione diretta con
annotazione degli errori ed il pensare ad alta voce (thinking aloud).
Entrando più nel dettaglio, e considerando la famiglia delle strategie analitiche, si
nota come le tre metodologie abbiano in comune l’utilizzo di personale esperto
deputato alla valutazione del sito. E' importante sottolineare a questo riguardo (e
sottolineare anche al cliente) che questa analisi non viene condotta su basi soggettive,
secondo il gusto dell'analista o basandosi su una generica esperienza arbitrariamente
maturata; essa viene condotta secondo principi che sono stabiliti su una precisa base
empirica.