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INTRODUZIONE
L’occidente da sempre considera l’oriente un luogo misterioso, solido nelle sue
origini e nelle sue tradizioni. Questo vale anche e soprattutto per il Giappone, terra
che da sempre affascina per la sua cultura storica, sociale e gastronomica.
Questa tesi nasce dal mio interesse personale verso questo paese e soprattutto
verso la narrativa contemporanea giapponese, capace di incantare e di far riflettere il
lettore trasportandolo in un universo che fonde modernità e mitologia, tradizione e
innovazione, realtà e fantasia.
Analizzerò innanzitutto la letteratura giapponese moderna e contemporanea,
in modo da presentare l’universo letterario giapponese, poco conosciuto in
Occidente. Ciò sarà utile per capire il modo di narrare di Murakami Haruki, autore
che, negli ultimi anni, è riuscito a conquistare il pubblico mondiale con i suoi romanzi
e racconti.
Mi focalizzerò, successivamente, sulla sua figura di scrittore e uomo,
approfondendo temi e punti chiave delle sue opere, passando da una parte biografica
fino ad arrivare al concetto di “realismo magico”, corrente che caratterizza i suoi
scritti in maniera imprescindibile.
La prima parte avrà, quindi, il fine di inquadrare l’autore ed il contesto culturale
attorno al quale egli opera, permettendo di capire i concetti attorno ai quali sviluppa
maggiormente le sue narrazioni e cosa, in queste, è riconducibile agli altri autori
giapponesi dell’epoca precedente, oltre che a quelli contemporanei allo scrittore.
L’ultima parte di questo lavoro ruoterà, invece, attorno alla cultura
gastronomica giapponese, colonna portante di una terra così gelosa delle sue
tradizioni. Il cibo come nutrimento, ma anche come strumento di socializzazione e
comunicazione. I rituali ad esso connessi, la meticolosità nella sua preparazione non
sono, a parer mio, solo aspetti della quotidianità di questo popolo ma molto altro,
soprattutto quando si ritrovano all’interno delle narrazioni.
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Durante la lettura di numerosi testi scritti da autori giapponesi, ma soprattutto
appartenenti a Murakami, mi sono imbattuta in un filo conduttore, fil rouge che
collegava gran parte degli scrittori: all’interno dei testi vi era un’attenzione particolare
e scrupolosa per il cibo. Questo, quando entrava in scena all’interno di una sequenza
narrativa, non veniva semplicemente accennato ma, al contrario, veniva descritto in
modo accurato e preciso in tutte le sue fasi di preparazione, nei suoi possibili metodi
di cottura, nel suo colore e nella sua temperatura.
Trovando molto interessante questo aspetto ho ipotizzato che una tale
attenzione, quasi maniacale, abbia un significato ulteriore che possa essere collegato
ad un aspetto simbolico e comunicativo. Così come affermava il filoso tedesco
Ludwig Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”, allo stesso modo nelle opere di
Murakami è possibile ritrovare questo pensiero poiché, attraverso il cibo, si
attuerebbe una “fisicalizzazione” del corpo dei protagonisti che attraverso ciò che
mangiano svelano lati del loro carattere. I personaggi, come avvolti da un sottile
strato di ghiaccio, quasi inavvicinabili dal lettore e dallo scrittore stesso che li ha
creati, si concretizzano nel momento della degustazione. I sapori e le sensazioni da
questa suscitate, rendono la corporeità di questi personaggi, svelandone aspetti
profondamente umani.
Per studiare e capire il rapporto cibo-narrativa mi focalizzerò su due opere in
particolare di Murakami: I salici ciechi e la donna addormentata, una raccolta di storie che
offre, nella sua estrema varietà di ispirazione, lunghezza e stile che le caratterizza, un
affascinante insieme delle tematiche e delle atmosfere che troviamo nei romanzi dello
scrittore e 1Q84, il suo romanzo più celebre, pubblicato in tre volumi: in Giappone i
primi due nel 2009 e l’ultimo nel 2010 mentre in Italia, edito da Einaudi,
rispettivamente nel 2011 e il seguente nel 2012. Più che un romanzo, sembra essere
diventato un vero e proprio oggetto cult, dato il successo riscontrato in tutto il
mondo.
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Infine, per approfondire ulteriormente il mondo gastronomico giapponese e
la filosofia del paese nipponico nella vita e nella letteratura, ho deciso di intervistare
un famoso Chef giapponese: Yoji Tokuyoshi, ex Sous Chef di Massimo Bottura,
proprietario del famosissimo ristorante Modenese Osteria Francescana. Da febbraio
2015 Tokuyoshi ha aperto un nuovo ristorante che porta il suo stesso cognome,
questo si basa su un’idea innovativa, la “cucina italiana contaminata”, un’unione della
cultura gastronomica italiana insieme a quella giapponese.
Grazie a questo sguardo globale che va dalla letteratura alla gastronomia è
possibile vedere come il cibo non sia semplice nutrimento per il corpo: nutre lo
spirito e l’anima; L’uomo è ciò che mangia e allo stesso modo i personaggi stessi delle
narrazioni di Murakami sono ciò che mangiano; attraverso il fascino della
gastronomia nipponica, i protagonisti si scoprono e permettono al lettore di
conoscerli in un modo più intimo, naturale e meno distaccato. Questo strumento ha
lo scopo, inoltre, di presentare il paese stesso, con i suoi usi e costumi, svelandone le
caratteristiche attraverso i piatti presentati durante il romanzo.
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LA LETTERATURA GIAPPONESE
1.1 La narrativa moderna
La letteratura giapponese, sia per numero di opere, sia per raffinatezza di
contenuti, è tra le più ricche che esistano. Sviluppatasi grazie all’influsso della cultura
cinese, diviene, inizialmente, un bene del quale solo le classi più agiate possono
godere. Il resto del popolo poté avvicinarsi a questa soltanto con la nascita del
romanzo e con lo sviluppo del teatro. In tutte le fasi che la letteratura ha attraversato
nel corso del tempo, furono sempre conservati due aspetti molto importanti:
l’indagine psicologica e la componente della natura.
Per capire questi due concetti userò un’espressione di Mishima Yukio,
scrittore, drammaturgo, saggista e poeta giapponese che durante un’intervista con lo
scrittore Michel Random dichiara: «Solo l’invisibile è giapponese» (Random 1988,
16). Grazie a questa enigmatica espressione si riesce ad intravedere la chiave
interpretativa attraverso la quale la cultura giapponese si manifesta, nella letteratura
e nella società in generale. Vi è un principio profondo grazie al quale ciò che non
viene espresso o ciò che non viene scritto rappresenta la vera forza, la sorgente
nascosta di quella sottile “energia” che attraversa ogni cosa e quindi la natura stessa.
È proprio l’essere sfuggente che fa apparire la realtà, a noi occidentali, così misteriosa
e inaccessibile.
Il vero sviluppo della letteratura moderna ha inizio nel 1868 con la Restaurazione
Meiji. Con il nuovo sovrano si assiste ad un rinnovamento politico-economico che
coinvolge l’intera società. Lo slogan dell’impero diviene bunmei kaika (civiltà e
progresso): il presupposto alla base delle riforme era che, per uscire dalla situazione
di arretratezza, era opportuno rivolgere lo sguardo verso le società occidentali. Si
attua una vera e propria modificazione culturale che coinvolge anche l’ambito
letterario. Difatti, si diffonde nel paese una spiccata curiosità per la cultura europea
e si iniziano a studiare i più recenti movimenti letterari. Nonostante questa nuova
tendenza però il Giappone rimane caratterizzato dal suo tradizionalismo, viene
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redatta la Costituzione ma il sovrano riafferma il suo potere divino, ereditario e
ininterrotto.
Per assistere all’inizio della nascita del romanzo moderno si deve attendere il
1885, anno in cui viene pubblicato Shōsetsu shinzai (L’essenza del romanzo) di
Tsubouchi Shōyō, un saggio che segna un profondo cambiamento nel mondo della
letteratura giapponese. Lo scrittore affermava che il romanzo doveva ormai
abbandonare il suo intento didascalico per parlare invece del ninjō, il sentimento. Il
romanzo diventa una forma d’arte a tutti gli effetti e acquista un autonomo valore
estetico. Questo viene posto sullo stesso piano della poesia, estremamente
importante in Giappone, della musica e di tutte le altre arti: «un’attività creativa del
tutto consona agli intellettuali» (Bienati e Scrolavezza 2009, 31). Rimane comunque
intrinseca nella società la differenza fra una letteratura alta, pura (jun bungaku) ed una
letteratura bassa, popolare (taishū bungaku)
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, questa contrapposizione rimarrà sempre
una forte costante.
Tra il 1870 e il 1890 i grandi della letteratura europea, come Dickens o Hugo,
entrano a far parte dell’ambiente letterario giapponese. I giovani intellettuali
contemporanei diventano così consapevoli della centralità del romanzo in Occidente,
confermando ciò che Tsubouchi Shōyō aveva precedentemente affermato. Nel suo
saggio egli afferma che il romanzo deve riflettere la vita vera e dotare i personaggi di
un «dinamismo capace di infondere la vita nel mondo dell’immaginazione» (Ibidem).
Questi concetti espressi dallo scrittore rappresentano il punto di svolta della
letteratura giapponese, le generazioni successive di scrittori riprenderanno le
medesime tematiche ampliandole e approfondendole.
Il romanzo ideato e teorizzato da Tsubouchi diventerà un’opera concreta grazie
a Futabatei Shimei con il suo Ukigumo (Nuvole fluttuanti) del 1887-89, incentrato
sullo studio dell’interiorità umana. L’interiorità viene resa tramite monologhi narrati
dai protagonisti che si distanziano fisicamente e psicologicamente dagli altri
1 Bungaku è il termine giapponese per indicare la “letteratura” in generale.
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personaggi. Prima di Ukigumo la sfera interiore non era mai stata trattata nella
letteratura giapponese. Questa opera può essere definita come la prima fiction
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moderna del mondo nipponico.
Le esperienze del realismo, del romanticismo, dell’estetismo, del naturalismo
e del decadentismo si affermeranno in Giappone con largo ritardo rispetto
all’Europa. Queste correnti si alternano e si sovrappongono velocemente e non è
quindi possibile tracciare con precisione i confini in un arco temporale di riferimento.
Per questi motivi mi soffermerò principalmente sulle figure intellettuali che
maggiormente hanno influito nella formazione e nella crescita della letteratura
giapponese, sottolineando il rapporto, da sempre complesso, tra mondo occidentale
e mondo orientale.
Una figura intellettuale di quest’epoca sulla quale è doveroso soffermarsi è
quella di Natsume Sōseki, grande intellettuale del periodo Meiji, spesso definito
“antimodernista” poiché fortemente critico verso l’occidentalizzazione e la
modernizzazione. La sua opera più famosa è Wagahai wa neko de aru (Io sono un
gatto), del 1905-06. Il protagonista viene descritto con gli occhi di un curioso
narratore, un gatto, maschera dell’autore che, attraverso di essa critica con ironia la
società moderna. Attraverso i romanzi di Natsume si percorre la ricerca dell’uomo
moderno e del rapporto tra individualismo, egoismo e solitudine, intendendo per
individualismo la libera espressione di se stesso, la capacità di trovare la propria
strada. Nonostante si faccia riferimento ad un “uomo moderno” questo non è inteso
come “figura occidentalizzata” anzi, l’uomo non deve seguire le orme occidentali
poiché non gli appartengono per tradizione e cultura.
Il contrasto occidente/oriente rimane un tema fondamentale nella letteratura
giapponese. Le opinioni riguardo a questa tematica erano e sono varie, spesso in lotta.
2 Con questo termine si intende quel tipo di narrazioni di eventi immaginari e non reali che attraggono proprio per la
capacità di evocare l’ampia gamma delle emozioni umane.
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Si alternano opinioni favorevoli e opinioni contrarie che rispecchiano lo spirito di
questo paese ancora oggi, diviso tra tradizione e innovazione.
Entrando nell’epoca Taishō (1912-1926) troviamo un altro importante
intellettuale, allievo di Natsume, Akutagawa Ryūnosuke, appassionato conoscitore
della cultura occidentale e studioso di letteratura inglese. Molti suoi lavori riportano
numerosi riferimenti al cristianesimo e alla cultura classica greca. La sua tecnica
consisteva nella rielaborazione di testi preesistenti, in questo modo veniva a crearsi
un distanziamento tra autore e testo che dà oggettività alla storia, mantenendo una
distanza ironica dai suoi personaggi fantastici e grotteschi. Proprio come Natsume,
Akutagawa utilizza l’ironia e il sarcasmo per criticare aspetti della società travestiti da
mostri e strane creature. Questo sfruttamento di figure fantastiche e mitologiche, lo
si può ritrovare ancora oggi nella narrativa contemporanea giapponese che tanto
affascina noi occidentali.
Parlando sempre di mistero e di enigmatici scenari, un altro autore che è
opportuno citare è Tanizaki Jun’ichirō, la sua concezione artistica si fonda sulla
predilezione per l’immaginazione, la descrizione di verità mascherate, nascoste dietro
al silenzio, dietro un’ombra. Difatti, un suo famoso saggio è proprio In’ei raisan
(Elogio dell’ombra), scritto nel 1933. Il silenzio non rappresenta un vuoto ma un
invito a proiettare elementi mancanti. Se nel mondo occidentale si predilige la
brillantezza, la chiarezza e la luminosità, per il giapponese il senso estetico si esprime,
secondo l’autore, tramite tonalità pallide e velate. Non è la luce che svela la realtà ma
l’ombra, questa permette di percepire la vera essenza delle cose. Dietro questo
pensiero non vi è una critica su una o l’altra cultura. Il suo rimprovero va verso la
strada che il Giappone ha scelto di intraprendere: ha percorso il sentiero seguendo le
orme dell’Occidente senza nessuna rielaborazione o rispetto per gli usi locali. L’unico
luogo che permetteva di aggrapparsi a questo spirito velato e pallido era proprio la
letteratura.
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Verso la metà degli anni venti ciò che più rappresentava il modernismo in
Giappone era il Shinkankakuha (Scuola della nuova sensibilità), movimento
d'avanguardia noto come "movimento neopercezionista". Questo si proponeva di
cogliere la realtà attraverso l'istantaneità delle sensazioni. Fondamentale fu l’influsso
dei movimenti avanguardisti europei (futurismo, cubismo, espressionismo, dada,
simbolismo e costruttivismo). Le opere di questi autori si concentrano sulla
rappresentazione delle sensazioni che spesso sfugge alla coscienza umana, «quasi che
il soggetto fosse soltanto un tramite, uno strumento per registrare stimoli esterni,
prevalentemente visivi» (Ivi, 111-112). Questa nuova letteratura non respinge
l’esistenza di una realtà oggettiva ma ne rivela la natura temporanea. Questo riflette
perfettamente il senso di instabilità sociale e culturale del Giappone degli anni venti.
Obiettivo del movimento era quello di creare una cultura che fosse allo stesso tempo
classica e moderna, cosmopolita e nazionale.
Passando per la “letteratura di guerra”, con opere che descrivono e raccontano
l’esperienza sui campi di battaglia, le esplosioni e il bisogno di riorientare i valori, si
arriva agli anni del dopoguerra. Gli esponenti di questi anni vengono indicati con il
termine Buraiha (i decadenti). Questo è un periodo caratterizzato da un generale
spirito di ribellione contro la società ma continua a persistere la componente
fantastica tipica degli anni precedenti. Troviamo difatti, Sakaguchi Ango che, con i
suoi racconti ispirati al folklore e alle leggende popolari, tutela quello spirito
naturalista e magico della letteratura giapponese. Il suo lavoro più famoso è Sakura
no mori no mankai no shita (Sotto la foresta di ciliegi in fiore) del 1947 che sfrutta uno
dei simboli più potenti e significativi della tradizione culturale giapponese vestendolo,
però, di un manto macabro.
Uno degli scrittori giapponesi dell’epoca tardo moderna più famosi e più
tradotti in tutto il mondo è Mishima Yukio, la sua produzione inizia negli anni del
dopoguerra e prosegue fino al 1970, anno della sua morte. Egli si discosta dai toni
cupi della letteratura di quegli anni, segnati dalla guerra, per prediligere una letteratura