5
sfere di azione agli organi giurisdizionali, ed alla pubblica
amministrazione.
Più in particolare, è da vedere se, e in che termini, il
giudizio di ottemperanza possa essere inteso come processo di
esecuzione nei confronti della P.A., anche riguardo alle attività
più spiccatamente discrezionali e proprie; in che limiti ed in che
modi il giudice amministrativo possa esercitare il c.d. “ potere
sostitutivo”; quale consistenza giuridica, ed importanza pratica,
abbia, in tale sistema, la figura creata dal nulla dalla
giurisprudenza, del “commissario ad acta” per operare al posto
del giudice, ma sotto il suo costante controllo nella sfera
dell’azione amministrativa, fino alla completa e totale
ottemperanza.
Di tutta questa ricerca non ci sarebbe bisogno se la legge,
da ormai un secolo a questa parte, oltre a prevedere ( ed in più
norme) tale giudizio, avesse anche provveduto a definirne
esattamente i contenuti, la funzione, la natura, gli effetti e la
procedura, opera in cui si è sostituita la giurisprudenza
amministrativa ( in special modo del Consiglio di Stato) da più di
settant’anni ormai, con soluzioni incerte, altalenanti tra
6
innovazione e conservazione. Il fenomeno si è accentuato dopo
l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali, portatori di
esigenze sempre più pressanti della concreta realtà dei rapporti
Stato-cittadino, e più propensi all’innovazione per garantire piena
tutela al ricorrente vittorioso in un giudizio contro la P.A.
L’urgenza di una riforma del processo amministrativo era
ormai avvertita da più parti come indispensabile, e, solo con la
legge 21 luglio 2000, n. 205, si è finalmente dato ordine alla
materia con un intervento che, però, solo in parte è stato
risolutivo dei grossi problemi abbondantemente segnalati dagli
addetti ai lavori.
Si cercherà di esaminare lo sviluppo storico e la struttura
attuale del giudizio di ottemperanza, la sua natura e gli effetti o,
più in generale, le conseguenze cui dà luogo: ovviamente, molti
argomenti saranno trattati incidentalmente e senza
approfondimento, non essendo possibile non farvi cenno, ma
nemmeno rischiare di divagare rispetto al tema centrale.
7
Capitolo Primo
GENESI STORICA E CONFIGURAZIONE
GIURIDICA DELL’ISTITUTO
1.1 La legge abolitiva del contenzioso amministrativo e
l’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi al
giudicato dei tribunali: inquadramento storico ed
ideologico.
Il “ricorso diretto ad ottenere l’adempimento dell’obbligo
dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato…” trova
le sue ragioni storiche e giuridiche nella legge 20 marzo 1865 n.
2248, all. E, sull’abolizione del contenzioso amministrativo.
1
Questa legge eliminando (art. 1), appunto, i tribunali
ordinari del contenzioso amministrativo (organi di giustizia
amministrativa del Regno di Sardegna, dal 1861 passati allo
1
Sulle radici e sull’evoluzione storica del giudizio di ottemperanza: BARTOLOMEI F., “Il
giudizio di ottemperanza con particolare riferimento all’adempimento del giudicato
amministrativo” in AA. VV., “Atti del XXVII convegno di studi di scienza
dell’amministrazione”, Varenna, 18-19/9 1981, Milano, 1983, p. 336 e ss.
- GIACCHETTI S., “Un abito nuovo per il giudizio di ottemperanza”, in Foro amm., 1979,
pag. 2613 e ss.; ANCORA T., “L’esecuzione del giudicato amministrativo quale momento
essenziale per la giustizia amministrativa”, in C. d. S., 1985, p. 1429.
8
Stato unitario) attribuiva alla competenza della giurisdizione
ordinaria, oltre alle cause per contravvenzioni (penali), anche
quelle sui diritti, di qualunque tipo, comunque vi potesse essere
interessata la pubblica amministrazione (cioè, sia come parte
attiva o passiva, sia come soggetto che agisse dall’esterno sul
rapporto dedotto in giudizio) e ancorché fossero emanati
provvedimenti amministrativi (art. 2).
Il giudice ordinario, quando gli era denunziata la lesione di
un diritto, poteva (e può) conoscere degli effetti dell’atto
amministrativo solo in “relazione all’oggetto dedotto in giudizio”
(art. 4 co. 1) ed era (ed è) tenuto ad applicare gli atti
amministrativi solo “in quanto siano conformi alle leggi” (art. 5):
gli era attribuito, cioè, un potere-dovere di disapplicare gli atti
ritenuti illegittimi.
Il giudice ordinario non poteva (e non può) revocare o
modificare atti amministrativi: è il c.d. “divieto di repressione”
degli atti amministrativi (che poi ha significato anche divieto di
ordinare alcunché alla P.A. o di condannarla ad un facere
specifico, in molta giurisprudenza durata quasi fino ai giorni
nostri).
9
L’atto amministrativo poteva essere revocato o modificato
solo su ricorso alle competenti autorità amministrative, “le quali
si conformeranno al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il
caso deciso”. (art. 4 co. 2).
Il giudice, dunque, non poteva sostituirsi alla pubblica
amministrazione in un’attività tipicamente e discrezionalmente
propria di questa: la revoca o modifica di atti amministrativi
conseguente al giudicato ed alla necessità di conformare la
situazione di fatto e di diritto, venutasi a creare con l’emanazione
dell’atto illegittimo, a quella configurata dal giudicato stesso
(effetto caducatorio e ripristinatorio della dichiarazione di
illegittimità dell’atto, che è alla base della disapplicazione). Tutto
ciò “nei limiti del caso deciso”, quegli stessi limiti in cui il
giudice aveva conosciuto degli effetti dell’atto: l’oggetto dedotto
in giudizio, la lesione del diritto soggettivo denunziata.
Le competenti autorità amministrative, secondo la
prevalente dottrina, avevano un obbligo non sanzionato di
conformarsi al giudicato.
2
In particolare, mancava uno strumento giuridico vero e
proprio: in realtà, si trattava di un potere o di una mera facoltà
2
GIACCHETTI S., “Un abito nuovo per il giudizio di ottemperanza”, cit., p. 2673.
10
dell’Amministrazione, come si può facilmente arguire da
autorevole dottrina.
3
Alla base della legge abolitiva del contenzioso
amministrativo erano i principi dello Stato di diritto e del
liberalismo inglese, che si tentava di innestare nel nostro sistema
giuridico: in particolare il principio della separazione dei poteri
nei suoi corollari della giurisdizione unica sui diritti affidata ai
giudici ordinari e della legalità dell’azione amministrativa.
All’Amministrazione era attribuita, in via esclusiva, la cura
degli interessi pubblici ed il loro perseguimento, sottratta a
qualsiasi controllo giurisdizionale (art. 3 co. 2 LAC), privando
così di tutela giurisdizionale quella vasta area di interessi privati,
al regolare svolgimento dell’attività amministrativa.
La tutela di detti interessi (legittimi), era assicurata tramite
la previsione di ricorsi amministrativi (art.3 co. 2 LAC – all. D e
F della stessa legge 2248/1865).
Nell’esperienza italiana, però, quest’innesto dei principi
liberali si legò al principio di autoritarietà dell’azione
3
GIACCHETTI parla di “buona volontà dell’amministrazione”, in “Il giudizio di
ottemperanza…” cit., p. 928.
11
amministrativa
4
e ad un “feticismo per la discrezionalità della
P.A.”.
5
Questo portò al fallimento della legge abolitiva del
contenzioso proprio per la mancanza di tutela giurisdizionale
effettiva degli interessi privati diversi dai diritti, in presenza di
atti arbitrari illegittimi o inopportuni dell’amministrazione e per
la diffusa inottemperanza anche ai giudicati dei tribunali ordinari,
che avessero riconosciuto diritti, da parte della P.A., cui abbiamo
visto essere affidata tale attività di conformazione, peraltro non
sanzionata.
1.2 La legge 5992 del 1889 e l’istituzione del giudizio di
ottemperanza; tesi dottrinali sulla funzione del giudice di
ottemperanza nell’ambito del sistema della separazione
dei poteri.
Con la legge 31 marzo 1889 n. 5992, fu istituita la IV
sezione (giurisdizionale, in aggiunta alle preesistenti sezioni
4
BARTOLOMEI F., op. cit. p. 343 e ss.
5
Per questa espressione v. “A proposito dell’effettività del giudicato amministrativo” in
AA. VV., Studi per il 150° del Consiglio di Stato, Roma, 1981.
12
consultive) del Consiglio di Stato, cui era, appunto, affidata la
cura di quegli interessi privati diversi dai diritti, coinvolti
dall’azione amministrativa e, fino allora affidati al rispetto delle
norme di legge regolatrici dell’azione, da parte
dell’amministrazione.
Alla sezione era anche attribuita competenza a conoscere e
decidere, anche nel merito, dei “ricorsi diretti ad ottenere
l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di
conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei
tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o
politico” (art. 4 co. 4 legge 5992/1889). Fu quindi creato quello
strumento giuridico, il giudizio di ottemperanza, di cui si era
rilevata la mancanza nel sistema della legge del 1865, (si è
definita, appunto, quella dell’art. 4 co. 4, una “norma di chiusura
del sistema”). Fu altresì espressamente sancito l’obbligo
dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato, ma,
soprattutto, fu affidata alla sezione la competenza a decidere
anche nel merito sui suddetti ricorsi (mentre, di regola, aveva
competenza a sindacare solo la legittimità degli atti
amministrativi).
13
La competenza anche nel merito fu intesa, però, in due
modi diversi dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Secondo un
primo indirizzo si trattava di una competenza a valutare
l’opportunità, oltre che la legittimità dell’atto, ammettendosi che
l’Amministrazione potesse non eseguire, ma emettere eventuali
provvedimenti sostitutivi e che il Consiglio di Stato potesse
sindacare queste scelte dal punto di vista della soddisfazione del
diritto del privato riconosciuto nel giudicato, assumendo, quindi,
anche funzioni di amministratore.
6
L’altra tesi riteneva che invece la suddetta competenza
dovesse spiegarsi, in tutta la sua ampiezza, per garantire piena
tutela giurisdizionale ai diritti dei cittadini.
7
In effetti, in un primo tempo, sia negli intenti del
legislatore del 1889, sia nella stessa giurisprudenza, il Consiglio
di Stato era considerato un organo giurisdizionale solo nella
misura in cui “partecipava dei caratteri propri
dell’Amministrazione attiva”, questo perché non si era ancora
pronti a rompere il dogma della separazione dei poteri, dovendo
6
CALABRO’ C., “Il giudizio di ottemperanza”, in AA. VV., Studi per il 150°
anniversario del Consiglio di Stato, III, Roma, 1981, p. 2008 e ss.
7
BARTOLOMEI F., op. cit., p. 338.
14
nello stesso tempo garantire l’effettività della giurisdizione sui
diritti senza pregiudicare la discrezionalità dell’Amministrazione.
1.3 Le leggi del 1907 e del 1923 e la loro influenza sulla
giurisprudenza in materia di ottemperanza.
Non passò, però, molto tempo, prima che la tesi, dapprima
in giurisprudenza, poi nella legge, fosse superata. La legge 7
marzo 1907 n. 62, oltre ad istituire la V sezione del Consiglio di
Stato, cui attribuì, ampliandola, la giurisdizione di merito
(compreso il giudizio di ottemperanza) e ad istituire l’Adunanza
Plenaria delle due sezioni giurisdizionali (con compiti risolutori
di conflitti e decisori di questioni controverse), dichiarò
espressamente la natura giurisdizionale delle sezioni IV e V del
Consiglio di Stato e delle relative pronunce (che, però, si
continueranno a chiamare decisioni: solo per i Tar la legge del
1971 parlerà di sentenze). Sempre nel 1907 veniva emanato il
regolamento di procedura, con Regio decreto del 17 agosto n.
642, i cui artt. 90 e 91 disciplinano specificamente il
15
procedimento di ottemperanza; mentre l’art. 88 stabilisce che
“l’esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa”.
La legge delegata del 30 dicembre 1923, n. 2840
introduceva, per alcune materie, in cui il Consiglio di Stato aveva
già la cognizione su interessi legittimi, la c.d. competenza
esclusiva, che comprendeva l’estensione della cognizione anche
ai diritti soggettivi, essendo, nelle suddette materie, arduo
distinguere tra diritti ed interessi.
Veniva inoltre abolita la ripartizione di competenza tra IV
e V sezione delineata dalla legge n. 62 del 7 marzo 1907; ed
infine veniva emanato il testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato, con r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, che raccordava le nuove
norme con quelle del t.u. 17 agosto 1907 n. 638 (che, a sua volta,
coordinava le norme della legge del 1889 con quelle della legge
62/1907.
Nel nuovo testo unico appare l’art. 27, n. 4, norma
fondamentale per la nostra materia, tuttora vigente, che riprende
l’art. 4 della legge 5992/1889.
Qualcosa, però, era cambiato con la nuova legge del 1923
anche per quello che riguarda la nostra materia.
16
Il trasferimento dal giudice ordinario al giudice
amministrativo della cognizione anche sui diritti, in talune
materie, pose il problema della diminuzione della garanzia,
rappresentata dal giudizio di ottemperanza, di esecuzione del
giudicato che ne avesse riconosciuto la lesione.
8
La legge del 1889 faceva, infatti, riferimento al solo
giudicato dei “tribunali”; nulla prevedeva per le sentenze degli
altri giudici, e – in particolare – per le sentenze del giudice
amministrativo. La lacuna era grave, perché le sentenze
amministrative sono di norma inidonee a far conseguire al
ricorrente vittorioso, senza la cooperazione
dell’Amministrazione, l’intera utilità concreta che si ripromette
dal giudizio; e cioè non la sola utilità immediata derivante
dall’annullamento, ma anche l’utilità mediata – che della prima è
corollario necessario e che è, di regola, l’utilità fondamentale – di
ottenere che nel nuovo iter procedimentale l’Amministrazione
applichi puntualmente e lealmente i principi enunciati dal giudice
amministrativo.
8
ROEHRSSEN G., “L’azione esecutiva nei giudizi contro la P.A. nel diritto italiano”, in
C. d. S., 1978, p. 898.
17
1.4 Estensione dell’ambito di applicazione del giudizio
di ottemperanza al giudicato amministrativo.
Per colmare tale lacuna il Consiglio di Stato, con un
indirizzo formulato sin dal 1928,
9
ritenendo evidentemente che
non ci fosse da fare affidamento su un legislatore inerte ormai da
un quarantennio (e che lo sarebbe stato ancora per più di un altro
quarantennio, e cioè sino alla legge 6 dicembre 1971 n. 1034),
estese l’applicazione dell’art. 27 n. 4 alle sentenze del giudice
amministrativo.
Questa svolta giurisprudenziale non si riduceva ad un puro
e semplice ampliamento del campo di applicazione del giudizio
di ottemperanza, ma veniva ad incidere profondamente sulla
natura stessa dell’istituto, cui dava una fisionomia del tutto
nuova: e ciò per la radicale differenza, sul piano funzionale, tra
sentenza del giudice ordinario e sentenza del giudice
amministrativo.
Nel processo dinanzi al giudice civile si ha una
contrapposizione necessaria tra parti pariordinate, tra cui sussiste
9
Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 1928, n. 181 e 182, in Riv. dir. pubbl. e pubbl. amm., 1928,
II, p. 217.
18
un conflitto di interessi sostanziali che il giudice è chiamato a
dirimere con una sentenza di esistenza, di spettanza o di
qualificazione della situazione o del fatto controverso, e quindi
con una decisione finale, immediatamente satisfattiva
dell’interesse concreto dell’attore.
Nel processo dinanzi al giudice amministrativo, invece, la
contrapposizione tra le parti non può sussistere affatto (in quanto,
ad esempio, l’organo che ha emesso l’atto impugnato può non
costituirsi, e disinteressarsi completamente dell’esito del
giudizio, senza che ciò abbia conseguenze – se non di puro fatto
– sulla decisione del giudice) ed è comunque puramente
processuale, dal momento che il ricorrente deduce in sostanza
che l’Amministrazione non si è comportata nel modo dovuto, che
sarebbe stato appunto quello corrispondente all’interesse
dell’Amministrazione stessa.