riguardanti le principali determinanti ed altri aspetti tipici della
qualità dei servizi. In ultimo, si presenta un modello di analisi e
gestione della qualità del servizio: il “Gap Analysis Model”.
Il secondo capitolo è invece dedicato alla trattazione di alcuni
aspetti relativi alla gestione dei servizi, facendo riferimento, a tale
scopo, in particolare al lavoro teorico della “Scuola Scandinava” che,
dalla metà degli anni ottanta in poi, ha fornito un’ampia rassegna di
utili contributi. Si presentano, in particolare, il “Sistema di Gestione
dei Servizi”, il cui concetto è stato ideato e reso noto per la prima
volta da R. Normann nel 1984 ed il “Sistema di Servuction”, il cui
schema è stato proposto da P. Eiglier ed E. Langeard. Viene poi
affrontato il tema dell’ “Offerta di Servizio” e si analizzano i concetti
di “Pacchetto di Servizi” e di “Offerta Globale” avvalendosi del
contributo di diversi autori. Subito dopo, si presenta il “modello
dell’offerta di servizio incrementata”, un modello, elaborato da
Gronroos, che spiega il modo in cui il servizio come prodotto deve
giungere a comprendere aspetti della produzione e dell’erogazione del
servizio quali l’accessibilità, l’interazione e la partecipazione del
cliente. Un’apposita trattazione è dedicata in ultimo al ruolo e
all’importanza strategica della gestione delle risorse umane nelle
imprese di servizi.
Il capitolo terzo affronta il tema della distribuzione commerciale,
concentrando l’attenzione principalmente sull’oggetto e sul ruolo
della distribuzione commerciale, sulla classificazione delle imprese
commerciali in base alla posizione all’interno del canale di
distribuzione e sulle modalità organizzative con le quali le imprese
affrontano il divenire della competizione. Per quanto riguarda
quest’ultimo aspetto, sono prese in considerazione le relazioni di
collaborazione tra imprese commerciali, nell’ambito della cosiddetta
Distribuzione Organizzata, con particolare riferimento alle forme di
associazionismo volontario (Unioni Volontarie e Gruppi di Acquisto)
e agli accordi contrattuali di affiliazione. Nell’ultima parte del
capitolo, si chiarisce infine il concetto di forma distributiva e si
presentano le principali forme distributive del commercio all’ingrosso
e di quello al dettaglio.
Il capitolo quarto mette a fuoco i principali cambiamenti
verificatisi nei canali distributivi, puntando l’attenzione sulla natura
delle relazioni tra imprese industriali e imprese commerciali. In
particolare, accanto ai contenuti competitivi delle relazioni verticali,
emergono crescenti spazi per indirizzare tali relazioni in senso
collaborativo, in modo da accrescere il valore globale prodotto
all’interno del canale di distribuzione: le imprese operanti a diversi
stadi del canale di distribuzione (cliente e fornitore) sono infatti spinte
verso forme di collaborazione (“Sistemi Verticali di Marketing”) sia
dall’opportunità di conseguire significative sinergie e vantaggi
competitivi, sia dall’intensa concorrenza orizzontale. Si fa
riferimento, in particolare, agli accordi interorganizzativi tra cliente e
fornitore, i quali, sempre più frequentemente ricorrono a meccanismi
di coordinamento diversi dal mercato e dalla gerarchia.
Successivamente, si analizzano i fattori in grado di influenzare il
grado di integrazione tra cliente e fornitore e rendere continuativa la
relazione, si definisce il concetto di “investimento motivazionale” e si
spiega come mutano le caratteristiche della relazione al variare dei
benefici che le parti si aspettano dalla stessa (gli outcomes
competitivi).
Si offre a questo punto una panoramica dei contributi di R.
Normann e R. Ramirez, i quali propongono una logica di creazione
del valore (che supera il tradizionale concetto di “catena del valore”)
secondo la quale cliente e fornitore sono legati da relazioni reciproche
di co-produzione del valore.
In ultimo, si presenta un modello che analizza le fasi evolutive di
una relazione tra cliente e fornitore, e che, da una prospettiva
strategica di gestione e di marketing, offre importanti direttive per la
gestione e lo sviluppo di relazioni e scambi paritari tra partner.
L’ultimo capitolo è stato infine dedicato allo studio del caso
empirico, cioè all’analisi del caso “Industria Alimentare Carni F.lli
Scarlino S.r.l.”.
Per mezzo del quadro teorico sopra brevemente descritto, si sono
definite le caratteristiche del sistema di gestione dell’azienda, con
particolare riferimento alla sua offerta, ai segmenti di clientela,
all’assetto organizzativo interno, alla gestione del personale e alla
cultura aziendale, passando successivamente all’analisi delle relazioni
interorganizzative tra la “F.lli Scarlino S.r.l.” ed il suo cliente più
importante: “Cedis S.r.l.”.
CAPITOLO 1
NATURA E QUALITA’ DEI SERVIZI
____________________________________________
1.1 IL CONCETTO DI SERVIZIO
Elaborare una definizione esaustiva del concetto di “servizio” è
certamente una impresa molto ardua. Il termine, infatti, può assumere
numerosi significati e può essere considerato secondo differenti punti
di vista.
D. Cowell
1
ha osservato che, nel corso della storia, le definizioni
sviluppate dagli economisti evidenziano una continua evoluzione del
concetto di servizio. Nel diciottesimo secolo la Scuola Francese
Fisiocratica, che tra i principali esponenti annovera Quesnay
2
,
basandosi sull’assunto che l’agricoltura è l’unica fonte di ricchezza,
definisce servizi tutte le attività diverse dalla produzione agricola, che
in quanto tali, sono considerate attività non produttive. Adam Smith
3
definisce servizi le attività che non danno luogo a prodotti tangibili ed
anch’egli considera tali attività non produttive e sterili, ma basandosi
sul criterio da lui elaborato secondo cui la produttività dipende dalla
“tangibilità” che egli associa alla durata dell’attività economica. Sulla
base di tale criterio, pertanto, solo le produzioni agricola e di beni
materiali sarebbero creative di ricchezza, al contrario dei servizi, i
quali cessano di esistere nel momento stesso della loro produzione
senza concretizzarsi in un bene vendibile successivamente.
Agli inizi del 1800 J. B. Say
4
attribuisce al termine “servizi” un
significato produttivo nel momento in cui lo utilizza per descrivere
“ogni attività non manifatturiera in grado di aggiungere utilità ai
beni”. Per Say, infatti, è produttiva qualsiasi attività che sia utile e
crei soddisfazione per il consumatore.
1
COWELL D., “The marketing of services”, Heineman, Londra, 1984, pp. 19-22.
2
QUESNAY F. , “Tableau Economique”, 1758, citato in PAIOLA MARCO,
“Servicing=Produrre servizi”, in “Economia e Management”, n. 4, 1995, pp. 49-70.
3
SMITH A., “The Wealth of Nations” (ed. 1789), Modern Library, New York, 1937, cit. in
COWELL D., 1984, Op. cit.
4
SAY J. B., “Traitè d’economie politique”, 1803 (trad. it. “Trattato di economia politica, o
semplice esposizione del modo in cui si formano, si distribuiscono e si consumano le
ricchezze”, 1855, in “Biblioteca dell’economista”, I serie, v. 6, Torino, 1854), cit. in PAIOLA
MARCO, 1995, Op. cit.
Verso la fine dell’ Ottocento, A. Marshall
5
guarda alle attività di
produzione industriale e a quelle di servizi in una prospettiva
integrata affermando che tutte le attività procurano servizi in grado di
soddisfare bisogni. Secondo Marshall, per servizi s’intende “tutto ciò
che cessa di esistere nel momento stesso in cui viene prodotto”.
Il concetto di servizio ha poi continuato ad evolversi tendendo ad
essere identificato come una attività che non comporta un
cambiamento fisico sotto forma di prodotto. La letteratura specifica
contemporanea annovera svariati tentativi di offrire una definizione
dei “servizi”, ma i risultati appaiono il più delle volte imprecisi e
insoddisfacenti, anche perchè è tutt’altro che raro che gli autori
facciano riferimento esclusivo ai servizi forniti dalle aziende di
servizi così come tradizionalmente intese. S. Vicari
6
afferma che non
esistono definizioni corrette o erronee in senso assoluto poichè una
certa definizione può rispondere in modo appropriato a particolari
scopi di ricerca, ma non essere utilizzabile per altri, e viceversa. Egli
distingue diverse tipologie di definizioni: definizioni ampie,
definizioni residuali, definizioni funzionali, definizioni tassonomiche.
Le prime sono definizioni che non distinguono tra servizi che
costituiscono il nucleo dell’offerta e servizi che costituiscono degli
strumenti competitivi. Le definizioni residuali appartengono ad un
approccio secondo cui sarebbe definibile come “servizio” tutto ciò
che non è prodotto fisico e si tratta di definizioni a cui si giunge nell’
ambito di ricerche a livello aggregato che si astengono dall’ enunciare
le caratteristiche dei servizi. Le definizioni funzionali sono, invece,
quelle che tentano di identificare gli elementi fondamentali del
servizio sulla base degli effetti prodotti sulla gestione d’impresa. Tale
approccio tralascia però di chiarire le cause per cui tali effetti
gestionali si producono, ossia le caratteristiche peculiari del servizio.
In ultimo, le definizioni tassonomiche sono quelle che identificano le
caratteristiche del servizio sulla base di elementi propri del servizio
stesso (intangibilità, deperibilità, eterogeneità, ecc.). Le definizioni
appartenenti a quest’ultima tipologia, secondo Vicari, sarebbero
quelle che meglio si prestano ai fini della comprensione degli effetti
sulla gestione delle imprese di servizi.
Per un certo numero di anni, la definizione più largamente
condivisa ed usata è stata quella elaborata nel 1960 dall’American
5
MARSHALL A., “Principles of Economics”, Macmillan, VIII ed., 1947, p. 62.
6
VICARI SALVATORE, “Imprese di servizi e politiche di mercato. Le dimensioni del
processo competitivo”, Giuffrè, Milano, 1983, pp. 55-65.
Marketing Association,
7
secondo cui: “I servizi sono attività, benefici,
o soddisfazioni offerti in vendita o forniti in connessione con la
vendita di prodotti”.
Tale definizione, secondo Vicari
8
è troppo ampia e Cowell
9
osserva
che non discrimina sufficientemente tra beni e servizi, poichè anche i
beni fisici sono offerti in vendita in quanto in grado di fornire benefici
e soddisfazione.
In un articolo pubblicato nel 1964 sulla rivista “Journal of
Marketing” Robert C. Judd
10
critica l’approccio seguito
dall’American Marketing Association (che alla definizione fa seguire,
a scopo illustrativo, una serie di esempi di servizi) sottolineando che
l’elenco è incompleto e che ciò contribuisce a rendere ancora più
imprecisa la definizione. Egli propone dunque una definizione che si
riferisce ai servizi offerti e venduti, intesi come “una transazione di
mercato da parte di un’impresa o di un imprenditore nella quale
l’oggetto della transazione è diverso da un trasferimento di proprietà
(o titolo) di un prodotto tangibile”. Judd enfatizza, in tal modo, la
natura intangibile dell’oggetto della transazione di mercato e traccia
una linea di demarcazione più netta tra prodotti e servizi ponendo le
basi per una descrizione di similarità e differenze tra marketing dei
prodotti e marketing dei servizi, ma la definizione è comunque troppo
generica perchè di tipo residuale.
Per W. J. Stanton
11
“i servizi sono attività intangibili, identificabili
separatamente che producono soddisfazione quando vengono venduti
ai consumatori e/o agli utenti industriali che non sono
necessariamente legate alla vendita di un prodotto o di un altro
servizio”.
La natura intangibile dei servizi, sottolineata da Stanton insieme al
fatto che questi siano delle attività offerte in vendita che forniscono
benefici o soddisfazione di un certo valore sono poi ribadite nelle
definizioni elaborate da Bessom
12
e da Blois.
13
In particolare, Bessom
7
AMERICAN MARKETING ASSOCIATION: COMMITTEE ON DEFINITIONS, “Marketing
Definitions: a Glossary of Marketing Terms”, 1960.
8
VICARI S., 1983, Op. cit., pp. 55-65.
9
COWELL D., 1984, Op. cit., pp. 19-22.
10
JUDD ROBERT C., “The case for redefining Services”, in “Journal of Marketing”, vol. 28
(Gennaio 1964), pp. 58-59.
11
STANTON W. J., “Fundamentals of Marketing”, Mc Graw-Hill, Kogakusha, Tokyo, 1981
(Trad. it. “Marketing”, coautore RICCARDO VARALDO, Il Mulino, Bologna, 1986), pp.
462-463 (ed. it. 1986).
12
BESSOM R. M. , “Unique Aspects of Marketing of Services”, in “Arizona Business
Bulletin”, novembre, 1973, p. 9, citato in GRONROOS CHRISTIAN, “Management e
Marketing dei Servizi”, 1994, ISEDI, Torino (Titolo dell’edizione originale: “Service
aggiunge che si tratta di “attività che il consumatore non può
svolgere o che decide di non svolgere da solo”. Blois puntualizza
invece la intangibilità dei servizi sottolineando che “tali attività non
implicano un cambiamento fisico sotto forma di prodotto”.
Anche J. Lehtinen
14
asserisce che i servizi non sono oggetti
tangibili ed infatti li definisce come “una attività o serie di attività
che si verifica nell’interazione con una persona intermediaria o con
una macchina fisica e fornisce soddisfazione al cliente” introducendo
il concetto di interazione nella definizione di servizio e ponendo le
basi per la focalizzazione dello studio dei servizi sulla importanza
della gestione delle interazioni cliente-fornitore.
O. Andresen
15
definisce servizio “qualsiasi beneficio intangibile
che viene pagato direttamente o indirettamente” ed aggiunge che tale
beneficio intangibile “spesso comprende una componente fisica o
tecnica, grande o piccola che sia “ sottolineando che, pur essendo
l’essenza del servizio sostanzialmente intangibile, nell’insieme delle
prestazionoi possono essere ravvisabili degli elementi concreti quali
prodotti fisici (ad es. il cibo in un ristorante), tecnologie e strumenti a
disposizione del personale e/o dei clienti, o strutture fisiche in cui si
effettuano le attività che creano benefici.
Secondo L. L. Berry
16
sarebbe la caratteristica di tangibilità o di
intangibilità dell’oggetto di scambio che ne determina la
classificazione come prodotto o come servizio, quest’ultimo descritto
come “un’azione, un’opera, un’attività, una esecuzione” ed in quanto
tale contrapposto al prodotto che è invece “un’oggetto, uno
strumento, una cosa”.
Nel 1984 P. Kotler e P. N. Bloom,
17
oltre a ribadire la natura
intangibile del servizio, richiamano l’attenzione su una delle
caratteristiche fondamentali dei servizi, vale a dire la possibilità di
Management and Marketing. Managing the Moments of Truth in Service
Competition”,1990 ) , p. 26 (ed. it. 1994).
13
BLOIS K. J., “The Marketing of Services: An Approach”, in “European Journal of
Marketing”, estate, 1974, P. 157, citato in GRONROOS C., 1994, Op. cit., p.26.
14
LEHTINEN J., “Asiakasohjautuva palve luyritys (Customer-Oriented Service Firm),
Weilin & Goos, Espoo, Finlandia, 1983, p. 21, citato in GRONROOS C.,1994, Op. cit., p.
26.
15
ANDRESEN O. et al. (a cura di), “Danmark som servicesamfund (Denmark as a Service
Society), Politikens Forlag, Copenaghen, 1983, p. 6, citato in GRONROOS C., 1994, Op.
cit., p. 26.
16
BERRY LEONARD L., “Services Marketing is different”, in “Business”, maggio-giugno,
1980, citato in LOVELOCK CHRISTOPHER H., “Services Marketing” (III ed.), Prentice-
Hall, Upper Saddle River (New Jersey), 1996, p. 16.
17
KOTLER P., P. N. BLOOM, “Marketing professional services”, Prentice-Hall, Englewood
Cliffs, 1984, p. 147.
essere oggetto di scambio, anche se spesso non in modo tangibile e
senza che ciò comporti un trasferimento di proprietà. La definizione
proposta è infatti la seguente:
“un servizio è qualsiasi attività o vantaggio che una parte può
scambiare con un’altra, la cui natura sia essenzialmente intangibile e
non implichi la proprietà di alcunchè. La sua produzione può essere
legata o meno a un prodotto fisico”.
Una posizione critica nei confronti dei vari tentativi di trovare una
definizione di “servizio” che sia accettabile per tutti è rappresentata
dall’affermazione di E. Gummesson
18
, secondo cui “un servizio è
qualcosa che si può acquistare e vendere ma che non può cascarvi su
un piede”. Egli intende così sottolineare che ogni definizione è in un
modo o nell’altro troppo restrittiva ma, come Kotler
19
, evidenzia che i
servizi possono essere oggetto di scambio.
C. Gronroos,
20
concorda con la posizione di Gummesson ma
propone comunque (non senza riserve) la seguente definizione:
“Un servizio è una attività o una serie di attività di natura più o meno
intangibile che normalmente, ma non necessariamente, ha luogo
nell’interazione tra cliente e impiegato e/o risorse fisiche o prodotti
e/o sistemi del fornitore del servizio, che viene fornita come soluzione
ai problemi del cliente”.
Anche Gronroos riconosce perciò che i servizi non sono cose bensì
attività o processi di natura intangibile e sottolinea, facendo proprie le
osservazioni di Lehtinen,
21
la rilevanza delle interazioni in quanto
parte del servizio in grado di influenzare le percezioni del cliente. E’
evidente che l’autore attribuisce una considerevole importanza agli
aspetti emozionali, coinvolgenti dal punto di vista del cliente, per il
quale il servizio costituisce, in tal senso, una “esperienza”. Gronroos
22
sostiene, infatti, che nei servizi le interazioni sono di solito presenti
e sono di fondamentale importanza anche se le parti in causa non ne
sono sempre consapevoli.
18
GUMMESSON E., “Lip Services - A Neglected Area in Services Marketing”, in “Journal
of Services Marketing”, 1, p. 22, citato in GRONROOS C., 1994, Op. cit., p. 27.
19
KOTLER P., P. N. BLOOM, 1984, Op. cit., p. 147.
20
GRONROOS C., 1994, Op. cit., p. 27.
21
LEHTINEN J., 1983, Op. cit..
22
GRONROOS C., 1994, Op. cit., pp. 27-28.
1.2 I CARATTERI COMUNI AI SERVIZI
1.2.1 Intangibilità
Confrontando le varie definizioni di servizio, si può notare come
tutte siano accomunate dal fatto di enfatizzare, più o meno
direttamente, la natura essenzialmente intangibile dei servizi. Vicari
23
osserva che la immaterialità dell’offerta è la base comune su cui
vengono identificati altri aspetti rilevanti e qualificanti il servizio
stesso. In particolare, egli evidenzia come dal carattere intangibile dei
servizi discendano direttamente l’impossibilità di immagazzinare i
servizi stessi e l’interazione tra i processi di produzione e consumo.
L’autore sottolinea, inoltre, che il servizio non può assumere una
propria autonomia dall’azienda e come tale deve essere fornito
direttamente dall’azienda produttrice.
Cowell
24
sostiene che opinioni e atteggiamenti possono essere
indagati anticipatamente, che un acquisto ripetuto può dipendere dalla
esperienza precedente, che al cliente si possono offrire elementi
tangibili che rappresentino il servizio, ma fondamentalmente
l’acquisto di un servizio consiste pur sempre nell’acquisto di qualcosa
di intangibile. Egli ritiene che la qualità di intangibilità costituisce la
base per un diverso approccio con cui si cerca di chiarire cosa siano i
servizi. Tale approccio focalizza l’attenzione sulle caratteristiche
distintive dei servizi, la cui combinazione caratterizzerebbe lo
specifico contesto in cui una organizzazione dei servizi deve
sviluppare le proprie politiche di marketing.
Anche Gronroos
25
suggerisce che è più utile considerare le
caratteristiche che sono comuni alla maggior parte dei servizi e tra
queste identifica quella fondamentale nella loro natura più o meno
intangibile. All’alto grado di intangibilità dei servizi egli associa la
difficoltà della sua valutazione da parte del cliente, il quale non
esprimerà un giudizio sulla base di elementi concreti, bensì sulla base
delle sensazioni e del grado di fiducia e di sicurezza che si creano
durante l’esperienza del servizio.
J. Bateson
26
ha ulteriormente affinato il concetto di intangibilità
sottolineando che va intesa sia come “intangibilità manifesta” (il
23
VICARI S., 1983, Op. cit., pp. 60-61.
24
COWELL D., 1984, Op. cit., p. 23.
25
GRONROOS C., 1994, Op. cit., pp. 28-30.
26
BATESON J., “Do we need service marketing?”, in “Marketing Consumer Services: New
Insights”, report 75-115, Marketing Science Institute, Boston, 1977.
servizio non si può toccare concretamente), sia come “intangibilità
mentale (il servizio è di difficile comprensione mentale) e R.
Normann
27
aggiunge che alla immaterialità del servizio è associata
l’impossibilità di mostrarlo in modo efficace, poichè esso non esiste
prima dell’acquisto.
Per questi motivi Shostack
28
consiglia di cercare di rendere tangibile
il servizio al cliente usando oggetti fisici e concreti, come schede di
plastica e vari tipi di documentazione. Kotler
29
sostiene che le
imprese di servizi dovrebbero dare evidenza fisica ad offerte
“astratte” così come T. Levitt
30
e L. L. Berry
31
concordano nel ritenere
che il compito di chi offre un servizio consiste nel “gestire
l’evidenza” e nel “rendere tangibile l’intangibile”.
Per Stanton,
32
poichè il carattere essenzialmente immateriale dei
servizi rende impossibile all’utente comparare due alternative, prima
di acquisirle, in base ad elementi fisicamente percepibili e perciò
concreti, le politiche di differenziazione dovrebbero puntare
essenzialmente sui benefici che potrebbero derivare all’acquirente del
servizio, più che enfatizzare il servizio stesso.
A. Wilson
33
distingue poi tra servizi che sono essenzialmente
intangibili (sicurezza, musei, istruzione, ecc.), servizi che aggiungono
valore a prodotti tangibili (assicurazione, pubblicità, lavanderia,
riparazione, ecc.) e servizi che rendono disponibili prodotti tangibili
(servizi finanziari, dettaglio, ingrosso, trasporti, magazzinaggio, ecc.).
Un approccio simile a questa suddivisione dei servizi è quello con
cui John M. Rathmell
34
propone l’idea che i prodotti economici siano
individuabili lungo un continuum che ha per estremi da un lato il puro
servizio e dall’altro il puro bene tangibile. Secondo questa idea la
maggior parte delle offerte di una impresa si colloca in posizione
27
NORMANN RICHARD, “Service Management: Strategy and Leadership in Service
Business”, John Wiley & Sons Ltd, New York, I ed. 1984, II ed. 1991 (trad. it. “La gestione
strategica dei servizi”, collana “Gestione d’Impresa”, Etas Libri, Milano, I ed. 1985, II ed.
1992), pp. 18-19 (II ed.).
28
SHOSTACK G. L., “Breaking Free from Product Marketing”, in “Journal of Marketing”,
aprile 1977, pp. 73-80.
29
KOTLER PHILIP, “Marketing Management”, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1988 (trad.
it. “Marketing Management”, VII ed. interamente rinnovata, a cura di W. G. SCOTT, Isedi,
Torino, 1993), p. 656 (ed. it. 1993).
30
LEVITT THEODORE, “Marketing Intangible Products and Product Intangibles”, in
“Harward Business Review”, maggio-giugno 1981, pp. 94-102.
31
BERRY LEONARD L., 1980, Op. cit., citazione in KOTLER P., 1988, Op. cit., p. 656.
32
STANTON W. J., 1986, Op. cit., p. 468.
33
WILSON A., “The Marketing of Professional Services”, McGraw-Hill, Londra, 1972,
citato in COWELL D., 1984, Op. cit., pp. 23-24.
34
RATHMELL JOHN M., “What is meant by Services?”, in “Journal of Marketing”, ottobre,
vol. 30, n. 4, 1966, pp. 32-36.
intermedia rispetto ai due estremi in quanto caratterizzate ora da beni
tangibili accompagnati da uno o più servizi che aumentano
l’attrattività per il consumatore, ora da servizi fondamentali con
associati beni e servizi addizionali e/o di supporto.
1.2.2 Contestualità di Produzione e Consumo
Oltre alla caratteristica di intangibilità i diversi autori individuano
delle altre caratteristiche fondamentali dei servizi (spesso discendenti
direttamente dalla immaterialità della offerta) che vanno tenute in
considerazione nel momento in cui si definiscono i piani di
marketing. Così Gronroos
35
sostiene che, essendo i servizi una “serie
di attività o processi che vengono spesso prodotti e usati
simultaneamente”, è difficile effettuare un controllo della qualità ed
un’azione di marketing nel senso tradizionale. Parte del processo di
produzione del servizio può essere invisibile ed il cliente ne può
vedere solo il risultato, per cui è la parte visibile dell’attività di
produzione che ha importanza nella mente del cliente, quando egli
valuta il servizio. Solo le attività visibili possono essere sperimentate
e valutate nei dettagli. Per questo l’autore sottolinea la necessità che il
controllo della qualità e l’azione di marketing siano effettuate nello
stesso tempo e luogo in cui il servizio viene simultaneamente
prodotto e consumato: in tal modo sarà possibile ottenere che il
cliente valuti positivamente l’esperienza.
W. E. Sasser, R. P. Olsen e D. D. Wyckoff
36
avevano già
evidenziato in proposito che la simultaneità di fabbricazione e
consumo dei servizi elimina i “meccanismi i filtro della qualità che
esistono nell’industria”, cioè, come spiegano anche P. Eiglier ed E.
Langeard
37
, non è possibile controllare la qualità dei servizi e scartare
quelli che non raggiungono un certto standard prima di immetterli sul
mercato, come nel caso dei prodotti tangibili.
La contestualità di produzione e consumo è una caratteristica
evidenziata anche da W. J. Regan
38
in un articolo apparso su Journal
35
GRONROOS C., Op. cit., pp. 28-30.
36
SASSER W. E., OLSEN R. P., WYCKOFF D. D., “Management of service operations”,
Londra-Boston-Sidney, Allyn and Bacon Inc., 1977, citato in EIGLIER P., LANGEARD E.,
“Il Marketing Strategico nei Servizi”, II ed. italiana, McGraw-Hill, Milano, 1993, p. 45
(Edizione originale: “Servuction - Le Marketing des Services”,McGraw-Hill, Parigi, 1987).
37
EIGLIER P., LANGEARD E., 1993, Op. cit., p. 45.
38
REGAN WILLIAM J., “The Service Revolution”, in “Journal of Marketing”, 27 luglio 1963,
pp. 57-62.
of Marketing nel Luglio del 1963, e Lethinen
39
osserva che nella
maggior parte dei servizi (particolarmente in quelli ad elevata
intensità di lavoro umano) la qualità è creata durante
l’erogazione/fruizione del servizio, solitamente in una interazione tra
il cliente ed il personale di contatto dell’azienda. Ne consegue,
secondo A. Parasuraman, Valarie A. Zeithaml ed L. L. Berry,
40
che
l’impresa di servizi avrà minori possibilità di controllo manageriale
sulla qualità in quei servizi in cui la partecipazione del cliente è
particolarmente intensa ed influenza il processo.
Secondo Normann,
41
inoltre, poichè produzione e consumo
avvengono generalmente nello stesso luogo e in contemporanea, la
struttura delle attività di servizi deve essere locale e dunque presente
sui vari punti dove opera.
Per Cowell,
42
la simultaneità tra i processi di produzione e
consumo è una naturale conseguenza della inseparabilità del servizio
dalla fonte che lo genera, sia essa una persona o un’attrezzatura.
Kotler e Scott
43
aggiungono che, essendo il cliente quasi sempre
presente nel momento dell’erogazione, nel marketing dei servizi
diventa particolarmente importante la gestione dell’interazione
fornitore-cliente, poichè entrambi influenzano il processo di offerta di
un servizio, nonchè il servizio finale stesso. Allo stesso modo,
Gronroos
44
pone l’accento sul fatto che, nei servizi, il valore
essenziale viene prodotto nelle interazioni venditore/acquirente.
1.2.3 Partecipazione del cliente al Processo di Produzione
Un’ulteriore caratteristica fondamentale dei servizi spesso citata
nella letteratura specifica è la partecipazione del cliente al processo di
produzione del servizio. Così per Gronroos
45
il cliente non si limita a
ricevere il servizio, ma partecipa anche come risorsa della produzione.
Normann
46
puntualizza che è compito dell’azienda interagire con i
39
LEHTINEN UOLEVI, LEHTINEN JARMO R., “Service Quality: A Study of Quality
Dimensions”, unpublished working paper, Helsinki: Service Management Institute,
Finlandia, OY, 1982, citato in PARASURAMAN A., ZEITHAML VALARIE A. & BERRY
LEONARD L., “A Conceptual Model of Service Quality and its Implications for future
Research”, in “Journal of Marketing”, autunno 1985, vol. 49, n. 4, p. 42.
40
PARASURAMAN A., ZEITHAML V. A. & BERRY L. L., 1985, Op. cit., p. 42.
41
NORMANN R., 1992, Op. cit., pp. 18-19.
42
COWELL D., 1984, Op. cit., p.25.
43
KOTLER P., SCOTT W. J., 1993, Op. cit., pp. 657-658.
44
GRONROOS C., 1994, Op. cit., pp. 28-30.
45
GRONROOS C., 1994, Op. cit., pp. 29-30.
46
NORMANN R., 1992, Op. cit., pp. 18-20.
clienti ed essere in grado di gestirli come parte della forza di
produzione.
Eiglier e Langeard
47
indicano il cliente come la risorsa
fondamentale per l’azienda, poichè consente di trasformare la
“potenzialità di servizio” dell’organizzazione in “servizio
effettivamente erogato”: per questo la partecipazione del cliente deve
essere gestita. I due autori, nel corso delle loro ricerche, hanno
osservato sistematicamente la partecipazione del cliente alla
realizzazione del servizio, ed hanno notato che in molti casi il cliente
partecipa spontaneamente, ed in altri l’impresa cerca di incentivarlo a
partecipare. L’interesse dell’impresa a sviluppare la partecipazione
del cliente sarebbe giustificato, secondo i ricercatori, da un lato
dall’obiettivo di massima efficienza economica (self-service e ricerca
di compiti che possono passare dall’impresa al cliente consentono di
semplificare le procedure, ridurre il personale di contatto e ottenere
aumenti di produttività per l’incremento dei volumi), dall’altro
dall’obiettivo di accrescere il livello di soddisfazione del cliente
(poichè la partecipazione rende più autonomo il cliente e riduce le sue
incertezze). I due autori ritengono, però, che il grado di accettabilità
da parte del cliente di un incremento di partecipazione dipende da
molteplici variabili, tra cui: i tratti culturali e le predisposizioni
indiviuali, il livello di coinvolgimento del personale di contatto, la
situazione in cui il consumatore è impegnato durante la fruizione del
servizio, il grado di fedeltà al fornitore, il tasso di utilizzazione del
servizio, i tempi necessari al cliente per accettare le innovazioni nel
servizio, l’ampiezza dello scarto tra le competenze del fornitore e
quelle del cliente.
Eiglier e Langeard precisano inoltre che la partecipazione, oltre che
“fisica”, può essere “intellettuale” (apprendimento) e/o “affettiva”
(senso di appartenenza alla “vita” della impresa di servizi).
Aggiungono poi che la partecipazione può coincidere con l’azione
diretta del cliente (self-service), o può andare oltre fino al suo
coinvolgimento nella fase del controllo del processo e della
prestazione (autocontrollo semplificato e guidato).
47
EIGLIER P., LANGEARD E., 1993, Op. cit., pp. 53-72.