9
industrializzazione assorbì una parte notevole dell'emigrazione
italiana verso l'estero. Nonostante molti emigranti italiani
trovassero impiego nelle aziende agricole (per esempio, nel
Nuovo Mondo, dove rimanevano ampie zone da coltivare),
l'emigrazione coincise per molti uomini e donne con
l'inurbamento e la trasformazione (spesso radicale) dei
tradizionali modi di vita. Emigrare spesso significava tagliare
forti legami familiari e di amicizia e, allo stesso tempo,
investire risorse economiche considerevoli per coprire le spese
del viaggio e della prima sistemazione nel paese di approdo in
attesa di un lavoro. I migranti furono così inseriti - in modo
non sempre consapevole - in processi di rapida
modernizzazione dei comportamenti e delle idee che li resero
sempre più distanti (non soltanto geograficamente) da coloro
che erano rimasti nei luoghi di partenza.
La posizione geografica giocò un ruolo fondamentale nella
scelta della meta dell'espatrio in quanto, ad esempio, il viaggio
dall'interno della Sicilia verso l'America costava meno di quello
verso la Germania. La struttura e il costo dei trasporti
determinarono, inoltre, una marcata specializzazione regionale
dei flussi migratori per nazioni di destinazione; la successiva
presenza in tali regioni di gruppi sempre più consistenti di
"compaesani" alimentò le reti migratorie che fecero spesso
concentrare in particolari regioni o città estere gli Italiani
provenienti dalle stesse aree. La maggior parte delle
migrazioni in partenza dall'Italia settentrionale si diresse verso
i paesi europei, con una preferenza accordata alle nazioni
confinanti: i Piemontesi si diressero soprattutto verso la
10
Francia, i Lombardi verso la Svizzera, i Veneti verso l'Austria-
Ungheria. Dalle regioni meridionali si emigrò soprattutto verso
i continenti extraeuropei, mentre le partenze dei migranti
provenienti dall'Italia centrale si distribuirono sia verso
l'Europa sia verso l'America. Dalla metà dell'Ottocento la
diminuzione dei costi dei viaggi transoceanici e la maggior
rapidità e sicurezza garantite dalla diffusione delle navi a
vapore permisero il costante aumento delle partenze verso le
coste americane.
In una seconda fase, i cui estremi sono segnati dalle due
guerre mondiali, i flussi migratori per motivi di lavoro diretti
verso l'estero registrarono un certo affievolimento dovuto sia
agli eventi bellici, sia alle conseguenze delle crisi economiche
internazionali, sia ai provvedimenti restrittivi in materia
migratoria adottati dalle nazioni che tradizionalmente
accoglievano i lavoratori italiani (un esempio su tutti, il “Quota
Act” negli Stati Uniti che penalizza le provenienze meridionali
degli immigrati). Durante il Ventennio fascista, però, si registrò
un crescente movimento migratorio interno, con spostamenti
di popolazione prevalentemente dalle campagne alle città; nei
primi anni del fascismo, l‟emigrazione verso l‟estero venne
favorita in quanto ritenuta funzionale all‟accrescimento del
prestigio nazionale; atteggiamento che mutò nel corso degli
anni quando il regime ostacolò tenacemente i trasferimenti
definitivi.
La terza fase, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del
Novecento, segna un‟ulteriore fase di intensa emigrazione
11
internazionale causata da una forte disoccupazione rurale
soprattutto nel Meridione. Gli spostamenti degli Italiani ebbero
sempre più come destinazione i centri del "triangolo
industriale" del Nord Italia (Torino, Genova e Milano), in cui si
concentravano le maggiori industrie del "miracolo economico"
della Penisola, ma anche i Paesi europei, in cui si approdava
con intenzioni spiccatamente temporanee. Questa
provvisorietà è confermata dal fenomeno del “pendolarismo”,
preponderante in Svizzera, dove vengono privilegiati i flussi
stagionali. In questi anni si possono inoltre evidenziare i forti
flussi migratori derivanti dal ricongiungimento familiare,
soprattutto nelle aree statunitensi e australiane.
Gli ultimi venti anni del XX secolo registrarono una
discontinuità rispetto al passato: a fianco della diminuzione
delle migrazioni verso l'estero dei residenti italiani (che
interessa per il 90% l‟Europa e gli Stati Uniti), si avviò un
consistente arrivo di immigrati provenienti soprattutto
dall'Africa (in particolare dalle zone del Maghreb), dall'Asia,
dall'America Latina e dall'Est europeo. Tale inversione di
tendenza è stata causata principalmente dalle trasformazioni
del sistema produttivo e dai cambiamenti sociali registrati sul
piano nazionale e internazionale, ma anche dalle crisi
economiche, dalle guerre e dai rivolgimenti politici avvenuti
anche in zone estremamente distanti dalla Penisola. La
differenza più evidente rispetto alle caratteristiche dei flussi
migratori del passato è lo status socio-economico degli
emigranti: a lasciare l‟Italia sono soggetti dotati di un titolo di
studio medio-alto, spinti dalle difficoltà del sistema
12
occupazionale del nostro Paese e facilitati dalla riduzione delle
distanze, fisiche e culturali, nell‟ambito del processo di
globalizzazione.
C‟è anche da notare che sono soprattutto i giovani a
sperimentare migrazioni a breve termine, legate per lo più a
esperienze formative all‟estero (in particolar modo nell‟area
anglosassone) atte a offrire opportunità di formazione
professionale. Recenti indagini dell‟Eurispes (2005)1 hanno
evidenziato che ben il 37,3% dei nostri connazionali sarebbe
disposto a trasferirsi in un Paese estero e la percentuale sale
fino al 54,1% per giovani dai 18 ai 24 anni. E‟ evidente come
nel giro di circa due secoli si siano diversificate le
caratteristiche della scelta di lasciare il nostro Paese, ma la
motivazione di fondo resta sempre la stessa: la ricerca di una
maggiore stabilità e di una sicurezza economica che l‟Italia
non sembra essere capace di offrire.
II. L‟emigrazione oggi: caratteristiche socio-demografiche
Gli ultimi dati forniti dall‟AIRE2 (Anagrafe degli Italiani residenti
all‟estero), aggiornati all‟aprile 2007, mostrano che 3.568.532
nostri connazionali vivono al di fuori del nostro Paese; c‟è stato
un sensibile aumento nel recupero dei dati rispetto agli anni
scorsi, anche se in realtà questa cifra sottostima comunque
1
Eurispes, “Rapporto Italia 2005 - L‟Italia alla ricerca di un progetto”,
Gennaio 2005
2
Dati aggiornamento AIRE, 17 aprile 2007
13
l‟effettiva presenza. Ciò a causa della difficoltà di comporre le
risultanze dell‟Aire, che vengono realizzate con dati forniti
spontaneamente dagli emigrati, con quelle degli schedari
consolari, che gestiscono la documentazione relativa ad ogni
singolo cittadino italiano residente all‟estero.
Grafico 1 – Presenza degli Emigrati italiani nel mondo, divisi per aree Continentali.
Fonte: dati AIRE al 17 aprile 2007. Elaborazione propria
Come si può vedere dal Grafico 1, l‟Europa, con più di 2 milioni
di presenze, pari al 58,1% del totale degli emigrati italiani, è il
continente maggiormente interessato da questo fenomeno;
seguono l‟America (35,8% di cui il 25,1% risiedono
nell‟America del Centro-Sud), l‟Oceania (3,6%, in Australia
l‟italiano è la seconda lingua parlata nelle mura domestiche
dopo l‟inglese), l‟Africa (1,7%) e infine l‟Asia (0,8%). Sussiste
una divergenza, seppure non molto accentuata, tra la
composizione di genere dei migranti originari dalle regioni del
Nord rispetto a quelle del Sud: tra gli uomini risultano
Emigrati Italiani nel mondo
Nord America
10,7%
Asia
0,8%
Africa
1,7%
Oceania
3,6%
Europa
58,1%
Centro-
Sud America
25,1%
14
prevalere gli emigranti delle regioni meridionali, mentre le
donne sono maggiormente di origine settentrionale (in
particolare dal Friuli Venezia Giulia, seguito dalla Val D‟Aosta e
dal Trentino Alto Adige). Questi dati sembrano far riflettere,
seppur a distanza di decenni dalle migrazioni di massa, il
maggior peso che hanno avuto le migrazioni autonome
femminili nelle regioni del Settentrione rispetto a quelle del
Sud, dove la realtà migratoria femminile è rimasta ancorata
all‟atto di ricongiungimento con il coniuge. E‟ l‟America ad
affermarsi per la maggiore incidenza di donne italiane
emigrate, ma è l‟Argentina il Paese in cui la componente
numerica femminile prevale su quella maschile. Il ruolo della
donna italiana all‟estero è stato al centro di una notevole
evoluzione culturale e socio-economica, in quanto al percorso
di inserimento occupazionale e di integrazione delle “pioniere”,
si sono affiancati gli alti gradi di istruzione e di formazione
delle discendenti. Anche dal punto di vista associazionistico si
è vista accrescere la presenza femminile nel corso degli anni,
anche se non in forme così radicali da arginare il predominio
maschile. Analizzando i dati anagrafici dei residenti italiani
all‟estero, si evince che le persone in età avanzata, soprattutto
provenienti dal Meridione e stanziate in maggior numero negli
Stati Uniti, prevalgono nettamente sui giovani (i minori o pari
a 18 anni vivono per lo più in Asia, che raccoglie una comunità
italiana tra le più verdi del mondo).
Sono proprio i giovani a costituire la larghissima fetta delle
migrazioni moderne, non solo attraverso la tanto citata “fuga
dei cervelli” verso Paesi che, al contrario delle scarse
15
possibilità italiane, permettono l‟applicazione delle conoscenze
ottenute (soprattutto per quanto riguarda gli ambiti di ricerca
scientifica e tecnologica), ma in particolare per la mobilità di
studio internazionale. Infatti si differenzia molto tra coloro che
compiono tutto il loro percorso universitario in uno altro Stato,
magari poi restando nel Paese di adozione per migliori
condizioni lavorative, e coloro che, attraverso i programmi
“Erasmus”, “Socrates” e “Leonardo”, vivono e studiano per un
breve periodo di tempo all‟estero. La realtà dell‟emigrazione
oggi è quindi una realtà estremamente complessa, perché è
soprattutto la globalizzazione, la veloce circolazione di capitali,
merci e persone ad aver cambiato lo scenario nel quale sono
inserite le nuove forme di mobilità spaziale degli individui.3
Conoscere le cifre sulle effettive presenze nel mondo è
importante perché permette un primo approccio nei confronti
delle comunità italiane all‟estero, molto spesso trattate con
sufficienza e noncuranza. E sottovalutare questo apporto
rischia di essere un atteggiamento miope e irrispettoso, in
quanto le nostra collettività si sono ben affermate nei vari
Paesi e come ha dichiarato il giornalista Paolo Meneghini “Il
merito della prepotente e rapida affermazione a livello
planetario dell‟Italian style lo si deve in primis ai nostri
connazionali e oriundi che vivono nei cinque Continenti”.4
Confrontare i dati per compiere un passo in avanti verso una
migliore integrazione: troppo spesso si sente parlare degli
emigrati quali persone dimenticate, la lontananza fisica ha
3
Cfr. Zygmunt Barman, “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle
persone”, Laterza, Bari, 1999
4
Articolo pubblicato dall‟agenzia di stampa Inform, 10 gennaio 2007
16
determinato un progressivo raffreddamento nei rapporti. Ma
oggi che viviamo in un mondo in cui i concetti di tempo e
spazio sono abbattuti grazie alle nuove tecnologie e ai viaggi
low cost, si dovrebbe superare ciò che per lungo tempo è
stato vissuto come un ostacolo. Anzi, dovrebbe essere
incentivato il desiderio di conoscersi di più al fine di
condividere uno scambio di ricchezze, partendo dal primo e
fondamentale legame di appartenenza all‟Italia.
17
1. L’ASSOCIAZIONISMO ALL’ESTERO. MEMORIA
DELLE RADICI ITALIANE
Un'immagine di indubbio effetto e largamente usata negli
ultimi anni, la cui origine è da inquadrare nella 2°
Conferenza nazionale dell'emigrazione (1988), ha identificato
gli italiani residenti all'estero come una grande “risorsa
strategica", creando in tal modo i presupposti per una
visione innovativa dei tratti distintivi riguardanti le
comunità italiane emigrate. In questo quadro sono state
messe a fuoco le relazioni che intercorrono tra l‟Italia e i
suoi cittadini emigrati, collocandole in un insieme di
elementi che spaziano dalla dimensione economica a
quella politica, sociale e culturale assumendole come
fattore di primaria importanza per il “sistema Italia”.
Una tale concezione ha rappresentato per molti versi una
svolta fondamentale nel rapporto tra l‟Italia e i suoi
emigrati, logorato da decenni di assoluta inconsistenza
fatta di vane promesse e di impegni mai rispettati.
Per oltre un secolo l'Italia non si è data da fare per sapere
quanti sono, chi sono, cosa fanno i suoi emigrati e soltanto
nel 1988 si è dotata, per iniziativa dell'On. Mirko Tremaglia, di
una legge per l'istituzione dell'Anagrafe degli italiani residenti
all'estero e per la loro iscrizione nelle liste elettorali.
Il valore di "risorsa strategica" attribuita agli italiani residenti
all'estero evoca con immediatezza i processi di sviluppo, che
hanno vissuto i nostri connazionali nella loro secolare
storia di emigrazione, ed anche i processi d'integrazione nei
_T "strategica" attribuita agli italiani residenti all'estero
evoca con immediatezza i processi di sviluppo, che hanno
vissuto i nostri connazionali nella
,H(1 storia di emigrazione, ed anche i processi d'integrazione nei
paesi di accoglimento, che hanno delineato ovunque non una ma
tante comunità di concittadini emigrati. La presenza dei nostri
connazionali nei cinque continenti ha subìto
i enormi in termini di quantità e qualità, facendo emergere
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,
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"strategica" attribu ta agli italian residenti all'estero evoca
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18
paesi di accoglimento, che hanno delineato ovunque non
una ma tante comunità di concittadini emigrati. La
presenza dei nostri connazionali nei cinque continenti ha
subito cambiamenti notevoli in termini di quantità e qualità,
facendo emergere accanto ai vecchi problemi un quadro di
esigenze nuove che si manifestano con rapidità e rappresentano
in terreno di sfida all'interno dell'impetuoso processo di
riorganizzazione dell'economia, della società del sapere, della
ricerca scientifica, della tecnologia e della comunicazione.
1.1 L‟associazionismo degli italiani all‟estero
Secondo un censimento del Ministero degli Affari Esteri del
1997, le associazioni italiane nel mondo sono risultate 7.426
con oltre due milioni di soci: 3.067 in Europa, 3.643 in
America, 71 in Africa, 75 in Asia e 570 in Oceania. Il loro
numero è rimasto pressoché invariato tre anni dopo (7.056),
probabilmente sulla base di una struttura rigorosa in quanto
alcune delle associazioni registrate non sono poi
effettivamente attive.
Il risultato del monitoraggio avvenuto in occasione della Prima
Conferenza degli Italiani nel Mondo tenutasi a Roma nel
dicembre 2000, mostra che la nazione con il maggior numero
di associazioni in Europa è la Svizzera (1.438), seguita dalla
Germania (645) e dalla Francia (492); nazioni le cui terre
vantano una lunga tradizione di emigrazione italiana. In
America del Nord gli Stati Uniti (969) superano il Canada
(878), mentre in Sud America l‟Argentina conta 441
19
associazioni a fronte delle 365 brasiliane. Il Sudafrica ha il
maggior numero di associazioni (64) per il continente africano,
seguito dalla Tunisia, mentre in tutta l‟Asia se ne contano
appena 15, di cui 3 in Corea e 2 in Thailandia. Infine in
Oceania è netta la prevalenza dell‟Australia (750) nei confronti
dell‟esiguo numero presente in Nuova Zelanda (5).
L‟associazionismo può essere classificato secondo diverse
tipologie, senza escludere una trasversalità tra loro:
- assistenziale: segretariati, patronati, strutture sociali e
sanitarie, tutela previdenziale e lavorativa, scuola
- culturale: biblioteche, promozione lingua e cultura
italiana
- religioso: iniziative liturgiche e socio-pastorali
- ricreativo: tempo libero, tradizioni locali, cibo, ballo,
carte, bocce ecc.
- sportivo: scuole di calcio per bambini e ragazzo,
partecipazioni a campionati ecc.
- regionale: iniziative di diverso tipo che fanno
riferimento ad una regione o ad una provincia come
base per l‟aggregazione.
Sono moltissime poi le ulteriori specificazioni di queste
tipologie adottate a livello locale per rispondere a esigenze
contingenti e concrete (ad esempio il ruolo assistenziale delle
Missioni Cattoliche Italiane in determinate realtà disagiate).
Le associazioni degli immigrati nei territori di insediamento
assicurano il collegamento con la cultura di appartenenza e
salvaguardano l‟identità degli interessati nel lungo e
problematico processo di adattamento, evitando così
l‟isolamento ed i suoi conseguenti traumi, mediando così le
20
due culture. Queste organizzazioni intermedie costituiscono
una via alla partecipazione democratica, seppure in organismi
non istituzionali, intermedi tra la società e le strutture
pubbliche poiché promuovono una gestione partecipata. E‟
forte il loro peso equilibratore perché possono favorire la
giusta composizione tra l‟identità culturale di origine e
l‟identità sociale e politica che si è chiamati a vivere in un altro
Paese.
In questa accezione, l‟associazionismo è tutt‟altro che una
realtà banale e superficiale e investe in profondità la
personalità e la vita degli immigrati. Poiché l‟emigrazione
italiana è cambiata nel tempo e si sono modificate anche le
istanze dei soggetti, è stato richiesto uno sforzo di
rinnovamento che non tutte le associazioni sono riuscite a
fare, tanto in riferimento al programma degli impegni che
all‟inquadramento della loro funzione. Il segno drammatico di
questa difficoltà è dimostrata dal fatto che le adesioni
associative provengono in grande prevalenza da anziani e da
uomini. Tra i grandi cambiamenti si riscontra una notevole
differenza tra l‟emigrazione degli operai dei primi tempi, che di
per sé era tale da favorire l‟aggregazione quanto meno in
dimensione mutualistica, e quella successiva; ma non è la sola
difformità che si nota.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono diversi i fattori che
hanno reso difficile la composizione tra vecchi e nuovi
immigrati anche relativamente alle loro forme di aggregazione:
- la frantumazione nelle diverse vie del lavoro autonomo
e imprenditoriale e la tendenza ad aggregarsi sulla
base delle esigenze professionali;
21
- l‟aumento degli immigrati qualificati interessati a legare
con i colleghi di lavoro più che con i connazionali;
- l‟insistenza sulla turnazione dei flussi da parte dei
governi europei e anche l‟interesse di parte degli
immigrati a una emigrazione temporanea;
- la maggiore incidenza delle forme associative dei
riferimenti regionali e locali rispetto all‟origine
nazionale dopo le istituzioni delle Regioni;
- il cambiamento del concetto stesso di famiglia e sei
suoi vincoli, che non ha più assicurato un legame tra le
diverse generazioni e tra chi è partito e chi è rimasto;
- la mancanza di un raccordo più funzionale tra le
finalità dell‟associazionismo e le Consulte regionali
dell‟emigrazione, nate dalla sinergia di associazioni che
hanno una presenza significativa nella storia
dell‟emigrazione italiana all‟estero.
Lo studioso Fernando J. Devoto, esperto in storia
dell‟Università di Buenos Aires, ha così definito
l‟associazionismo dei nostri emigrati nel corso di un seminario
organizzato da FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di
Ricerche sull‟Immigrazione) nel maggio 2006: “Le associazioni
etniche rappresentano una parte non trascurabile
dell‟esperienza degli immigrati. Forniscono servizi, spazi di
socializzazione, condensano molti simboli identitari e giocano
un ruolo di mediazione nei rapporti sia con la società e lo Stato
d‟arrivo, sia con il Paese d‟origine. Come ogni istituzione,
offrono una certa stabilità e garantiscono un senso di
22
continuità alle memorie e alle esperienze di una parte di
immigrati.”5
Su questi nodi problematici, a fronte di chi ha sostenuto la
validità del ruolo associativo nei confronti del paese di
accoglienza e di quello di origine, non è mancato chi ha
eccepito che le associazioni sono servite più per mantenere i
legami con l‟Italia che per favorire l‟inserimento in loco, il che
non deporrebbe a loro favore. Una riflessione più dettagliata
sulle diverse fasi dell‟associazionismo può mostrare come le
cose sono cambiate e come potrebbero cambiare
ulteriormente, presupponendo un positivo processo di
integrazione degli emigrati, favorito anche dai Paesi coinvolti.
L‟associazionismo delle prime generazioni era in prevalenza di
natura solidaristica e mutualistica e non era influenzato dalle
associazioni nazionali e dall‟intervento dei partiti, che hanno
operato solamente dopo la caduta del regime fascista. Questo
ruolo, fortemente improntato all‟assistenza, consente tuttora
alle associazioni di sopperire alle carenze delle competenti
strutture organizzative. Il fascismo insistette molto
sull‟associazionismo, non senza un discreto successo, per
assicurare il consenso presso le collettività italiane,
promuovendo attività ricreative, assistenziali e culturali
(dopolavoro, scuole, gruppi giovanili) ma insistendo
esclusivamente sul mantenimento del legame con la patria,
pregiudicando l‟integrazione in loco. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale l‟immigrazione, ripresa in maniera consistente, si è
indirizzata anche verso nazioni in cui non era radicato questo
primo associazionismo, consentendo così un‟autonomia al
5
Fondazione Migrantes, “Rapporto Italiani nel Mondo 2007”