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Par. 1 La ricerca, gli strumenti : l’intervista e il
questionario
Prima di analizzare nel dettaglio alcuni strumenti utilizzati
nella ricerca sociale e, nello specifico, nei sondaggi, è utile
definire le diverse fasi di cui si compone una ricerca standard.
Ispirandoci alla letteratura sul tema (vedi ad esempio Paolo
Natale, 2004), le fasi sono:
1) definizione dell’obiettivo della ricerca e, in altri termini, dei
nostri interessi cognitivi;
2) analisi preliminare del tema oggetto di studio. E’ necessario
conoscere profondamente il tema da affrontare sia attraverso
ricerche di sfondo storiche (vedi Lazarsfeld, 1944) sia studi-
pilota che confrontino e risolvano almeno in parte il problema
della rilevanza dei temi. La rilevanza non va, infatti, definita
solo nei termini del ricercatore ma anche, e soprattutto, nei
termini dei soggetti di studio (Pitrone, 1984);
3) definizione delle modalità della rilevazione. E’ la fase
cruciale di ogni ricerca; in questa fase si fanno le scelte
relative allo strumento (interviste faccia-a-faccia, telefoniche,
o questionari auto-amministrati), al campione, al periodo in
cui effettuare il lavoro e alla strutturazione del questionario
da somministrare;
4) predisposizione dell’insieme di domande. In questa fase si
stabilisce la forma, il tipo (aperte, semi-aperte, chiuse) e il
numero delle domande da somministrare;
5) raccolta delle informazioni secondo i termini stabiliti;
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6) registrazione, elaborazione e analisi dei risultati. Questa è la
fase della ricerca in cui si completa la costruzione del dato
(secondo le modalità definite dalla definizione operativa) e la
sua immissione nella matrice. A questo punto i dati sono
pronti per le elaborazioni consentite dal pacchetto statistico
scelto, e – principalmente- dai modelli di analisi man mano
elaborati dal ricercatore.
La frequente adozione del questionario come strumento di
indagine nel campo delle scienze sociali, assieme alla
considerevole mole di scritti metodologici, studi, ricerche e
manuali dedicati a questa tecnica non fa del questionario, e
del sondaggio in genere, lo strumento migliore: l’analisi di
documenti, la raccolta di storie di vita, l’osservazione, i
diversi tipi di inchiesta e le varie tecniche di intervista sono
altrettanto utili, laddove siano puntualmente giustificate da un
disegno di ricerca che chiarisca adeguatamente gli interessi
cognitivi che il ricercatore si è posto.
In quest’ottica il questionario può essere preferito perchè
strumento di più facile gestione, soprattutto in considerazione
dei costi, dei tempi di pretest, di somministrazione e infine di
analisi dei dati.
Secondo alcune stime addirittura il 90% delle ricerche sociali
si avvale di questionari somministrati tramite interviste
(Brenner, 198O, p. 115), con l’ausilio cioè di un
intervistatore. In considerazione del suo frequente uso, la
letteratura dedica molta attenzione all’intervista, anche come
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oggetto di studio: negli anni '60 e '70 sono comparse oltre
1.200 pubblicazioni sul tema (Trentini, 1980).
Il termine 'intervista' deriva dall'inglese interview che, a sua
volta, corrisponde al francese entrevue, participio passato del
verbo entrevoir, intravedere. Come molti altri termini, tra i
quali 'classificazione', 'misurazione', 'osservazione' 'scienza',
esso designa sia un'attività, un processo, sia il prodotto di
quell'attività (gli inglesi parlano in questi casi di process-
product equivocation) (Ryan, 1970). Non necessariamente ad
un'intervista-processo corrisponde un'intervista-prodotto; in
ambito antropologico, il ricercatore-intervistatore può anche
interrogare un informatore senza registrare affatto (se non
mentalmente) le sue risposte. Peraltro, le definizioni di
intervista si focalizzano in genere sulla prima delle due
accezioni .
Intesa come attività e nella sua accezione più ampia,
l'intervista costituisce "una forma di conversazione nella quale
due persone (e di recente più di due) s'impegnano in
un'interazione verbale e non verbale nell'intento di
raggiungere una meta precedentemente definita" (Matarazzo e
Wiens, 1972). Questa meta si può considerare di natura
cognitiva. Naturalmente, interazioni a fini cognitivi sono
presenti anche al di fuori dell'attività scientifica, nella vita
quotidiana.
Molti degli strumenti di raccolta delle informazioni nelle
scienze umane prevedono qualche forma di comunicazione
verbale tra ricercatore/i e soggetto/i studiato/i.
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Ricomprendere, però, tutte queste forme di interazione sotto
la comune etichetta di 'intervista' appare inopportuno.
Ad esempio, in un test vero e proprio, attraverso cui si
rilevano abilità e conoscenze, il ricercatore "richiede... al
soggetto una performance, cioè una dimostrazione delle sue
capacità, intellettive o pratiche" (Pitrone, 1984). L'intervista
intende invece rilevare dichiarazioni riguardo situazioni
personali, comportamenti, opinioni/ atteggiamenti — che di
per sé non possono "essere considerate giuste o sbagliate"
(Verba, 1969). L'intervista non dovrebbe, quindi, essere
percepita come un esame dagli stessi soggetti intervistati,
anche se ciò può talvolta accadere (Pitrone, 1984).
Anche se vi rassomiglia, al contrario del colloquio
psichiatrico, l’intervista non ha intenzione di modificare
opinioni, atteggiamenti o - tanto meno -comportamenti dei
soggetti studiati. Infatti, sebbene "un'intervista ben condotta...
[accresca] la consapevolezza dell'individuo su alcuni aspetti di
se stesso e del suo rapporto con l'ambiente [...], l'intervista
non nasce di solito da una richiesta del soggetto [...] e [...] il
suo fine va al di là del rapporto col soggetto medesimo, in
quanto parte dall'esigenza di raccogliere informazioni la cui
utilità si collega ai fini della ricerca" (Borsatti e Cesa-Bianchi,
1980, p. 18). Pertanto, se sono i soggetti stessi ad aver "voluto
e chiesto il contatto, si parla più propriamente di colloquio",
anziché di intervista (Trentini, 1980b, p. 7). Il colloquio
(clinico) è quindi richiesto dal soggetto con finalità non
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solamente cognitive, ma anche terapeutiche (Ancona e
Gemelli, 1959).
L'intervista in quanto strumento delle scienze umane presenta
dunque le seguenti caratteristiche:
1) ha come scopo essenziale lo studio di proprietà e quindi
atteggiamenti, opinioni, informazioni su comportamenti – non
la valutazione di capacità;
2) intende rilevare, non alterare, gli stati degli intervistati sulle
proprietà che interessano;
3) si svolge nel quadro di una ricerca — ciò la distingue da
quelle interviste che hanno carattere cognitivo, ma si svolgono
in altri contesti (ad esempio, l'intervista giornalistica) (Fideli e
Marradi, 1996).
Si ricordi che l’intervista è uno degli strumenti del sondaggio
ma non si sovrappone a questo; il concetto di sondaggio si
situa infatti a un livello di generalità più ampio,
comprendendo una serie di attività di cui l’intervista può
essere- ma non necessariamente- una fase (Pitrone, 1984)
1
.
Una relazione analoga intercorre anche tra l'intervista e altri
due modi di far ricerca delle scienze umane: la raccolta di
storie di vita e l'osservazione partecipante. Il primo modo è
1
Come sostiene Pitrone “il sondaggio si caratterizza, […], per due requisiti:
a) Il suo oggetto di studio sono gli individui, dei quali si vogliono registrare
alcune caratteristiche- ma non prestazioni o abilità specifiche- oppure si vuole
ricostruire globalmente la personalità, la struttura dei valori, la storia di vita,
etc.;
b) Le informazioni vengono chieste direttamente agli stessi individui (1986, p.17)
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caratterizzato dal ricorso sia ad interviste sia a documenti
personali come i diari (Ferrarotti, 1981); l’osservazione
partecipante implica di solito l'osservazione dei
comportamenti, verbali e non verbali, in (eventuale)
combinazione con interviste ai soggetti studiati (Foote Whyte
1979, p. 65). Secondo Schwartz e Jacobs (1979; tr. it. 1987, p.
77; anche Deutscher, 1973), "l'osservazione partecipante,
quando sia combinata con qualche tipo di intervista, offre un
modo potenzialmente efficace per indagare la corrispondenza
tra parole e comportamenti". Il ricorso, in ambito
antropologico, all'uso combinato delle due tecniche (mera
osservazione e intervista) deriva proprio dalla consapevolezza
che, qualora il ricercatore non si sia precedentemente immerso
nell'universo simbolico cui appartengono i soggetti studiati,
"l'intervista [...] costituisca di per sé una fonte inaffidabile di
informazioni" ( Benney e Hughes, 1956, p. 319).
Dal punto di vista della strutturazione, le interviste, secondo
Pitrone (1984), si differenziano per il grado di libertà e il
livello di comunicazione stabilita tra i due attori- intervistato e
intervistatore.
Marradi e Fideli (1996), articolano altri aspetti dell’intervista,
differenziandola in base a 1) la presenza o meno di un
contatto diretto (visivo) tra intervistatore e intervistato, 2) il
"grado di libertà" concesso ai due attori (anche Statera, 1982,
p. 141). In base al primo criterio si distinguono le interviste
personali (faccia a faccia) da quelle telefoniche; in base al
secondo si individuano tre forme principali di intervista (non
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strutturata, parzialmente strutturata, strutturata), collocabili
lungo un continuum che procede da un minimo a un massimo
di strutturazione sia delle domande, sia delle risposte.
Si può passare, quindi, attraverso numerose gradazioni e
combinazioni che usano spesso etichette diverse per gradi di
libertà molto simili.
Ricomponendo vari suggerimenti si può tentare una
sistemazione simile
2
:
a) intervista in profondità con un livello minimo di direttività;
b) intervista semi-strutturata;
c) intervista focalizzata su eventi specifici.
Quando a) e b) si rivolgono a soggetti specifici si parla di
intervista a “testimoni privilegiati”;
d) intervista biografica che Bichi (2002) distingue in:
1) storie di vita;
2) racconti di vita.
Quando entriamo nel versante della strutturazione si parla di
questionario del tutto o parzialmente strutturato.
L’intervista in profondità ha una traccia costituita da poche
domande generali, o addirittura da una sola domanda
introduttiva (Albano, 2006). In un ipotetico studio su come
sono cambiati i modi di fruizione della radio e della
televisione, il ricercatore può iniziare la conversazione con
una domanda semplice e generica, quale “Alla fine degli anni
2
Suggeritami della prof. Pitrone
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sessanta, quando lei era adolescente, esistevano solo la
radiofonia pubblica e la televisione: come se le ricorda…”,
cui seguiranno eventuali domande formulate nel corso
dell’intervista, per approfondire o chiarire alcuni aspetti legati
a quegli anni, per guidare la memoria dell’intervistato, o
anche solo per mostrare interesse al racconto e ravvivare la
motivazione del soggetto a partecipare all’intervista.
Il principio regolatore sembra, quindi, essere la centralità
dell’intervistato (Montesperelli, 1997): tendenzialmente tutto
ciò che egli dice è prezioso e va registrato; sono importanti
anche le modalità di espressione, dalle forme linguistiche fino
al linguaggio non verbale. Il ricercatore parte dal presupposto
di conoscere molto poco il mondo dell’intervistato; perciò,
tramite l’intervistatore, deve tenere, il profilo più basso
possibile, quasi defilarsi (Montesperelli, 1997). Peraltro
l’intervistatore riveste un ruolo decisamente strategico. Si
tratta di un compito discreto ma fondamentale, simile a quello
“maieutico” (Marradi, 1987).
La necessità di far partecipare in misura particolarmente attiva
l’intervistato, di raccogliere tutto ciò che questi esprime, di
condurre in maniera molto flessibile l’intervista, spiegano la
natura non direttiva della stessa (Montesperelli, 1997)
3
.
Anche secondo Cardano (2003) la conduzione delle interviste
non direttive deve aiutare l’intervistato a costruire liberamente
il proprio discorso. Necessario per l’Autore, quindi, l’ascolto
attivo da parte dell’intervistatore (Cardano, 2003).
3
Al proposito Dollard (1935) ha proposto un vero e proprio vademecum
14
Il ruolo dell’intervistatore, nelle interviste non direttive, può
muoversi tra due polarità: quella dell’intervistatore “coautore”
e quella dell’intervistatore “neutrale” (Bailey, 1982).
Semplificando, nel primo caso, tra l’intervistatore e
l’intervistato si sviluppa una relazione empatica, al limite
della confidenza, che porta ad un’intervista a due voci,
continuamente alternate. Nel secondo caso, invece,
l’intervistatore tende a comportarsi quasi come nell’intervista
standardizzata: si mostra interessato ma distaccato, limita il
suo intervento verbale al minimo necessario, “cercando di
minimizzare, per quanto possibile, la reattività della tecnica”
(Albano, 2006). Utile in questo caso sembra essere la tecnica
“ad eco” che consiste nel ripetere una frase (non
necessariamente l'ultima) pronunciata dall'interlocutore che
sembra significativa e adatta a riaprire la comunicazione
(Cardano, 2003), ponendo eventualmente domande di
approfondimento (probes) su questo o quel punto
(Foote Whyte, 1984).
In merito al ruolo dell’intervistatore nelle interviste non
direttiva si è espresso anche Frudà (2002); secondo l’Autore
l’intervistatore “deve ascoltare l’intervistato con pazienza e
amichevolmente ma anche in modo intelligentemente critico;
non deve mostrare alcuna specie di autorità; non deve offrire
alcun consiglio o ammonimento morale; non deve discutere
con l’intervistato; deve parlare o fare domande solo a certe
condizioni: per aiutare la persona a parlare, per dissipare ogni
timore o paura da parte dell’intervistato che possa influenzare
15
il rapporto con l’intervistatore, per apprezzare l’intervistato
che racconta i suoi pensieri e sentimenti con accuratezza, per
indirizzare la conversazione su qualche argomento che è stato
trascurato, per discutere presupposti rimasti impliciti.”
4
Le interviste semi-strutturate, definite anche “tracce di
intervista” (Losito, 2004) consistono in una lista di domande
da utilizzare in una conversazione decisamente molto più
simile a quelle che caratterizzano la comunicazione
interpersonale nella quotidianità. Sebbene la sequenza di
argomenti da proporre può essere predefinita, succede,
tuttavia spesso, che nel corso dell’intervista l’ordine
prestabilito venga ridefinito sulla base del feedback
dell’intervistato.
Quanto debba essere dettagliata o flessibile la traccia dipende
dal tipo di ricerca in cui questo strumento viene utilizzato. Un
fattore decisivo è rappresentato dalla delicatezza
dell’argomento. Per fare un paio di esempi: l’intervista ad
adolescenti sui modi parlare con genitori, insegnanti e amici
dei propri orientamenti sessuali, o di altri aspetti intimi,
richiede un basso grado di strutturazione della traccia per
evitare che frequenti interruzioni e domande possano inibire le
risposte o creare situazioni di disagio e imbarazzo;
4
C. Wright Mills ha utilizzato interviste libere di questo tipo (raccolte in proprio o da
altri ricercatori) per due dei suoi più conosciuti scritti: “I colletti bianchi” (1951) e
“L’elite del potere” (1956)
16
un’intervista agli stessi sulle modalità di uso del telefonino
può invece essere tranquillamente più strutturata
5
.
Montesperelli (1997; 2005) descrive l’intervistatore che
conduce questo tipo di interviste non direttive come “persona
discreta, con funzioni maieutiche, che sa ascoltare davvero”.
Secondo l’autore il tipo di approccio da adottare per questo
tipo di interviste deve essere di tipo induttivo; la conduzione
simile alla conversazione quotidiana; bisognerebbe evitare
“chiacchiere”; considerare tutto ciò che dice l’intervistato
come prezioso; al termine dell’intervista la trascrizione dei
videotape, delle registrazioni o degli appunti deve essere il più
possibile completa e funzionale agli obiettivi della ricerca
(Montesperelli, 2005).
Ulteriore tipo di intervista semi-strutturata è quella “su
eventi circoscritti”. Esempio celebre è la ricerca condotta da
Robert Merton nel 1943, che aveva come oggetto la
definizione e la classificazione degli opinion leaders e le loro
interazioni nella comunità di Rovere, nel New Jersey (Merton,
1949). Questa ricerca venne poi ripresa successivamente da
Katz e Lazarsfeld (1955).
Secondo la descrizione che ne danno Merton, Fiske e Kendall
(1956): “innanzitutto, le persone intervistate devono essere
state coinvolte in una situazione particolare: hanno visto un
film, ascoltato un programma radiofonico, letto un volantino,
5
Esempi tratti dalla mia personale esperienza di intervistatrice telefonica.
17
un articolo o un libro, preso parte ad una situazione sociale
che è stata osservata dal ricercatore, anche se non l’ha
prodotta sperimentalmente (ad esempio una manifestazione
politica, un rito oppure una sommossa). In secondo luogo, gli
elementi, gli schemi, i processi e la struttura totale di questa
situazione che per ipotesi sono significativi, sono stati
preventivamente analizzati dallo scienziato sociale. Attraverso
questa analisi della situazione o del contenuto, egli è
prevenuto ad una serie di ipotesi sulle conseguenze di
determinati aspetti della situazione per le persone che vi sono
state coinvolte. Sulla base di questa analisi, egli compie il
terzo passo che consiste nell’elaborazione di una traccia di
intervista, che delinea le aree principali di indagine e le
ipotesi, tale da poter funzionare da criterio di rilevanza per i
dati da raccogliere nell’intervista. […] L’insieme delle
risposte alla situazione contribuisce al controllo delle ipotesi
e, nella misura in cui include risposte non previste, dà origine
a nuove ipotesi per un’indagine più sistematica e rigorosa”
(Merton, Fiske e Kendall, 1956, pag. 3-4).
Come anticipato, quando si ricercano pareri e informazioni da
persone in posizione-chiave rispetto al problema studiato, si
parla di interviste a “testimoni privilegiati”, (Marbach,
2000).
Proprio per queste caratteristiche degli intervistati, si
privilegia l’uso di una traccia flessibile che l’intervistatore
adatterà di volta in volta alle esigenze di conoscenza, e agli
spunti forniti dall’intervistato-testimone.
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Ultimo tipo di interviste non strutturate sono le interviste
biografiche, divise in storie di vita e racconti di vita.
La persistenza di una visione di stampo scientista ha a lungo
penalizzato la ricerca non standard
6
. Ma recuperando l’analisi
della scuola di Chicago, negli anni ’70 Bertaux (1976)
rivendicò l’autonomia di quell’insieme di modi di intendere il
“fare ricerca” che la Bichi chiama “Campo Biografico”
(Bichi, 1999), nel quale confluiscono posizioni teorico-
epistemologiche diverse che sembrano avere in comune solo
il fatto di non utilizzare come strumento empirico di
rilevazione il questionario strutturato.
Una storia di vita, secondo la Atkinson (1998) è la storia
raccontata quanto più completamente e onestamente
possibile; è costituita da tutto ciò che la persona intervistata
ricorda della sua vita e dagli aspetti di questa che vuole che
gli altri conoscano. Alla stessa maniera anche Olagnero e
Saraceno (1993) definiscono una storia di vita come un
“insieme organizzato in forma cronologica-narrativa,
spontaneo o pilotato, esclusivo o integrato con altre fonti, di
eventi, esperienze, strategie relativi alla vita di un soggetto e
da lui trasmesse direttamente, o per via indiretta, a una terza
persona”.
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Marradi (2007) distingue tra i vari approcci alla scienza due famiglie e un insieme.
L’approccio standard consiste “nel formulare asserti su relazioni fra proprietà che non
dipendono da conoscenze e valutazioni personali” mentre quelli non standard “non
possono prescindere dalle conoscenze personali; gli oggetti studiati sono soggetti e le
loro opinioni sono rilevanti” (Marradi ,2007, p. 90).