farmacologia. Le raccomandazioni emanate dall’OMS del
1993 prevedono i seguenti criteri:
- La RC deve costituire parte integrante del trattamento
a lungo termine di tutti i pazienti cardiopatici;
- Il programma deve essere elaborato e condotto da
personale competente e dedicato;
- Deve essere sollecitato il coinvolgimento dei familiari;
- I programmi devono essere attuati in centri specifici o
all’interno di dipartimenti ospedalieri;
- Devono prevedere un controllo per la loro efficacia.
Il paziente
con cardiopatia cronica o post-acuta
(riconducibili ad eventi cardiaci acuti o a interventi
cardiochirurgici)
è il candidato naturale alla riabilitazione
cardiologia. Quest'ultima consiste nell'insieme delle
attività clinico-strumentali e fisico-psicologiche volte a
garantire la ripresa della normale vita attiva nelle migliori
condizioni possibili proporzionalmente alla situazione
clinica in atto. Per ottenere ciò' occorre che la conoscenza
della situazione clinica sia completa, tenendo sotto
controllo vari fattori che potrebbero condizionare il
reinserimento del paziente nella società. Quindi
individuare la presenza di ischemia miocardica,
conoscere la funzione di pompa del muscolo cardiaco o il
potenziale aritmico diventano requisiti indispensabili per
poter procedere nei comuni programmi di riabilitazione.
Questi aspetti appena elencati, solitamente vengono già
studiati nei reparti di degenza ordinaria ma possono
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essere ulteriormente chiariti durante la permanenza nelle
strutture di riabilitazione di tipo estensivo.
Qualsiasi intervento cardio-chirurgico, anche se non
complicato, determina modificazioni muscolari, posturali
e respiratorie che influenzano negativamente la capacità
funzionale del paziente.
Indipendentemente dall’intervento chirurgico, già la sola
ospedalizzazione che precede e segue l’operazione
decondiziona la muscolatura scheletrica, con una
diminuzione del VO2 max pari a circa il 20% del valore
iniziale dopo 10 giorni di degenza. Tale decremento è
legato sia a fattori centrali (riduzione della gittata
sistolica) che periferici (ridotte massa e capillarizzazione
muscolare con perdita di potenziale ossidativo
enzimatico). Dopo l’intervento, inoltre, la postura è
modificata da atteggiamenti antalgici volti a:
1) Tentare di riavvicinare i lembi dell’incisione sternale e
di limitare le algie toraciche (conseguenti all’asportazione
dell’arteria mammaria interna);
2) Evitare sollecitazioni sulla ferita (da safenectomia
durante la deambulazione).
Infine, la funzione respiratoria è condizionata da
alterazioni conseguenti all’anestesia ed alla ventilazione
artificiale (ridotta ventilazione alveolare, irritazione della
prime vie aeree, minor eccitabilità dei centri del respiro e
della tosse) o a possibili disfunzioni iatrogene del nervo
frenico (paresi con sollevamento emidiaframmatico).
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L’insieme di questi fattori, unito ad eventuali
complicanze, limita la tolleranza all’esercizio del paziente
recentemente cardio-operato, rendendo necessario un
programma di riabilitazione progressivo basato su
pratiche fisioterapiche e di training aerobico.
Gli scopi della fisioterapia nel paziente recentemente
cardio-operato sono quindi:
- Garantire un’adeguata ventilazione polmonare;
- Agevolare la rimozione dell’eccesso di secrezioni a
livello delle vie aeree;
- Prevenire la trombosi venosa postoperatoria;
- Mobilizzare gli arti superiori ed inferiori;
- Prevenire e correggere i difetti della postura;
- Migliorare la tolleranza allo sforzo e favorire il
ricondizionamento fisico.
Le tecniche a disposizione del fisioterapista per il
raggiungimento di questi scopi sono molteplici.
Nel paziente cardio-chirurgico il primo intervento
fisioterapico avviene prima dell’intervento chirurgico
attraverso un protocollo preoperatorio che distingue i
pazienti a seconda del grado di rischio postoperatorio
(PO) a cui possono andare incontro, se il rischio è basso
ad essi viene spiegato il tipo di intervento e vengono
educati agli esercizi respiratori, al ciclo attivo della
respirazione e ai cambi posturali; se il rischio di
complicanze postoperatorie è alto, a causa della presenza
di fattori di rischio quali fumo, patologie respiratorie
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pregresse, possono essere effettuati delle sedute
preliminari di trattamento (almeno a circa 15-20 giorni
prima dell’intervento) comprendenti training fisico,
rimozione delle secrezioni bronchiali, esercizi respiratori
e spirometria incentivante oltre a incontri educativi
riguardanti l’ huffing e la tosse controllata.
L’attività fisioterapica post-intervento comprende sempre
questo distinguo fra paziente a basso o alto rischio (non
complicato/complicato) e viene applicata in modo
equivalente distinguendo solo i tempi e l’intensità degli
interventi. Infatti, mentre il paziente con basso rischio PO
(non complicato) in 1° giornata postoperatoria può già
essere posizionato parzialmente semiseduto sul letto (a
causa dei drenaggi), e può lavorare quasi autonomamente
con esercizi respiratori e di respirazione profonda e tosse;
il paziente con alto rischio PO (complicato cioè con una o
più tra atelettasie, ostruzioni bronchiali, insufficienza
respiratoria, ipossemia) potrà essere ugualmente messo in
posizione semiseduta ma il trattamento dovrà essere
suddiviso in più sedute all’interno della giornata,
(trattamento intensivo) e dovrà essere mirato alle
problematiche esistenti. I giorni successivi al primo
porteranno le due tipologie di pazienti a passare in
posizioni più favorevoli per una corretta respirazione,
seduti bordo letto, in poltrona e quindi in piedi e nello
schema di trattamento verranno man a mano aggiunti
esercizi ricondizionanti utili per preparare il paziente alla
successiva fase riabilitatoria (post-acuta), tenendo sempre
in considerazione che il paziente con alto rischio avrà
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necessità di interventi riabilitativi più frequenti e mirati
durante la giornata rispetto al paziente a basso rischio.
Tra questi interventi efficaci per i pazienti con varie
patologie respiratorie sarà molto importante il
posizionamento, per favorire una clearance polmonare
adeguata, e le tecniche di espansione e di disostruzione
bronchiale, basate sugli esercizi di respirazione profonda
e/o utilizzo di incentivatori di flusso e di volume nonché
sull’utilizzo di pressioni positive (PEP-mask).
Quest’ ultima applicazione periodica di una pressione
positiva si è rapidamente diffusa e ha sostituito la
fisioterapia convenzionale, nella prevenzione e nel
trattamento delle più frequenti complicanze
postoperatorie. La genesi delle complicanze PO va
principalmente ricercata nella diminuzione dei volumi
polmonari, in particolar modo della capacità funzionale
residua (FRC). L’applicazione della PEP, aumentando la
pressione all’interno delle vie aeree, previene la chiusura
delle piccole vie aeree e facilita la riespansione degli
alveoli collassati attraverso la ventilazione collaterale: si
ha in questo modo un aumento della FRC e
conseguentemente una migliore ossigenazione attraverso
un miglior rapporto ventilazione/perfusione e una
diminuzione dell’effetto shunt.
Oltre all’applicazione della PEP-mask sono parte del
ciclo attivo della respirazione l’ huffing, cioè una serie di
inspirazioni profonde seguite da espirazioni forzate a
bocca e glottide aperta, e la tosse guidata, utile per
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espellere eventuali secrezioni prossimalizzate grazie alle
due precedenti tecniche.
Una causa molto frequente di tosse scarsamente efficace è
il dolore postoperatorio, che impedisce al soggetto di
esercitare adeguate pressioni intratoraciche; questo
inconveniente non può essere completamente eliminato,
ma può essere alleviato con un’adeguata
somministrazione di antidolorifici.
Il programma di mobilizzazione precoce utilizzato per la
prevenzione di trombosi venose PO, mobilizzazione del
cingolo scapolo-omerale e per una ripresa precoce della
stazione eretta e della deambulazione, si basa su una serie
di esercizi studiati in modo da ricondizionare i vari
distretti muscolari e da preparare il paziente per la fase
riabilitativa successiva.
Attualmente all’interno di un protocollo riabilitativo in
cardiochirurgia è stata sperimentata l’applicabilità e gli
effetti dell’ EzPAP (Easy Positive Airway Pressure),
nuovo sistema a pressione positiva generata ad alti flussi,
per il trattamento delle atelettasie e delle broncostruzioni
postoperatorie. Il sistema EzPAP è un dispositivo di
ventilazione a pressione positiva capace di amplificare di
quattro volte il flusso inspiratorio dato al paziente
proveniente da una fonte di ossigeno integrata da aria
ambiente. Il sistema si differenzia dalla PEP per il
mantenimento di una pressione positiva nelle vie aeree
durante l’intero ciclo ventilatorio, in inspirazione ed in
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espirazione senza mai scendere al di sotto dello zero.
L’esercizio con EzPAP offre inoltre il vantaggio di non
indurre fatica; il paziente infatti deve respirare un
quantitativo d’aria pari al volume corrente rilasciando la
gabbia toracica, senza dunque mettere in atto movimenti
impegnativi sotto il profilo del reclutamento muscolare.
Gli studi sull’efficacia dell’ EzPAP sono comunque in
costante aggiornamento e ancora non esiste un protocollo
definitivo per l’uso di tale ausilio.
Secondo le conclusioni di studi recenti, i compiti del
fisioterapista nell’area di intervento postoperatorio
dovrebbero essere concentrati su quei pazienti che fanno
parte di categorie a rischio elevato o che sviluppano
complicanze polmonari, oltre che su un attento
monitoraggio delle condizioni cliniche dei pazienti
sottoposti a interventi di chirurgia importanti.
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