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Introduzione
Gli immigrati sono anche i nuovi cittadini e per loro
serve un progetto più deciso di integrazione che,
banditi definitivamente xenofobia e razzismo, rimedi
alle vessazioni di tipo burocratico, elimini le disparità,
finanzi le attività di supporto all’integrazione (…), in un
contesto societario unitario quanto ai valori e alle regole
ma rispettoso delle diversità culturali e religiose
1
In un mondo così diversificato ed eterogeneo porsi il problema dello sviluppo di una politica
d’integrazione è fondamentale, non solo perché affronta una questione attuale all’interno
dell’Unione europea, ma anche perché contribuisce a superare le difficoltà nel percorso verso una
società più giusta ed equilibrata.
Come è opportuno sottolineare, anche se il fenomeno dell’integrazione si è affermato a pieno solo
in questi ultimi anni, tuttavia il problema del conferimento di diritti per gli individui stranieri
provenienti da Paesi extraeuropei si è cominciato a porre alcuni decenni dopo la firma dei primi
trattati CEE, CECA ed EURATOM, a partire dunque dagli anni ’80 in poi.
Nel primo capitolo, infatti, tratto dell’importanza del cammino compiuto da quella che oggi è
chiamata Unione europea, ma che fino a 50 anni fa non possedeva ancora gli strumenti necessari a
definire il processo d’inclusione degli stranieri.
I primi slanci positivi giunsero dalle istituzioni europee, che si impegnarono, anche se all’inizio con
difficoltà, a regolare l’afflusso di stranieri da altri Paesi, ma si trattava soprattutto di norme atte a
regolamentare invece che a permettere l’accesso e la conseguente integrazione. Infatti, norme sulla
convivenza non furono approvate finché non fu chiara la distinzione tra lavoratori migranti,
provenienti da altri Stati europei non ancora membri, le cui esigenze erano strettamente riguardanti
l’attività economica, che prestavano in un Paese comunque vicino, e i migranti cui invece sarebbe
stato opportuno concedere qualcosa in più della libertà di movimento per questioni riguardanti il
mercato del lavoro.
Indubbiamente, le cose cambiarono con l’istituzione dell’Unione europea nel 1992, anche se in
materia d’immigrazione gli sviluppi più considerevoli si ebbero solo con l’adozione dei primi
programmi sull’immigrazione legale ed il conferimento di diritti agli stranieri, cioè solo dopo che
con il trattato di Amsterdam si era aperta una stagione legislativa che avrebbe segnato la svolta: non
più solo norme per gli europei, ma anche libertà di movimento oltre i confini europei.
1
Caritas/ Migrantes, Immigrazione. Dossier Statistico 2005, Idos, Roma, 2005.
5
Nel primo capitolo espongo anche il progressivo passaggio ad una politica d’immigrazione che si
occupi di attribuire agli stranieri il diritto di cittadinanza, l’accesso a servizi pubblici, la giustizia e
soprattutto i diritti fondamentali, sulla scia della Carta dei diritti fondamentali e del programma
dell’Aia; tratto, poi, della concessione dell’asilo e dell’accoglienza, come auspicato dal Patto
europeo, che tuttavia concerne il controllo dell’immigrazione in generale.
Vale la pena sottolineare, però, che solo con il trattato di Lisbona si assiste ad una progressiva
concessione di opportunità nel campo sociale, economico e giuridico per i migranti: infatti, il nuovo
trattato oggi in vigore, è l’oggetto del secondo capitolo, dove discuto le principali innovazioni
giuridiche, gli obiettivi e le priorità per quanto concerne la politica d’integrazione, che ha consentito
l’approvazione di nuove iniziative in materia, attuabili solo con la volontà delle forze politiche
nazionali oltre che istituzionali.
Un altro obiettivo del mio lavoro è quello di analizzare le dinamiche principali che hanno portato
alla definizione di un nucleo di norme focalizzato, non più solo sulla definizione della politica
d’immigrazione come strumento efficace per consentire l’accesso agli stranieri, ma anche sul
conseguimento di pratiche volte ad una maggiore partecipazione sociale.
Infatti, anche se il trattato di Lisbona è entrato ufficialmente in vigore nel 2009, tuttavia, già poco
tempo prima nell’Unione stavano cominciando a definirsi gli strumenti della politica di coesione e
di solidarietà sociale, che si è sviluppata su due piani: il primo che concerne l’affermazione di uno
sviluppo equilibrato ed efficiente nel settore economico di Stati e regioni dell’Unione europea per
promuovere il buon esito di azioni e programmi comunitari, il secondo piano che concerne gli
interessi dei migranti, che è ancora oggi in continua evoluzione, dati i cambiamenti in atto. Del
resto, non è un caso che solo con l’entrata in vigore di Lisbona si sia reso possibile lo sviluppo di
una politica basata sulla promozione della parità di diritti tra individui europei ed extraeuropei,
anche grazie all’affermazione della Carta dei diritti, il cui valore giuridico di fatto si è consolidato
solo con l’entrata in vigore del trattato.
A questo proposito, vale la pena ricordare che anche le istituzioni europee hanno cominciato a
promuovere la politica d’integrazione a partire dal 2008, quando in Commissione europea si è
passati a norme non più basate solo sulla sicurezza, ma anche sullo sviluppo economico e sociale,
attraverso il lancio di programmi che si occupano sia dello sviluppo economico che di quello
generale, come affermato dalla stessa Strategia di Lisbona del 2000, che aveva auspicato
l’affermazione di più risorse e migliori posti di lavoro in Europa prima e nei Paesi vicini poi.
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Un altro tema cui attribuisco molta importanza è il ruolo delle istituzioni e dei vari organismi, che in
questo contesto è ancora molto importante, infatti, sia il Comitato economico e sociale dell’Unione
che le istituzioni, tra cui il Consiglio europeo, hanno a questo proposito posto l’accento sul modo in
cui la politica d’immigrazione europea può occuparsi finalmente anche dello sviluppo personale dei
migranti, focalizzandosi sulle priorità da attuare nell’immediato. In effetti, sulla base della politica
sociale, occorre garantire ad essi standard di vita più elevati, nonché dar loro l’opportunità di poter
partecipare attivamente alla vita quotidiana attraverso una costante analisi delle dinamiche socio-
economiche, fornendo loro finalmente tutti i diritti garantiti agli altri lavoratori, come ad esempio la
mobilità, nonché diritti essenziali come quelli strettamente legati alla pensione, alla malattia e alla
vecchiaia; tutti diritti che non sono stati concessi negli anni in cui l’Unione riteneva di doversi
occupare prima dei propri membri attraverso la politica d’immigrazione.
Ancora oggi, però, ci sono fenomeni come il lavoro sommerso ed illegale, che restano impuniti in
molti Paesi europei. Tuttavia, l’evoluzione delle politiche all’interno dell’Unione europea è stata
significativa. Un ruolo molto importante nello sviluppo delle norme sulla partecipazione dei
migranti alla società europea è stato possibile anche grazie al contributo di alcuni Fondi, come
quello sociale europeo e quello sull’integrazione, che sono lo strumento per far sì che le politiche
comunitarie vengano adottate anche nei singoli Stati membri, che sono ancora moto refrattari a
cedere tutte le proprie volontà per questioni che riguardano ad esempio l’asilo stesso.
Inoltre, nel secondo capitolo accenno anche alle prime strategie a favore dell’integrazione dei
migranti in alcuni contesti della vita sociale, come ad esempio nelle scuole. Ciò è stato possibile
anche grazie a programmi comunitari specifici volti, non solo a promuovere la diversità in generale,
ma anche ad appianare le differenze tra le scuole e le università europee, come fa ad esempio il
progetto Erasmus, che menziono nel terzo capitolo.
Nel terzo capitolo, sono oggetto di analisi gli obiettivi dell’Unione europea in materia
d’integrazione, dando particolare importanza soprattutto alla rinnovata Agenda per l’integrazione su
cui la Commissione punta molto, affinché sia dato più spazio alle iniziative volte ad abbattere le
barriere sociali. A questo proposito, mi soffermo soprattutto sull’importanza di alcune attività volte
ad imprimere nei cittadini europei la consapevolezza della necessità di una maggiore solidarietà
sociale, per consentire all’Europa di crescere in maniera più veloce.
Tale obiettivo deve essere raggiunto sia da un punto di vista economico, sconfiggendo
definitivamente la disoccupazione, che da un punto di vista sociale, in quanto tra gli Stati europei
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sono ancora forti le disuguaglianze sociali e culturali e sono ancora molti i migranti che non
riescono a conseguire un elevato grado di istruzione.
Una delle principali questioni su cui mi soffermo particolarmente è proprio la promozione di livelli
d’integrazione più adeguati per eliminare quei divari presenti tra gli individui, che accrescono
segregazione, razzismo e sentimenti di ostilità diffusi negli Stati membri. Come spiegherò, nel
contesto della rinnovata Agenda sono stati inoltre implementati strumenti e principi volti a
monitorare se l’iniziative nel contesto dell’integrazione sono svolte efficacemente.
Analizzo, inoltre, i principali programmi volti a promuovere l’integrazione, la diversità culturale ed
etnica, che eliminano gli ostacoli alla coesione sociale, nonché i programmi volti ad implementare
lo sviluppo economico delle città colpite da fenomeni di degrado sociale e di ghettizzazione.
Menziono anche le attività promosse nel contesto dell’Anno europeo per la lotta alla povertà e
all’esclusione sociale nel 2010, anche perché i progetti messi in atto sono ancora oggi uno dei
principali strumenti per ottenere un dialogo aperto e costante con le autorità promotrici delle
iniziative; anche il ruolo delle organizzazioni a favore della partecipazione dei migranti nelle
società europee che li hanno integrati costituisce un altro nodo centrale delle iniziative oggi in
corso.
Sostengo poi la tesi che l’impegno costante delle istituzioni e degli organismi dell’Unione europea
ha reso possibile sfide che fino a pochi anni fa erano impossibili negli Stati membri, come la
costituzione di uffici per l’informazione sul progresso del processo di integrazione, che s’ispirano ai
punti di contatto nazionale voluti in Commissione e che sono utili perché favoriscono la
partecipazione nei vari contesti sociali e indicano anche ai singoli cittadini quali siano le soluzioni
migliori e le sfide da affrontare per costruire una società sempre più democratica.
A riguardo, la partecipazione sociale si accresce anche attraverso il coinvolgimento in processi di
aggregazione, come ad esempio lo sport, su cui la Commissione sta puntando molto ultimamente ed
anche iniziative per promuovere la mobilità dei giovani sia cittadini europei che stranieri, al fine di
rafforzare la cultura, la formazione universitaria e professionale, fattori che consentono di
accelerare il processo di integrazione.
Infine, concludo il mio lavoro accennando al fatto che in alcuni Stati membri si stanno
concretamente attivando iniziative e progetti per integrare i migranti, che hanno luogo su base
strettamente locale e nazionale, come accade in Belgio ed in Olanda già da tempo, cosa che in altri
8
Paesi non è possibile, in quanto sono ancora troppe le resistenze riguardo a soluzioni in favore delle
persone emarginate. E questo sarà l’obiettivo vero dei prossimi anni.
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CAPITOLO I : IL CAMMINO VERSO UNA POLITICA
D’IMMIGRAZIONE EUROPEA
1.1 La costruzione europea negli anni successivi all’approvazione dei trattati
istitutivi
Come sappiamo, l’Europa ha sviluppato nel corso del tempo nuovi obiettivi e nuove priorità: basti
pensare all’evoluzione che ha subito da semplice spazio costituito per accelerare l’integrazione
economica a luogo dove pian piano sono emerse nuove esigenze, soprattutto per quanto concerne
l’affermazione di diritti fondamentali e di principi costitutivi di una democrazia occidentale.
Questo percorso è stato intrapreso in maniera molto graduale: inizialmente l’obiettivo era di
ricostituire l’economia colpita dalle guerre mondiali e dalle ostilità tra i vari Stati, anche se già con
l’approvazione dei primi tre trattati, specie quello della CEE, ci si avviava verso un sistema basato
sull’integrazione in chiave economica, ma anche sociale.
Il termine integrazione ricorre spesso nel sentiero di evoluzione dell’Europa, tant’è che essa
costituisce il pilastro fondamentale della Comunità europea, costituita nel 1957, perché l’obiettivo
primario era garantire una costruzione di tipo economico, che avrebbe portato, poi, alla definizione
della politica d’immigrazione comune con il dispiego di molte energie. La “Comunità economica
europea non aveva una competenza formale in materia di politiche d’immigrazione”
1
.Infatti, essa
inizialmente non fu prevista dai primi trattati, in quanto si preferì lasciare agli Stati le prerogative
individuali in materia, anche tenendo in considerazione il quadro internazionale tracciato dalle varie
convenzioni e dagli accordi, che coprivano tutte le materie concernenti l’immigrazione.
Occorre sottolineare che l’esigenza principale era quindi quella di rimettere in moto lo sviluppo
economico di quel mercato comune, dove appunto avrebbe avuto luogo “l’eliminazione degli
ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”
2
, come fu più
avanti fissato nel trattato sulla Comunità europea del 1957; naturalmente, l’accezione di libera
circolazione era rivolta esclusivamente ai cittadini degli Stati membri. Da ciò si deduce che non
1
L. Manca, L’immigrazione nel diritto dell’Unione europea, Giuffré, Milano, 2003, pag. 11.
2
Cfr. art. 3 lettera c) Trattato CEE.
10
esisteva affatto una politica d’immigrazione, né tantomeno se ne poteva parlare in chiave
essenzialmente europea, in quanto l’unica politica possibile in quel momento era quella concernente
il processo d’integrazione, anch’essa limitata, nei primi decenni, da particolari interessi ed era
prevalentemente intra-comunitaria “riguardando sostanzialmente lavoratori provenienti dall’Italia;
l’immigrazione proveniente da stati terzi cominciò ad assumere rilievo solo negli anni settanta del
secolo scorso”.
3
Infatti, all’inizio le migrazioni si concentravano esclusivamente all’interno della
sfera europea, escludendo qualsiasi flusso di stranieri extraeuropei, ma anche perché gli stessi
europei erano interessati da problemi di carattere sostanzialmente economico, data la congiuntura
sfavorevole costituita dalla due guerre mondiali.
Infatti, come rileva un documento redatto dal Consiglio d’Europa, l’Europa così come si è costituita
nel corso dei decenni è il risultato di una serie di movimenti migratori interni, che ne hanno
consentito la struttura odierna. Basti pensare che, anche se le migrazioni a partire dagli anni ’50 e
’60 videro come protagonisti i lavoratori provenienti sia dall’Europa meridionale che dall’Africa
per carenza di manodopera europea, tuttavia una “massiccia immigrazione si verificò anche in molti
Paesi europei come conseguenza diretta del processo di decolonizzazione: la maggior parte degli
immigrati post- coloniali ha origini extra-europee. (…) Gli immigranti post- coloniali e i cosiddetti
lavoratori ospiti hanno subito un arresto nella prima metà degli anni ‘70”.
4
In effetti, i movimenti
migratori erano di due tipi: l’uno al di fuori del raggio europeo, ma connaturato alle necessità
economiche e di manodopera e quello interno, che rilevava l’esigenza di trasferimenti di tipo
economico-sociale tra i vari Stati europei, possibile attraverso i lavoratori ospiti, che in sostanza
erano sempre di origini europee.
In particolare, anche se i migranti “ospiti” provenivano un po’ da tutti i Paesi europei, nello
specifico dall’Italia verso il Belgio ad esempio, tuttavia i flussi che più si registrarono in quegli anni
erano per lo più da Stati come la Spagna ed il Portogallo, che costituiscono un caso a sé stante, in
quanto, non ancora membri della Comunità europea, vi aderirono solo nel 1986.
Nello specifico, l’immigrazione in Spagna era trattata in maniera molto eterogenea, in quanto la
legislazione statale “fino alla metà degli anni ottanta, risultava piuttosto frammentaria in tema di
immigrazione e la maggior parte delle norme riguardava il fenomeno opposto, ovvero l’emigrazione
3
M. Codinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Giuffrè, II ed.
Milano, 2006. pag. 251.
4
Consiglio d’Europa, Relazioni intercomunitarie ed etniche in Europa, Rapporto finale del Progetto per le
relazioni intercomunitarie del Consiglio d’Europa, Strasburgo 1996, pag. 6.
11
spagnola in altri paesi”
5
. Con la prospettiva delle futura adesione alla Comunità, nel 1985 le norme
si fecero più restrittive: infatti, in quella data fu approvata una legge che riguardava le libertà e i
diritti degli stranieri in Spagna e che interessava anche gli immigrati spagnoli. Questa legge
organica imponeva un regime particolarmente restrittivo in materia migratoria perché mirava a
ridurre non solo il flusso degli stranieri nel Paese soprattutto africani, alla stregua di quanto
accadeva negli Stati comunitari, ma anche in tutta l’Europa perché la Spagna costituiva una zona di
transito verso altri Paesi comunitari. “L’iniziale inesperienza in materia dei governi spagnoli li
spinse ad accettare le linee suggerite da altri paesi con una tradizione di immigrazione più antica,
come la Germania, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna i quali si preoccuparono di stabilire dei rigidi
limiti all’entrata”
6
.Quindi, nei primi tempi la Spagna si impegnò a frenare il massiccio esodo di
extraeuropei verso il Paese, anche se questo fenomeno colpiva molto di più gli altri Stati, anche se
in seguito “questo tipo di politica non può però essere sostenuta proprio a causa della particolare
posizione geografica e del ruolo che la Spagna occupa nelle rotte migratorie, il che portò ad
un’applicazione piuttosto flessibile della legge”
7
.
Inoltre, anche la situazione del Portogallo, come testimoniato, fu abbastanza particolare, in quanto
“importanti travasi di popolazione hanno riguardato l’esperienza coloniale di questo Paese”
8
.
Infatti, il Portogallo, alla stregua di tutti gli altri Paesi ha conosciuto differenti movimenti migratori,
in primo luogo quelli costituiti dal movimento di individui provenienti da altri Paesi extraeuropei, in
secondo luogo quelli sicuramente più interessanti della metà degli anni ’60: “sono le migrazioni
verso l’Europa a prendere il sopravvento, in primo luogo quelle verso la Francia”
9
, che hanno avuto
un peso significativo nel Paese. Del resto, come testimoniato, qui, come in Spagna il movimento
verso gli altri Paesi europei, fu molto consistente negli anni precedenti l’ingresso nella Comunità e
il flusso fu essenzialmente irregolare o per lo più incontrollato, soprattutto in quanto era difficile
ottenere il passaporto dell’emigrante di cui si aveva bisogno per lavorare fuori.
Un altro fattore da non trascurare è che molti Paesi che sono poi diventati membri della Comunità
avevano alle spalle molte problematiche, prima ancora che legate ai disastri dei due conflitti
mondiali, al ruolo esercitato in Paesi extraeuropei nei periodi coloniali: questo accadde alla Spagna
5
F. Viotti, Sviluppi della legislazione spagnola sull’immigrazione, pag. 5.
6
Ibidem.
7
Ibidem.
8
A. Cortese, M. Carmela Miccoli, L’immigrazione nei Paesi dell’Europa Mediterranea: il caso del Portogallo,
Università di Salerno, Dipartimento di Scienze economiche e statistiche, Working Paper, pag. 5.
9
Ibidem.
12
per l’America Latina, al Portogallo per Paesi come Angola e Monzambico, nonché per altri Paesi
africani e non, che vedevano nella nuova Europa una fonte di opportunità sociali ed economiche.
Tornando al discorso del percorso compiuto nei vari decenni, è importante sottolineare che
l’immigrazione in quanto politica omogenea in tutti i Paesi giunse relativamente tardi rispetto a
quanto proposto sul piano economico ed integrazionista
10
, anche perché gli stessi cittadini di Stati
terzi non erano contemplati all’interno di questo spazio che si caratterizzava per il suo carattere
esclusivamente europeo, né si riteneva possibile affrontare già il tema dei flussi e delle relative
norme sull’integrazione di individui stranieri.
D’altra parte, le uniche ipotesi per cui si contemplava la presenza degli stranieri riguardavano per
lo più situazioni di cittadini, che pur non appartenendo alla Comunità europea di allora erano
comunque legati da vincoli di parentela con i cittadini stessi o con coloro che esercitavano qualsiasi
servizio o prestazione in Europa. In questi casi, infatti, la libera circolazione delle persone intendeva
sostanzialmente “regolare il fenomeno della circolazione all’interno della Comunità europea degli
individui che posseggano la cittadinanza di uno stato membro”.
11
Tuttavia, ai cittadini di Stati terzi
era concesso di beneficiare di alcuni aspetti del mercato comune: infatti, essi potevano usufruire di
alcuni servizi pur non essendo membri della Comunità e questo consentiva comunque di evitare
qualsiasi tipo di discriminazione nelle relazioni esterne, anche se furono evidenti sin dall’inizio le
preferenze nei riguardi di coloro che facevano allora parte della sfera comunitaria.
Infatti, solo successivamente si delinea in maniera più concreta il regime che stabilisce alcune
differenziazioni tra comunitari ed extracomunitari sulla base degli status individuali, che
consentirono di estendere nuovi cambiamenti economici anche ad una manodopera di lavoratori
non più esclusivamente comunitaria, ma che abbracciava anche i cittadini di Stati stranieri, che
dagli ani settanta in poi diventarono protagonisti dei vari processi di definizione delle politiche
sull’immigrazione.
Ciò accadde perché la politica d’immigrazione solo successivamente cominciò ad occuparsi di un
campo più vasto di norme, che riguardavano, non solo lo sviluppo armonioso delle attività
economiche, come recita l’articolo 2 TCE, ma anche il rafforzamento del mercato comune, della
coesione e della protezione sociale, che vengono perseguite attraverso l’abolizione di tutti gli
10
L’integrazione qui va intesa sempre in chiave economica, solo in seguito sarà associata alla
politicad’immigrazione europea.
11
V. Gasparini Casari, Il diritto dell’immigrazione. Profili di Diritto Italiano, Comunitario e Internazionale, V
Quaderno de “ Il dirittto dell’economia”, Modena, Mucchi editore, 2010, pag. 46.
13
ostacoli interni che ne avrebbero impedito il perseguimento, mentre verso l’esterno, cioè verso gli
stranieri, le barriere permasero.
L’attenzione agli stranieri arriva, infatti, nel momento in cui ci si sofferma sull’importanza del
fenomeno migratorio come il centro dello sviluppo di nuove prospettive socio-economiche: basti
pensare che nel corso dei decenni divenne fondamentale il contributo delle istituzioni europee, che
ovviamente si occupavano ancora di poche materie esclusive, come fu il caso dei regimi speciali
per i lavoratori extracomunitari che avevano dei familiari nella Comunità europea.
Infatti, è del 1974 il Programma di azione sociale adottato dal Consiglio con risoluzione su proposta
della Commissione, che prevedeva il conseguimento di tre essenziali obiettivi: uno concernente un
pieno e migliore impiego, un secondo sul miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ed un
ultimo sul rafforzamento della partecipazione delle varie parti sociali. Questi obiettivi consentirono
di pensare ad un’integrazione positiva, nel senso che miravano ad armonizzazione il progresso negli
Stati europei.
Tale risoluzione del Consiglio, inoltre, pur non riscuotendo un notevole successo, costituì una
svolta essenziale, in quanto prevedeva, oltre al rafforzamento degli obiettivi nel campo della
politica sociale, anche l’affermazione di altri principi come: l’istituzione di un programma di azione
per gli immigrati che tenda “a migliorare le condizioni della libera circolazione dei lavoratori degli
Stati membri nella Comunità(…),a realizzare la parità di trattamento dei lavoratori comunitari ed
extracomunitari, nonché dei loro familiari, in materia di condizioni di vita e di lavoro, di salari e di
diritti economici, tenuto conto delle vigenti disposizioni comunitarie e a promuovere una
concertazione delle politiche di migrazione nei confronti di Paesi terzi”.
12
Naturalmente tale risoluzione sottolineava la necessità non solo di accelerare il processo
d’integrazione, ma anche di migliorare le condizioni di vita dei cittadini migranti, tant’è che queste
prime azioni hanno come obiettivo quello di allargare il raggio di possibilità sia per i migranti che
per le loro famiglie. L’attenzione al contesto socio-economico ha generato una politica
sull’immigrazione, che ha incentivato la lotta contro l’immigrazione irregolare e al contempo ha
rafforzato lo sviluppo di un buon livello d’occupazione, una delle premesse per la realizzazione del
mercato comune. Questi obiettivi erano racchiusi in una proposta della Commissione del 1978 sul
ravvicinamento delle disposizioni legislative degli Stati membri mai adottata dal Consiglio, in
12
Risoluzione del Consiglio del 21 gennaio del 1974 relativa ad un programma di azione sociale, al sito :
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31974Y0212%2801%29:IT:HTML.