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Introduzione
L’obiettivo della tesi è stato quello di effettuare un’analisi descrittiva
dell’industria della comunicazione in Italia, concentrandoci in particolar modo al
mercato audiovisivo (Radio, Televisione, Cinema, Musica e Videogiochi). Si è
cercato di descriverne le caratteristiche e l’andamento nel corso degli ultimi
cinque anni. In alcuni settori si sono osservate delle piccole crescite graduali
rispetto agli anni passati, in altri invece, dei decrementi dovuti a diversi fattori,
come per esempio nel caso della musica o del cinema, alla pirateria online. Senza
dimenticare però, che il peggior nemico di tutti i mercati negli ultimi anni e di
conseguenza anche di quello audiovisivo, è stata la crisi economica che con i suoi
effetti devastanti ha messo in ginocchio gran parte dei mercati mondiali. Alcuni
settori tuttavia hanno resistito bene, come quello dei videogiochi, il quale,
rispetto al mercato degli altri paesi europei analizzati in questa sede, registra i
più alti tassi di crescita negli ultimi cinque anni. Altro aspetto importante di
questo lavoro è stato quello di riuscire a fare un confronto internazionale dei
mercati in questione per osservare le differenze del nostro mercato rispetto a
quelli dei maggiori paesi europei. I paesi europei presi in considerazione sono
stati: il Regno Unito, Germania, Francia e Spagna. Dopo un analisi approfondita,
quasi in tutti i settori si osserva una predominanza del Regno Unito, mentre
l’Italia si colloca quasi sempre negli ultimi posti della classifica. Durante questo
lavoro hanno aiutato molto i rapporti annuali di diversi siti di statistica come il
“Censis”, in collaborazione con quelli degli altri paesi presi in considerazione. Un
piccolo riferimento è stato fatto anche alle imprese e ai gruppi di produzione
audiovisiva presenti sul territorio italiano fino al primo semestre 2009, la maggior
parte dei quali risulta concentrata nella regione del Lazio.
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L’andamento dei mercati nell’industria della comunicazione
Il 2009 è stato un anno particolarmente difficile per l’economia e l’industria della
comunicazione. Le ricadute sull’industria della comunicazione e sui consumi della
crisi finanziaria, di cui si sono avvertite le prime conseguenze nel 2008, si sono
fatte particolarmente pesanti nell’anno in corso, sia sul versante degli
investimenti pubblicitari che sulla spesa degli utenti finali. La crisi per molti mesi
ha costretto il mondo della pubblicità a navigare alla cieca.
I mercati consumer hanno pagato la contrazione della spesa delle famiglie in
informazione, comunicazione e intrattenimento. Il digitale ha costantemente
eroso quelle industrie incentrate su contenuti egualmente disponibili on-line,
legittimamente o meno. Più che le parole, i dati sull’andamento dei mercati nel
2008 offrono una fotografia delle difficoltà che hanno incontrato i diversi settori
dell’industria:
Fonte: IEM (Istituto di Economia dei Media).
La maggior parte dei mercati mostra un andamento negativo. Agli ultimi posti,
proprio quei settori i cui contenuti sono veicolati anche tramite internet: musica
r home-video continuano a soffrire i dilagante file-sharing; i quotidiani pagano il
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crescente utilizzo di internet come approvvigionamento di news. Se
consideriamo che il tasso d’inflazione misurato dall’ISTAT, nel 208, è stato del
3,3%, sono pochissimi i mercati a registrare un reale progresso.
Paradossalmente, la pubblicità mostra un segno positivo rispetto all’anno
passato ma i primi sei mesi del 2009 hanno fatto registrare un pesante -17%.
Solo i videogiochi hanno proseguito nella loro tendenza positiva, crescendo di
oltre il 20%, grazie a un riposizionamento dell’intero mercato che coinvolge fasce
sempre più ampie di pubblico.
Questa, in sintesi estrema, la situazione dell’andamento dei mercati nella prima
metà del 2009, che vede i diversi segmenti del mercato pubblicitario, e
segnatamente la stampa, con dati negativi in doppia cifra, mentre solo i
videogiochi proseguono nella loro crescita degli ultimi anni, pur a tassi molto
minori.
Fonte: IEM.
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Il confronto con i principali mercati europei, vede l’Italia soffrire maggiormente la
congiuntura sfavorevole, restando relegato quasi sempre agli ultimi posti della
graduatoria nel quintetto dei maggiori stati europei (con le significative eccezioni
della pubblicità televisiva e delle telecomunicazioni mobili).
Note: dati 2008
Fonte: IEM.
Una fase dell’industria della comunicazione quindi difficile ma al contempo di
grande dinamicità. La crisi per molti comparti, non significa solo una temporanea
difficoltà economica dovuta a fattori congiunturali, ma una vera e propria
rivoluzione dei prodotti, di modelli di business e modalità di consumo. Se in molti
comparti il processo è in piena attuazione, altri sono sull’orlo di grandi mutazioni
(il cinema, i libri), altri ancora un passo dietro l’orlo (ad esempio TLC, forti di
grandi trasformazioni del decennio passato, ma anche loro da qui a dieci anni
costrette a rivedere gran parte dei propri fondamentali economici).
I mercati più giovani sono invece anche quelli in cui le mutazioni sono continue e
meno traumatiche, già settati su una domanda di nuova generazione.
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Capitolo 1
Televisione
1. Ascolti e penetrazione
Dopo anni di lieve ma continuo decremento, nel 2008 la platea televisiva è
tornata crescere. Il rating complessivo (la percentuale degli italiani che guardano
la tv nel minuto medio) è risalito al 16,2% (+0,3 punti, ossia oltre 220mila unità)
tornando sopra la soglia dei 9 milioni, per una media di visione giornaliera di 3
ore e 54’.
Negli anni 2004-2007, questa flessione aveva riguardato più il prime-time che le
altre fasce. Tra le 20.30 e le 22.30 il mezzo televisivo aveva perduto ben 1,5
milioni di telespettatori. Nel 2008, invece, la platea serale riguadagna quasi
500mila spettatori, pur rimanendo al di sotto del dato degli anni precedenti (il
confronto col 2004 vede 1 milione di spettatori in meno). L’incremento
verificatosi nel 2008 riguarda tutte le fasce, specialmente quelle 9-12 e 15-18
(dove più alti sono gli share fatti registrare dalle tv altre, specie satellitari).
Fonte: Auditel.
Nel 2008, le tv “altre satellitari” sono cresciute di ulteriori 0,3 punti di share,
superando l’8,3%, al netto dei canali Raisat, compresi i quali l’incremento
sarebbe stato di 0,75 punti e lo share complessivo dell’8,8%.
Nei due principali gruppi di televisione generalista, sono le offerte digitali a
permettere di compensare le perdite dei canali principali. I tre canali generalisti
RAI, infatti, hanno perso 0,65 punti (dovuti essenzialmente al calo di RAI Uno) ma
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l’integrazione dello 0,82% raccolto da RAI Digit determina una crescita
complessiva di 0,17 punti. I tre canali generalisti Mediaset, invece, perdono
complessivamente 0,96 punti, parzialmente compensati dallo 0,29% di Boing.
Il confronto 2004-2008 vede canale 5 come l’emittente che ha perso più ascolti (-
2,12, con un’erosione lenta ma costante), seguita da RAI Due (-1,71) e RAI Uno (-
1,34, maturati tutti nell’ultimo biennio). Le migliori performance dei canali
generalisti sono per RAI Tre (-0,09) e soprattutto La7 che, tornata a crescere nel
2008, ha raggiunto il 3,08% (+0,70 sul 2004). L’incremento, di pochi decimi di
punto, delle tv “altre terrestri” si può ascrivere principalmente al digitale
terrestre, pur se l’offerta analogica sembra diffendersi anche al netto dei nuovi
canali digitali. La crescita delle “altre satellitari” (0,75 con i canali Raisat),
viceversa, è stata la più bassa fatta registrare nell’ultimo quinquennio, quando
era stata costantemente superiore a 1 punto ogni anno. Ciò è in linea, come si
vedrà, col rallentamento della crescita del parco abbonati.
Fonte: Auditel e RAI.
Nella fascia strategica del prime-time, il calo RAI si fa meno evidente e quello di
Mediaset più accentuato. Sono specialmente le emittenti maggiormente
redditizie a perdere ascolti: Canale 5 perde 0,88 punti mentre Italia 1 ne perde
0,44. Viceversa, Rete 4 mostra un incremento di oltre mezzo punto fra il 2006 e il
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2008. RAI Uno perde 0,6 punti, parzialmente compensati dagli 0,4 guadagnati da
RAI Due. Questi punti di share persi vanno a ripartirsi in maniera sostanzialmente
omogenea nelle altre offerte: La7 e le altre terrestri crescono di 0,3 punti
ciascuna; le satellitari (con Raisat) di oltre lo 0,5. Per tutte le generaliste il dato
del prime-time è superiore al dato all-day, con l’eccezione di La7 e Italia 1.
Fonte:Auditel.
2. Il mercato
Le risorse del sistema
Il 2008 ha visto il mercato televisivo crescere, nel suo complesso, del 3,6%,
superando gli 8,8 miliardi di euro di ricavi per emittenti in chiaro e operatori di
pay-tv. Si tratta dell’incremento più basso dal 2004 ed è dovuto essenzialmente
al rallentamento dei ricavi pubblicitari, che hanno visto nel 2008 un calo di circa
20 milioni, ossia dello 0,4%. I ricavi da pay-tv sono invece cresciuti di un ulteriore
12%, a quota 2,67 miliardi, mantenendo alti tassi di crescita (anzi, registrando un
incremento, nel 2008, ben superiore a quello del2007, nonostante il numero di
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nuovi abbonati sia rallentato). Nel quinquennio 2004-2008, i ricavi da canone e
da pubblicità sono cresciuti in maniera analoga, intorno al 9%, mentre i ricavi da
abbonamento del 130%. Il mercato televisivo, nel suo complesso, del 30%.
Fonte: Agcom, Assocomunicazione, FRT, UPA et al.
La tradizionale tripartizione delle risorse del sistema, quindi, ha visto la pubblicità
perdere quasi 10 punti percentuali nel periodo per raggiungere una quota oggi
del 51% del mercato. Con il canone fermo intorno al 18%, gli abbonamenti hanno
superato la soglia del 30% (erano il 17% nel 2004), avvicinando l’Italia a
proposizioni simili a quelle degli altri grandi paesi europei.
I ricavi delle emittenti
Nel 2008, la distanza che separa i tre principali operatori, in termini di ricavi, si è
visibilmente assottigliata, grazie alla forte crescita di SKY e al rallentamento di
RAI e Mediaset. Computando i soli ricavi da canone, pubblicità e abbonamenti, i
tre gruppi sono divisi da meno di 100 milioni di euro. Con 2.702 milioni di euro di
ricavi (comprensivi di canone e ricavi pubblicitari netti), RAI si conferma come
primo operatore in termini di volume d’affari, seppur con un calo dello 0,1