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Sono stati presi, come elementi d’analisi, i contenuti
pubblicitari di due mezzi di comunicazione, periodici e
televisione, in quanto, come sostiene Golini (2004):
“la pubblicità è contemporaneamente mezzo per vendere un
prodotto o una marca, spettacolo, e mezzo di comunicazione
che inonda i nostri teleschermi di rappresentazioni sociali”.
Si è osservato, dunque, come gli anziani vengono rappresentati,
partendo dalla teoria fondamentale delle rappresentazioni
sociali di Moscovici (1961).
L’esposizione della ricerca è stata suddivisa in quattro capitoli:
nel primo, intitolato “Le rappresentazioni sociali”, è stata
illustrata l’omonima teoria elaborata da Moscovici.
Il secondo capitolo è totalmente dedicato ai mass-media e alla
pubblicità; è stata proposta una breve panoramica teorica di
psicologia sociale riguardante il rapporto tra mass-media,
pubblicità e società; poi è stato aggiunto qualche cenno storico
sulla nascita della pubblicità nel mondo e qualche riferimento
ai diversi tipi di pubblicità, al loro funzionamento e al loro
carattere persuasivo.
Nel terzo capitolo è stato affrontato il tema degli anziani e la
loro rappresentazione sociale, anche attraverso i media;
pregiudizi, stereotipi e falsi “miti” sull’invecchiamento.
Infine, il quarto capitolo costituisce la parte empirica.
In esso sono state spiegate le modalità con cui sono stati
analizzati i materiali necessari allo svolgimento della ricerca e
il metodo di analisi utilizzato.
Sono state poi illustrate le categorie d’analisi considerate ed
esposti i risultati emersi dalle analisi delle pubblicità
selezionate, rispettivamente, nelle tre testate settimanali e nelle
tre reti televisive considerate, accompagnandoli sempre con
tabelle e grafici per permettere a quanti vorranno interessarsi
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alla ricerca, di avere una visione chiara dei dati emersi e la
possibilità di un confronto veloce tra i periodici e la TV. In
ultimo sono stati stilati i profili degli anziani emersi all’interno
dei contesti analizzati.
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Capitolo 1
LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI
“Le società, come le vite umane,
contengono la propria interpretazione”.
[C. Geertz]
1.1 Le radici storiche della teoria
Nelle innumerevoli interazioni quotidiane con gli altri, gli
esseri umani danno origine a comportamenti, pensieri,
sensazioni, atteggiamenti, conoscenza e credenze.
La psicologia sociale è la scienza sociale il cui compito
precipuo è quello di indagare su questi temi.
Le origini di questa scienza risalgono al 1860, quando Lazarus
e Steinthal fondarono la “rivista di psicologia dei popoli e di
scienza del linguaggio”. Questi due studiosi sentivano la forte
necessità di ancorare lo studio del pensiero individuale al
contesto socioculturale, in quanto sono le modalità comuni di
vita, di valori e di costumi che generano le modalità comuni di
pensiero e che cambiano a seconda dei vari popoli. Nacque
così la Volkerpsychologie, ovvero la psicologia dei popoli.
Tale prospettiva fu ereditata poco dopo da Wundt; egli, infatti,
aveva operato una divisione tra processi mentali inferiori e
superiori, includendo, tra questi ultimi, il linguaggio e l’attività
simbolica.
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Secondo Wundt (1900-20), per studiare queste manifestazioni
del pensiero umano, non si può adottare il metodo sperimentale
tipico della psicologia classica, ma si dovrebbe procedere con il
metodo storico-comparativo, poiché le attività simboliche ed il
linguaggio non si sviluppano a partire dall’individuo, bensì dal
suo contesto sociale ed, inoltre, si estrinsecano nelle relazioni
sociali. L’interazione ed i processi comunicativi costituiscono
dunque la base sociale dei processi psicologici superiori della
mente ed è di questo che deve occuparsi la psicologia sociale,
mentre alla psicologia sperimentale spetta l’analisi dei processi
elementari e di natura esclusivamente fisiologica.
Negli anni Sessanta appare nel panorama della psicologia
sociale Serge Moscovici, divenuto subito noto per la sua teoria
delle Rappresentazioni sociali.
Lo studioso sostiene alla base del proprio pensiero che:
“l’individuo non è un dato biologico, ma un prodotto sociale e
[…] la società non è un ambiente idoneo a favorire
l’adattamento dell’individuo o a ridurre le sue incertezze, ma
un sistema di relazioni tra individui collettivi” (1972).
Moscovici con queste parole sottolinea che la psicologia
sociale deve occuparsi soprattutto del comportamento e dei
fenomeni simbolici, quali cognizioni e comunicazioni in senso
lato, dei soggetti sociali, siano essi individui o gruppi.
Per Moscovici rientrano in questi fenomeni simbolici gli
stereotipi, i pregiudizi sociali, nonché le credenze collettive e
il tratto comune è che essi esprimono una Rappresentazione
sociale che individui e gruppi si costruiscono per agire e per
comunicare.
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1.2 La teoria delle rappresentazioni sociali
Nell’opera del 1961 “La Psychanalyse: son image et son
public” Moscovici introdusse il concetto di Rappresentazioni
sociali, intendendo con esso una forma di conoscenza
socialmente elaborata e condivisa.
Il fine pratico di tali rappresentazioni è di costruire
un’immagine del mondo e di orientare il nostro agire
all’interno del nostro mondo; queste sono il risultato di un
processo di costruzione sociale che avviene inavvertitamente,
cioè inconsapevolmente. Quotidianamente tutti gli individui
applicano ed usano il sapere a loro disposizione, lo riproducono
e lo rimodellano in continuazione, così che tale sapere,
rimanendo apparentemente sempre eguale, cambia
costantemente.
Anche se sono il prodotto di questo continuo e incessante
processo, le rappresentazioni sociali appaiono agli uomini che
le usano come un sapere naturale, scontato, familiare.
Per “rappresentazione” si intende: “il prodotto e il processo di
un’attività mentale, tramite la quale un individuo o un gruppo
ricostruisce il reale che gli sta davanti e gli attribuisce un
significato specifico” (Abric, 1988).
Per “sociale” Codol (1982) intende: “ciò che permette di
qualificare come sociali le rappresentazioni, non sono tanto i
loro supporti individuali o di gruppo, quanto il fatto che esse
siano elaborate nel corso di scambio e di interazione”.
Nell’elaborazione della sua teoria, Moscovici si è basato sulla
nozione di “rappresentazioni collettive” di Durkheim (1898),
ovvero quelle forme intellettuali che comprendono la religione,
il diritto, la scienza, etc. e devono costituire l’oggetto
principale della sociologia.
Durkheim distingue le rappresentazioni individuali da quelle
collettive, sostenendo che solo le prime possono essere di
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interesse psicologico, mentre le seconde devono essere
materiale di studio della sociologia; Ciò in quanto i fatti sociali,
a cui le rappresentazioni collettive fanno riferimento, sono
esterni alle coscienze individuali, di cui in genere si occupa la
psicologia; essi derivano dunque dall’associazione di tante
individualità.
Durkheim inoltre attribuisce alle rappresentazioni collettive un
certo potere coercitivo, poiché “esse non sono generalmente
create dall’uomo, ma ad esso sono imposte dalla tradizione”
(1898).
Moscovici si ispira dunque a Durkheim, ma supera tale teoria
che considera astratta e statica, poiché, secondo lui, non si
tratta di una classe generale di idee e di credenze, ma le
rappresentazioni collettive sono dei fenomeni che devono
essere spiegati in quanto specifici, correlati ad un modo
particolare di comprendere e comunicare.
Per mettere in risalto questa differenza, egli preferisce usare il
termine “sociali” al posto di “collettive”.
In seconda istanza, mentre per Durkheim le rappresentazioni
collettive sono forze stabilizzatrici della realtà sociale, entità
statiche e difficilmente mutabili, per Moscovici le
rappresentazioni sociali danno forma alle idee, facendole
vivere nel presente in esperienze ed interazioni, collegando il
sapere e le conoscenze alla vita concreta e sono quindi
dinamiche, mobili e possono formarsi facilmente (Palmonari,
Cavazza, Rubini, 2002).
Il campo di realtà coperto dalle rappresentazioni sociali è
estremamente vasto; il nostro mondo è tale perché siamo in
grado di rappresentarcelo. Un oggetto di cui non fossimo in
grado di sviluppare una rappresentazione, semplicemente non
esisterebbe per noi; d’altro canto abbiamo rappresentazioni
anche di cose che non esistono.
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Questo enorme pacchetto di conoscenze non può essere un
nostro prodotto personale, ma ci proviene dalla società; noi
impariamo a conoscerlo e ad usarlo, più o meno bene, con
maggiore o minore autonomia.
Le rappresentazioni sociali sono un sapere sociale poiché
inconsapevoli: non sono immediatamente visibili all’individuo,
che le usa quasi senza accorgersene.
In quanto egli appartiene ad un gruppo sociale, viene modellato
da questa appartenenza, così che egli vede il mondo con gli
occhi del gruppo al quale appartiene, pensando che quello sia il
suo modo di vedere e il modo giusto di vederlo.
Moscovici nel dare una spiegazione di cosa sono le
rappresentazioni sociali afferma:
“ogniqualvolta incontriamo delle persone o delle cose e
facciamo la loro conoscenza, sono implicate sempre delle
rappresentazioni: l’informazione che riceviamo, a cui
cerchiamo di dar significato, è sotto il loro controllo e non ha
altro significato per noi se non quello che è assegnato ad esso
dalle rappresentazioni. […] Gli individui e i gruppi creano
rappresentazioni nel corso della comunicazione e della
cooperazione. Le rappresentazioni, ovviamente, non sono
create da individui isolati; tuttavia, una volta create, esse
hanno una vita propria, circolano, si fondano, si attraggono e
si respingono l’un l’altra e danno origine a nuove
rappresentazioni, mentre le vecchie scompaiono. Di
conseguenza per poter comprendere e spiegare una
rappresentazione è necessario iniziare da quelle da cui essa ha
avuto origine” (Farr, Moscovici, 1989).
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Attraverso tale definizione, Moscovici mette in evidenza due
aspetti cruciali: in primo luogo, che le rappresentazioni sociali
sono sempre presenti nella vita di tutti i giorni e che esse sono
utili a capire il modo e il motivo dell’agire dell’uomo nella sua
quotidianità. In secondo luogo, che le rappresentazioni sono in
continuo mutamento e spesso si rigenerano su se stesse, vale a
dire che le rappresentazioni diventano materia prima per delle
nuove; a volte le vecchie scompaiono, rendendo difficile
risalire alla natura originale che ha creato la rappresentazione
attuale. Per ciò che concerne le funzioni delle rappresentazioni
sociali, Moscovici afferma che esse servono prima di tutto a
rendere convenzionali cose o persone, dando loro una forma
specifica, inserendole in una categoria e definendole come un
modello determinato e condiviso da uno specifico gruppo
sociale.
Infine, esse hanno una funzione di controllo della realtà attuale
attraverso quella del passato, in quanto trasmesse ed elaborate
nel corso del tempo, condivise da molti e influenzano la vita di
individui e gruppi. In tal senso le rappresentazioni hanno un
forte impatto sulle persone dovuto alla combinazione di una
struttura presente da prima che si inizi a pensare e di una
tradizione che definisce cosa si deve pensare.
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1.3 Perché nascono le rappresentazioni sociali?
Al giorno d’oggi, attraverso le nuove tecnologie
dell’informazione e il processo di globalizzazione, la
comunicazione di ogni fenomeno sociale si diffonde
rapidamente da un luogo ad un altro con estrema facilità; come
un flusso che si arricchisce di informazioni in modo
progressivo, fino al punto di trasmettere a molti l’impressione
di vivere in un Villaggio globale (McLuhan, 1992).
Tale flusso non veicola solo semplici informazioni, ma anche
idee e rappresentazioni del mondo.
In qualunque luogo e in qualsiasi momento, una mole
incredibile di notizie, idee, immagini e rappresentazioni ci
raggiunge e ciò è dovuto soprattutto alla pervasività dei nuovi
mezzi di comunicazione. Questi riescono infatti a penetrare
nelle mura delle nostre abitazioni, ad infiltrarsi nelle nostre
abitudini. Spesso sentiamo la necessità di sistematizzare tale
incessante flusso di informazioni e avvertiamo uno scarto fra la
conoscenza che possediamo e quella che vorremmo avere per
valutare un oggetto o una persona che ci risultano poco
conosciuti o del tutto sconosciuti e quindi agire nei loro
confronti.
La percezione di questo scarto può indurci ad una modalità di
ragionamento tipica del senso comune. La nostra mente
seleziona in principio alcune informazioni e, successivamente,
procede con la sistematizzazione degli elementi rilevanti
selezionati in categorie.
L’essere umano fa tutto questo per riuscire ad organizzare le
informazioni e la loro dispersione, per gestire le proprie
relazioni pregnanti e significative con persone ed oggetti e,
infine, per prendere posizioni e decisioni sulle azioni da
intraprendere. Il ragionamento del senso comune ci conduce
alle rappresentazioni sociali.
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1.4 I processi alla base delle rappresentazioni sociali
Nel sistema elaborato da Moscovici, le rappresentazioni sociali
sono generate da due processi molto importanti: l’ancoraggio
e l’oggettivazione, i quali sono in stretta relazione reciproca.
1.4.1 Ancoraggio
Si tratta di un processo che porta qualcosa di estraneo e che ci
crea incertezze, poiché sconosciuto, nel nostro sistema di
categorie e lo confronta con il modello di una categoria che
riteniamo adatta. La nostra mente così opera un’ “integrazione
cognitiva”, vale a dire che integra l’oggetto rappresentato con il
sistema di pensiero preesistente, il quale si adatta e si trasforma
in relazione a ciò che da nuovo è diventato familiare.
Come afferma Moscovici:
“Dal momento in cui un dato oggetto o idea è confrontato con
il paradigma di una categoria, esso acquisisce le
caratteristiche di quella categoria ed è riadattato ad essa. Se
la classificazione così ottenuta è accettata, allora qualsiasi
opinione che si riferisca a quella categoria, si riferirà anche a
quell’oggetto o a quell’idea” (Farr, Moscovici, 1989).
Così facendo, intrinsecamente, la psiche riesce a ridurre la
paura e lo stupore che un oggetto o un fenomeno non familiare
produce nell’attore sociale, facendolo entrare in una categoria
familiare (Palmonari, 1980).